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di Enzo Siciliano
«Sopra di noi c’è un violinista, sotto ce n’è un altro, accanto c’è un maestro di canto che
dà lezione, nella stanza di fronte c’è un oboista. È una bellezza per comporre! Ti fa venire
tante idee». Mozart ha quindici anni, è col padre a Milano: è la fine d’agosto, e scrive alla
sorella del caldo sciroccoso che fa, di certa diarrea che l’aveva colto (argomento per lui
quanto mai gradito), e ancora del caldo, infine accenna al frastuono di musica che lo
circonda. Gli piace comporre al centro d’un caotico fuoco d’artificio sonoro: vocalizzi,
sfrigolio di violini, delicatissime filature d’oboe.
Dovevano essere stanzucce meschine, pavimentate di cotto o di legno, e scale
attorcigliate, tremuli ballatoi: — candele di sego la sera, frusciare di ciabatte la notte; la
mattina qualche gorgheggio, e grida, richiami di virtuose, pettegolezzi di virtuosi dall’eros
indeciso.
In quel volgersi del secolo diciottesimo, la musica a Milano, a Vienna, a Londra, a Parigi,
era una gran fabbrica cui badavano le borse degli impresari e quelle dei tronfi e sboccati
monsignori. I principi elargivano talvolta attenzioni cospicue, ma esigevano inchini continui e
continue genuflessioni: promettevano meravigliose sinecure, ma chiedevano pronta cassa una
eccitante Tafelmusik per il pranzo.
I teatri si riempivano di vocianti borghesi. I nobili, in palco, bevevano vinelli leggeri,
sgranocchiavano pollo freddo e succhiavano gelatine; poi, abbandonavano le mani l’uno
nell’altra e le lasciavano correre sotto i taffetas e gli organzini. Arie, duetti, concertati
pungevano le loro orecchie: - certe dame impudenti schiacciavano i seni di sotto in su fuori
del busto, e trovavano sempre un Cherubino pronto a servirle con le dita sollecite. Quel
Ganimede si perdeva, accosciato in terra, a slacciare giarrettiere nell’alto delle gambe. Un
palco in teatro poteva essere un vero e proprio gabinetto di piacere.
C’è da stupirsi, allora, che un quindicenne dotatissimo per la musica, il più dotato che
abbiamo mai conosciuto, si nutra, nel comporre contraddanze o ouvertures, di rumori più o
meno furtivi, si compiaccia del chiasso e magari si diletti insieme nello scrivere frizzi
coprolalici?
Le lettere che il ragazzo scrive alla sorella, rimasta con la madre a Salisburgo, tradiscono
una allegrezza nervosa, il gusto di abbandonarsi alla corrente della vita mantenendo un
equilibrio meraviglioso: - pare che in lui la vita non lasci segno, oppure che invada il cuore
fino a rendersi lieve come una bava di brezza.
Cosa c’era nell’animo di Mozart? Non valgono con Mozart consueti metri di misura. La
sua genialità credo consistesse nell’esser lui uomo del tutto comune, uomo qualsiasi, ma di
quelli che vivono senza rendersene conto due vite: - la vita del volto, con cui si affacciano
quotidianamente presso il volto degli altri, e la vita della propria intimità profonda o della
propria verità. Questa rimane loro sempre sconosciuta, o forse gli appare in sogno e, sepolta
nelle ore notturne, altrimenti non affiora se non pari a un fortuito e trascurabile trasalire.
L’uomo comune può essere un Mozart candido e imperturbabile come Dio: ma non ha modi
per palesarlo. Mozart ebbe la musica dalla sua: quell’ora notturna e quei sogni che per
sempre, come nei più, sarebbero rimasti sconosciuti, seppe rappresentarli in suoni, con una
naturale fluidità, una trasparenza che nulla ha della tenebra, - un miracolo.
L’animo di Mozart era dunque un abisso: l’abisso della quotidianità dove ogni differenza
sparisce e a galla salgono passioni di breve momento, ricordi casuali, propositi mediocri.
È il 5 dicembre 1772, siamo ancora a Milano, la lettera è sempre indirizzata alla sorella:
«Ho imparato un nuovo gioco che si chiama Mercante in fiera, appena torno a casa ci
giochiamo. Dalla signora von Taste ho imparato una nuova lingua segreta, facile da parlare,
difficile da scrivere, ma comunque mili/zabile, solo che è un po’ infantile, ma per Salisburgo
va bene. Addio, stammi bene. I miei complimenti ad ogni buon amico e amica. Saluti alla
nostra bella Nandl e al canarino».
I giochi, il canarino, i saluti agli amici: nel secolo dei lumi gli uomini, anche non
particolarmente colti, sembrano intrisi di filosofia fin nel midollo. Paiono sublimemente
indifferenti a ogni richiamo metafisico: la vita è ciò che si vede, la morale si conclude nel
comportamento. In loro sembra non esservi cinismo, ma solo una animalità di continuo
rifiorente. Il dolore, la morte sono occasioni cui non si sfugge: ci inseguono da presso,
accogliamoli per quel che sono e non presumiamo cancellarli, - paiono dire quegli uomini. La
vita è naturalmente morte e dolore, al pari di gioia, quella piccola gioia che danno una mano
di Mercante in fiera, il trillo innocente di un canarino, o lo strepito di quattro disparati musici
che fanno studio in casa insieme e ciascuno per sé.
Davanti a «quattro furfanti» impiccati in piazza del Duomo, sempre a Milano, il
commento di Wolfgang Amadé è: «Li impiccano come a Lione», niente altro.
Mozart fece apprendistato con suo padre Leopold. Si dice che Leopold ne abbia fatto,
forzandolo, il ragazzo prodigio che sappiamo. Wolfgang assecondò suo padre. Oggi
potremmo accusare suo padre di essere stato persecutore e autoritario. È trascurabile,
finanche oziosamente mondano, chiedersi però che musicista sarebbe diventato Mozart senza
Leopold alle costole.
È vero che il figlio nutrì per il padre un rispetto ombreggiato di maniera: ma in quella
costrizione ad apparire, se non diverso da quel che era, per lo meno ossequioso a principi di
buona condotta, quali il timor di Dio e del potere, Wolfgang Amadé trascorse anni nei quali
recalcitrare e simulare affinarono in lui, per contrasto, un sottile e pertinace bisogno di
indipendenza e libertà.
Scriveva musica, ma via via tendeva ad affrancarsi dalle varie tutele che lo affliggevano:
anzitutto quella economica, dipendenza economica dall’arcivescovo di Salisburgo di cui era
musico, il principe di Colloredo; quindi la tutela paterna nelle faccende amorose, pratiche, di
lavoro. Leopold ostacolò un primo rapporto con Aloisia Weber (che, per suo conto, non aveva
un grande interesse nei confronti di Wolfgang Amadé); e poi il matrimonio con Constanze.
Wolfgang si liberò di Colloredo con una lite violenta a Vienna, e, dimentico di ogni
consiglio ricevuto, sposò Constanze. A quel punto, Leopold quasi sparì dalla sua vita: perse il
ruolo, presso il figlio, di interlocutore privilegiato per ogni argomento. Quando morì,
Wolfgang scrisse alla sorella parole di convenienza, e sua principale preoccupazione fu che il
lascito ereditario venisse equamente diviso.
Intraprendente, spigliato: gli anni della giovinezza traspirano in Mozart di una felicità
frizzante come i vini della Mosel-la. Gli piaceva bere quel vino, mascherarsi, ironizzare sui
difetti altrui, lagnarsi della taccagneria di chi gli doveva denaro. Se al padre scriveva
espressioni solenni o in chiave di delicatezza sentimentale, sentiamo corrergli sotto pelle
istinti e gusti che vanno fuori delle convenienze e che esplodono a girandola nelle lettere alla
cugina Anna Thekla.
Il delirio di scrittura che imbeve le sue lettere è fatto apposta per piacerci, affascinarci.
Mozart vi mette pari seduzione fisica e immaginazione erotica, capacità stilistica e vezzi
ecolalici: - potremmo parlare di un Rabelais che civetta senza scopi filosofici se, sempre
sotterraneamente, non avvertissimo estri infantili, una specie di psicologica timidezza
rovesciata in aggressività e che punta al fecale, all’immondo per gioco e nasconde un’interna,
sconosciuta ferita, un anelito il cui bersaglio supera la contingenza di ogni rapporto sessuale.
C’è una vena di perpetuo erotismo che corre lungo l’epistolario mozartiano. Capiamo
quanto Wolfgang Amadé fosse uomo complesso e anche ardente, e facile all’ardore. Capiamo
come si inebriasse di toccamenti, magari di fuggevoli masturbazioni: - gli ultimi anni
dovettero essere segnati da vere follie d’erotismo. Singolari gelosie per Constanze, accese da
lei medesima fin dai mesi di fidanzamento, — lei che si fa misurare i polpacci da qualche
spasimante, e lui, Wolfgang Amadé, è presente... Le scriverà letterine severe, recriminatone: -
ma è una severità intinta di una arcana sollecitudine, di obliqui interessi. C’era un demone in
Mozart: il demone dongiovannesco, un’allerta continua a osservare e osservarsi, a
compiacersi di astuzie audaci pur di catturare per sé, soltanto per sé, la soddisfazione multipla
del desiderio. Era, insomma, uomo imprevedibile.
Ho detto fosse uomo comune, ma non ho detto fosse mediocre. Esser ‘comune’ vuol dire
essere anche pura natura, e l’imprevedibilità è sostanza della natura: - che è, di fronte alla
ragione che l’osserva, in uno stato di perenne pubertà. Il genio di Mozart è confitto in una
magnifica pubertà: in essa trovava cibo il suo demone dongiovannesco (e, d’altronde, dove,
di cosa avrebbe potuto nutrirsi?).
Eppure, quel demone, quel notturno visitatore, era spesso costretto a dileguarsi. Otteneva
la sua disfatta un vivace sentimento rivolto alle più semplici grazie della vita, robusto quanto
un bisogno fisico il quale, sia fame sia sete, è facile si trasformi in ingordigia.
Duplicità, sotterfugi. Nella lettera al padre, datata Vienna «13 de Juin 1781» (la rottura
con Colloredo è appena avvenuta, Mozart è stato cacciato dall’augusta casa con un calcio nel
sedere elargitogli dal conte Arco: l’addio a Salisburgo è definitivo; Mozart si fa libero
professionista di musica nella capitale), - in quella lettera si leggono parole quanto mai
chiare: «Sono un giovane che può sbagliare, come tutti, ma a mia consolazione posso dire che
magari lo facessero tutti così poco come me... Forse lei sul mio conto immagina cose inesatte.
Il mio difetto principale è che in apparenza non agisco sempre come dovrei...».
L’occasione che ha dettato queste parole è il consueto rimprovero paterno: non mangiare
carne nei giorni di magro, evitare le persone «di cattiva reputazione» («tutti i miei rapporti
con quella persona di cattiva reputazione si sono limitati al ballo; e molto prima di sapere che
aveva una cattiva reputazione e solo per essere sicuro di avere una dama con cui ballare una
contraddanza...»). La risposta di Wolfgang Amadé ha il tono della giaculatoria: «Ascolto la
messa tutte le domeniche e i giorni festivi e se è possibile anche i giorni feriali, lei lo sa bene,
padre mio!» — eppure, ha ormai venticinque anni, sembra cosciente di sé, «in apparenza non
agisco come dovrei», e sottolinea di suo pugno le parole più sintomatiche di quella frase, «in
apparenza», facendoci capire, lasciandolo capire a suo padre, quanto egli fosse capace di
guardare al fondo della propria pubertà perenne e isolarne la costitutiva ambiguità.
Quell’ambiguità era la sua salvezza, — duplice salvezza. Gli consentiva mentire a suo
padre per un verso, senza ancora troncare definitivamente i rapporti con lui, tesissimi
d’altronde per la decisione di non tornare più a Salisburgo. Gli consentiva, per altro verso,
non negarsi ai propri capricci, ai propri erotici «scherzetti»: — alloggiare in casa Weber, a
Vienna, una volta uscito di casa Colloredo, lì sperare qualcosa dalla bella Aloisia per la voce
della quale scriveva arie sublimi, e intanto trovarsi avviluppato nei lacci di Constanze, la
mediana delle tre sorelle, la cenerentola di casa, che finì con lo sposare, cadendo in un vero
trabocchetto di famiglia.
Fu un trabocchetto da commedia, e, come tale, efficace.
Glielo tese la vecchia, astutissima signora Weber nel giro di un anno: - ‘Avete
compromesso la ragazza. Fate il dover vostro’. E Wolfgang Amadé lo fece.
Il 25 luglio 1781, a Leopold che aveva fiutato qualcosa, aveva scritto: «Incomincio solo
ora a vivere: e dovrei amareggiarmi l’esistenza con le mie stesse mani? Non ho proprio nulla
contro il matrimonio, ma attualmente per me sarebbe un danno».
Passano alcuni mesi, e il 15 dicembre scrive: «Per intanto ciò che mi preoccupa è di
procurarmi un piccolo introito sicuro; così, con l’aiuto degli incerti potrò vivere benissimo
e... sposarmi? Vi spaventa l’idea?... Vi prego, carissimo, ottimo padre, ascoltatemi! Vi ho
dovuto svelare la cosa che mi sta a cuore, ed ora permettetemi che ve ne sveli anche le
ragioni - ragioni, per la verità, fondatissime. — La natura parla in me come in ogni altro».
Il matrimonio è il rifugio contro ogni tentazione: è, per usare una frase fatta, ‘mettere la
testa a partito’. Questo scrive Wolfgang Amadé. Ma Leopold va in bestia: sa per certo che
quelle ragazze Weber godono pessima fama, fama di leggerezza; sa che quella Constanze è
«una sgualdrina», glielo ha detto un amico, musico a Monaco, Peter Winter, il quale aveva
consigliato addirittura Wolfgang di prendersi un’amante piuttosto che sposarsi.
Ma la Weber mamma si rivolse al tutore delle figlie, tale Johann Thorwart. Thorwart era
stato inserviente e maschera del Burgtheater: quindi, per furberie e servizi che dissero non
limpidi, riuscì a guadagnarsi la fiducia del conte Rosenberg, intendente del nuovo teatro
imperiale, il Nazionale, - quello lo nominò proprio aiutante. Thorwart era, insomma, il vice
direttore di quel teatro: commissionava incarichi a poeti e compositori.
Sotto gli occhi di costui, Wolfgang Amadé, ovviamente intimorito, firmò un impegno
matrimoniale che era un vero e proprio laccio alla gola.
Constanze stracciò il foglio e, senza mutare d’un centimetro la situazione legale creatasi,
fece in modo che il suo ragazzo musicista provasse per lei una devozione illimitata.
Leopold era sconfitto.
A quel tempo. Constanze teneva un comportamento di sicuro non esemplare: si faceva
toccare con facilità da chiunque e non aveva remore nel mostrare ogni grazia. Dopo la morte
di Mozart si investì del proprio ruolo: diventò, risposandosi, la vedova di un genio con tutte le
obbligazioni di severità, contegnoso riserbo, e anche senso degli affari, che il caso richiedeva.
Finché Wolfgang fu in vita, andò tutto in modo diverso.
È stato detto che Constanze fosse una donna priva d’umorismo e soltanto civetta. Può
anche darsi. Mozart ebbe con lei un forte legame sensuale.
Quella ragazza indolente, d’una fatuità priva di respiro, meccanica negli affetti, certo non
adulta, incline a stordirsi con trasporti che sconfinavano nell’impazienza erotica degli
adolescenti, fu la moglie che sapeva dominarlo con tolleranza. Gli tagliava la carne nel piatto
e gli perdonava gli «scherzetti» con altre che lui le confessava; sorrideva agli amici che
passavano per casa, e magari accettava (o sollecitava?) qualche libertà che costoro si
prendevano con lei.
Wolfgang era sempre più tormentato da debiti. Constanze spendeva a piene mani il poco
denaro che lui le passava: l’incubo della povertà veniva cancellato da improvvise e sempre
nuove sventatezze. Mai che sorgessero per questo screzi fra loro.
Lui l’amava teneramente: se lei si ammalava, e sappiamo di suoi continui e oscuri
malanni, le stava al capezzale con cura paterna, con delicatezza trepida. Tra i due fu, per i
nove anni di matrimonio, una vera intesa dei cuori: - ma erano cuori appena puberi, che
trovavano unico specchio nell’estasi dei corpi.
La partita ai tarocchi, il ballo, anche le mascherature, il piacere dei cibi: questo li
accomunava. Non doveva importare a Wolfgang se poi Constanze capisse poco di musica, e,
per quanto avesse studiato canto e gli strumenti a tastiera, sapesse poco assecondare la sua
fantasia creativa.
Lui è in viaggio? Lei accetta la corte di qualche altro? Le scrive: «Della tua condotta ti
prego di aver riguardo non solo al tuo e al mio onore, ma anche alle apparenze» (Dresda, 16
aprile 1789).
Le «apparenze» costituivano un’afflizione per Wolfgang Amadé: d’istinto ne conosceva
verità e menzogne. La sua esistenza viveva della loro magia: da esse si sentiva insidiato, ne
aveva finanche paura. Avrebbe desiderato che Constanze le esorcizzasse. Ma quella ragazza
fisiologicamente fatua avrebbe mai potuto, in questo, intenderlo? Doveva senza dubbio
sfuggirle il senso profondo, intimo della cosa. Alle orecchie di lei, il consiglio di Wolfgang
significava: ‘Fa’ le tue cose con discrezione’, e basta.
Per altro, nessuna nube con lui. Il 19 maggio 1789, poco più d’un mese dopo, le scriveva
ancora: «Come puoi pensare che io ti abbia dimenticato! Come potrei? Per questa
supposizione ti prenderai subito la prima notte una vigorosa sculacciata sul tuo culetto
amabile e tutto da baciare, ci puoi contare». E il 23 maggio: «Prepara per bene il tuo caro
bellissimo nido perché il mio giovanotto in effetti se lo merita; si è comportato benissimo e
altro non desidera se non di possedere la tua cosa più bella. Pensa che birbante, mentre
scrivo, se ne va di soppiatto sul tavolo e mi si fa vedere con aria interrogativa. Io però gli dò
svelto un energico colpetto. Però il ragazzo è solo (...) e il briccone pizzica ancora di più e
quasi non si fa tenere a freno. Spero bene che mi verrai incontro alla prima stazione di posta».
II tempo dell’infanzia non conosce leggi, limiti emotivi e confini. Diventare maturi
significa scontrarsi con leggi, con limiti e confini. La pubertà è dilaniata fra il sentimento di
quella eternità e il sentimento della limitatezza: una sospensione lacerante e dolcissima,
imbevuta di allegrezze imponderabili e di altrettanto imponderabili malinconie. La musica di
Mozart è forse l’unica musica che sappia parlarci di questa condizione cieca e dolente, di una
felicità rapita e interamente terrena, dove il sogno del paradiso e della suprema armonia è una
raggiante promessa.
Tra la musica di Mozart e il suo epistolario c’è uno spazio invalicabile. Al padre, l’8
novembre 1777, da Mannheim, Wolfgang scriveva: «Non so scrivere in modo poetico: non
sono un poeta. Non so distribuire le frasi con tanta arte da far loro gettare ombra e luce: non
sono un pittore. Non so neppure esprimere i miei sentimenti e i miei pensieri con i gesti e con
la pantomima: non sono un ballerino. Ma posso farlo con i suoni: sono un musicista».
Un musicista. Ma questo musicista usava le parole corteggiando con sorrisi i più invitanti
giochi rischiosi. I puberi, sull’alea del gioco, bruciano incensi alle più efferate trasgressioni.
Sempre da Mannheim, due giorni prima, ad Anna Thekla aveva scritto: «Carissima
cuginetta coniglietta, ora le debbo raccontare una storia triste, accaduta proprio in
quest’istante. Mentre sto scrivendo la lettera, sul più bello sento un rumore in strada. Smetto
di scrivere, mi alzo, vado alla finestra e... non sento più nulla. Mi siedo di nuovo, riprendo a
scrivere, non avrò scritto neppure dieci parole che di nuovo risento qualcosa. Mi rialzo e
appena sono in piedi il rumore diventa debolissimo, però sento odore di bruciato. Dovunque
vado, c’è questo puzzo. Se mi affaccio alla finestra l’odore non si sente più, se guardo dentro
la stanza l’odore si avverte di nuovo. Alla fine la mia mamma mi dice: ‘Scommettiamo che
ne hai tirato uno?’. ‘Non credo, mamma’. ‘Sì, sì’. È proprio così. Faccio la prova, mi metto il
primo dito nel culo e poi lo annuso e ... ecce provatum est; la mamma aveva ragione. Stia
bene, le mando diecimila baci e rimango come sempre il vecchio giovane codino di porco.
Wolfgang Amadé Rosadibosco».
La storia è realmente «triste». il ricorso alla coprolalia doveva andare di lenimento alla
vaga e perpetua tristezza in cui la pubertà affonda. Mozart era soltanto musicista: soltanto la
musica poteva liberarlo da quella angoscia leggera come seta, e resistente al pari della seta,
che avvolgeva la sua esistenza. Era un’angoscia inesplicabile: Wolfgang la viveva col sorriso,
o la osservava con quell’occhio attonito, sbalordito, che gli vediamo nel ritratto incompiuto,
dipinto dal cognato Joseph Lange, il marito di Aloisia, — un occhio un po’ gonfio, come
basedowico, con la pupilla tirata in basso, sgranata.
È una storia triste. In Alberto Savinio la lettura dell’epistolario mozartiano produceva
«una penosa, ‘estranea’ impressione».
Certo: - tra la musica di Mozart e tutta intera la vita di lui c’è una voragine che non si
colma, un divario. Nelle lettere questo divario è esplicito; tra esse, neppure quella più tessuta
di giocoso lessico familiare può venire scambiata per un musikalischer Spass. Mozart dice in
musica cose che la sua mente e il suo cuore ignorano, ma ad essi tutt’altro che estranee.
Il dolore, la morte. La morte, «amica sincera e carissima dell’uomo»: - «la sua immagine
non solo non ha per me nulla di terrificante, ma mi appare addirittura molto tranquillizzante e
consolante! E ringrazio il mio Dio di avermi concesso la fortuna di procurarmi l’occasione
(lei mi capisce) di riconoscere in essa la chiave della nostra vera felicità». Sono parole
dell’ultima lettera indirizzata a Leopold il 4 aprile 1787.
Nove anni prima, a Parigi, Wolfgang Amadé aveva reagito alla morte della madre con
una strana forza d’animo: una forza d’animo che sfiora l’indifferenza. Nel raccontare al padre
il decorso della malattia materna si era abbandonato persino a un piacere parodistico di
scrittura (la parodia delle anamnesi mediche che nulla concludono: infatti, fra tanti dettagli
non riusciamo a capire di che male la povera Anna Maria Pertl sia morta).
Ora, in queste quiete parole d’accettazione - «amica sincera e carissima dell’uomo» - e
non sono parole recitate, poiché i rapporti con Leopold, allentatisi, non hanno più bisogno di
andar sotto cifre cerimoniose, - in queste parole spira un vento di metafisica e stoica saggezza
che sembra annunciare un nuovo clima della sensibilità. Lo sguardo che Mozart ha nel ritratto
di Lange tradisce anche una folgorante consapevolezza, una folgorante singolarità d’uomo.
Mozart, uomo comune: indubbiamente. Ma in quel suo esser comune come non scoprire
il segno del genio sibillino e unico?
Le lettere a Constanze, scritte nell’estate 1791, alla soglia della morte, sempre
consuetamente allegre e consuetamente nervose, parlano di presagi. Presagi che sono lievi
strizzate d’occhio, mentre in aria volano «tanti bacetti: eccone uno che trotterella dietro gli
altri...» (25 giugno 1791). Mozart chiede alla moglie, che passa le acque a Baden di Vienna,
di poter finalmente «riposare» fra le sue braccia, — «ne avrò bisogno», - poiché «le
preoccupazioni interiori» e gli affanni conseguenti «alla fine stancano pure un poco».
Poi il presagio si fa certezza. È tramandato nelle mani dei posteri un biglietto del 7
settembre 1791, forse indirizzato a Da Ponte (e forse scritto, più che da Wolfgang, dalla
leggenda che la sua immagine alimentò da morto): «Lo sento a quel che provo che l’ora
suona; sono in procinto di spirare; ho finito prima di aver goduto del mio talento. La vita era
pur sì bella, la carriera s’apriva sotto auspici tanto fortunati, ma non si può cangiare il proprio
destino. Nessuno misura i propri giorni, bisogna rassegnarsi...».
C’è in queste parole, come in quelle scritte a Leopold quattro anni prima, un
appagamento e una remissione alla sorte che paiono non mozartiani. La conversazione
epistolare di Wolfgang Amadé era sempre stata discontinua, volubile: la vita vi si esprimeva
immediata, irriflessa.
Invece: pare che all’improvviso vi trapelino indizi di solitarie meditazioni. Ma è
un’impressione fugace. Le ultime lettere cancellano queste tracce. Nervose, ho detto, e
accidentate come sempre, quelle paginette danno spazio a cattivi umori, a sarcasmi, a
invettive corrette da un filo di amaro sorriso: questa la loro novità. Il consueto, festoso
teatrino vi appare incrinato nel suo equilibrio.
Quegli estremi mesi di vita, trascorsi fra l’An der Wien, dove si rappresentava con
successo Der Zauberflóte, e lo studiolo di casa, ma anche frequentando luoghi proibiti in
compagnia di Schikaneder (la gola, la sensualità univano i due, musico e librettista),
dovettero essere per Mozart penosi, tragici.
Constanze è lontana. Wolfgang, eccitato, frenetico, le sigla, scrivendole, alcune
indicazioni di comportamento che non decifriamo a sufficienza («Da’ a... a nome mio un paio
di schiaffi vigorosi e prego Sophie, che bacio mille volte, di dargliene anche lei un paio. Non
fategliene mancare, per l’a-mor di Dio! Non vorrei per nulla al mondo che oggi o domani mi
rimproverasse perché non l’avete servito e trattato come si conveniva. Di botte dategliene
sempre di più, piuttosto che troppo poche. Sarebbe bene che gli pizzicaste il naso, gli
strappaste un occhio e gli procuraste qualche ferita visibile in modo che il furfante non possa
negare un giorno quel che ha ricevuto da voi...»: 7-8 ottobre 1791).
I biografi chiedono: era cosciente il grande Mozart di essere ammalato, di soffrire di un
indecifrato male che l’avrebbe condotto in modo assurdo e repentino alla tomba?
II dolore, la morte, comunque, stavolta sono suoi, sono nella sua pelle. Immaginiamolo,
quel pubere perenne, dal genio incantevole, davanti alla chiamata, fredda come ghiaccio,
dell’«amica sincera e carissima dell’uomo». I suoi occhi, gli occhi ridenti e sbalorditi dei suoi
ritratti, dovettero andare anelando intorno.
«Febbre miliare acuta», diagnosticarono i medici: - sono parole per noi quasi prive di
senso. Parlano di una febbre esantematica, una affezione cutanea del tutto comune. Poteva
essere, quell’eruzione sull’epidermide una varicella, il sintomo di una malattia più grave?
Non lo sappiamo. È certo che Mozart negli ultimi giorni di vita fu curato, secondo la
medicina del tempo, col salasso. Gli estrassero quasi tre litri di sangue. Era facile, allora,
morire di salasso.
È probabile che Wolfgang Amadé sia morto così.
Ma egli era già spossato prima dell’incontro con l’«amica carissima». Non il languore lo
sfigurava, ma un enigma del quale non troviamo lo scioglimento.
Ci raccontano che volle allontanato il canarino da sé: esacerbava con i trilli il suo udito
moribondo.
Alla sua morte, la vedova indirizzò una supplica all’imperatore: chiedeva aiuto per i
figlioli e per sé.
L’enigma di Mozart: il suo genio giocò al ribasso nel rapporto con i parenti, la moglie,
gli amici, e con tutti coloro che sfiorò. Wolfgang Amadé era realmente, nel pensiero, nel
cuore, quell’uomo comune, quell’adolescente svaporato che le sue lettere raccontano?
La domanda non ha risposta, per quanti particolari, anche preziosi, egli ci abbia detto di
sé. La sua esistenza temporale ha preso a schermo il pentagramma della carta per musica, e
dietro di esso si è dileguata.
Enzo Siciliano
Nota introduttiva
di Elisa Ranucci
Nota al testo
Nel curare la presente edizione delle lettere di Mozart abbiamo ritenuto opportuno
attenerci ad alcuni criteri che garantissero un certo rispetto filologico del testo originale.
All’epoca di Mozart l’ortografia tedesca non aveva ancora norme rigidamente definite, e cosi
anche una persona di cultura si trovava spesso ad oscillare tra diverse grafie. In una
traduzione questo problema si pone essenzialmente per i nomi propri, di cui il testo offre
spesso diverse varianti, e per le parole che nell’originale sono in una lingua diversa dal
tedesco. Nel primo caso abbiamo preferito uniformare, adottando la grafia ritenuta più
probabile dai commentatori dell’edizione critica, in modo da semplificare la consultazione
dell’indice dei nomi. Nel secondo caso ci siamo invece attenuti fedelmente all’originale,
mantenendone sia la punteggiatura - salvo per le parentesi, indicate nell’originale con un
segno grafico non immediatamente comprensibile per il lettore moderno - sia le eventuali
anomalie rispetto alla norma linguistica attuale. Il corsivo sta ad indicare che il testo originale
è in italiano, fatta eccezione per quei termini musicali come l’indicazione di tempo e di
movimento in cui l’uso dell’italiano non si può ovviamente considerare una scelta soggettiva
di Mozart.
In alcune lettere manca la data: in questo caso la data indicata tra parentesi quadra è
quella proposta dall’edizione critica.
Lettere
ALLA SORELLA
Napoli, il 19 maggio 1770
Cara sorella mia,
alla vostra lettera non saprei veramente rispondere, perchè non avete scritta niente quasi.
I Menuetti del sig. Haiden1 vi manderò quando avrò piu tempo, il primo già vi Mandai. Ma
questa proprio non la capisco. Mi hai scritto che sono minuetti rubati; che vuol dire, li hai
rubati o cosa? Vi prego di scrivermi presto, e tutti i giorni della posta. Io vi ringrazio, di
avermi mandato questi Rechenhistorien,2 e vi prego, se mai volete aver mal di testa, di
mandarmi ancor un poco di questi Kiinsten. Perdonate mi che scrivo si malamente, ma la
ragione è perchè anche io hehbi un poco mal di testa. Il dodicesimo minuetto di Haydn che
mi hai mandato mi piace moltissimo, il basso continuo poi l’hai composto in modo
impareggiabile, senza il minimo errore. Ti prego, cerca di fare più spesso queste cose. Di’ alla
mamma di non dimenticarsi di far pulire gli schioppi, tutti e due. Scrivimi come sta il signor
canarino. Canta sempre? Fischia sempre? Sai perché penso al canarino? Perché nella nostra
anticamera ce n’è uno che fa un gran baccano, proprio come il nostro. A propos, il sig.
Johannes3 avrà certo ricevuto la nostra lettera di auguri, quella che volevamo scrivergli. Ma
se per caso non l’avesse ricevuta, gli dirò a voce a Salisburgo quello che avrebbe dovuto
esserci scritto. Ieri abbiamo indossato per la prima volta i nostri abiti nuovi; eravamo belli
come angeli. Ho paura però che di bello a casa non riporteremo nient’altro.
Addio, saluti alla Nandl4 e che preghi tanto per me
Wolfgang Mozart
Il 30 cominceranno le rappresentazioni dell’opera che ha composto Jommelli.5 Il re e la
regina6 li abbiamo visti durante la messa a Porteci nella cappella di corte. Abbiamo visto
anche il Vesuvio: Napoli è bella, ma c’è tanto volgo, come a Vienna e a Parigi. E quanto a
insolenza del volgo, non so se Napoli superi addirittura Londra, visto che qui il volgo, i
laceroni,7 hanno il loro capo, che riceve ogni mese dal re 25 ducati d’argento solo per
mantenere un certo ordine fra questi laceroni. Nell’opera canterà la De Amicis. Siamo stati da
lei e ci ha riconosciuto subito. La seconda opera la comporrà Cafaro,8 la terza Ciccio de
Majo,9 la quarta ancora non si sa. Va’ sempre al Mirabell10 per le litanie, ascolta il Regina
coeli o il Salve regina, dormi bene e non fare brutti sogni. I miei più orrendi ossequi al sig.
von Schiedenhofen, traballerò trallallà, e digli di imparare a suonare al pianoforte il minuetto
repetiter, perché non si scordi tutto, visto che per farmi piacere dovrà farmelo sentire, in
modo che io possa accompagnarlo.11 Tutti i miei ossequi ad ogni buon amico e amica. Sto
sano e non muoio perché tu possa scrivermi ancora un’altra lettera, e io possa scrivertene
un’altra ancora, e noi si continui ancora a scriverne, e a farne, finché non ne avremo fatta un
bel po’; ma no, io sono uno che vuole farla finché ce n’è, e per il momento la faccio
rimanendo il tuo
Wolfgang Mozart
*
1 Durante i balli di carnevale a Salisburgo Nannerl aveva sentito una serie di dodici
minuetti di Michael Haydn, se li era procurati all’insaputa di quest’ultimo, aveva trascritto la
parte del primo violino e l’aveva mandata al fratello, a Bologna, con la preghiera di trasporla
per pianoforte. Per il dodicesimo minuetto Nannerl aveva composto il basso continuo. La
trascrizione per pianoforte dell’intera serie, ultimata da Mozart tra maggio e luglio e quindi
inviata alla sorella a Salisburgo, è andata perduta.
2 Die Kiinste von der Rechenkunst (Le arti dell’aritmetica) è il titolo di un libro da cui
Mozart si era fatto copiare e inviare dalla sorella alcuni esempi, per suo diletto. A proposito
della passione per i numeri di Mozart bambino Johannes Andreas Schachtner, trombettista
alla corte di Salisburgo dal 1754 e amico di casa Mozart, ricorda che quando Wolfgang
imparò a contare, «tavolo, sedia, pareti e persino il pavimento erano ricoperti di numeri scritti
con il gesso» (cfr. W. A. Mozart, Briefe und Aufzeicbnungen, cit., voi. V, p. 180).
3 Johann Baptist Hagenauer, dal 1766 al 1774 scultore di corte a Salisburgo, amico di
casa Mozart. Il 15 maggio era stato il suo onomastico.
4 Domestica della famiglia Mozart.
5 Niccolò Jommelli. L’opera di cui si parla è Armida abbandonata. Cfr. lettera seguente,
nota 2.
6 Ferdinando IV di Borbone, re delle Due Sicilie e Maria Carolina, figlia
dell’imperatrice Maria Teresa, che Mozart aveva già conosciuto da bambino a Vienna nel
1762.
7 Lazzari o lazzaroni. Voce d’origine spagnola che servi a indicare il plebeo napoletano
del quartiere Mercato, protagonista della sollevazione del 1647, capitanata da Masaniello. Di
lazzari si sentì parlare anche in occasione di altre sollevazioni popolari, e su di loro fiorirono
leggende,
come quella che avessero un’organizzazione e un capo eletto ogni anno per
acclamazione, in grado di trattare da pari a pari con il re e con il viceré.
8 Pasquale Cafaro, dal 1759 al 1785 maestro al Conservatorio della Pietà dei Turchini di
Napoli. Dal 1771 maestro della cappella reale alla corte napoletana. L’opera di cui si parla è
Antigono, su testo di Metastasio.
9 Gian Francesco De Majo, detto Ciccio, dal 1750 organista della cappella reale a
Napoli, autore di musica sacra e di numerosi melodrammi. L’opera di cui si parla è Eumene,
su testo di Apostolo Zeno. Il compositore morì prima di portarla a termine.
10 Residenza estiva dell’arcivescovo di Salisburgo e meta frequente di passeggiate. Vi
era naturalmente una cappella, alla quale Mozart qui si riferisce.
11 Da questo punto sino alla fine della lettera ricorre con frequenza un gioco di parole
basato sul doppio significato del termine tun («fare» e «cacare *), intraducibile in italiano.
ALLA SORELLA
[Napoli, 5 giugno 1770]
Cara sorella mia,
oggi il Vesuvio fuma parecchio, accidenti a tutto spiano. Abbiamo mangiato dal sig.
Doli, che è un Compositeur tedesco e una brava persona. Ora comincio a descriverti la mia
vita. Alle 9 ore, qualche volta anche alle Dieci mi sveglio, e poi andiamo fuor di casa, e poi
pransiamo d'un tratore e dopo pranzo scriviamo et di poi sortiamo e indi ceniamo, ma che
cosa? Al giorno di grasso, un mezzo pullo, overo un piccolo boccone d’un arosto, al giorno di
magro, un piccolo pesce, e di poi andiamo à dormire. Est ce que vous avez compris? Ma
parliamo piuttosto salisburghese, che è meglio. Grazie a Dio siamo in buona salute, papà ed
io, e spero che anche tu e la mamma stiate bene. Se viene un altra volta la sig. Aloisia de
Schiedenhofen fatte da parte mia il mio complimento. Napoli e Roma sono due letti per
dormire. Che bella scrittura, non è vero? Scrivimi, non essere così pigra, altrimenti averete
qualche bastonate di me, quel plaisir! Je te cafierei la tète. Non vedo l’ora di avere i ritratti1 e
sono curioso di vedere se il tuo è somigliante; se mi piacciono, me lo farò fare anch’io,
insieme a papà. Ragazzina, racconta un po’ dove sei stata, eh! Noi ieri siamo stati con il sig.
Menricoffre, che manda i suoi saluti a te e alla mamma. L’opera che si rappresenta qui l’ha
scritta Jommelli,2 è bella, ma troppo seria e all’antica per il teatro; la De Amicis canta in
modo impareggiabile, e anche Aprile, che ha cantato a Milano.3 I balli sono miserabilmente
pomposi. Il teatro è bello. Il re ha avuto un’educazione rozza, alla napoletana, e all’opera sta
in piedi tutto il tempo su uno sgabello per sembrare un po’ più alto della regina. La regina4 è
bella e cortese: sul molo (è una passeggiata) mi avrà salutato di sicuro sei volte nel più gentile
dei modi. I signori ogni sera ci mettono a disposizione le loro carrozze per andare con loro sul
molo. Domenica siamo stati invitati al ballo che ha dato l’ambasciatore francese. Non posso
scrivere altro, i miei complimenti ad ogni buon amico e amica. State bene.
P.S. il mio sparamano5 alla mamma, baciamano
Wolfgang Mozart 5 giugno 1770
*
1 I ritratti a pastello della madre e della sorella.
2 Si tratta dell’Armida abbandonata, scritta da Jommelli al ritorno da un lungo
soggiorno in Germania. L’opera non fu ben accolta e Mozart sembra qui condividere il
giudizio generale. La sua prima impressione alle prove era stata peraltro diversa: «È un’opera
ben scritta e che mi piace veramente» (lettera alla sorella, in data 29 maggio).
3 Forse nella Didone abbandonata di Jommelli. Mozart l’aveva sentito anche
successivamente, in un concerto tenutosi il 26 marzo 1770 a Bologna nel palazzo del conte
Pallavicini.
4 Cfr. lettera precedente, nota 6.
5 Nel testo gioco di parole tra Handkufi (baciamano) e HandschufS (schufi=colpo,
sparo), di invenzione mozartiana.
ALLA SORELLA
[Milano, 3 novembre 1770]
Sorellina adorata del mio cuore,
ringrazio te e la mamma per gli auguri1 sinceri e ardo dalla voglia di rivedervi presto a
Salisburgo. Quanto ai tuoi auguri, debbo dirti che quasi quasi mi stava venendo il sospetto
che a scriverteli in italiano fosse stato il sig. Martinelli. Ma tu sei sempre la mia
intelligentissima sorella e hai fatto le cose con molto spirito, mettendo sotto ai tuoi auguri in
italiano i saluti del sig. Martinelli, scritti proprio con la medesima calligrafia, e in questo
modo non ho potuto accorgermi di nulla e ci sono cascato, dicendo poi subito a papà: «Ah,
potessi diventare anch’io cosi intelligente e così pieno di spirito!». E papà ha detto:
«Davvero». Ed io gli ho detto: «Ho sonno». E lui proprio ora mi sta dicendo: «Smettila».
Addio, prega il Signore che l’opera2 vada bene. Bacio le mani alla mamma, saluti a tutti i
conoscenti, sono come sempre
tuo fratello Wolfgang Mozart le cui dita a furia di scrivere sono stanchhe stanchhe
staanche stanche
*
1 II 31 ottobre ricorreva il suo onomastico.
2 Mitridate re di Ponto (K87), rappresentata a Milano il 26 dicembre 1770.
Milano, 24 agosto 1771
ALLA SORELLA
[Milano, 24 agosto 1771]
Carissima sorella!
Durante il viaggio abbiamo sofferto un gran caldo e la polvere ci ha perseguitato tutto il
tempo con molta impertinenza, al punto che saremmo certo morti per soffocamento o
sfinimento se non fossimo stati troppo intelligenti per farlo. Qui, dicono i milanesi, non è
piovuto per un mese intero; oggi ha cominciato a cadere qualche goccia, ma ora è tornato a
splendere il sole e fa di nuovo molto caldo. La tua promessa (sai bene quale... tu, carissima!),
ti prego, mantienila davvero, te ne sarò veramente obbligato. La principessa 1 ultimamente
aveva la diarrea o la... cacarella. Di nuovo non so altro. Scrivimi tu qualche novità. I miei
complimenti ad ogni buon amico e amica. Bacio le mani alla mamma. Sto proprio scoppiando
dal caldo. Ora mi levo il corpetto. Addio. Stammi bene..
Wolfgang
Sopra di noi c’è un violinista, sotto ce n’è un altro, accanto c’è un maestro di canto che
dà lezione, nella stanza di fronte un oboista. È una bellezza per comporre! Ti fa venire tante
idee.
ALLA SORELLA 1
[Milano, 5 dicembre 1772]
Mi mancano ancora quattordici pezzi2 e poi ho finito; certo però il terzetto e il Duetto
contano per quattro. Non posso scrivere molto perché non so niente e poi non so cosa scrivo,
perché ho sempre la mia opera per la testa e invece di parole rischio di scriverti un’intera
Aria. Saluti alla mamma, a te e al signor Adlgasser da parte dei signori Germani. Qui a
Milano ho imparato un nuovo gioco che si chiama Mercante in fiera, appena torno a casa ci
giochiamo.
Dalla signora von Taste ho imparato una nuova lingua segreta, facile da parlare, difficile
da scrivere, ma comunque utilizzabile: è piuttosto infantile, ma per Salisburgo andrà bene.
Addio, stammi bene. I miei complimenti ad ogni buon amico e amica. Saluti alla nostra bella
Nandl3 e al canarino, visto che loro due e tu siete gli esseri più innocenti di casa nostra.
Sembra che Fischietti comincerà tra poco a lavorare alla sua opera buffa (in buon tedesco:
alla sua buffonata). Addio. Bacio le mani alla mamma.
*
1 Aggiunta a una lettera del padre.
2 Sta lavorando all’opera Lucio Siila (K13J), che verrà rappresentata a Milano il 26
dicembre 1772.
3 Domestica della famiglia Mozart.
ALLA SORELLA
[Vienna, 14 agosto 1773]
se le condizioni del tempo lo consentiranno.1
Spero, o mia regina, che tu goda di ottima salute e che tuttavia di tanto in tanto, o
piuttosto di quando in quando, o meglio talvolta o ancor meglio qualche volta, come dicono
gli italiani, tu voglia sacrificarmi qualcuno dei tuoi importantissimi e urgentissimi pensieri,
che in ogni momento discendono dal più bello e dal più saldo degli intelletti, che tu possiedi a
fianco della tua bellezza, e benché nulla quasi di quanto sopra in sì teneri anni e da una donna
si pretenda, tu, o regina, in tal misura lo possiedi da confondere ogni uomo e finanche i
vecchi. Addio.
(eccoti qualcosa di serio)
Wolfgang Mozart
*
1 Aggiunta a una lettera del padre. L’inizio è un puro nonsense.
ALLA MADRE
Monaco, 14 gennaio 1775
Dio sia lodato! La mia opera 1 è andata in scena ieri, il 13, con un successo tale che mi è
impossibile descrivere alla mamma tutto il chiasso che hanno fatto. Il teatro era cosi pieno
che molta gente è dovuta tornare indietro. Ad ogni aria seguiva un baccano terribile, con
applausi e grida di viva Maestro. Anche Sua Altezza Serenissima la principessa elettrice2 e la
principessa vedova,3 che erano di fronte a me, mi hanno detto bravo. Quando l’opera è finita,
per tutta la durata della pausa fino all’inizio del balletto 4 non ci sono stati altro che battimani
e bravo; smettevano e poi subito ricominciavano e così via. Più tardi sono andato con il papà
in una certa sala dove sarebbero passati il principe elettore 5 e tutta la corte e ho baciato le
mani a Sua Altezza il principe e alla principessa e alle altre Altezze, che sono state tutte molto
gentili. Stamattina presto Sua Grazia il principe vescovo di Chiemsee ha mandato qualcuno a
felicitarsi con me per il successo tanto eccezionale che ha avuto l’opera con tutti. Quanto al
nostro ritorno, non potrà aver luogo tanto presto e la mamma non deve neppure augurarselo,
perché la mamma sa quanto fa bene starsene con l’affanno... Arriveremo sempre abbastanza
presto. C’è poi una ragione seria e importantissima, e cioè che la mia opera verrà data di
nuovo venerdì prossimo ed io sono indispensabile alla sua esecuzione, altrimenti non la si
riconoscerebbe più. Perché qua fanno delle cose molto curiose. Bacio mille volte le mani alla
mamma. Saluti ad ogni buon amico e amica. I miei complimenti al signor Antretter, che mi
scusi se non gli ho ancora risposto, ma non ne ho avuto assolutamente il tempo, lo farò
prossimamente. Adieu. Mille bacetti a Bimberl.6
*
1 La finta giardiniera (K196).
2 Maria Anna Sophie, figlia del principe elettore di Sassonia Federico Augusto III,
moglie del principe elettore di Baviera Massimiliano III Giuseppe.
3 Maria Antonia Walpurgis, sorella di Massimiliano III Giuseppe, vedova del principe
elettore di Sassonia Federico Cristiano, morto nel 1763-
4 L’opera era seguita dal balletto La Nymphe parjure protegee par
5 Massimiliano III Giuseppe.
6 La cagnetta fox-terrier della famiglia Mozart.
ALL’ARCIVESCOVO DI SALISBURGO 1
[Salisburgo, 1° agosto 1777]
Sua Grazia Serenissima Eminentissimo Principe del Sacro Romano Impero
Graziosissimo Sovrano e Signore!
Non posso importunare Vostra Grazia Serenissima dilungandomi nel descrivere la nostra
triste situazione: mio padre l’ha resa nota umilissimamente a Vostra Grazia Serenissima sul
suo onore e in coscienza, nel pieno rispetto della verità, nell’umilissima supplica da lui
presentata il 14 marzo di quest’anno. Poiché però da Vostra Grazia Serenissima non è venuta
la benevola decisione favorevole da noi sperata, mio padre già a giugno avrebbe
umilissimamente pregato Vostra Grazia Serenissima di concederci graziosamente di compiere
un viaggio di alcuni mesi per risollevare un poco la nostra situazione, se Vostra Grazia non
avesse ordinato a tutta l’orchestra di tenersi pronta per l’imminente passaggio di Sua Maestà
l’Imperatore.2 Mio padre in seguito ha chiesto umilissimamente questo permesso, ma Vostra
Grazia Serenissima glielo ha ricusato e si è degnata di esprimere l’opinione che
eventualmente avrei potuto viaggiare io da solo, che comunque non sono a servizio intero. La
nostra situazione è grave e mio padre si è perciò deciso a lasciarmi partire da solo. Anche a
questo tuttavia Vostra Grazia Serenissima si è compiaciuta di fare alcune obiezioni.
Graziosissimo Sovrano e Signore! I genitori si sforzano di mettere i propri figli in grado di
guadagnarsi il pane; lo devono fare nel loro interesse e in quello dello Stato. Quanto più
talento i figli hanno ricevuto da Dio, tanto più sono tenuti a fame uso, per migliorare il
proprio stato e quello dei propri genitori, per assistere i genitori e per provvedere al proprio
sostentamento e al proprio futuro. Questa messa a frutto dei propri talenti ce l’insegna il
Vangelo. Io perciò, in coscienza, devo testimoniare davanti a Dio per quanto è possibile la
mia gratitudine a mio padre, che ha dedicato instancabilmente il suo tempo alla mia
educazione, alleggerendo il suo fardello e provvedendo ora a me e più tardi anche a mia
sorella, che mi dispiacerebbe avesse passato tante ore al pianoforte senza poterne poi trarre
un qualche vantaggio.
Vostra Grazia Serenissima si compiaccia dunque di permettermi di chiedere umilmente il
mio congedo, poiché sono costretto a profittare ancora del prossimo mese autunnale, per non
essere interrotto dai mesi freddi della brutta stagione, che presto seguiranno. Vostra Grazia
Serenissima non accoglierà con sfavore questa umilissima supplica, poiché Vostra Grazia già
tre anni fa, quando chiesi l’autorizzazione per andare a Vienna, si compiacque di dirmi che
qui non avevo niente da sperare e che avrei fatto meglio a cercare fortuna altrove. Ringrazio
Vostra Grazia Serenissima con la massima umiltà per tutti gli altissimi favori ricevuti, e nella
lusinghevolissima speranza di poter servire con più successo Vostra Grazia Serenissima
nell’età matura mi raccomando alla durevole, altissima benevolenza e grazia
di Vostra Grazia Serenissima il mio graziosissimo Sovrano e Signore umilissimo e
devotissimo Wolfgang Amade Mozart
*
1 La lettera in realtà è stata scritta da Leopold.
2 Nella primavera del 1777 l’imperatore Giuseppe II d’Absburgo si recò in incognito
(come conte di Falkenstein) a Parigi, per rafforzare l’alleanza dell’Austria con la Francia.
Sulla via del ritorno, il 31 luglio 1777, fece una breve sosta a Salisburgo, dove si incontrò con
l’arcivescovo Colloredo.
AL PADRE 1
[Monaco, 29 settembre 1777]
È vero, tanti buoni amici, ma purtroppo la maggior parte di essi può fare ben poco. Ieri
alle dieci e mezza sono stato dal conte Seeau, che mi è parso molto più serio e meno naturale
della prima volta. Ma era solo apparenza. Oggi infatti sono stato dal principe Zeill, che in
tutta cortesia mi ha detto quanto segue:«Penso che qui non concluderemo molto. A
Nymphenburg, durante il pranzo, ho parlato a tu per tu con il principe elettore,2 che mi ha
detto: “Ora è ancora troppo presto. Deve partire, andare in Italia, diventare celebre. Non gli
nego nulla, ma adesso è ancora troppo presto”». La maggior parte di questi gran signori ha
una così terribile mania dell’Italia! Comunque mi ha consigliato di andare dal principe
elettore e di esporgli la faccenda come avrei fatto normalmente. Oggi a pranzo ho parlato da
solo a solo con il signor Woczitka e costui mi ha detto di presentarmi domani alle nove; mi
farà sicuramente avere un’udienza. Ora siamo buoni amici. Voleva assolutamente sapere il
nome della persona,5 ma io gli ho detto: «Stia sicuro che sono e resterò Suo amico; da parte
mia sono pienamente convinto della Sua amicizia, e questo Le basti». E torniamo ora alla mia
storia. Il vescovo di Chiemsee ha parlato anch’egli da solo a solo con la principessa,4 lei ha
alzato le spalle e ha detto che farà il possibile, ma che ha parecchi dubbi. E adesso veniamo al
conte Seeau. Il conte Seeau, dopo che il principe Zeill gli aveva raccontato tutto, ha
domandato: «Non sa se Mozart abbia di suo mezzi sufficienti per poter restare, con un
piccolo aiuto? Mi piacerebbe tenerlo qui». Il vescovo gli ha risposto: «Non so, ma ne dubito
molto, comunque può parlargliene». Questo dunque era il motivo per cui il giorno dopo era
cosi pensieroso. Io rimango qui volentieri e insieme a molti dei miei buoni amici sono del
parere che restando qui un anno o due con il mio lavoro potrei acquistarmi meriti e
benemerenze; e allora non sarei io a cercare la corte, ma la corte a cercare me. Il signor Albert
da quando sono arrivato ha in mente un progetto la cui attuazione non mi sembra impossibile.
Vorrebbe cioè riunire una decina di buoni amici, ognuno dei quali dovrebbe offrire un ducato
al mese, il che fa 10 ducati - 50 fiorini - al mese, 600 fiorini l’anno; se poi dal conte Seeau
avessi anche solo 200 fiorini l’anno, sarebbero 800 fiorini: che gliene pare al papà? non è una
proposta da amico? non sarebbe da accettare, se divenisse una cosa seria? Io ne sono
pienamente soddisfatto; sarei vicino a Salisburgo e se a Lei, carissimo papà, venisse voglia di
lasciare Salisburgo e di venire a vivere a Monaco, il che mi augurerei di tutto cuore, sarebbe
una cosa bellissima e facilissima. Perché se a Salisburgo eravamo costretti a vivere con 504
fiorini, potremmo ben vivere a Monaco con 600 o 800 fiorini.
Ho da trasmetterLe mille complimenti da parte della contessa Larosée. È davvero una
signora gentile e un’ottima amica nostra. Il signor von Dufraisne mi ha detto ultimamente che
spesso loro due hanno litigato con la presidentessa 5 per causa nostra. Papà è in tutto e per
tutto nelle buone grazie della contessa Larosée. Dice che raramente le è accaduto di
conoscere un uomo dotato di tanto giudizio, e che glielo si legge in viso! Vado da lei tutti i
giorni. Suo fratello non è qui.
Oggi 30, alle nove, sono andato a corte con il signor Woczitka, com’era convenuto. Tutti
erano in tenuta da caccia. Il barone Kern era di servizio come ciambellano. Ci sarei andato
già ieri sera, ma non potevo offendere il signor Woczitka, che si era offerto di farmi parlare
con il principe elettore. Alle dieci mi ha condotto in una saletta in cui sarebbe dovuto passare
Sua Altezza Serenissima il principe elettore per sentire la messa prima della caccia. È passato
il conte Seeau e mi ha salutato molto gentilmente: «I miei rispetti, carissimo Mozart».
Quando il principe è arrivato vicino a me, ho detto:
«Mi conceda, Vostra Altezza Serenissima, di prostrarmi umilmente ai Suoi piedi e di
offrirLe i miei servigi». «Cosi, avete lasciato definitivamente Salisburgo?». «Sì,
definitivamente, Altezza Serenissima». «Ma perché mai, avete litigato?».6 «Per carità,
Altezza Serenissima, ho solo chiesto di fare un viaggio, mi è stato negato e così mi sono visto
costretto a compiere questo passo, anche se già da tempo avevo intenzione di andarmene.
Salisburgo non è posto per me, ne sono certo». «Dio mio, che giovane! Ma vostro padre è
ancora a Salisburgo?». «Sì, Altezza Serenissima. Si prostra umilmente, ecc. Sono già stato tre
volte in Italia,7 ho scritto tre opere,8 sono membro dell’Accademia di Bologna,9 ho dovuto
sostenere una prova per cui molti maestri hanno lavorato e sudato quattro o cinque ore ed io
l’ho terminata in un’ora: questo può dimostrare che sono in grado di prestare servizio in
qualunque corte. Ma il mio unico desiderio è di servire Vostra Altezza Serenissima, che è Ella
stessa un grande». «Sì, mio caro figliolo, ma non ci sono posti vacanti. Mi dispiace. Se solo ci
fosse un posto vacante». «Vi assicuro, Vostra Altezza Serenissima, che farei certamente onore
a Monaco». «Sì, ma tutto ciò non serve a nulla. Non ci sono posti vacanti». Queste parole le
ha dette mentre se ne andava ed io mi sono raccomandato a Sua Grazia. Il signor Woczitka mi
ha consigliato di farmi vedere più spesso dal principe.
Oggi pomeriggio sono stato dal conte Salem. La contessa sua figlia ora è cameriera
particolare. Si è unita anche lei alla partita di caccia. Io e Ravanni eravamo per strada quando
è passato tutto il corteo. Il principe e la principessa mi hanno salutato molto benevolmente.
La contessa Salem mi ha riconosciuto subito. Mi ha fatto molti saluti con la mano. Il barone
Rumling, che avevo visto prima nell 'Ante Camera, non è mai stato tanto cortese con me
come questa volta. Come sia andata poi con i Salem lo scriverò prossimamente. Molto bene,
con molta cortesia e franchezza. La prego ora di stare molto attento alla salute. Le bacio mille
volte le mani e rimango
il suo devotissimo figlio Wolfgang Amadé Mozart
P.S. Ma trés chere soeur, prossimamente scriverò una lettera tutta per te.
I miei complimenti ad A.B.C.M.R. e ad altre lettere analoghe. Addio.
Un tale qui ha costruito una casa e ci ha scritto sopra:
Costruire è dilettoso,
ma non sapevo ch’era così costoso.
Di notte uno gli ha scritto sotto:
che un tal diletto è caro
ben dovevi saperlo, o gran somaro.
*
1 Aggiunta alla lettera della madre che terminava con le parole «abbiamo qui tanti buoni
amici che sarebbero contenti se noi restassimo».
2 II principe elettore di Baviera Massimiliano III Giuseppe.
3 Verosimilmente il vescovo di Chiemsee.
4 Maria Anna Sophie, figlia del principe elettore di Sassonia Federico Augusto III,
moglie del principe elettore di Baviera Massimiliano III Giuseppe. '
5 Identificazione incerta.
6 In dialetto bavarese.
7 Dal dicembre 1769 al marzo 1771, dall’agosto al dicembre 1771, dall’ottobre 1772 al
marzo 1773.
8 Mitridate re di Ponto, Ascanio in Alba (Km; propriamente una serenata teatrale e non
un’opera) e Lucio Silla.
9 L’Accademia filarmonica di Bologna, in cui era stato accolto dopo aver superato una
severa prova di ammissione, il 9 ottobre 1770.
AL PADRE1
[Monaco, 3 ottobre 1777]
se io caco merda o se lei se la mangia; ora però qualcosa di più serio.
Scrivo in data 3 ottobre. Domani la corte parte e non ritornerà prima del 20. Se fosse
rimasta avrei fatto i miei passi, mi sarei trattenuto ancora un po’, ma stando così le cose spero
di poter riprendere il viaggio con la mamma martedì prossimo. Nel frattempo tuttavia
dovrebbe essere organizzato quel gruppo di sostenitori di cui le ho scritto ultimamente, in
modo da avere un posto sicuro quando non avremo più voglia di viaggiare. Oggi il signor von
Grimmel è stato dal vescovo di Chiemsee. Ha molte faccende da sbrigare con lui, anch’egli
per il sale.2 È una strana persona. Qui si rivolgono a lui con il «Vostra Grazia» (quanto meno
i servitori). Non desidera altro se non che io resti qui e ha parlato di me al principe 3 con
molto zelo. Mi ha detto: «Lasci che vada io, parlerò con il principe, posso farlo benissimo, gli
ho già fatto molti favori». Il principe gli ha promesso di farmi entrare senz’altro al suo
servizio, ma la cosa non può avvenire subito. Quando tornerà la corte, parlerà al principe con
tutta la serietà e lo zelo necessari.
Stamane alle otto sono stato dal conte Seeau; me la sono sbrigata presto, dicendo
soltanto: «Sono qui solo per spiegarmi e per chiarire con Vostra Eccellenza la mia situazione.
Mi è stato obiettato che dovrei fare un viaggio in Italia. Sono stato in Italia sedici mesi, ho
scritto tre opere,4 facendomi in
tal modo conoscere abbastanza. Quel che è accaduto in seguito Vostra Eccellenza può
vederlo da queste carte». E gli ho mostrato i diplomi.5 «Dico e faccio notare a Vostra
Eccellenza tutte queste cose solo perché se si parlasse di me e mi si facesse torto, Vostra
Eccellenza possa prendere le mie parti con dei buoni argomenti». Mi ha chiesto se ero in
procinto di andare in Francia. Ho detto che sarei rimasto ancora in Germania. Lui però ha
capito a Monaco e, sorridendo tutto contento, ha detto: «Allora rimane ancora qui?». Ho
risposto: «No, ma sarei rimasto volentieri, e a dire il vero l’unico motivo per cui mi avrebbe
fatto piacere avere un posto dal Principe era perché in tal modo avrei potuto servire Vostra
Eccellenza con il mio lavoro di compositore, e del tutto disinteressatamente. Sarebbe stato
per me un vero piacere». A queste parole si è dato persino un colpetto alla berretta da notte.
Alle dieci ero a corte dalla contessa Salem. Ha già ricevuto le arie.6 I Robinig dicono la
prima cosa che gli viene in mente.7 Più tardi sono andato a pranzo in casa Branca. Il
consigliere segreto von Branca era invitato dall’ambasciatore francese, ragion per cui non era
in casa. Si fa chiamare Eccellenza. La moglie è francese. Ho parlato con grande spigliatezza.
Mi ha detto che non mi esprimo per niente male e che ho un pregio, quello di parlare
lentamente e di farmi così capire benissimo. È una donna molto dabbene, di ottime maniere.
La signorina suona bene, ma le manca ancora il senso del tempo. In un primo momento ho
pensato che fosse colpa sua o del suo udito, ma poi ho capito che la colpa non può essere
attribuita ad altri che al suo maestro. È troppo indulgente, si accontenta subito. Oggi ho
provato a suonare con lei. Scommetto che se studiasse due mesi con me suonerebbe
benissimo, e con accuratezza. Mi ha pregato di porgere i suoi complimenti a voi e a tutta la
famiglia Robinig. È stata in convento insieme alla signorina Luisa. Poi una certa signorina
Lindnerin, che ora fa da governante alle due contessine in casa del conte Salem, mi ha
pregato a sua volta di scrivere tutto l’immaginabile alla famiglia Robinig e alla signorina
Luisa von Schiedenhofen, con cui è stata in convento. Alle quattro sono andato dalla signora
von Hosson; la mamma era già là e anche la signora von Hepp. Ho suonato fino alle otto e
poi siamo tornati a casa. Alle nove e mezza è venuta un’orchestrina di cinque elementi, due
clarinetti, due corni e un fagotto. L’ha fatta venire in suo ed in mio onore il signor Albert, di
cui domani è l’onomastico. Non hanno suonato per niente male. Sono gli stessi che suonano
da Albert nella sala, ma si capisce benissimo che sono stati istruiti da Fiala. Hanno suonato
pezzi suoi e devo dire che sono molto graziosi. Ha delle ottime idee. Domani daremo insieme
un piccolo concerto, su quello scadentissimo pianoforte, Nota bene. Ohimè, ohimè, ohimè!
Le auguro una tranquillissima notte e guarisco 8 un pronto augurio nel sentire di sperare
presto che il ristabilito è completamente papà. Vi scuso di pregarmi per la mia orribile
scrittura, ma è colpa dell’inchiostro, della fretta, del sonno, del sogno, ecc. Le papà, mio
manissimo bacio, mille volte le carissime, sorello di tutta canaglia il mio caro abbraccio, il
cuore, ed ora e sempre nei secoli dei secoli amen rimango
Wolfgang il suo devotissimo Amadé Mozart figlio
Monaco, 3 ottobre 1777
Ad ogni buon amico e amica cattivo amico e amica buon amico e amica cattivo amico e
amica tutto l’immaginabile!
*
1 Aggiunta alla lettera della madre, interrotta alle parole «dite alla Thresel che è lo
stesso...».
2 Johann von Grimmel era fra l’altro rappresentante della compagnia di commercio del
sale.
3 II principe elettore di Baviera Massimiliano III Giuseppe.
4 Cfr. lettera precedente, nota 8.
5 I diplomi che l’Accademia di Bologna e l’Accademia di Verona gli avevano rilasciato.
6 Non identificabili.
7 In riferimento a un loro discorso riportato da Leopold nella sua ultima lettera.
8 Scherzo linguistico basato sullo scambio e sulla trasposizione di verbi e di sostantivi.
AL PADRE
[Monaco, 11 ottobre 1777]
Mon trés cher Pére!
Perché non le ho scritto finora nulla di Myslivecek? Perché ero contento di non dover
pensare a lui. Perché ogni volta che si parlava di lui dovevo sentire quanto mi loda e che
sincero e buon amico sia nei miei confronti! E nello stesso tempo il dispiacere e la
compassione; mi descrivevano il suo stato, ero fuori di me. Sapere che Myslivecek, un cosi
buon amico,1 si trova nella stessa città, nello stesso angolo di mondo in cui mi
trovo io, e non vederlo, non parlargli? È impossibile! Mi sono dunque deciso ad andare
da lui. Il giorno prima però sono andato dall’amministratore dell’ospedale ducale e gli ho
chiesto se non poteva fare in modo che io potessi parlare con Myslive-èek in giardino perché,
anche se tutti, compresi i medici, mi avevano detto che non c’era più rischio di contagio,2
non volevo andare in camera sua, perché è molto piccola e c’è un odore piuttosto forte. Mi ha
dato pienamente ragione e mi ha detto che di solito andava a passeggiare in giardino fra le
undici e le dodici; se però non l’avessi incontrato, non avevo che da farlo chiamare. Il giorno
seguente sono dunque andato all’ospedale ducale con il signor von Hamm, secretaire
dell’ordine, di cui parlerò dopo, e con la mamma. La mamma è entrata nella chiesa e noi nel
giardino. Lui non c’era. Allora l’abbiamo fatto chiamare. L’ho visto venire attraverso il
giardino e l’ho riconosciuto subito dal modo di camminare. Va detto a questo punto che mi
aveva già mandato a salutare dal signor Heller, il violoncellista, pregandomi di fargli visita
prima di partire. Quando mi si è avvicinato, ci siamo stretti la mano molto amichevolmente.
«Vede ora», mi ha detto, «quanto sono disgraziato!». Queste parole e il suo aspetto, che il
papà già conosce dalle descrizioni, mi hanno tanto commosso che, quasi piangendo, non ho
potuto dire altro se non: «Caro amico, la compatisco di tutto cuore». Lui si è accorto che ero
commosso e ha incominciato subito a parlare con grande vivacità: «Ma mi dica dunque cosa
fa. Mi hanno detto che lei era qui e io quasi non riuscivo a crederci. Com’è possibile che
Mozart sia qui e che non sia venuto a trovarmi già da tempo?». «La prego vivamente di
scusarmi. Ho avuto tante cose da fare, ho tanti buoni amici qui». «Sono sicuro che lei ha qui
degli ottimi amici, ma un amico come me non l’ha di certo». Mi ha chiesto se avevo avuto
notizia dal papà di una lettera 3... Ho detto di sì, che me l’aveva scritto (ero così confuso e
tremavo tanto in tutto il corpo che a mala pena riuscivo a parlare), ma senza i particolari.
Allora mi ha detto che il signor Gaetano Santoro, impresario di Napoli, per una faccenda di
impegni e di Protectione, è costretto a dare l’opera di questo Carnevale a un certo Maestro
Valentini, ma che per l’anno prossimo ne ha tre ancora libere e una è a mia disposizione.
«Dato che per Napoli ho già scritto sei opere,4 non mi
importa niente di prendere la più spiacevole e di lasciare a lei la migliore, cioè quella di
Carnevale. Dio solo sa se sarò in grado di viaggiare; se non lo sarò, rimanderò indietro la
scrittura. La compagnia per l’anno prossimo è buona. Tutta gente che ho raccomandato io.
Vede, a Napoli godo di tanto credito che se dico prendete quello, lo prendono». Il Primo
uomo è Marchesi, che lui loda molto, come l’intera Monaco. Poi c’è la Maccherini, una
buona Prima Donna, e un tenore di cui non ricordo il nome 5 e che, dice lui, in questo
momento è il migliore di tutta Italia. «La prego, vada in Italia, là uno viene stimato e tenuto
in grande considerazione». E ha davvero ragione; se ci penso bene, in nessun altro paese ho
ricevuto tanti onori, in nessun altro luogo ho goduto di tanta considerazione come in Italia; e
uno acquista credito, se ha scritto opere in Italia, e specialmente per Napoli. Mi ha detto che
mi avrebbe scritto la lettera per Santoro e che l’indomani dovevo andare da lui a ricopiarla. Io
però non ho potuto risolvermi a salire in camera sua e per scrivere avrei dovuto andarci,
perché in giardino non potevo farlo. Gli ho quindi promesso di andare, ma il giorno dopo gli
ho scritto una lettera in italiano, in cui dicevo con tutta naturalezza che mi era impossibile
andare da lui, che non avevo mangiato nulla ed ero riuscito a dormire solo tre ore; per tutto il
giorno mi ero trovato nello stato di uno che ha perso la ragione, l’avevo sempre davanti agli
occhi ecc., tutte cose vere quanto è vera la luce del sole. Mi ha risposto così: Lei é troppo
sensibile al mio male. Io la ringrazio del suo buon Cuore. Se parte per Praga gli farò una
lettra p il Conte Pachta. Non si pigli tanto à Cuore la mia disgrazia. Il Principio fù d’una
ribaltata di Calere, poi sono capitato nelle mani dei Dottori ignoranti, pazienza. Ci sarà quel
che Dio vorrà. Mi ha mandato la bozza della lettera per Santoro.
La brama ch’ebbi già da tanto tempo di servir V. S. III. e cotesto rispettabiliflimo
Publico di Napoli colle mie debollezze di produrmi in cotesto Real Teatro, é il mottivo ch'io
(non riguardando il lungo é dispendioso viaggio) condiscendo e mi Contento di scriver l’anno
venturo in cotesto Regio Teatro un opera per ioo gigl.6 pregandola però se pofiibil }o$e che
mi fofie Confesta l'ultima, cioè, quella del Carnevale, perché i miei interefii non mi
permetterano di poter accetar un opera
prima di quel tempo. Già tanto spero dalla sua grazia; ed avendo l’approvazione Reale
per me, prego di mandar la scrittura al Maestro Misliwececk, che così mi sara sicuramente
ricapitata. Frà tanto anzioso d’imparar à Conoscer Persona di tanto merito mi dò l’onore di
protestarmi per sempre ecc. Mi ha fatto anche vedere delle lettere che aveva con sé, in cui ho
letto più volte il mio nome. Mi è stato detto che Mysliveéek si è molto meravigliato quando
gli hanno parlato di Beecke o di altri pianisti del genere; e ripeteva sempre che non dovevano
farsi illusioni, nessuno suona come Mozart. In Italia, dove vivono i più grandi maestri, non si
parla che di Mozart. Quando si nomina lui, nessuno più apre bocca. Posso scrivere la lettera
per Napoli quando voglio, ma prima lo farò meglio sarà. Vorrei però sentire il parere del
giudiziosissimo maestro di cappella di corte signor von Mozart. Ho una voglia indicibile di
scrivere una nuova opera. Il cammino sarà lungo, è vero, però siamo ancora molto lontani dal
momento in cui dovrei scriverla, quest’opera; di qui ad allora possono cambiare molte cose.
Penso che si potrebbe accettare. Se nel frattempo non troverò nessun impiego, eh bien, avrò
almeno questa resource in Italia. Per carnevale avrei i miei ioo ducati assicurati; quando avrò
scritto un’opera per Napoli, sarò richiesto ovunque. E poi, come il papà ben sa, a primavera,
d’estate e in autunno c’è sempre la possibilità di scrivere da qualche parte un’Opera buffa,
tanto per tenersi in esercizio e non restare in ozio. È vero, non si guadagna molto, ma pur
sempre qualcosa; e in questo modo si acquista più onore e reputazione che con cento concerti
in Germania. Ed io sarei più contento, avendo così da comporre, che è la mia unica gioia e
passione. Se poi trovassi un impiego da qualche parte o se avessi speranza di ottenerne uno,
la Scrittura sarebbe per me un’ottima raccomandazione, farebbe un grande effetto e
accrescerebbe la mia reputazione. Ma parlo solamente, parlo così come mi detta il cuore. Se
papà con dei buoni argomenti mi convincerà che ho torto, ebbene, per quanto a malincuore,
mi arrenderò. Basta infatti che io senta parlare di un’opera, che sia a teatro, che senta
cantare... e già sono completamente fuori di me. Domani la mamma ed io andremo da
Mysliveèek in giardino, a prendere commiato. L’altro giorno, infatti, quando ha sentito che
dovevo andare a prendere la mamma in chiesa, ha detto: «Se non avessi un aspetto così
orrendo, mi farebbe molto piacere conoscere la madre che ha messo al mondo un così grande
virtuoso». La prego, carissimo papà, gli risponda. Gli scriva ogni volta che ne ha il tempo.
Non gli potrà fare piacere più grande, perché quest’uomo è completamente solo e
abbandonato; spesso per un’intera settimana non va a trovarlo nessuno. Mi ha detto: «Le
assicuro che mi fa un effetto molto strano che qui venga a trovarmi così poca gente; in Italia
avevo ogni giorno compagnia». Se non fosse per l’aspetto, sarebbe assolutamente immutato:
pieno di fuoco, di spirito e di vita. Un po’ dimagrito, naturalmente, ma per il resto l’uomo di
un tempo, buono e intelligente. Tutta la città parla del suo oratorio, Abramo e Isacco, che ha
fatto eseguire qui a Monaco. Ora ha quasi terminato una cantata o serenata7 per la quaresima:
mancano solo alcune arie. Quando la sua malattia era più acuta, ha composto un’opera a
Padova.8 Non c’è niente da fare, lo dicono anche qui che l’hanno rovinato i dottori e i
chirurghi di questa città. È un vero e proprio cancro delle ossa. Il chirurgo Caco, quel somaro,
gli ha bruciato tutto il naso. Si possono quindi immaginare le sue sofferenze. Il signor Heller
è tornato proprio adesso dall’avergli fatto visita. Ieri gli ho mandato, con la lettera, la mia
serenata di Salisburgo per l’arciduca Massimiliano 9 e lui gliel’ha consegnata insieme alla
lettera.
Ed ora passiamo ad altro.
L’indirizzo del signor von Hamm è il seguente: à Monsieur Monsieur de Hamm
secretaire de guerre de S.A.E. Serenifiime de Baviere. A Munic. Ieri subito dopo pranzo sono
stato con la mamma a prendere il caffè dalle due signorine von Freysin-ger. La mamma però
non ha bevuto il caffè, ma due bottiglie di vino del Tiralo. Alle tre è tornata a casa per fare
qualche preparativo per il viaggio. Io sono andato con le due signorine dal detto signor von
Hamm, dove le tre signorine 10 hanno suonato un concerto ciascuna ed io un concerto di
Eichner, a Prima vista, e poi nient’altro che improvvisazioni. Il maestro della signorina
Hamm de’ Sempliciotti è un ecclesiastico, un tale di nome Schreyer. È un buon organista, ma
non è cembalista. Mi ha scrutato tutto il tempo attraverso gli occhiali. È un uomo riservato, di
poche parole; ma mi ha battuto sulle spalle, ha sospirato e ha detto: «Eh sì, lei..., lei... mi
capisce,
sì, davvero, lei è un uomo tutto d’un pezzo». A propos. Papà si ricorda del nome
Freysinger? Il papà delle due belle signorine di cui sopra dice di conoscere benissimo papà, di
aver studiato con lui. Si ricorda ancora in particolare di Messen-brunn,11 dove papà - e
questo mi è riuscito del tutto nuovo - ha suonato l’organo in modo assolutamente
incomparabile. Ha detto: «Era spaventoso come muoveva le mani e i piedi, contorcendosi
tutto, ma era incomparabile. Sì, un uomo tutto d’un pezzo. Mio padre lo stimava molto; e in
che modo ha preso in giro i preti, a proposito della sua vocazione 12; lei è proprio identico a
com’era lui a quel tempo, assolutamente. Lui era solo un po’ più piccolo, quando l’ho
conosciuto io». A propos, un’altra cosa ancora. Un certo Ofele, consigliere di corte, manda a
papà i suoi umilissimi rispetti. È uno dei migliori consiglieri di qui. Avrebbe potuto diventare
da un pezzo cancelliere, se non fosse per un unico particolare, e cioè il fatto che trinca. La
prima volta che l’ho visto, da Albert, ho pensato: ecco uno straordinario imbecille. Si
immagini un uomo molto alto, robusto, piuttosto corpulento, con una faccia ridicola. Quando
attraversa la stanza per andare a un altro tavolo, si mette le mani sullo stomaco, le volge verso
di sé, si erge in tutta la sua statura, fa un cenno con il capo e alla fine tira rapidissimamente
indietro il piede destro; e fa così per ogni persona che vede. Dice di conoscere benissimo
papà. Ora andrò ancora un po’ alla commedia. Scriverò di più prossimamente, oggi non posso
scrivere altro, le dita mi fanno molto male.
Monaco, n ottobre: alle ore undici e tre quarti di notte scrivo quanto segue. Sono stato
alla commedia del Lipperl.13 Ci sono andato solo per vedere il balletto, o piuttosto la
pantomima, che non avevo mai visto. Era intitolato «L’uovo fatto dalla fée
Girigaricanarimanarischaribari». Era molto bello e divertente. Domani andiamo ad Augusta,
perché il principe Taxis 14 non è a Ratisbona, bensì a Dischingen. Attualmente, per la
precisione, è in una residenza estiva, che però non dista più di un’ora da Dischingen. Ad
Augusta farò tutto come mi ha scritto il papà. Penso che ora la cosa migliore sarebbe che
papà scrivesse ad Augusta indicando che la lettera va consegnata alla Locanda dell’agnello,
finché non scrivo che ripartiamo. È un’idea intelligente, no? Il signor von Bellvoll, che è
venuto a farci visita stasera da Albert, manda mille saluti al papà e a mia sorella. A
quest’ultima invio qui quattro preludi.15 In che tonalità vadano, lo vedrà e lo sentirà lei.
Spero abbiate ricevuto regolarmente il Duetto di Schuster.16 I miei saluti ad ogni buon amico
e amica, in particolare al giovane conte Arco,17 alla signorina Salteri e al mio carissimo
amico signor Bullinger. Prego costui di avere la bontà di fare a nome mio, domenica
prossima, al solito concerto 18 delle undici, un discorso pieno di autorità e di porgere i miei
saluti a tutti i membri dell’accademia, esortandoli allo zelo, affinché un giorno o l’altro io non
passi per bugiardo, poiché ho celebrato questa accademia ovunque, e continuerò ancora a
farlo. Bacio le mani al papà e rimango il suo devotissimo figlio
Wolfgang Mozart
*
1 Mozart l’aveva conosciuto a Bologna nel 1770 e l’aveva poi incontrato nuovamente a
Milano nel 1770 e nel 1773.
2 Era afflitto da una malattia venerea.
3 Si trattava della proposta, che non ebbe peraltro alcun seguito, di scrivere un’opera
per il teatro di Napoli per il carnevale 1778.
4 In realtà ne aveva scritte sette: Il Bellerofonte (1767), Fornace (1767), Romolo ed
Ersilia (1773), Artaserse (1774), Il Demofoonte (1775), Ezio (1775), Merope (1775). Nel
1778 scrisse La Calliroe.
5 Giovanni Ansani.
6 Somma pari a 100 ducati, cioè 450 fiorini, onorario consueto per la composizione di
un’opera.
7 Presumibilmente la cantata eseguita a Napoli il 13 agosto 1779 per festeggiare il
compleanno della regina.
8 L’opera Alide, composta nel 1774.
9 II re pastore (K208), rappresentato il 23 aprile 1775 a Salisburgo, in onore
dell’arciduca Massimiliano Francesco, figlio dell’imperatrice Maria Teresa, in visita alla
corte dell’arcivescovo Colloredo.
10 Le due signorine Freysinger e Maria Anna Josepha Aloisia von Hamm.
11 Wessobrunn, antico convento dei benedettini in Baviera.
12 Per poter continuare gli studi che lo appassionavano Leopold lasciò credere sia ai
gesuiti del ginnasio di Augusta, sia ai benedettini dell’università di Salisburgo che fosse sua
intenzione farsi prete.
13 Presumibilmente una farsa del teatro popolare imperniata sulla figura del Lipperl,
una specie di Arlecchino.
14 II principe di Ratisbona Carl Anselm von Thurn und Taxis, a cui Mozart intendeva
presentarsi.
15 K6 284a (perduti).
16 Verosimilmente si tratta dei Sei divertimenti da camera per cembalo e violino del
1777 circa, opera di Joseph Schuster.
17 Leopold Ferdinand, conte di Arco.
18 II concerto domestico che si dava ogni domenica in casa Mozart.
AL PADRE 1
[Augusta, 14 ottobre 1777]
Dunque non ci siamo sbagliati di data, perché abbiamo scritto prima di mezzogiorno;
ripartiremo, credo, venerdì prossimo, cioè dopodomani; ma ora stia a sentire quanto sono
buoni e generosi i signori di Augusta! In nessun altro luogo sono stato colmato di così
numerose testimonianze di stima. La mia prima visita l’ho fatta al signor governatore
Longota-barro2; mi ha accompagnato il mio signor cugino,3 bravissima e cara persona,
nonché onesto cittadino, ed ha avuto l’onore di aspettare sopra nell’ingresso come un lacchè,
finché io non sono uscito dalle stanze deU’arcigovernatore. Non ho mancato di porgere
subito i più deferenti saluti da parte del papà. Si è graziosamente ricordato di tutto e mi ha
domandato: «Girne siete stato in tutto questo tempo?». Io ho risposto subito: «Benissimo,
grazie a Dio, e spero che anche lei sia stato ottimamente». Allora è divenuto più gentile e mi
ha dato del lei ed io del Vostra Grazia, come avevo fatto subito fin dal principio. Non mi ha
dato pace e ho dovuto accompagnarlo dal figlio,4 al secondo piano; e nel frattempo il mio
signor cugino aveva l’onore di aspettare su uno sgabello nell’ingresso. Mi sono
dovuto trattenere con tutte le mie forze, altrimenti con la più grande cortesia gli avrei ben
detto qualcosa. Sopra ho avuto l’onore di suonare per circa tre quarti d’ora un buon
clavicordo di Stein in presenza del suo caudato signor figlio, della gentile giovane signora dai
lunghi garretti e della vecchia signora sempliciotta. Ho suonato fantasie e alla fine tutto
quello che aveva, a Prima vista. Tra l’altro pezzi molto graziosi di un certo Edelmann. Tutti
quanti erano estremamente cortesi, e anch’io sono stato molto cortese, visto che è mia
abitudine trattare gli altri così come loro trattano me. È in questo modo che si ottengono i
migliori risultati. Ho detto che dopo mangiato sarei andato da Stein. Il giovane signore si è
subito offerto di accompagnarmi. L’ho ringraziato per la sua bontà e ho promesso di tornare il
pomeriggio alle due. Così ho fatto e siamo usciti insieme in compagnia del suo signor
cognato, che sembra in tutto e per tutto uno studente. Benché io avessi pregato di non dire chi
fossi, il signor von Langenmantel è stato così poco accorto da dire al signor Stein con aria
compiaciuta: «Ho qui l’onore di presentarle un virtuoso del pianoforte». Ho subito protestato
e ho detto che ero solo un indegno scolaro del signor Siegl5 di Monaco e gli ho fatto mille
complimenti da parte sua. Lui ha fatto cenno di no con la testa, e alla fine: «Ho forse l’onore
d’avere di fronte a me il signor Mozart?». «Oh no», ho detto io, «mi chiamo Trazom e ho qui
anche una lettera per Lei». Lui ha preso la lettera e voleva aprirla subito. Io però non gliene
ho lasciato il tempo, dicendo: «Ma cosa vuole mettersi a leggere la lettera adesso, apra
piuttosto e ci faccia entrare nella sala, sono così curioso di vedere i suoi Piano forte». «Come
lei desidera. Ritengo però di non sbagliarmi». Ha aperto. Io sono corso subito a uno dei tre
pianoforti che erano nella stanza. Ho suonato e lui dal gran desiderio di sapere chi fossi non
riusciva ad aprire la lettera. Ha letto solo la firma. «Oh!» ha gridato, e mi ha abbracciato. S’è
fatto il segno della croce, producendosi in mille smorfie, e insomma era proprio
contentissimo. Dei suoi pianoforti parlerò più tardi. Subito dopo mi ha portato in un caffè.
Appena entrato lì ho pensato che sarei dovuto uscire subito, tanto era il puzzo e il fumo del
tabacco. Ho dovuto resistere, in nome di Dio, per un’ora. E ho sopportato tutto, benché mi
sembrasse di essere in Turchia. Lui si è poi messo a farmi grandi discorsi su un certo Graf,
Compositeur, ma solo di concerti per flauti. Mi ha detto che era qualcosa di veramente
speciale, ne ha fatto insomma l’elogio più sperticato. Dalla paura mi erano venuti i sudori
freddi in testa, alle mani e in tutto il corpo. Questo Graf è fratello degli altri due,6 quello che
sta all’Aja e quell’altro che sta a Zurigo. Non c’è stato verso, mi ha portato subito da lui. È un
uomo molto distinto. Aveva una vestaglia che io non mi vergognerei di portare per strada.
Parla in punta di forchetta e ha l’abitudine di aprire la bocca prima di sapere cosa vuol dire, e
a volte capita pure che la bocca si richiuda senza aver avuto niente da fare. Dopo molti
complimenti ha eseguito un concerto per due flauti. Io ho dovuto suonare il primo violino. Il
concerto non è per niente piacevole all’orecchio. Non è naturale. Affronta i toni con troppa
goffaggine e tutto senza il minimo tocco di magia. Alla fine l’ho elogiato moltissimo, anche
perché se lo merita. Chissà la fatica che avrà fatto, poveretto, quanto avrà studiato. Infine
dallo stanzino hanno tirato fuori un clavicordo - opera del signor Stein - ottimo, solo pieno di
sporcizia e di polvere. Il signor Graf, che qui è direttore, stava là con l’aria di chi ha sempre
creduto di essere straordinario nei propri viaggi attraverso i suoni ed ora scopre che si può
essere ancora più straordinari, senza per questo offendere l’orecchio. In una parola, tutti erano
davvero ammirati. Ora devo chiudere, altrimenti perdo la posta che parte già alle quattro.
Nella prossima lettera l’intera storia di Augusta. Le bacio mille volte le mani
Wolfgang Mozart
SULLA BUSTA
I duetti di Schuster7 li ho dati al signor von Kleinmayr. E ho aggiunto anche una lettera
in cui ho scritto per l’appunto che li prendeva il signor von Kleinmayr; saluti ad ogni buon
amico e amica, in particolare al signor Bullinger. La prego di mandarmi l’indirizzo del
vescovo di Chiemsee! Non se lo dimentichi!
*
1 Aggiunta alla lettera della madre.
2 Jakob Wilhelm Benedikt Langenmantel (letteralmente: lungo mantello).
3 In realtà suo zio, Franz Alois Mozart, fratello di Leopold.
4 Jakob Alois Karl Langenmantel.
5 Maestro di pianoforte a Monaco.
6 I compositori Christian Ernst Graf c Friedrich Leopold Graf.
7 Cfr. lettera precedente, nota 16.
AL PADRE
[Augusta, 16 ottobre 1777]
Mon trés cher Pére,
della signorina Hamm, figlia del segretario della guerra, non posso scrivere altro se non
che deve necessariamente avere predisposizione per la musica, giacché studia da soli tre anni
e tuttavia suona benissimo molti pezzi. Non so però spiegare chiaramente l’impressione che
mi fa quando suona; mi sembra stranamente forzata. Ha un modo così curioso di muovere le
sue lunghe dita ossute su e giù per la tastiera. Certo non ha ancora avuto mai un buon maestro
e restando a Monaco non diventerà mai in vita sua quel che suo padre vuole e desidera. Egli
vorrebbe infatti che lei giungesse a suonare il piano alla perfezione. Se venisse dal papà a
Salisburgo per lei sarebbe un doppio vantaggio, sia per la musica sia per il suo giudizio, visto
che quest’ultimo non è davvero grande. Mi ha già fatto ridere molto. Come premio per la sua
fatica avrà certo di che divertirsi a sufficienza. Mangiare molto non può, perché è troppo
sempliciotta per farlo. Avrei dovuto metterla alla prova? Non ho potuto, dal gran ridere. Se
infatti le facevo sentire qualcosa con la destra, diceva subito Braviamo, con una voce da topo!
E adesso voglio finire il più rapidamente possibile la mia storia di Augusta, che avevo già
cominciato a raccontarle. Dal signor direttore Graf c’era anche il signor von Fingerlin, a cui
ho trasmesso i saluti del papà. Erano tutti molto cortesi e hanno discusso tutto il tempo a
proposito di un concerto. Tutti hanno anche detto: «Sarà uno dei più splendidi concerti che
mai abbiamo avuto ad Augusta. È un bel vantaggio per lei conoscere il governatore
Langenmantel; e poi qui il nome Mozart fa molto». Ci siamo lasciati contenti e soddisfatti.
Ora papà deve sapere che il giovane signore von Langenmantel ha detto, là dal signor Stein,
di volersi impegnare per organizzare un concerto nella Stube 1 - una cosa straordinaria, che
mi fa onore — solo per i signori patrizi. Non è possibile immaginare con quanto impegno
abbia parlato e abbia promesso di interessarsene. Ci siamo accordati che all’indomani mi
sarei recato da lui per avere una risposta. Ci sono andato, il 13, lui è stato molto cortese, ma
mi ha detto che non poteva ancora assicurar-
mi nulla di positivo. Ho nuovamente suonato per un’ora circa. Mi ha invitato a pranzo
per il giorno dopo, il 14. La mattina mi ha comunicato di andare alle undici e di portare
qualcosa, giacché aveva invitato alcuni musicisti dell’orchestra e volevano suonare qualcosa.
Ho mandato subito dei pezzi. Alle undici mi sono presentato. Allora ha accampato un sacco
di scuse. Con un’aria del tutto indifferente mi ha detto: «Senta, per il concerto non se ne fa
nulla. Oh, ieri mi sono preso una bella arrabbiatura per causa sua. I signori patrizi mi hanno
detto che la loro Cafia non è molto fornita e che poi non si tratta di un virtuoso a cui si possa
dare una souvrain d’or». Ho sorriso e ho detto: «Non lo credo nemmeno io». N.B.: alla Stube
lui è sovrintendente per la musica e suo padre è governatore! Non mi sono curato troppo della
cosa. Ci siamo messi a tavola. Anche il vecchio ha pranzato di sopra con noi: è stato molto
cortese, ma non ha detto una parola del concerto. Dopo il pranzo ho suonato due concerti,
qualche improvvisazione e poi un trio di Hafeneder al violino. Mi sarebbe piaciuto suonare
più a lungo il violino, ma venivo accompagnato così male che mi è venuto il mal di pancia.
Lui mi ha detto molto gentilmente: «Oggi restiamo insieme, andiamo alla commedia e poi lei
cena da noi». Siamo stati di ottimo umore. Di ritorno dalla commedia ho suonato di nuovo
fino al momento di mettersi a tavola. Poi siamo andati a cena. Già la mattina mi aveva fatto
delle domande sulla mia croce 2 e gli avevo spiegato molto chiaramente cosa fosse e come
l’avessi avuta. Lui e suo cognato allora hanno ripetuto diverse volte: «Facciamoci mandare
questa croce, così ci troveremo accomunati al signor Mozart». Io però non ci ho badato. E
ancora: «Lei, cavaliere, signore dello sperone». Io non ho replicato. Durante la cena però
hanno passato i limiti. «Quanto costerà, tre ducati? Per portarla bisognerà avere
un’autorizzazione? E questa autorizzazione bisogna pagarla anch’essa? Ma sì, facciamola
venire, questa croce». C’era anche un ufficiale, un certo B. Bach,3 che ha detto: «Eh via, si
vergognino, che cosa se ne farebbero loro di questa croce?». Il giovane somaro de’ corti
tabarri gli ha strizzato l’occhio. L’ho visto. Lui l’ha notato e c’è stato un momento di silenzio.
Allora mi ha offerto del tabacco dicendo: «Suvvia, prenda un po' di tabacco». Io non ho detto
nulla. Alla fine ha ricominciato con un’aria piena
di scherno: «Allora domani le mando qualcuno e lei avrà la bontà di prestarmi la croce
solo per un momento, gliela rimanderò indietro subito. Solo per poter parlare con l’orefice.
Sono sicuro che se gli chiedo quanto vale - è uno che se ne intende - mi dirà: “Un tallero
bavarese, circa”. Di più non varrà, perché poi non è d’oro, ma di rame, eh eh». Ed io: «Dio
mi guardi. È di latta. Eh eh». Mi era venuto caldo, per la rabbia e la collera. «Ma mi dica», ha
ripreso lui, «lo sperone posso eventualmente toglierlo?». «Certamente», ho risposto, «non ne
ha bisogno. Tanto l’ha già in testa. Anch’io ne porto uno in testa. Ma c’è differenza. Non
vorrei proprio fare cambio con il suo. Suvvia, prenda un po’ di tabacco». Gli ho offerto del
tabacco. È impallidito un po’, ma ha ricominciato: «L’altro giorno sul suo splendido gilet la
decorazione le stava benissimo». Io non ho detto nulla. Alla fine ha gridato al domestico: «In
futuro dovrete avere più rispetto, quando noi due, mio cognato ed io, porteremo la croce del
signor Mozart. Suvvia, prenda un po’ di tabacco». «Che strano», ho ripreso io, come se non
avessi sentito cosa aveva detto, «è più facile per me ottenere tutte le decorazioni che può
ricevere lei, che non per lei diventare quello che sono io, anche se morisse e resuscitasse due
volte. Suvvia, prenda un po’ di tabacco». E mi sono alzato. Si sono alzati tutti, nel più grande
imbarazzo. Ho preso il cappello e la spada e ho detto: «Avrò il piacere di vederla domani».
«Ah, già, domani non ci sono». «Allora verrò dopodomani, se sarò ancora qui». «Ah, ma
vorrà pure...». «Non voglio nulla. Questo è un nido di pitocchi. Intanto, stiano bene». E via. Il
giorno dopo, il 15, ho raccontato tutto al signor Stein, al signor Gignoux e al signor direttore
Graf: non la storia della croce, ma che ero molto disgustato per tutto quel loro gran parlare di
un concerto che poi non s’era fatto. Questo significa prendersi gioco della gente, gabbarla.
Davvero mi pento di essere venuto qui. In vita mia non avrei mai pensato che ad Augusta, la
città natale di mio padre, avrebbero fatto un simile affronto a suo figlio. Papà non può
immaginare quanto si siano dispiaciuti e adirati quei tre signori. «Ah, lei deve dare un
concerto. Non abbiamo bisogno dei patrizi». Io però sono rimasto fermo sulla mia decisione e
ho detto: «Sì, voglio dare un piccolo concerto di commiato dal signor Stein per i pochi
buoni amici che ho qui e che sono degli intenditori». Il direttore era molto addolorato. «È
abominevole», ha esclamato, «è una vergogna! Chi avrebbe mai pensato una cosa simile da
parte di Langenmantel. Pardieu, se avesse voluto, si sarebbe fatto». Ci siamo lasciati. Il
signor direttore mi ha accompagnato in veste da camera giù per le scale fino alla porta di
casa. Il signor Stein e Gignoux, che manda i suoi saluti al papà, sono venuti a casa con me.
Hanno insistito con noi perché decidessimo di restare ancora, ma siamo rimasti irremovibili.
Ora papà deve sapere che l’altro giorno il giovane von Langenmantel, quando mi ha
balbettato con aria indifferente la bella notizia del concerto, mi ha detto: «I signori patrizi la
invitano al loro concerto giovedì prossimo». Io ho risposto: «Verrò a sentire». «Ah, ma deve
farci la cortesia di suonare!». «Mah, chissà, perché no». Visto però l’affronto che mi è stato
fatto ho deciso di non andarci più, di mandare in culo tutto il patriziato e di partire. Giovedì
16, durante il pranzo, mi hanno chiamato fuori. Era una domestica di Langenmantel, che
mandava a chiedere che passassi da lui per accompagnarlo al concerto, e che avrei potuto
andare subito dopo mangiato. Gli ho mandato i miei umilissimi ossequi, facendogli dire che
non sarei andato al concerto e che non potevo recarmi da lui perché ero già impegnato, il che
era anche vero. Sarei andato però l’indomani a congedarmi, perché sabato al più tardi sarei
partito. Il signor Stein nel frattempo è corso dagli altri patrizi di parte evangelica e ha parlato
con tanta enfasi e con tanto ardore che i signori si sono davvero spaventati. «Cosa?», si sono
detti, «lasciamo partire senza sentirlo un uomo che ci fa tanto onore? Il signor von
Langenmantel certo pensa che, avendolo lui già sentito, può bastare». Insomma, tanto hanno
detto e fatto che lo stesso buon giovane signore dal corto tabarro è stato costretto a recarsi dal
signor Stein, per pregarlo a nome di tutti di fare il possibile per persuadermi ad andare al
concerto. Non dovevo aspettarmi niente di particolare, ecc. ecc. Dopo molti rifiuti l’ho
dunque seguito. Erano presenti i signori più noti, tutti molto cortesi, soprattutto un ufficiale,
un certo barone Rehlingen, che è anche un direttore o una bestia del genere. Ha aperto lui
stesso il pacco con i miei spartiti. Ho portato anche una sinfonia. L’hanno eseguita ed io ho
suonato il violino. Qui però c’è un’orchestra che fa diventare matti. Quel giovane briccone
von Langenmantel è stato molto cortese. Però ha sempre quella sua faccia beffarda. Mi ha
detto: «Ormai credevo davvero che lei ci sarebbe sfuggito. Ho pensato addirittura che lei
fosse seccato per lo scherzo dell’altro giorno». «Per carità», ho detto, «lei è davvero ancora
giovane. Ma faccia più attenzione. Non sono abituato a scherzi simili. E avere celiato su un
tale soggetto non le ha fatto onore; ed è stato anche inutile, considerando che porto
ugualmente la mia croce. Avrebbe fatto meglio a scegliere un altro scherzo». «Le assicuro»,
replica lui, «è stato mio cognato che...». «Lasciamo perdere», ho detto. «C’è mancato poco»,
ha detto lui, «che non avessimo più il piacere di vederla». «Sì, se non fosse stato per il signor
Stein non sarei certo venuto, e a dire il vero sono venuto solo perché negli altri paesi non si
ridesse dei cittadini di Augusta, quando avessi riferito che ero rimasto otto giorni nella città
natale di mio padre senza che si dessero la briga di ascoltarmi». Ho suonato un concerto ed è
andato tutto bene, tranne l’accompagnamento. Alla fine ho eseguito anche una sonata.4
Allora il signor barone Rehlingen mi ha ringraziato molto cortesemente a nome di tutta la
compagnia e, pregandomi di considerarlo solo come un gesto di buona volontà, mi ha fatto
dono di due ducati. Non mi danno pace, prima di domenica vogliono che suoni in un concerto
pubblico... Forse... Ma sono già tanto stanco che non posso assicurarlo. Sarò ben felice di
tornare in un luogo ove ci sia una corte. Quel che posso dire è che se non ci fossero un signor
cugino e una signora cugina 5 così buoni e una cuginetta 6 così amabile mi pentirei, tante
volte quanti sono i capelli che ho in testa. Ora devo scrivere qualcosa della mia cara signorina
cuginetta. Mi riservo di farlo domani, perché bisogna essere veramente sereni, per farne per
bene le lodi, come si merita. Il 17, di mattina presto, scrivo e affermo che la nostra cuginetta è
bella, giudiziosa, amabile, brava e allegra, soprattutto perché, da brava ragazza, ha molto
frequentato gli altri. È stata anche per qualche tempo a Monaco. E, a dire il vero, stiamo bene
insieme perché anche lei è un po’ birbante. Prendiamo in giro la gente che è un’allegria. La
prego ora di non dimenticare l’indirizzo del vescovo di Chiemsee. La lettera a Gaetano
Santoro la invierò senz’altro oggi a Myslivecek, come avevamo convenuto. Mi ha già
comunicato il suo indirizzo. La prego di scrivere presto al povero Mysliveéek, perché so che
gli farà certamente molto piacere. Un’altra volta parlerò del Piano forte, dell’organo di Stein
e soprattutto del concerto alla Stube. C’era un sacco di NobleSe, la duchessa Culettini, la
contessa Pisciabene e poi la principessa Puzzadimerda con le sue due figliole, che però sono
già sposate con i due principi Panzado-veri di Codaporcina. Addio a tutti. Bacio centomila
volte le mani al papà, abbraccio mia sorella con tenerezza orsina e rimango il suo devotissimo
figlio
Wolfgang Amadé Mozart
*
1 Sala riservata alle famiglie patrizie, di fronte al municipio.
2 Si tratta della croce dell’Ordine dello Speron d’Oro, conferito a Mozart a Roma nel
luglio 1770 da papa Clemente XIV. L’ordine fu sempre rivestito di speciali privilegi, quali il
titolo personale di conte palatino per l’insignito e la nobiltà ereditaria per i suoi discendenti.
Nei primi anni Mozart amò apporre alle sue composizioni la dicitura «Del sign, cavaliere
Mozart», ma poi «cavaliere» venne fatto sparire, forse anche in seguito all’episodio riferito in
questa lettera.
3 Non meglio identificato.
4 La sonata K283.
5 Franz Alois Mozart, fratello di Leopold, e sua moglie Maria Viktoria Eschenbach.
6 Maria Anna Thekla Mozart, figlia dei precedenti.
ALLA CUGINA
[Mannheim, 5 novembre 1777]
Carissima cuginetta coniglietta,1
la sua lettera sì cara mi è regolarmente arrivata piegata e da essa ho ricavato voltato che
il signor cugino paladino e la signora cugina leprina sono in buona salute saliti. Noi pure
grazie a Dio stiamo sani cani. Oggi tra le mie grinfie è arrivata pirata una lettera
sguattera dal mio papà, ah ah. Spero che anche a lei sia arrivata grattata la missiva saliva che
le ho scritto da Mannheim. Tanto meglio, meglio tanto! Ma ora siamo seri.
Mi spiace molto che al signor prelato salato sia venuto di nuovo un colpo porco. Spero
però che con l’aiuto del padre eterno sfottimento non avrà nessuna conseguenza flatulenza.
Lei scrive a ristoro toro del sottoscritto che manterrà quanto delitto 2 prima della mia
partenza da Ogusta e presto fresco. Insomma, mi farà sicuramente piangére. Lei mi scrive
inoltre, o meglio, si pronuncia, dà a vedere, comunica, mi fa sapere, dichiara, mi accenna, mi
informa, mi annuncia, rivela, esige, chiede, desidera, vuole, amerebbe, comanda che anch’io
le spedisca il mio ritratto quatto. Eh bien, sicuro che glielo mando fango. Oui, par ma la foi, ti
cacherò sul naso che ti coli sul mento. A propos. Ce l’ha ancora lo spuni cuni fait? 3 Cosa? Se
lei mi ama ancora. Lo credo bene! Tanto meglio, meglio tanto! Eh si, cosi vanno le cose a
questo mondo, uno ha i soldi e l’altro ha la borsa.4 E lei con chi sta? Con me, non è vero? Lo
credo bene! Ora ne arriva una più grossa. A propos. Non vorrebbe tornare presto dal signor
Goldschmied? 5 Ma che fare poi là? Cosa? Niente. Chiedere solo dello spuni cuni fait,
nient’altro che questo. Nient’altro? Insomma, insomma, viva tutti i, i, i... Com’è che va
avanti? Buona notte, cara la mia ragazza, cachi nel letto finché non si scassa,6 stia chiotta
chiotta, si stiri il culo fino alla bocca; io vo al paese di cuccagna, per fare anch’io un poco di
nanna. Domani discorreremo in maniera assennata schiantata. Ho una cosa di mucchi da fare,
le dico, che lei neanche immagina poterselo. Domani sentirà ma. Nel frattempo stia bene.
Ahi, il mio culo brucia come il fuoco! Che vorrà mai dire? Forse è la merda che vuole uscire?
Sì, sì, merda, ti riconosco, ti vedo, ti sento... e... cos’è? Possibile? O dei! Orecchio mio, non
m’inganni? No, è proprio così. Che suono lungo e triste! Oggi in data scrive cinquo questo.
Ieri ho parlato con l’austera consorte del principe elettore 7 e domani 6 suonerò nel grande
concerto di gala. E poi, come mi ha detto la principessa in persona, suonerò ancora extra
nello studio. Ma ora passiamo a qualcosa di più serio.
Primo: nelle sue mani giungerà una lettera o lettere a me dirette, che la pregherò di...
cosa? Sì, nessuna volpe non è una lepre,8 sì, proprio così. Dov’ero rimasto? Sì, giusto, al
fatto che giungeranno... Sì, sì, giungeranno... Sì, chi? Chi giungerà? Sì, ora mi viene in
mente. Lettere, giungeranno lettere. Ma che lettere? Eh, sì, lettere a me dirette, che la prego di
spedirmi senza fallo. Le farò sapere dove andrò dopo che sarò partito da Mannheim. Ora
veniamo al Numero due. La prego, e perché no? La prego, mattacchiona carissima, perché
no? se le capita di scrivere a Monaco alla signora Tavernier,9 di porgere i miei complimenti
alle due signorine Freysinger, perché no? Strano, perché no? E alla più giovane, cioè alla
signorina Josepha, dica che domando perdono, perché no? Perché non dovrei domandare
perdono?... Strano! Non saprei proprio perché non dovrei farlo. Dica che la prego vivamente
di perdonarmi se non le ho ancora mandato la sonata che le avevo promesso,10 ma gliela
spedirò appena possibile. Perché no? Cosa, perché no? Perché non dovrei mandarla? Perché
non dovrei spedirla? Perché no? Strano! Non saprei proprio perché non dovrei farlo. Allora
mi farà questa cortesia, perché no? Gliela faccio anch’io, se vuole. Perché no? Perché non
dovrei fargliela? Strano! Perché no? Non saprei proprio perché non dovrei. Non dimentichi di
mandare i miei compiimene ti al papà e alla mamma delle due signorine, perché è una
mancanza davvero grossolana quella di aver lasciato dovuto stato dimenticato il padre e la
madre. Quando avrò finito la Sonata gliela manderò con una lettera e lei avrà la bontà di
spedire il tutto a Monaco. Ora devo chiudere in fretta e la cosa mi secca. Signor cugino,
facciamo una corsa alla Santa Croce11 a vedere se c’è ancora qualcuno in piedi? Non ci
fermiamo, solo per farci vedere. Nient’altro che questo. Ora le devo raccontare una storia
triste, accaduta proprio in questo istante. Mentre sto scrivendo la lettera, sul più bello sento
un rumore in strada. Smetto di scrivere, mi alzo, vado alla finestra e... non sento più nulla. Mi
siedo di nuovo, riprendo a scrivere, non avrò scritto neppure dieci parole che ancora risento
qualcosa. Mi rialzo e appena sono in piedi il rumore diventa debolissimo, però sento odore di
bruciato. Dovunque vada, c’è questo puzzo. Se mi affaccio alla finestra l’odore non si sente
più, se guardo dentro la stanza l’odore si avverte di
nuovo. Alla fine la mia mamma mi dice: «Scommettiamo che ne hai tirato uno?». «Non
credo, mamma». «SI, sì. È proprio così». Faccio la prova, mi metto il primo dito nel culo e
poi lo annuso e... ecce provatum est; la mamma aveva ragione. Stia bene, le mando diecimila
baci e rimango come sempre il vecchio giovane codino di porco
Wolfgang Amadé Rosadibosco
Mille complimenti da noi due viaggiatori al signor cugino e alla signora cugina. A tutti i
miei amici cari somari i miei saluti bruti; addio mattacchiona stregona. V 333 12 fino alla
tomba se vivrò ancora.
Miehmann li 5 erbotto 7771
*
1 Questa, come quasi tutte le lettere alla cugina, è caratterizzata da una serie infinita di
giochi di parole e di rime la cui resa in italiano non può che essere imperfetta e discutibile,
anche se ci si è sforzati di restare quanto più possibile fedeli all’originale.
2 La promessa di mandargli il suo ritratto.
3 Interpretazione incerta.
4 Modo di dire molto comune in Austria e in Baviera.
5 Allusione non più comprensibile.
6 Umorismo fecale certamente non esclusivo di Mozart. Già sua madre adopera la stessa
rima nella lettera al marito del 26 settembre 1777. In un postscriptum alla sorella del 7 luglio
1770, Mozart stesso dà una traduzione italiana dell’espressione: «Addio, statevi beni e cacate
nel letto che egli fa fracasso».
7 Elisabeth Maria Aloisia Auguste, moglie di Carlo Teodoro, principe elettore del
Palatinato.
8 Stravolgimento del detto popolare «Ein Fuchs ist kein Hase» (Una volpe non è una
lepre).
9 Una conoscente di Monaco.
10 Forse K311.
11 Monumento ad Augusta.
12 333 in tedesco dreidreidrei, sta probabilmente per treutreutreu (treu=fedele).
AL PADRE
[Mannheim, 8 novembre 1777]
Carissimo papà,
non so scrivere in modo poetico: non sono un poeta. Non so distribuire le frasi con tanta
arte da far loro gettare ombre e luci: non sono un pittore. Non so neppure esprimere i miei
sentimenti e i miei pensieri con i gesti e con la pantomima: non sono un ballerino. Ma posso
farlo con i suoni: sono un musicista. E domani dunque da Cannabich suonerò al pianoforte un
intero augurio in musica per il suo onomastico e per il suo compleanno.1 Ma per oggi, mon
trés cher pére, non posso fare altro che augurarle di tutto cuore quello che le auguro ogni
giorno, mattina e sera: salute, lunga vita e umore lieto. Spero inoltre che lei abbia meno
dispiaceri di quando io stavo ancora a Salisburgo; perché devo riconoscere di esserne stato
solo io la causa. Si sono comportati molto male con me ed io non lo meritavo. Naturalmente
anche lei vi ha preso parte, ma forse troppo. Vede, questa è stata la ragione principale e più
importante per cui mi sono affrettato a lasciare Salisburgo. Spero anche che il mio voto sia
esaudito. Ora devo chiudere
con un augurio musicale. Le auguro di vivere tanti anni quanti ne sono necessari per non
avere più niente di nuovo da scrivere in campo musicale. Stia bene. La prego in tutta umiltà
di volermi ancora un po’ di bene e di accontentarsi per ora di questo misero augurio, in attesa
che nel mio stretto armadietto porta-giudizio vengano costruiti nuovi cassetti in cui io possa
riporre il senno che ho intenzione di procurarmi per il futuro. Bacio mille volte le mani al
papà e rimango fino alla morte
Mon trés cher Pére
Mannheim, 8 novembre 1777
il suo devotissimo figlio Wolfgang Amadé Mozart
*
1 L’onomastico di Leopold era il 15 novembre, il compleanno il 14.
ALLA CUGINA
[Mannheim, 13 novembre 1777]
Scrivile una buona volta una lettera come si deve.1 Puoi pure scherzare un po’, basta
però che si capisca che hai ricevuto tutte le lettere, così lei non ha più motivo di preoccuparsi
e di stare in pena.
Ma tres chere Niéce! Cousine! fille!
Mère, Soeur, et Epouse!
Corpo di Bacco e di mille sacristi,2 croati alla malora, diavoli, maliarde, streghe,
battaglioni crociati a più non posso, accidenti agli elementi, aria, acqua, terra e fuoco, Europa,
Asia, Africa, America, gesuiti, agostiniani, benedettini, cappuccini, frati minori, francescani,
domenicani, certosini, cavalieri della santa croce, canonici regulares e irregulares, furfanti,
canaglie, poltroni, cazzi e coglioni a cavalcioni, somari, bufali, buoi, buffoni, stupidi e
mentecatti! Che razza di maniere, quattro soldati e tre bandoliere? Un pacchetto, ma niente
ritratto? Ardevo dalla curiosità, lo davo per sicuro, poiché lei stessa mi ha scritto or non è
molto che lo avrei ricevuto presto, prestissimo. Dubita forse che per parte mia non mantenga
la parola? Voglio ben sperare che non ne dubiti. Insomma, la prego, me
lo mandi, tanto prima, tanto meglio. Spero poi che sia come l’avevo chiesto, e cioè con
lei vestita alla francese. Se mi piace Mannheim? Quanto può piacere un luogo senza
cuginetta. Perdoni la mia brutta scrittura, la penna è ormai vecchia. Sono quasi ventidue anni
che caco dallo stesso buco e non si è ancora consumato! E son tante le volte che ho cacato, e
che coi denti la merda ho mordicchiato.
Spero che anche lei a sua volta, come è giusto, abbia regolarmente ricevuto le mie
lettere: una da Hohenaltheim, due da Mannheim e questa; questa, come è giusto, è la terza da
Mannheim, ma la quarta in tutto, come è giusto. Ora devo chiudere, come è giusto, perché
non sono ancora vestito e tra poco mangiamo, per poter poi cacare, come è giusto. Se io le
sarò sempre caro come lei è cara a me, non cesseremo mai d’amarci, pur se il leone fra le
mura si aggira,3 se del dubbio la dura vittoria non fu ben meditata e se alfin la tirannide dei
despoti furtivamente prese un’altra strada, Codro, saggio filosofo, spesso divora moccio al
posto dell’avena e i Romani, sostegno del mio culo, furono sempre, sono e rimarranno...
senza un soldo.
Adieu, j’espere que vous aures deja pris quelque lection dans la langue francaise, et je ne
doute point, que... Ecoutes: que vous saures bientot mieux le francais, que moi; car il y a
certainement deux ans, que je n’ai pas ecrit un mot dans cette langue. Adieu cependant. Je
vous baise vos mains, votre visage, vos genoux et votre... afin, tout ce que vous me permettes
de baiser. Je suis de tout mon coeur
votre
tres affectione Neveu et Cousin
Mannheim le 13 Nomv. 1777
Wolfg. Amadé Mozart
*
1 Sono le parole della madre, trascritte dal figlio come introduzione alla lettera.
2 Serie interminabile e coloratissima di imprecazioni, nella migliore tradizione bavarese,
motivata dal mancato arrivo del ritratto promesso dalla cugina.
3 Parodia dello stile aulico-patetico e possibile allusione al dramma Codrus oder Muster
der Vaterlandsliebe (Codro ovvero un modello di amor patrio) di Johann Friedrich, barone di
Cronegk.
AL PADRE
Mannheim, 29 novembre 1777 di sera
Mon trés cher Pére!
Stamane ho ricevuto regolarmente la sua lettera del 24, da cui comprendo che lei non
saprebbe adattarsi ai colpi della sorte, se mai qualcosa del genere dovesse colpirci
all’improvviso; finora noi quattro, così come siamo, non abbiamo avuto né fortuna né
sfortuna, e di questo ringrazio Dio. Lei fa a noi due molti rimproveri immeritati. Non
facciamo nessuna spesa che non sia necessaria, e quel che è necessario in viaggio lei lo sa
come e meglio di noi. Se ci siamo trattenuti così a lungo a Monaco è dipeso unicamente da
me, e se fossi stato solo, sarei sicuramente rimasto a Monaco. Ci siamo fermati quattordici
giorni ad Augusta? Mi viene quasi da pensare che lei non abbia ricevuto le mie lettere da
Augusta! Volevo dare un concerto, ma mi hanno preso in giro: così se ne sono andati otto
giorni. Volevo assolutamente partire: non me l’hanno permesso. Volevano che dessi un
concerto; ho voluto farmi pregare e così è stato. Ho dato un concerto. Ed ecco volati via i
quattordici giorni. Perché siamo venuti subito a Mannheim? A questo ho risposto nella mia
ultima lettera. Perché siamo ancora qui? Ebbene, può forse pensare che io mi fermi in
qualche luogo senza un motivo? Ma allora al padre si potrebbe... Bene, conoscerà il motivo,
anzi, tutto lo svolgimento dei fatti. Ma per Dio, non volevo scriverle nulla prima di essere in
grado, come non lo sono oggi, di scrivere qualcosa di preciso, e con una notizia poco sicura,
per come la conosco, le avrei procurato preoccupazioni e pensieri, cosa che ho sempre
cercato di evitare; ma se lei attribuisce tutto alla mia trascuratezza, spensieratezza e pigrizia,
allora non posso che ringraziarla per la buona opinione che ha di me, e deplorare
profondamente che lei non conosca me, suo figlio.
Non sono incosciente, sono soltanto pronto a tutto, e perciò posso tutto attendere e
sopportare con pazienza, purché non ne soffrano il mio onore e il mio buon nome di Mozart.
Ma se così ha da essere, sia. La prego però sin d’ora di non rallegrarsi né di affliggersi
prematuramente; perché qualunque cosa accada, andrà per il meglio, purché ci sia la salute;
perché la felicità consiste... solo nell’idea che se ne ha. Otto giorni fa, martedì 18, cioè il
giorno prima di santa Elisabetta, sono andato di mattina dal conte Savioli e gli ho chiesto se
non fosse possibile che il principe 1 mi tenesse qui quest’inverno, perché avrei desiderato
dare lezione ai giovani principi.2 Ha risposto: «Sì, glielo voglio proporre; se dipendesse da
me, si concluderebbe certamente». Nel pomeriggio sono stato da Cannabich e poiché ero
andato dal conte per suo consiglio, mi ha chiesto immediatamente se l’avevo fatto. Gli ho
riferito ogni cosa e lui mi ha detto: «Sarei molto contento se lei restasse con noi
quest’inverno, ma lo sarei ancor più se entrasse in servizio stabilmente e definitivamente».
Ho risposto che altro non desideravo se non di restare sempre vicino a loro, ma che davvero
non sapevo come potesse essere possibile stabilmente. Hanno già due maestri di cappella.3
Non sapevo proprio cosa avrei potuto fare, non volendo di certo essere da meno di Vogler! «E
neppure lo sarà», ha detto lui. «Qui nessun membro dell’orchestra è subordinato al maestro di
cappella, e neppure al direttore.4 Il principe elettore potrebbe nominarla Compositeur di
corte. Attenda, ne parlerò con il conte». Il giovedì seguente c’era un grande concerto.
Vedendomi, il conte si è scusato per non avergliene ancora parlato, essendo questi giorni di
gala; ma dopo la conclusione dei festeggiamenti,5 vale a dire lunedì, gli avrebbe senza
dubbio parlato. Ho lasciato trascorrere tre giorni, e non avendo avuto notizie sono tornato da
lui per informarmi. Ha detto: «Mio caro signor Mozart - era venerdì, cioè ieri — oggi è stato
giorno di caccia, per cui non ho potuto chiedergli nulla; ma domani a quest’ora sarò
certamente in grado di darle una risposta». L’ho pregato di non dimenticarsene. Per la verità
me ne andai via un po’ irritato, e così ho deciso di portare al giovane conte6 le mie sei
variazioni più facili sul minuetto di Fischer,7 che avevo già copiato proprio a questo scopo,
per avere l’occasione di parlare con il principe. Non si può immaginare la gioia della
governante al mio arrivo. Sono stato ricevuto con molta cortesia. Quando le ho consegnato le
variazioni dicendo che erano per il conte, ha detto: «O che bella idea; ma ha qualcosa anche
per la Comtesse?».8 «Non ancora», ho risposto, «ma se resto qui ancora il tempo sufficiente
per scrivere qualcosa, allora...». «A propos», ha detto, «mi fa piacere che lei resti qui
tutto l’inverno». «Io? non ne so nulla!». «Mi stupisce. È strano. Me l’ha detto recentemente il
principe in persona. “A propos”, mi ha detto, “Mozart resta qui per l’inverno”». «Bene, se
l’ha detto lui, l’ha detto proprio chi poteva dirlo. Perché senza il principe naturalmente non
posso restare qui». Allora le ho raccontato l’intera vicenda. Siamo rimasti d’accordo che sarei
tornato oggi dopo le quattro e avrei portato qualcosa per la Com tesse. Prima del mio arrivo
avrebbero parlato con il principe e io l’avrei incontrato mentre era ancora là. Oggi sono
andato, ma lui non è venuto. Ci tornerò domani. Per la Comtesse ho scritto un Rondeau.9
Non ho dunque motivi sufficienti per fermarmi e attendere la conclusione? Dovrei partire
proprio ora, quando è stato compiuto il passo più importante? Ora ho la possibilità di parlare
con il principe in persona. Ritengo che probabilmente trascorrerò qui l’inverno. Il principe mi
ha in simpatia, mi stima molto e sa quel che valgo. Nella prossima lettera spero di poterle
comunicare una buona notizia. La prego ancora una volta di non rallegrarsi né di
preoccuparsi anzitempo e di non confidare la cosa a nessuno, tranne al signor Bullinger e a
mia sorella. Per mia sorella accludo qui l’allegro e l’andante della Sonata 10 per la signorina
Cannabich. Il Rondeau seguirà tra breve. A spedire tutto insieme, il pacchetto sarebbe venuto
troppo grosso. Dovrà accontentarsi dell’originale: è più facile per lei farlo copiare a sei soldi
il foglio che per me a 24: non trova che sia caro? Adieu. Le bacio centomila volte le mani,
abbraccio mia sorella di tutto cuore e rimango il suo devotissimo figlio
Wolfgang Amadé Mozart
Avrà già avuto notizie della sonata: da Cannabich la cantano, la suonano al piano, la
suonano al violino o la fischiettano almeno tre volte al giorno, certo solo sotto voce.
*
1 Carlo Teodoro, principe elettore del Palatinato.
2 I quattro figli naturali del principe elettore avuti dalla sua favorita, la ballerina Josepha
Seyffert.
3 Cannabich e Vogler.
4 II conte Savioli.
5 Per l’onomastico del principe elettore.
6 Karl August (nato nel 1769), figlio naturale del principe elettore.
7 K179; si tratta di dodici variazioni per pianoforte su un minuetto di Johann Christian
Fischer.
8 Karoline Louise (nata nel 1768), figlia naturale del principe elettore.
9 K6284f (perduto).
10 K309.
ALLA CUGINA
[Mannheim, 3 dicembre 1777]
Ma très chère Cousine!
Prima di scriverle devo andare al gabinetto... Fatto! ah! Adesso mi sento più leggero. Mi
sono tolto un peso dal cuore. Ora posso tornare a banchettare! Insomma, quando ci si è
svuotati la vita torna a sorridere. Avrei ricevuto regolarmente la sua lettera del 25 novembre
se lei non avesse scritto di aver avuto male alla testa, alla gola e alle braccia, mentre adesso,
al momento, attualmente, ora come ora, al presente, non ha nessun dolore, sicché ho ricevuto
regolarmente la sua lettera del 26 novembre. Eh sì, mia carissima signorina cugina, così va il
mondo: uno ha la borsa, l’altro i soldi. E lei per cosa tiene? Per la, non è vero?Zum papa,
ramaio,' tienime-
lo, diavolo, non me lo stringere, leccami il culo, ramaio, eh sì, è vero, chi crede sarà
beato e chi non crede andrà in cielo, ma diritto difilato e non come scrivo io. Vede dunque
che so scrivere come voglio, bello chiaro e ingarbugliato, dritto e storto. Ultimamente ero di
cattivo umore e scrivevo bello chiaro, con ordine e serietà; oggi sono di buon umore e allora
scrivo tutto ingarbugliato, storto e scherzoso. Ora tutto dipende da quello che lei preferisce;
deve scegliere tra i due, perché non ho vie di mezzo: bello chiaro o ingarbugliato, dritto o
storto, serio o scherzoso, le prime tre parole o le ultime tre. Aspetto la sua decisione nella
prossima lettera. La mia decisione l’ho presa: quando ho bisogno vado, però, a seconda delle
circostanze, se ho la sciolta corro e se non mi posso più trattenere caco nei calzoni. Gamba ti
salvi Iddio, che già salti per la finestra.2 Le sono molto obbligato, carissima signorina cugina,
per i complimenti della signorina Freysinger, che la carissima signorina Giuliana ha avuto la
bontà di trasmettermi. Lei mi scrive che ne so già molto, ma che comunque il troppo è
troppo; in una lettera ammetto che è troppo, ma un po’ alla volta si potrebbe scrivere molto;
cerchi di capirmi, per la Sonata 1 ancora per un po’ bisognerà armarsi di pazienza. Se fosse
stata per la cuginetta, sarebbe pronta da un pezzo... e chissà poi se la signorina Freysinger ci
pensa ancora. Comunque la farò al più presto, scriverò una lettera d’accompagna-
mento e pregherò la mia cara cuginetta di far pervenire il tutto. A propos, da quando sono
partito da Augusta non mi sono mai tolto i calzoni, salvo la notte prima di andare a letto. Che
penserà mai sapendomi a Mannheim, ancora e ognora. E questo perché non sono ancora
partito, per nessun sito. Ma penso che Mannheim se ne andrà via presto.4 Augusta però da lei
può sempre scrivere a me, indirizzando la lettera a Mannheim, fino a nuovo avviso. Il signor
cugino, la signora cugina e la signorina cugina mandano i loro saluti a me e alla mamma.
Cominciavano già a stare in pensiero, immaginando che fossimo ammalati, visto che da tanto
non ricevevano nessuna lettera da parte nostra. L’altro ieri finalmente hanno avuto la gioia di
ricevere la nostra del 26 novembre ed oggi, il 3 dicembre, lei ha il piacere di rispondermi.
Manterrò dunque la mia promessa? Questo le fa davvero piacere. Non dimentichi per la
Sonata che Monaco è ancora da comporre, perché quel che si è mantenuto bisogna
prometterlo, dobbiamo essere sempre parola di uomo. Ma ora siamo seri.
Le devo raccontare in fretta una cosa. Oggi non ho pranzato a casa, ma da un certo signor
Wendling. Ora deve sapere che costui mangia sempre all’una e mezza, è sposato e ha una
figlia, che però è sempre malaticcia. Sua moglie canterà nella prossima opera5 e lui suona il
flauto. Ora si immagini la scena, all’una e mezza ci siamo seduti tutti a tavola, tranne la figlia
che è rimasta a letto, e abbiamo mangiato.
Ad ogni buon amico e amica un culo intero pieno di saluti da parte nostra. Per i suoi
genitori vedasi a pagina 3, riga 12.6 Ora non ho più niente di nuovo da dirle, se non che una
vacca vecchia ha cacato una merda nuova. E con ciò addio, Anna Maria Serraturaia nata
Chiavaia. Stia bene e mi voglia sempre bene. Mi scriva presto, perché fa fresco. Mantenga
quanto ha promesso, perché altrimenti rigetto. Adieu, mon Dieu, la bacio mille volte e sono di
colpo e di botto
Manheim senza né ai né bai, il giorno 3 dicembre che non è più novembre del 1777 nel
cuore della notte ora e sempre e in eterno Àmen.
Ma très chère Cousine è mai stata a Berlin Il suo cugino leale e sincero sia quando piove,
sia quando è sereno W. A. Mozarto cacare una merda, che duro parto.
*
1 Si tratta verosimilmente di una canzonetta popolare da ballo dell’epoca.
2 Modo di dire popolare.
3 Cfr. lettera del 5 novembre, nota 10.
4 In questa frase e in quelle seguenti inversione e scambio di soggetti e complementi.
5 Rosemurtde, musica di Anton Schweitzer, su testo di Wieland.
4 Cfr. più sopra, nella stessa pagina: «Il signor cugino, la signora cugina e la signorina
cugina mandano i loro saluti a me e alla mamma».
ALLA MADRE
[Worms, 31 gennaio 1778]
Signora mamma!
Mi piace la panna!
Sia lode al cielo, sia lode a tutti i santi, non siamo malati e stiamo bene tutti quanti.
Ce ne andiamo in giro per il mondo, ma in tasca non abbiamo più di un soldo.
Rimaniamo però di buon umore, senza beccarci manco un raffreddore.
Io sto qua con della gente che di cacca ha pieno il ventre, ma che poi la lascia andare
prima e dopo il desinare.
Si spetezza a tutte l’ore, si spetezza a notte fonda, si che tutto poi rimbomba.
Però ieri il re dei peti, i cui peti san di miele, era un poco giù di voce, con suo sommo
dispiacere.
Da otto giorni da Mannheim partiti siamo e quanto a merda cacata assai ne abbiamo.
Il signor Wendling 2 sarà tutto furente perché io non ho scritto quasi niente.
Ma appena passo il ponte sopra il Reno, me ne ritorno indietro in un baleno e scrivo i
miei quartetti per benino così non potrà darmi del cretino.
Quanto al concerto ecco la mia pensata: lo butto giù a Parigi, alla prima cacata.
Preferirei, ad essere sincero, girare con costoro il mondo intero piuttosto che viaggiare
con certa gente3 buona soltanto per l’attimo presente: che solo a pensarci mi viene male al
ventre.
Ma se poi andremo insieme, sarà quel che sarà, vai più il culo di Weber4 che la testa di
Ramm.5 Di questo culo invero anche un unico pelo mi sembra preferibile a Wendling tutto
intero.
Non offendiamo Iddio col nostro gran cacare, neppure se la merda ci piace
mordicchiare.
Siamo gente dabbene e stiamo bene insieme.
Di occhi ne abbiam otto più quello che sta sotto.
Ma basta con i versi; voglio ora annunciarle che lunedì venturo, senza tante domande, di
baciarle la mano l’onor mi sarà dato, ma prima le mie brache avrò certo smerdato.
à dieu Mamma il figlio suo devoto però tutto rognoso Trazom
*
1 La lettera è scritta di ritorno dalla corte della principessa Carolina di Nassau-Weilburg
a Kircheimbolanden, dove Mozart si era recato insieme con Fridolin e Aloisia Weber.
2 II violinista Johann Baptist Wendling, attraverso il quale aveva ottenuto l’incarico di
comporre dei quartetti e dei concerti per flauto, destinati ad un «amateur» olandese. Cfr.
lettera del 4 febbraio 1778, nota 8.
3 Wendling e Ramm, con cui progettava in un primo tempo di recarsi a Parigi. Come
dirà al padre nella lettera del 4 febbraio, ora non desidera più accompagnarsi a loro, perché ne
disapprova la mentalità e i costumi troppo liberi.
4 Fridolin Weber.
5 L’oboista Friedrich Ramm.
AL PADRE
[Mannheim, 4 febbraio 1778]
Monsieur
mon trés cher Pére!
Non avrei proprio potuto aspettare il sabato, come d’abitudine, perché già per troppo
tempo non ho avuto il piacere di intrattenermi con lei per iscritto. Per prima cosa le racconto
com’è andata per me e per i miei cari amici a Kircheimbolanden.1 È stata una vacanza, e
niente di più. Siamo partiti di qui venerdì mattina alle otto, dopo che io avevo fatto colazione
dal signor Weber.2 Avevamo un’elegante carrozza coperta a quattro posti. Alle quattro
eravamo già arrivati a Kircheimbolanden e abbiamo dovuto mandare subito al castello un
biglietto con i nostri nomi. Il giorno dopo di buon’ora è venuto da noi il signor Rothfischer,
primo violino; già a Mannheim mi era stato descritto come persona onestissima e tale l’ho
effettivamente trovato. Sabato sera siamo andati a corte; la signorina Weber 5 ha cantato tre
arie.4 Non mi soffermo sul suo canto — in una parola, perfetto -, perché dei suoi meriti ho
già parlato nell’ultima lettera; tuttavia non potrò chiudere questa senza scrivere qualcos’altro
su di lei, perché solo ora l’ho conosciuta veramente e scorgo quindi tutto il suo valore. Più
tardi abbiamo dovuto mangiare alla tavola degli ufficiali. Il giorno dopo, per andare in chiesa,
abbiamo fatto un bel pezzo di strada, perché quella cattolica è un po’ lontana. Questo
domenica. A mezzogiorno abbiamo pranzato nuovamente alla stessa tavola. La sera non c’è
stata musica perché era domenica. Per questo hanno solo trecento concerti all’anno. La sera
avremmo potuto ancora cenare a corte, ma non abbiamo voluto, preferendo restare in casa fra
di noi. Avremmo rinunciato volentieri unanimiter a mangiare a corte, perché mai siamo stati
tanto bene come quando siamo stati soli fra noi, però abbiamo pensato un po’ all’aspetto
economico. Anche così infatti abbiamo dovuto spendere abbastanza.
Il giorno dopo, lunedì, c’è stata di nuovo musica, e poi ancora martedì e di nuovo
mercoledì. La signorina Weber ha cantato in tutto tredici volte e ha suonato due volte il
pianoforte: perché non suona per niente male. Quel che più mi stupisce è che legga così bene
la musica. Pensi, ha suonato a Prima vista, lentamente, ma senza sbagliare una nota, le mie
difficili sonate.5 Sul mio onore, preferisco sentirle suonare da lei che da Vogler. Io in tutto ho
suonato dodici volte e una volta, a richiesta, l’organo nella chiesa luterana; ho fatto omaggio
alla principessa di quattro sinfonie6 e non ho avuto più di sette louis d’or - N.B.: in moneta
d’argento — e la mia povera Weber cinque. Questo non me lo sarei davvero immaginato.
Non avevo mai sperato molto, ma almeno otto luigi per ciascuno! Basta: non ci abbiamo
rimesso. Io ci ho guadagnato 42 fiorini e l’indicibile piacere di fare la conoscenza di persone
dabbene, buoni cattolici e buoni cristiani. Mi dispiace molto di averle conosciute solo ora.
Passo ora a qualcosa di molto importante, su cui la prego di rispondermi subito.
La mamma ed io ne abbiamo parlato fra di noi e ci siamo trovati d’accordo sul fatto che
la vita dei Wendling non ci piace affatto.
Wendling è un uomo molto dabbene, ottima persona, ma purtroppo senza religione, così
come tutta la sua famiglia. Basti dire che sua figlia7 è stata una favorita. Ramm è una brava
persona, ma un libertino. Io mi conosco, so che ho tanta religione da non far mai nulla che
non possa poi confessare al mondo intero; ma già il solo pensiero di fare anche solo un
viaggio in compagnia di gente che ha un modo di pensare così diverso dal mio e da quello di
ogni persona onesta, mi spaventa. Per il resto possono fare quello che vogliono. Non me la
sento di viaggiare con loro. Non potrei essere contento neppure per un attimo, non saprei di
cosa parlare. In una parola, non mi fido davvero di loro. Amici senza religione non sono
amici che restano.
Ho già anticipato loro qualcosa. Ho detto che durante la mia assenza sono arrivate tre
lettere, di cui non posso dire altro se non che difficilmente potrò andare con loro a Parigi.
Forse partirò più tardi. O forse andrò da un’altra parte. Che non facciano affidamento su di
me. Ed ecco la mia idea.
Finisco qui con tutto comodo la musica per De Jean,8 e incasso i miei 200 fiorini, tanto
posso fermarmi qui quanto voglio, cibo e alloggio non mi costano nulla. Nel frattempo il
signor Weber cercherà di farsi ingaggiare da qualche parte con me per dei concerti. Abbiamo
infatti intenzione di viaggiare insieme e viaggiare con lui sarà proprio come viaggiare con lei.
È per questo che mi piace tanto, perché, a parte l’aspetto esteriore, le assomiglia in tutto e per
tutto, ha il suo stesso Caractére e modo di pensare. Mia madre, se non fosse così pigra per
scrivere, le direbbe lo stesso. Devo ammettere che viaggiare con loro è stato per me molto
piacevole: eravamo allegri e contenti, sentivo un uomo che parlava come lei, non dovevo
preoccuparmi di nulla, le cose strappate le trovavo raccomodate, in una parola sono stato
servito come un principe.
Amo tanto questa famiglia così oppressa che altro non desidero se non di poterla rendere
felice; e forse potrò anche farlo. Secondo me dovrebbero andare in Italia. Vorrei pregarla
perciò di scrivere — e prima sarà, meglio sarà - al nostro caro amico Lugiati e informarsi su
cosa danno come massimo ad una Prima dorma a Verona. Quanto più è, meglio è; ad
abbassare il prezzo si è sempre in tempo. Forse si potrebbe avere anche l’Ascensa9 a Venezia.
Per il canto giuro sulla mia vita che mi farà sicuramente onore. Già in così breve tempo ha
tratto molto profitto dal mio insegnamento, e quanto potrà dunque trarne fino ad allora! Della
sua abilità teatrale non ho motivo di preoccuparmi. Se la cosa va in porto, noi - il signor
Weber, le sue due 10 figliole ed io - avremo l’onore, passando, di far visita per quattordici
giorni al mio caro papà e alla mia cara sorella. Mia sorella troverà nella signorina Weber
un’amica e una compagna, perché essa qui è famosa per la sua buona condotta come lo è mia
sorella a Salisburgo, e suo padre come il mio e così tutta la famiglia come la famiglia Mozart.
Naturalmente ci sono come da noi gli invidiosi, ma quando viene il momento sono costretti a
dire la verità. L’onestà ha l’ultima parola. Posso dire che sarei felicissimo di venire con loro a
Salisburgo, solo perché lei la possa sentire. Le mie arie della De Amicis,11 sia l’aria di
bravura che «Parto, m’affretto» e «Dalla sponda tenebrosa» le canta in modo superbo. La
prego, faccia il possibile perché si possa andare in Italia. Lei sa qual è il mio massimo
desiderio: scrivere opere.
Per Verona sarei disposto a scrivere l’opera per 50 Zechini, solo perché lei si faccia
onore; se il compositore non sarò io temo che sarà sacrificata. Per allora, grazie agli altri
viaggi che vogliamo intraprendere insieme, avrò guadagnato tanto che la cosa non mi
procurerà gran danno. Penso che andremo in Svizzera e forse anche in Olanda. Mi scriva
presto cosa ne pensa. Se ci fermeremo a lungo da qualche parte, l’altra figliola, la maggiore,
ci tornerà molto utile perché non avremo bisogno di locande, visto che sa pure cucinare. A
propós, non deve stupirsi troppo se di 77 fiorini me ne sono rimasti solo 42. È stato solo per
la gioia di ritrovarsi insieme fra gente onesta e che la pensa allo stesso modo. Non ho potuto
fare altrimenti e ho pagato metà delle spese; ma negli altri viaggi non sarà più così, l’ho già
detto, allora pagherò solo la mia parte. Siamo quindi rimasti cinque giorni a Worms, dove
Weber ha un cognato, decano del convento. N.B.: uno che teme la penna pungente del signor
Weber. Ci siamo divertiti. Tutti i giorni a pranzo e a cena abbiamo mangiato dal signor
decano. Posso ben dirlo, questo piccolo viaggio per me è stato un vero esercizio per il
pianoforte. Il signor decano è una bravissima persona, piena di giudizio. Adesso è ora che
chiuda, se volessi scrivere tutto quello che ho in testa non mi basterebbe la carta. Mi risponda
presto, la prego; non dimentichi il mio desiderio di scrivere opere. Sono invidioso di
chiunque ne scriva una. Quando sento o leggo un’aria vorrei davvero piangere dal dispetto.
Ma in italiano, non in tedesco, seria, non buffa. Non avrebbe dovuto mandarmi la lettera di
Heufeld,12 perché mi ha dato più fastidio che gioia. Quel matto crede che scriverò un’opera
comica e cosi alla cieca, o la va o la spacca. Penso pure che non sarebbe stato un disonore per
sua signoria se avesse scritto «il signor figlio» e non «suo figlio». Insomma, è proprio uno
zoticone viennese; oppure crede che la gente abbia sempre 12 anni.13 Ora ho scritto tutto
come mi dettava il cuore. Mia madre è pienamente soddisfatta di come la penso. Non posso
viaggiare con gente, con una persona che conduce una vita di cui dovrebbe vergognarsi anche
un uomo giovanissimo; e il pensiero di aiutare una povera famiglia a risollevarsi, senza alcun
danno per me medesimo, mi riempie l’animo di gioia. Le bacio 1000 volte le mani e rimango
fino alla morte
il suo devotissimo figlio Wolfgang Amadé Mozart
Mannheim, 4 febbraio 1778
Ad ogni buon amico e amica i miei saluti, in particolare al mio carissimo amico il signor
Bullinger.
*
1 Alla corte della principessa Caroline di Nassau-Weilburg.
2 Fridolin Weber.
3 Aloisia Weber.
4 Tre arie dal Lucio Siila: «Dalla sponda tenebrosa», «Ah se il crudel periglio», «Parto,
m’affretto».
5 K279, 280, 281, 282, 283 e 284.
6 Non meglio identificate.
7 Elisabeth Augusta, cantante alla corte di Mannheim. Prima del 1777 sarebbe stata
amante del principe elettore Carlo Teodoro.
8 Forse Willem van Britten Dejong, «amateur de musique», a cui Karl Ditters von
Dittersdorf ha dedicato una sinfonia per nove strumenti. Mozart ha composto per lui due
concerti (K313 e K314) e tre quartetti, K285, 285a e Anh. 171 (285b).
9 Alta stagione teatrale a Venezia per la festa dell’Ascensione. Qui, l’opera destinata a
tale festività.
10 Aloisia e Josepha.
11 Le arie di Giunia, nel Lucio Silla, parte cantata dalla De Amicis. Cfr. nota 4.
12 Franz Edler von Heufeld, sovrintendente del teatro di Vienna negli anni ’70, a cui
Leopold aveva scritto chiedendogli di raccomandare il figlio all’imperatore. Heufeld aveva
risposto che raccomandare qualcuno al sovrano poteva avere un effetto controproducente, e
aveva invece consigliato Mozart di mettere in musica un’opera comica tedesca e di inviarla
all’imperatore, per sottoporla direttamente al suo giudizio, rimettendosi poi alle sue decisioni.
13 Tanti ne aveva Mozart, nel 1768, quando Heufeld l’aveva conosciuto a Vienna.
AL PADRE
Mannheim, 7 febbraio 1778
Il signor von Schiedenhofen 2 avrebbe potuto farmelo sapere per tempo attraverso di lei
che aveva intenzione di sposarsi. Gli avrei composto dei nuovi minuetti per la festa. Gli
auguro di cuore ogni bene. Ma è un altro matrimonio fatto solo per i quattrini, nient’altro che
questo. Io non vorrei mai sposarmi così. Voglio rendere felice mia moglie, non servirmi di lei
per fare la mia fortuna. E così per ora preferisco non pensarci e godermi la mia libertà, fin
quando non sarò in grado di mantenere moglie e figli. Per il signor von Schiedenhofen era
necessario scegliersi una moglie ricca, la sua nobiltà glielo imponeva. I nobili non possono
mai sposarsi secondo i propri desideri e per amore, ma sono sempre costretti a farlo per
interefie o per una serie di altre considerazioni, e sarebbe inoltre disdicevole che persone di
rango tanto elevato amassero ancora la moglie dopo che costei abbia compiuto il suo dovere
mettendo al mondo un grassottello erede del patrimonio familiare. Ma noi, povera gente
comune, non solo dobbiamo scegliere una moglie che amiamo e che ci ama, ma possiamo e
vogliamo sceglierla così, perché non siamo né aristocratici né di alto lignaggio, né nobili né
ricchi, bensì di bassa estrazione, umili e poveri, e dunque non abbiamo bisogno di una moglie
ricca. La nostra ricchezza muore con noi, poiché l’abbiamo tutta nella nostra testa e nessuno
può sottrarcela, a meno che non ci taglino la testa e allora... non ci occorre più nulla.
Abbiamo ricevuto regolarmente la sua lettera del 2 febbraio.
La ragione principale per cui non vado a Parigi con quella gente gliel’ho riferita nella
mia lettera precedente. La seconda ragione è che ho riflettuto bene a quello che devo fare a
Parigi. Non avrei altro mezzo per sopravvivere che cercarmi degli allievi, ed io non sono nato
per un lavoro simile. Ne ho qui un esempio lampante. Avrei potuto avere due allievi. Da
ognuno di loro sono andato tre volte, poi uno non l’ho trovato in casa e allora non sono più
tornato. Mi fa piacere dare lezioni, quando si tratta di fare un favore, soprattutto se vedo che
uno ha talento, è lieto di imparare e lo fa di buona voglia. Ma dover andare in una casa a
un’ora determinata, oppure dover aspettare qualcuno a casa, è una cosa che proprio non
riesco a fare, dovesse anche rendermi moltissimo. Per me è impossibile. Lo lascio fare a chi
non sa far altro che suonare il pianoforte. Io sono un compositore e sono nato per fare il
maestro di cappella. Non devo e non posso seppellire in questo modo il mio talento di
compositore, quel talento di cui il buon Dio mi ha così generosamente dotato. Posso dirlo
senza presunzione, perché lo sento ora più che mai; e sarebbe questo il mio destino se avessi
molti allievi, perché è un lavoro per nulla tranquillo. Preferirei, tanto per dire, trascurare il
pianoforte piuttosto che la composizione. Il pianoforte infatti per me è solo un’attività
secondaria, anche se, grazie a Dio, molto importante. La terza ragione è che non so con
certezza se il nostro amico Grimm sia a Parigi. Se è a Parigi, posso sempre partire in
qualunque momento con la diligenza, perché ce n’è una molto carina che da qui va a Parigi
passando per Strasburgo. È quello che avremmo fatto comunque. Anche loro viaggiano così.
II signor Wendling non riesce a consolarsi del fatto che non vado con lui. Penso però che sia
più per interesse che per amicizia. Oltre alla scusa di cui le ho detto nell’ultima lettera, cioè
che in mia assenza sono arrivate tre lettere per me, ho accampato quella degli allievi e l’ho
pregato di trovarmi qualcosa di sicuro perché in tal caso, potendo, lo raggiungerei con
piacere, soprattutto se si trattasse di un’opera. Scrivere un’opera è la mia idea fissa: un’opera
francese piuttosto che una tedesca, e un’opera italiana meglio di ogni altra. Da Wendling sono
tutti convinti che a Parigi il mio modo di comporre piacerebbe moltissimo. La cosa certo non
mi preoccupa in quanto, come lei sa, ho una notevole capacità di assimilare e di imitare
qualunque genere e qualunque stile di composizione. Subito dopo il mio arrivo ho composto
per la signorina Gusti,3 la figlia, una canzone francese 4 di cui lei mi aveva fornito il testo: la
canta in modo incomparabile. Ho l’onore di fargliene omaggio. Dai Wendling la cantano ogni
giorno. Ne vanno proprio matti. Ed ora ecco una satira che hanno scritto a Monaco. Non so se
lei la conosce, comunque gliela scrivo.
SULLA BUSTA
Nell’ultima lettera non le ho parlato del principale pregio della signorina Weber,5 e cioè
che canta in modo superbo il Cantabile. La prego di non dimenticarsi dell’Italia. Questa
povera ma brava Weber gliela raccomando di tutto cuore. Caldamente, come dicono gli
italiani. Le ho dato tre arie della De Amicis,6 e prossimamente le scriverò la scena 7 della
Duschek e quattro arie del Re pastore.' Le ho poi promesso di far venire alcune arie da casa.
Spero che lei vorrà farmi il favore di mandarmele, ma gratis, la prego, farà veramente
un’opera meritoria. Troverà l’elenco delle arie 9 sulla canzone francese, che è stata trascritta
da suo padre, e anche la carta è un suo regalo. E non c’è solo quest’unico foglio. Ora devo
chiudere. Le bacio mille volte le mani, abbraccio mia sorella di tutto cuore, saluti da parte
nostra tutti i buoni amici, in particolare il signor Bullinger. Addio, il suo devotissimo figlio
WMzt
Grazie per le sonate a quattro mani10 e per le variazioni di Fischer.11
*
1 Aggiunta alla lettera della madre.
2 Johann Baptist Joseph Joachim Ferdinand von Schiedenhofen si sposò il 9 febbraio
1778 con Anna Daubrawa von Daubrawaick, figlia di Virgil Christoph Daubrawa von
Daubrawaick, consigliere delle finanze e direttore della zecca.
3 Elisabeth Augusta Wendling.
4 «Oiseaux si tous les ans», K307, su testo di Antoine Ferrand.
5 Aloisia Weber.
6 Cfr. lettera del 4 febbraio 1778, nota 4.
7 Recitativo e aria «Ah, lo previdi» - «Ah, t’invola agli occhi miei», K272, su testo
tratto dall’Andromeda di Paisiello. Mozart l’aveva composta nell’agosto 1777 per Josepha
Duschek, in occasione di un soggiorno di quest’ultima a Salisburgo.
8 Si tratta probabilmente delle seguenti arie: «Alla selva, al prato». «Aer tranquillo e dì
sereni», «Barbaro, oh Dio!» e «L’amerò, sarò costante».
9 È andato perduto. Tre di esse erano tratte dal Lucio Siila: «Il tenero momento», «Fra i
pensier più funesti» e «Pupille amate non lagrimate».
10 K358 e K381.
11 K179.
ALLA CUGINA
[Mannheim, 28 febbraio 1778]
Mademoiselle
ma trés chére Cousine!
Penserà forse o crederà che io sia morto? 1 Che sia crepato? Che abbia tirato le cuoia?
Ma no! Non lo pensi, la prego.
Perché pensare e cacare sono due cose diverse! Come potrei scrivere così bene se fossi
morto? Come sarebbe possibile? Del mio lungo silenzio non voglio scusarmi affatto, perché
tanto lei non mi crederebbe. Eppure quel che è vero è vero! Ho avuto talmente da fare che mi
è avanzato il tempo per pensare alla cuginetta, ma non per scriverle, sicché ho dovuto lasciar
perdere.
Ma ora ho l’onore di chiederle una buona volta come si sente e come si porta. Va sempre
al cesso regolarmente? Non avrà mica la tigna al presente? Le sono simpatico ancora un
pochetto? Scrive spesso con un gessetto? Di quando in quando mi pensa ancora? Ha voglia
d’impiccarsi talora? Si era forse arrabbiata di fatto? Con me povero matto? Se ora la pace non
vuol fare, sentirà sul mio onore cosa faccio scappare!
Ma lei si mette a ridacchiare! Victoria! I nostri culi daranno il segnale della pace!
Pensavo bene che non avrebbe potuto resistermi più a lungo. Sì, sì, son sicuro della faccenda,
dovessi oggi stesso mollare una merda, benché tra poco Parigi mi attenda. Se vuole dunque
darmi risposta, laggiù da Augusta, al più presto bisogna che la scriva, perché io la riceva,
codesta missiva; ché se poi avrò già lasciato questa baracca, altro che lettera, sarà una cacca.
Cacca, cacca! O cacca! O dolce parola!
Cacca! Pappa! Bello! Cacca, pappa! Cacca! Lecca! O che delizia! Che gusto! Cacca,
pappa e lecca! Pappa cacca e lecca cacca. Ma ora passiamo ad altro. Si è già divertita per
benino in questo carnevale? Ad Augusta ora ci si può divertire molto di più che qui a
Mannheim.2 Vorrei trovarmi lì da lei per fare insieme quattro salti come si deve. La mamma
ed io mandiamo molti saluti al suo signor padre e alla sua signora madre, oltre che alla
cuginetta, e speriamo che stiano tutti e tre bene e in buona salute. Noi da parte nostra, grazie a
Dio, stiamo bene. Lo credo bene. Tanto meglio, meglio tanto. A propos, come va con il
francese? Potrò scriverle presto una lettera tutta in francese? Da Parigi, no? Mi dica un po’,
ce l’ha ancora lo spuni cuni fait? Lo credo bene. Prima di chiudere, dato che devo finire tra
poco, perché ho fretta, in quanto ora non ho proprio niente da fare, ed anche perché, come
vede, non ho più spazio, il foglio sta per finire, e poi sono anche stanco, le dita mi bruciano a
forza di scrivere, e infine, anche se ci fosse ancora spazio, non saprei cosa scrivere, se non la
storia che ho intenzione di raccontarle adesso.3 Stia dunque a sentire. Il fatto è accaduto non
molto tempo fa, da queste parti, e ha fatto molto scalpore, perché sembra una cosa
impossibile. E, detto fra noi, non si sa ancora come sia andata a finire. Per dirla in breve, è
accaduto a circa quattro ore da qui: non so più dove, in un villaggio o qualcosa di simile. E in
fondo è proprio lo stesso se era Battilepale, dove gli stronzi finiscono in mare, o Coldito di
sotto, dove ti raddrizzano il buco del culo se ce l’hai storto. Insomma, un posto. E lì c’era un
pastore o pecoraio che fosse, già abbastanza vecchio, ma ancora forte e robusto nell’aspetto;
era celibe, benestante e viveva felice e contento. Prima di andare avanti con il racconto devo
però dirle ancora una cosa, e cioè che costui aveva una voce terribile, che incuteva sempre
spavento a chiunque lo sentisse parlare. Ora, per farla breve, deve sapere che aveva un cane
di nome Bellot, un bel cagnone bianco con delle macchie nere. Dunque, un giorno se ne
andava con le pecore del suo gregge, che erano undicimila. In mano aveva un bastone con un
bel nastro rosa, e questo perché lui non andava mai in giro senza bastone. Era abituato così.
Andiamo avanti. Dopo aver camminato per un’ora buona, si sentì stanco e si sedette sulla riva
di un fiume. Alla fine si addormentò e sognò di aver perduto le sue pecore. Per lo spavento si
svegliò, ma con sua grande gioia vide che le sue pecore c’erano ancora tutte. Alla fine si alzò
e riprese il cammino, ma non per molto. Dopo neppure mezz’ora arrivò infatti ad un ponte,
che era lunghissimo, ma ben protetto sui due lati, in modo che non si potesse cadere giù.
Allora guardò il suo gregge, e siccome doveva raggiungere l’altra sponda, cominciò a
spingere avanti le sue undicimila pecore.
Abbia ora la bontà di aspettare che tutte le undicimila pecore siano passate dall’altra
parte e poi finirò di raccontarle la storia. L’avevo già avvertita che non se ne conosceva
ancora la fine. Spero però che per quando le scriverò ancora le pecore siano ormai passate.
Altrimenti non me ne importa comunque un bel niente. Per me avrebbero potuto anche
restare dall’altra parte. Per il momento bisogna che si contenti. Quello che sapevo gliel’ho
scritto. Ed è meglio che abbia smesso, piuttosto che raccontarle qualche bugia. Così magari
lei non avrebbe creduto all’intera storia, mentre cosi... non crederà nemmeno alla metà. Devo
chiudere, per quanto mi possa seccare: chi comincia deve pur finire, altrimenti la gente fa
soffrire. I miei saluti a tutti gli amici, e chi non ci crede mi lecchi all’infinito, ora e sempre e
in eterno, finché non mi ritorna il senno. E certo allora avrà di che leccare per un bel po’ di
tempo, ed io stesso tremare mi sento; che se la mia merda dovesse terminare, non avrà
abbastanza di che banchettare. Adieu cuginetta. Io sono, ero, sarei, sono stato, ero stato, sarei
stato, o se io fossi, o che io fossi, volesse Dio che io fossi, fui stato, sarò, sarò stato, o se fossi
stato, o che io fossi stato, volesse Dio che io fossi stato... cosa? Uno stoccafisso.
Adieu ma chére Cousine, in qual paese? Rimango sempre il suo sincero cugino
Wolfgang Amadé Mozart
Mannheim, 28 febbraio 1778
*
1 L’ultima lettera alla cugina, Mozart l’aveva scritta il 3 dicembre 1777-
2 Per il lutto proclamato a corte per la morte di Massimiliano III Giuseppe, principe
elettore di Baviera.
3 La storia è già contenuta nel Novellino. Nel Settecento doveva essere piuttosto diffusa:
è ricordata anche da Goldoni.
AL PADRE
Parigi, 1° maggio 1778
Mon Trés cher Pére!
Abbiamo regolarmente ricevuto la sua lettera del 12 aprile, e se non le ho scritto per
tanto tempo è stato proprio perché ero in attesa di una sua lettera; e non deve prendersela con
me se qualche volta le mie lettere si fanno aspettare a lungo; le lettere qui sono molto care e
se non si ha nulla di importante da scrivere non vale la pena di spendere 24 soldi e spesso
anche più. Ho sempre pensato di rimandare di scriverle finché non fossi in grado di
comunicarle qualche novità importante sulla nostra situazione. Ed eccomi invece costretto a
darle notizie di poche e ancora incerte faccende. Sono qui il piccolo violoncellista
Zygmontofsky e il suo cattivo padre.1 Questo forse già l’ho scritto. Glielo dico così per
inciso, essendomi proprio ora ricordato di averlo visto nel luogo di cui voglio parlarle, cioè
dalla signora DucheRe de Chabot. Il signor Grimm mi ha dato una lettera per lei, ed io le ho
fatto visita. Lo scopo della lettera era soprattutto quello di raccomandarmi alla DucheRe de
Bourbon, che a quel tempo 2 si trovava in convento, di ripresentarmi a lei e di richiamarle
alla mente la mia persona. Sono poi passati otto giorni senza la minima notizia. La DucheRe
mi aveva detto di tornare dopo otto giorni: ho mantenuto la parola e sono andato. Ho dovuto
attendere circa mezz’ora in una grande stanza gelida, non riscaldata e priva di camino.
Finalmente si è presentata la duchessa de Chabot, gentilissima, e mi ha pregato di
accontentarmi del pianoforte che era là, poiché nessuno dei suoi era in buono stato, e mi ha
chiesto di provarlo. Ho risposto che sarei stato felicissimo di suonare qualcosa, ma che al
momento era impossibile, perché non sentivo più le dita per il freddo, e l’ho pregata di farmi
almeno condurre in una stanza dove ci fosse un camino acceso. «O oui Monsieur, vous avés
raison» è stata la sua risposta. Quindi si è seduta, mettendosi a disegnare per un’ora intera in
compagnia di altri signori che sedevano tutti in cerchio intorno a un grande tavolo. Così ho
avuto l’onore di aspettare per un’ora intera. Finestre e porte erano aperte. Avevo freddo non
solo alle mani, ma in tutto il corpo e ai piedi; a quel punto ha cominciato a farmi male anche
la testa. Regnava un profondo silenzio. Ed io in tutto quel tempo non sapevo che fare per il
freddo, il mal di testa e la noia. Più volte ho pensato: «Se non fosse per il signor Grimm, me
ne andrei all’istante». Alla fine, per farla finita, ho suonato su quel miserabile, pietoso
pianoforte. Ma il peggio è stato che la signora e tutti quei signori non hanno smesso di
disegnare nemmeno per un istante, ma hanno continuato per tutto il tempo, e così ho dovuto
suonare per le poltrone, i tavoli e i muri. In questa situazione così sgradevole ho perso la
pazienza e mi sono messo a suonare le variazioni di Fischer.3 Ne ho suonato la metà e mi
sono alzato. Allora mi hanno fatto un mucchio di elogi. Ho detto tuttavia quello che dovevo
dire, e cioè che con quel pianoforte non potevo farmi onore e che mi avrebbe fatto molto
piacere scegliere un altro giorno in cui ci fosse un pianoforte migliore, ma lei ha insistito e ho
dovuto aspettare ancora un’ora, finché non è arrivato suo marito.4 Lui però si è seduto al mio
fianco restando ad ascoltarmi con la massima attenzione ed io... io allora ho dimenticato tutto
il freddo e il mal di testa, e nonostante quel miserabile pianoforte ho suonato come suono
quando sono di buon umore. Mi dia il miglior pianoforte d’Europa, ma come auditori gente
che non capisce nulla e che non partecipi con me a quello che sto suonando, e perderò ogni
piacere. Dopo ho raccontato tutto al signor Grimm. Lei mi scrive che devo fare le mie brave
visite, per fare nuove conoscenze e rinnovare quelle vecchie. Ma non è possibile. Qualsiasi
luogo è troppo lontano per andarci a piedi, o troppo sporco, perché a Parigi c’è un fango
indescrivibile. A prendere la carrozza si ha l’onore di spendere 405 franchi al giorno per
niente, perché la gente fa tanti complimenti e basta. Mi invitano per il tale o il talaltro giorno.
Suono, e tutti a dire: «O, c’est un Prodige, c’est inconcevable, c’est étonnant». E con ciò
adieu. All’inizio ho buttato via in questo modo un bel po’ di soldi, e spesso per niente, perché
non ho trovato la gente. Chi non sta qui, non immagina quanto tutto questo sia spiacevole.
Parigi è cambiata molto in ogni senso. I francesi sono ben lontani dall’avere la cortesia di
quindici anni fa: ora sono al limite della volgarità. E terribilmente altezzosi.
Ora devo farle una descrizione del Concert spirituel.5 Di sfuggita devo dirle brevemente
che il mio lavoro per i cori è stato per così dire inutile.6 Il Miserere di Holzbauer è comunque
lungo e non è piaciuto, perciò dei miei cori invece di quattro ne hanno eseguiti solo due. E
così hanno eliminato il meglio. La cosa non ha avuto però molta importanza, perché molti
ignoravano che ci fosse qualcosa di mio, e molti neppure mi conoscevano. Alla prova però ci
sono stati molti applausi ed io stesso, non attribuendo gran peso alle lodi dei parigini, sono
molto soddisfatto dei miei cori. Quanto alla Sinfonie Concertante,7 c’è ancora una
complicazione. Credo però che ci sia sotto dell’altro. Anche qui ho i miei nemici. E dove non
ne ho avuti? Comunque è un buon segno. Ho dovuto comporre questa sinfonia in gran fretta,
impegnandomi molto e i quattro solisti8 ne erano e ne sono assolutamente innamorati. Da
quattro giorni l’ho data a Le Gros per farla ricopiare, ma la trovo sempre nello stesso posto.
L’altro ieri infine non la vedo, cerco bene fra gli spartiti e la trovo nascosta lì in mezzo.
Faccio finta di niente e chiedo a Le Gros: «A propos, la mia sinfonia concertante l’ha già data
da copiare?». «No, me ne sono dimenticato». Poiché naturalmente non gli posso ordinare di
farla copiare ed eseguire, non ho detto nulla. Sono andato al concerto nei due giorni in cui
avrebbe dovuto essere eseguita. Mi sono venuti incontro Ramm e Punto, agitatissimi, e mi
hanno chiesto come mai non veniva eseguita la mia sinfonia concertante. «Non lo so. È la
prima volta che lo sento. Non ne so nulla». Ramm è andato in bestia e là nella sala s’è
infuriato in francese con Le Gros, che non era bello da parte sua, ecc. Quello che più mi secca
in tutta la faccenda è che Le Gros mi abbia tenuto del tutto all’oscuro. Sono l’unico che non
'deve sapere nulla. Avesse almeno addotto una scusa, che c’era troppo poco tempo o qualcosa
del genere; invece, niente. Credo però che la causa di tutto sia Cambini, un maestro italiano
che si trova qui e che, senza volerlo, ho messo in ombra durante il nostro primo incontro da
Le Gros. Ha composto dei quartetti, molto graziosi, uno dei quali l’ho ascoltato a Mannheim;
per questo glieli ho elogiati, suonandone anche l’inizio. C’erano però Ritter, Ramm e Punto
che non mi hanno dato pace: dovevo continuare e quello che non sapevo dovevo inventarlo.
Così ho fatto. E Cambini era completamente fuori di sé e non ha potuto trattenersi dal dire:
«Questa è una gran Testa!». Insomma, non gli sarà piaciuto. Se la gente in questa città avesse
almeno orecchio e cuore per sentire e capisse qualcosa di musica e avesse gusto, riderei di
cuore di tutte queste cose, ma qui, per quel che riguarda la musica, sono veramente
circondato da animali e da bestie. E come potrebbe essere altrimenti? In ogni loro azione
entusiasmo e passione non sono per nulla diversi. Non c’è nessun altro luogo al mondo come
Parigi. Non deve credere che io esageri, quando parlo così della musica di qui. Si rivolga a
chiunque, tranne che ad un francese di nascita, e le dirà la stessa cosa, se è qualcuno in cui si
possa riporre fiducia. Ma sono qui e devo resistere, per amor suo. Ringrazio Dio onnipotente
se potrò venirmene via di qui con un gusto incontaminato. Prego ogni giorno Iddio affinché
mi conceda la grazia di riuscire a resistere in questa città facendo onore a me e all’intera
nazione tedesca, perché tutto è per maggiore onore e gloria sua; e che mi conceda di fare
fortuna e di guadagnare bene, affinché sia in grado di aiutarla a risolvere la triste situazione
attuale e di fare in modo che ci si riunisca presto e che si possa vivere insieme felici e
contenti. Per il resto sia fatta la sua volontà cosi in cielo come in terra. La prego però,
carissimo papà, di fare nel frattempo il possibile affinché io possa presto rivedere l’Italia e
ritornare a vivere dopo tutto ciò che ho passato. Mi dia questa gioia, la prego! Ora la prego
però di mantenersi sereno. Io mi farò strada come posso, se solo riuscirò a venirne fuori
intero. Adieu. Le bacio mille volte le mani, abbraccio mia sorella di tutto cuore e rimango il
suo devotissimo figlio
Wolfgang Amadé Mozart
*
1 Di loro si sa soltanto che avevano dato un concerto nel municipio di Salisburgo il 31
maggio 1777.
2 Nel 1763. Cfr. lettera del 5 febbraio 1778.
3 K179.
4 Louis-Antoine-Auguste de Rohan, duca di Chabot.
5 II Concert spirituel nella sala svizzera delle Tuileries era stato fondato il 18 marzo 1725
da Anne Danican-Philidor. Prima istituzione concertistica stabile a Parigi, era dotato di
un’orchestra e di un coro.
6 Otto pezzi a completamento del Miserere di Holzbauer (K297a), andati perduti.
7 K Anh. 9 (K6297b).
8 Flauto: Johann Baptist Wendling; oboe: Friedrich Ramm; corno: Jan Vaclav Stich
(Giovanni Punto); fagotto: Georg Wenzel Ritter.
AL PADRE 1
[Parigi, 12 giugno 1778]
Ora però bisogna che le scriva qualcosa anche sul signor Raaff. Si ricorderà senz’altro
che da Mannheim non le ho parlato troppo bene di lui, che non ero contento di come cantava
e che, insomma, non mi era per nulla piaciuto. In verità devo dire che a Mannheim non
l’avevo, per così dire, sentito affatto. L’ho ascoltato per la prima volta alla prova del
Giinther2 di Holzbauer; indossava i propri abiti, con il cappello in testa e il bastone in mano.
Quando non cantava, stava lì come un bambino nella merda. Quando ha cominciato a cantare
il primo recitativo è andata passabilmente, ma a tratti lanciava un grido che non mi è piaciuto;
le arie le ha cantate con una certa indolenza e alcune note con eccessivo vigore. Non era cosa
per me. È un’abitudine che ha avuto sempre e che forse gli viene dalla scuola di Bernacchi. È
infatti un allievo di Bernacchi. A corte ha cantato sempre arie che a mio avviso non gli si
addicevano per nulla, e così non mi è piaciuto affatto. Qui infine, quando ha debuttato nel
Concert spirituel, ha cantato la scena di Bach3 «Non so d’onde viene» che tra l’altro è la mia
aria preferita, e questa è stata la prima volta che l’ho sentito cantare. Ma la maniera in sé e
per sé, la scuola di Bernacchi, non è di mio gusto. Per me concede troppo al cantabile. Posso
ammettere che quando era più giovane, nel fiore degli anni, avrà fatto il suo effetto, avrà
sbalordito. Piace anche a me, però secondo me esagera e spesso lo trovo ridicolo. Quello che
mi piace in lui è il suo modo di cantare certe piccole cose, certi andantini. E anche certe arie,
che sa cantare in modo personale. A ciascuno il suo. Suppongo che il suo punto di forza fosse
la Bravura, il che si nota ancora in lui, per quanto lo consente l’età. Buoni polmoni e molto
fiato; e poi... questo andantino. La sua voce è bella e molto gradevole. Se chiudo gli occhi
quando l’ascolto trovo in lui molti punti in comune con Meissner, solo che la voce di Raaff
mi sembra ancora più gradevole. Mi riferisco ad ora, non avendo sentito né l’uno né l’altro
nei loro tempi migliori. Posso parlare quindi solo della maniera o del metodo di cantare,
perché questa è una cosa che nei cantanti resta. Meissner, come lei sa, ha la brutta abitudine
di far vibrare spesso la voce a bella posta. Nella nota tenuta distingue le semiminime e
perfino le crome. E questo non l’ho mai potuto soffrire in lui. Del resto è una cosa veramente
orribile. È un modo di cantare assoluta-mente contro natura. La voce umana vibra di per sé,
ma in un modo e in una misura tale che è bella. Questa è la natura della voce. La si imita in
questo non solo con gli strumenti a fiato, ma anche con quelli ad arco, e perfino con il
pianoforte. Ma non appena si superano i limiti non è più bella, in quanto è contro natura. Mi
fa lo stesso effetto dell’organo quando si dà fiato al mantice. Raaff non ha questo difetto e
neppure lui può soffrirlo. Per quanto riguarda il vero e proprio cantabile, però, Meissner, pur
non piacendomi neppure lui del tutto, perché anch’egli esagera, lo preferisco a Raaff. Nella
bravura invece, nelle fiorettature e nei gorgheggi Raaff è un maestro. E poi la sua pronuncia,
buona e chiara... è veramente bello. E poi, come ho già detto, l’andantino o le piccole
canzonette. Ha composto quattro lieder tedeschi che sono proprio carini. Siamo ottimi amici.
Viene da noi quasi tutti i giorni. Finora sono stato certo almeno sei volte a pranzo dal conte
Sickingen, ambasciatore del Palatinato. Ogni volta si resta dall’una alle dieci, ma il tempo in
casa sua passa così rapidamente che uno
non se ne accorge. Mi ha in grande simpatia. Anch’io però mi trattengo molto volentieri
con lui. È un signore molto gentile e pieno di giudizio, che ha tanto buon senso e capisce
davvero la musica. Oggi sono stato di nuovo da lui con Raaff. Gli ho portato varie cose mie,
perché (già da tempo) me lo aveva chiesto. Oggi ho preso la nuova sinfonia,4 che ho appena
terminato e con cui si aprirà il Concert spirituel il giorno del Corpus Domini. È piaciuta
moltissimo ad entrambi e anch’io ne sono molto soddisfatto. Non so se piacerà, e a dire il
vero me ne importa pochissimo. E dopo tutto, a chi non piacerà? Ai pochi francesi di buon
senso che saranno presenti posso garantire che piacerà; agli stupidi... non mi pare una gran
sciagura se non piacerà loro. Spero comunque che anche i somari vi trovino qualcosa di loro
gusto; e poi non ho mancato di dare ogni risalto al Premier Coup d’archet! 5 E tanto basti.
Questi animali di qui gli danno tanta importanza! Che diavolo! Io non noto alcuna differenza.
Attaccano anche loro insieme-come dappertutto. Roba da ridere. Raaff a questo proposito mi
ha raccontato una storia di Abaco. A Monaco o da qualche altra parte un francese gli ha
domandato: «Monsieur, vous avés etè à Paris?». «Oui». «Est-ce que vous étiés au Concert
spirituel?». «Oui». «Que dites vous du Premier coup d’archet? Avés vous entendu le premier
coup d’archet?». «Oui, j’ai entendu le premier et le dernier». «Comment le dernier? Que veut
dire cela?». «Mais oui, le premier et le dernier. Et le dernier mème m’a donnè plus de
plaisir». Ora devo chiudere. La prego di trasmettere i miei ossequi ad ogni buon amico e
amica, in particolare al signor Bullinger. Le bacio mille volte le mani, abbraccio mia sorella
di tutto cuore e rimango il suo devotissimo figlio
Wolfgang Amadé Mozart
*
1 Aggiunta a una lettera della madre.
2 Gunther von Schwarzburg (1777), opera di Ignaz Jacob Holzbauer.
3 Johann Christian Bach. La scena in questione è tratta dall’opera Ezio, eseguita per la
prima volta a Londra il 24 novembre 1764, durante il soggiorno della famiglia Mozart in
quella città.
4 K297, detta Pariser Sinfonie, eseguita per la prima volta il 18 giugno 1778 al Concert
spirituel.
5 Cosi era chiamato il vigoroso «tutti» con cui si apriva una sinfonia.
AL PADRE
Paris ce 3 de julliet 1778
Monsieur
mon trés cher Pére!
Devo darle una notizia molto spiacevole e triste: è questa la ragione per cui non ho
potuto rispondere prima alla sua ultima dell’*.
La mia cara mamma è molto malata.1 Com’è sua abitudine, si è fatta fare un salasso e ce
n’era davvero bisogno; infatti in seguito è stata benissimo. A distanza di alcuni giorni ha però
accusato dei brividi e le è venuta la febbre, la diarrea e il mal di testa. All’inizio siamo ricorsi
ai nostri rimedi domestici, alla polvere antispasmodica2; avremmo utilizzato volentieri anche
la polvere nera, ma non ne avevamo e qui non siamo riusciti a procurarcela, non la conoscono
neppure sotto il nome di Pulvis epi-lecticus. Poiché però le sue condizioni peggioravano
continua-mente - parlava con difficoltà, aveva perso l’udito al punto che bisognava gridare -
il barone Grimm ci ha mandato il suo medico. È molto debole, ha ancora la febbre e delira.
Mi danno qualche speranza, io però non ne ho molta. Già da tempo vivo giorno e notte tra
timore e speranza. Ma mi sono affidato completamente alla volontà di Dio e spero che anche
lei e la mia cara sorella facciate altrettanto. Esiste forse un’altra possibilità per essere sereni?
Relativamente sereni, intendo, perché non si può mai esserlo del tutto. Resterò di buon
animo, comunque vadano le cose, sapendo che comunque si farà la volontà di Dio, che
dispone sempre ogni cosa per il nostro bene, anche quando tutto sembra precipitare. Credo
infatti, e nessuno potrà mai convincermi del contrario, che nessun dottore, nessuna persona,
nessuna disgrazia, nessun caso possano dare o togliere la vita a un essere umano, ma che solo
Dio possa farlo. Questi non sono che gli strumenti di cui si serve normalmente, e neppure
sempre: ci capita di vedere, infatti, persone che si accasciano, che stramazzano a terra e sono
già morte. Quando giunge l’ora, tutti i rimedi sono vani e piuttosto che impedire la morte, la
rendono più rapida. L’abbiamo visto con l’amico Heffner, buon’anima. Con questo non
voglio dire che mia madre morirà e che deve morire, che non ci sono più speranze. Può
ristabilirsi e stare in buona salute, a patto che Dio lo voglia. Dopo averlo pregato con tutte le
mie forze per la salute e la vita della mia cara mamma, mi abbandono volentieri a simili
pensieri e a simili consolazioni, perché dopo mi sento più forte, più tranquillo e più sereno. E
le sarà facile immaginare quanto ne abbia bisogno. Ma ora passiamo ad altro; lasciamo questi
tristi pensieri. Speriamo, ma non troppo; confidiamo in Dio e consoliamoci con il pensiero
che è giusto tutto ciò che accade secondo la volontà dell’onnipotente, sapendo egli meglio di
noi tutti cosa sia utile e vantaggioso per la nostra felicità e per la nostra salute, sia terrena che
eterna.
Ho dovuto comporre una sinfonia3 per aprire il Concert spirituel. È stata eseguita il
giorno del Corpus Domini fra il plauso generale. A quanto mi dicono, ne è stata fatta
menzione nel Couriere de L’europe4: è dunque piaciuta oltre ogni misura. Alla prova ero
molto preoccupato, non avendo mai sentito in vita mia nulla di peggio; non si può
immaginare come abbiano stravolto e straziato la mia sinfonia per due volte consecutive. Ero
davvero molto preoccupato. L’avrei volentieri eseguita un’altra volta, ma poiché bisogna
provare sempre tanti pezzi, non c’era più tempo. Cosi me ne sono dovuto andare a letto col
cuore inquieto e con l’animo irato e scontento. Il giorno dopo avevo deciso di non andare
affatto al concerto, ma la sera il tempo si era messo al bello ed io mi sono risolto ad andare,
deciso, se avessero suonato male come alla prova, di andare in mezzo all’orchestra, togliere il
violino al signor La Houssaye, primo violino, e dirigere io stesso. Ho pregato Iddio di farmi
la grazia che andasse bene, essendo tutto a suo maggiore onore e gloria, ed ecco, la sinfonia è
cominciata, Raaff stava accanto a me e proprio a metà del primo allegro c’era un passaggio
che sapevo bene che doveva piacere: tutti gli ascoltatori ne sono stati rapiti ed è scoppiato un
grande applauso. Poiché nel comporlo ero ben conscio dell’effetto che avrebbe prodotto,
l’avevo nuovamente inserito alla fine... e così stessa accoglienza Da capo. È piaciuto anche
l’andante, ma soprattutto l’allegro finale. Poiché avevo sentito che qui tutti gli allegri finali
cominciano come quelli iniziali, con tutti gli strumenti insieme e per lo più all’unisono, io ho
cominciato solo con due violini, piano per otto battute, e immediatamente dopo con un forte.
In questo modo gli ascoltatori, come previsto, al momento del Piano hanno fatto sst, poi è
venuto immediatamente il forte e sentire il forte e battere le mani per loro è stato tutt’uno.
Così per la felicità subito dopo la sinfonia sono andato al Palais Royal a gustarmi un buon
gelato,5 ho recitato il rosario come avevo promesso e sono rientrato a casa. Restare in casa è
ciò che preferisco e che sempre preferirò, oppure da un buon tedesco, sincero ed onesto, che
se è celibe vive per conto suo da buon cristiano e se è sposato ama sua moglie ed educa bene i
suoi figli.
Ora le comunico una notizia che lei forse già conosce: Voltaire, quella gran canaglia
senza Dio, è crepato,6 per cosi dire, come un cane, come una bestia. Ecco la sua ricompensa!
Con la Thresel,7 come scrive lei, è in arretrato di cinque quarti di paga. Che io non mi trovi
bene, l’avrà già notato da tempo. Di motivi ne ho tanti, ma poiché ormai mi trovo qui non
servono a niente. Non è per mia colpa e non lo sarà mai, ma farò il possibile con tutte le mie
forze. Ebbene, Dio rimedierà a tutto. Ho in mente qualcosa per cui prego Iddio8 ogni giorno.
Se lui vorrà, si farà, e se non lo vorrà, sarò ugualmente contento. Potrò almeno dire d’aver
fatto il possibile. Se tutto procedesse per il meglio secondo i miei desideri, anche lei dovrebbe
intervenire, altrimenti l’intera opera resterebbe incompleta. Confido che nella sua bontà lo
farà immancabilmente. Ora però non stia a perdersi in inutili congetture. La prego fin d’ora di
concedermi di non chiarire i miei progetti prima del tempo.
Per l’opera il problema più arduo è procurarsi un buon testo poetico. Quelli vecchi, che
sono i migliori, non sono adatti allo stile moderno e quelli nuovi non valgono nulla; che la
poesia, l’unica cosa di cui i francesi, un tempo, potessero essere fieri, peggiora di giorno in
giorno. E la poesia è appunto l’unica cosa che deve essere buona, da queste parti, visto che
non capiscono la musica. Ora ci sono in aria due opere che potrei comporre, una in due atti,
l’altra en trois. Quella en deux atti è Alexandre et Roxeane. Il poeta che la sta scrivendo si
trova però ancora in campagna. Quella in tre è Demofoonte (di Metastasio), già tradotta e
frammista di cori e danze, e nel complesso adattata al teatro francese.9 Anche di questa non
ho ancora potuto vedere nulla.
Mi scriva se a Salisburgo ha i concerti di Schròter.10 E le sonate di Hiillmandel? 11
Volevo comprarle e mandargliele. Sono opere molto belle. Quanto a Versailles,12 non ci ho
mai pensato seriamente. Ho ascoltato in proposito anche i consigli del barone Grimm e di
altri buoni amici: la pensavano tutti come me.
Il compenso è minimo, e bisogna languire per sei mesi in un luogo in cui non esiste altra
possibilità di guadagno e seppellire il proprio talento. Perché chi è al servizio del re, a Parigi
cade nell’oblio. E poi organista! Sarei molto contento di avere un buon posto, ma solo come
maestro di cappella, e ben pagato.
Ed ora stia bene, abbia cura della sua salute, confidi in Dio e troverà conforto. La mia
cara mamma è nelle mani dell’onnipotente. Se lui vorrà lasciarcela, come mi auguro, lo
ringrazieremo per questa grazia, ma se la vorrà prendere con sé, a nulla servirà angosciarsi,
preoccuparsi e disperarsi. Rimettiamoci piuttosto fermamente alla sua divina volontà, con la
piena convinzione che tutto avverrà per il nostro bene, non facendo egli nulla senza ragione.
Stia dunque bene, carissimo papà, e conservi la sua salute. Le bacio mille volte le mani,
abbraccio mia sorella di tutto cuore e rimango il suo devotissimo figlio
Wolfgang Amadè Mozart
*
1 Quando Mozart scrive questa lettera la madre in realtà è già morta da alcune ore.
2 II pulvis antispasmodicus tìallensis conteneva salnitro, solfato di calcio cinabro, gusci
di ostrica e un preparato di antimonio. Si riteneva avesse effetto preventivo e terapeutico per
gli stati spastici. Il pulvis epilecticus niger era una sostanza sudorifera.
3 K297. Cfr. lettera precedente, nota 4.
4 Nel «Courrier de l’Europe» (Londra) del 26 giugno 1778.
5 In uno dei caffè situati lungo il colonnato che circondava i giardini del Palais Royal.
6 Voltaire era morto il 30 maggio.
7 Therese Pànckl, domestica della famiglia Mozart.
8 Allude probabilmente ai suoi progetti matrimoniali.
5 Non se ne fece nulla con nessuna delle due.
10 Probabilmente si tratta dei 6 Concertos for the harpsichord or pianoforte con
accompagnamento di due violini e basso, op. 3, pubblicati a Parigi intorno al 1775. Mozart
scrisse delle cadenze per tre di questi concerti (K624/626a).
11 Probabilmente le Trois Sonates pour le Clavecin ou le Pianoforte, Oeuvre IV (1778),
dedicate al duca di Guines.
12 All’inizio di maggio era stato offerto a Mozart il posto di organista a Versailles, con
uno stipendio annuo di 2.000 franchi.
ALL’ABATE JOSEPH BULLINGER
Paris, ce 3 julliet 1778
Amico carissimo!
Solo per lei.
Pianga con me, amico mio! Questo è stato il giorno più triste della mia vita. Scrivo alle
due di notte. Ed è necessario che glielo comunichi: mia madre, la mia cara madre, non è più.
Dio l’ha chiamata a sé, l’ho visto bene, e perciò mi sono rimesso alla sua volontà. Lui me
l’aveva data, lui poteva quindi togliermela. Si immagini solo tutta l’agitazione, le
preoccupazioni e l’angoscia in cui ho vissuto in questi ultimi quattordici giorni. È morta
ormai priva di coscienza, si è spenta come si spegne un lume. Tre giorni prima si è
confessata, si è comunicata e ha ricevuto l’estrema unzione. Negli ultimi tre giorni però ha
delirato costantemente e oggi alle 5 e 21 minuti è entrata in agonia, perdendo subito i sensi e
la conoscenza. Io le stringevo la mano, le parlavo, ma lei non mi vedeva, non mi udiva e non
sentiva più nulla. Ed è rimasta cosi fin quando non è spirata, cinque ore dopo, alle io e 21
minuti della sera. Erano presenti, oltre a me, un nostro buon amico, il signor Haina, che anche
mio padre conosce, e l’infermiera. Oggi mi è impossibile descriverle tutto il decorso della
malattia. Penso che doveva morire, perché questa era la volontà di Dio. Nel frattempo la
prego solo di farmi un servizio da amico, di preparare gradatamente il mio povero padre alla
triste notizia. Gli ho scritto con questa stessa posta, dicendogli però soltanto che è gravemente
malata. Attendo una risposta per poter decidere il da farsi. Che Dio gli infonda forza e
coraggio! Amico mio! Mi sono rassegnato non da ora, ma già da molto tempo. Per una
particolare grazia di Dio ho sopportato tutto con animo fermo e tranquillo. Quando il suo
stato si è aggravato, ho chiesto a Dio soltanto due cose: un trapasso sereno per mia madre e
forza e coraggio per me; e il buon Dio mi ha esaudito concedendomi entrambe le grazie nella
massima misura.
Dunque la prego, amico carissimo, mi conservi mio padre, gli infonda coraggio con le
sue parole, affinché il colpo non sia per lui troppo duro quando dovrà conoscere il peggio. Le
raccomando con tutto il mio cuore anche mia sorella. La prego, vada subito a trovarli, non
dica loro che è già morta, ma li prepari soltanto alla notizia. Faccia quello che ritiene più
opportuno, usi ogni mezzo. Procuri solo che io possa stare tranquillo e che non debba temere
un’altra sventura. Mi conservi il padre mio diletto e la mia cara sorella. Mi risponda subito, la
prego. Adieu. Il suo
devotissimo e obbligatissimo servitore Wolfgang Amadè Mozart
Per precauzione 1 :
Rue du gros chenet vis à vis celle du croiftant à l’hótel des quatre fils aimont.
*
1 Indirizzo del secondo alloggio parigino, dove Mozart si era trasferito con la madre ad
aprile.
AL PADRE
Paris ce 9 juillet 1778
Monsieur
mon Trés cher Pére!
Spero che sarà pronto a ricevere con animo fermo una notizia delle più tristi e dolorose;
la mia ultima del 3 l’avrà preparata a non attendersi nulla di buono. Quello stesso giorno, il 3,
alle io e 21 minuti della sera, mia madre ha serenamente reso l’anima a Dio; quando le ho
scritto, già godeva delle gioie celesti. Tutto era già finito. Le ho scritto nella notte. Spero che
lei e la mia cara sorella mi perdoneranno questo piccolo e tanto necessario inganno.
Giudicando infatti dalla mia sofferenza e dal mio dolore quale sarebbe stato il vostro, non ho
avuto cuore di sorprendervi cosi all’improvviso con questa spaventosa notizia. Ora però spero
che siate entrambi preparati a sentire il peggio, e dopo molto dolore e molto pianto, così
naturali e fin troppo giusti, a rimettervi alla volontà di Dio e a venerare la sua
imperscrutabile, infinita e savissima provvidenza. Potrà facilmente immaginare quanto abbia
sofferto, di quanto coraggio e di quanta fermezza abbia avuto bisogno per sopportare con
rassegnazione il progressivo, continuo aggravarsi e peggiorare della situazione. Pure, il buon
Dio mi ha concesso questa grazia. Ho sofferto molto, ho pianto molto, ma a cosa poteva
servire? E dunque ho dovuto consolarmi; fate anche voi così, caro padre mio e cara sorella!
Piangete, piangete tutte le vostre lacrime, ma poi consolatevi. Pensate che l’onnipotente ha
voluto così. E cosa vogliamo mai fare contro la sua volontà? Piuttosto preghiamo e
ringraziamolo che tutto sia finito per il meglio, essendo lei morta molto serenamente. In
quelle tristi circostanze tre cose mi hanno dato conforto: il mio totale e fiducioso abbandono
alla volontà di Dio, l’aver assistito alla sua morte, così dolce e così bella, che mi ha fatto
capire quanto fosse divenuta felice in un istante, e quanto più felice sia ora di noi, al punto
che ho desiderato di partirmene con lei in quell’istante. E da questo desiderio, da questa
brama è nato il mio terzo motivo di conforto: la certezza che non l’abbiamo perduta per
sempre, che la rivedremo ancora, che saremo insieme più contenti e più felici di quanto lo
siamo stati in
questo mondo. È solo il momento che ignoriamo, ma ciò non mi fa paura: quando Dio
vorrà, anch’io lo vorrò. Ora si è compiuta la santissima volontà divina: recitiamo dunque
devotamente un padre nostro per l’anima sua e passiamo ad altro. Tutto ha il suo tempo.
Scrivo questa lettera a casa della signora d’Epinay e del signor Grimm, dove ora
alloggio 1 : ho una gra2Ìosa cameretta con una vista molto piacevole e, per quanto me lo
permette il mio stato, sono contento. E potrò esserlo ancora di più se sentirò che il mio caro
papà e la mia cara sorella si sono interamente abbandonati, con rassegnazione e fermezza
d’animo, alla volontà del Signore, affidandosi a lui con tutto il loro cuore, nel saldo
convincimento che egli dispone ogni cosa per il nostro bene. Carissimo padre! si abbia
riguardo. Sorella carissima, riguardati. Tu non hai ancora goduto nessun frutto del buon cuore
di tuo fratello, perché egli non era ancora in grado di offrirtene. Miei carissimi, abbiate cura
della vostra salute. Pensate che avete un figlio, un fratello, che utilizzerà tutte le sue forze per
rendervi felici, ben sapendo che un giorno non vi opporrete alla sua felicità né a un desiderio
che certamente gli fa onore, e che anche voi farete di tutto per renderlo felice.2 Oh! Allora
vivremo cosi tranquilli, onorati e contenti quanto almeno è possibile su questa terra. E infine,
quando Dio vorrà, ci ritroveremo nel luogo a cui siamo destinati e per cui siamo stati creati.
Ho ricevuto regolarmente la sua ultima lettera del 29 giugno, da cui ho appreso con
gioia che, grazie a Dio, state entrambi bene. Dell’ubriacatura di Haydn3 ho dovuto ridere di
cuore: se fossi stato presente, di sicuro gli avrei bisbigliato immediatamente all’orecchio
«Adlgasser».4 È una vergogna che un uomo così capace si ponga per propria colpa
nell’impossibilità di compiere il suo dovere, in una funzione che è ad onore di Dio, quando
sono presenti l’arcivescovo e l’intera corte e tutta la chiesa è affollata. È disgustoso. Ecco
un’altra delle principali ragioni che mi rendono odiosa Salisburgo: questa orchestra di corte,
grossolana, stracciona e dissoluta. Un uomo onorato, che ha un’educazione, non può vivere
con loro. Invece di prendersi cura di loro, deve vergognarsene. E poi, forse proprio per questo
motivo, la musica da noi non è amata e non gode di alcuna considerazione. Certo, se
l’orchestra fosse
organizzata come a Mannheim! La disciplina che vi regna! L’autorità che ha
Cannabich! Là si fa tutto seriamente. Can-nabich, il miglior direttore che io abbia mai
conosciuto, è amato e temuto dai suoi subordinati. È stimato anche in tutta la città, e così i
suoi soldati. Però questi si comportano in modo diverso. Hanno buone maniere, sono ben
vestiti, non vanno ad ubriacarsi nelle osterie. Ma lì da lei questo non è possibile, a meno che
il principe non si affidi a lei o a me e ci dia pieni poteri, il che per la musica è sempre
necessario, altrimenti non c’è niente da fare. Perché a Salisburgo, per quel che riguarda
l’orchestra, comandano tutti e... nessuno. Se dovessi occuparmene io, vorrei avere la massima
libertà d’azione. A proposito dell’orchestra, per tutto ciò che la riguarda il maggiordomo 5
non dovrebbe avere nulla da dirmi. Perché un cavaliere non può fare il maestro di cappella,
mentre un maestro di cappella può ben fare il cavaliere. A proposito, il principe elettore 6 ora
è nuovamente a Mannheim. Anche la signora Cannabich e suo marito: siamo in
Corespondance. Se non succede quello che temo, il che sarebbe un gran peccato, e cioè che
l’orchestra venga molto ridotta, io continuo sempre a sperare. Lei sa che non desidero altro
che un buon posto, di buon livello e ben retribuito, dovunque sia, purché in un paese
cattolico. Con il conte Starnbock,7 e in genere in tutta la faccenda, lei si è comportato in
modo magistrale, come un novello Ulisse: continui così, non si lasci ingannare. Stia
particolarmente in guardia se le capita di parlare con quell’oca da ingrasso *; io la conosco,
mi creda: ha la bocca piena di zucchero e di miele, ma la testa e il cuore colmi di pepe.
Naturalmente tutta la faccenda sta ancora in alto mare e mi dovranno fare molte concessioni
prima che possa decidermi in questo senso, e comunque, anche se tutto si sistemasse per il
meglio, preferirei essere da un’altra parte piuttosto che a Salisburgo. Ma non ho da
preoccuparmi: difficilmente mi concederanno tutto, perché è molto. Tuttavia niente è
impossibile. Se ogni cosa si sistemasse per il meglio non esiterei, se non altro per avere la
gioia di essere accanto a lei. Ma se i salisburghesi mi vogliono, devono soddisfare me e tutti i
miei desideri: altrimenti non mi avranno di certo. Anche il prelato di Baumburg 9 si è dunque
spento, morendo come ogni altro prelato! Che fosse morto il prelato di Santa Croce 10 non
l’avevo saputo e mi dispiace molto, era un uomo molto onesto e dabbene. Lei dunque non
avrebbe mai creduto che il decano Zoschinger 11 sarebbe diventato prevosto? Io, sul mio
onore, non ho mai pensato nulla di diverso, e neppure saprei dire chi avrebbe potuto
diventarlo, se non lui. Sì, certo, un buon prelato per la musica. La passeggiata quotidiana
della gentile signorina con il suo fedele lacchè non è dunque rimasta senza frutto?12 Però
sono stati zelanti, non sono rimasti in ozio: l’ozio è il padre di tutti i vizi. Ecco finalmente una
commedia domestica che è riuscita ad andare in porto! Ma quanto durerà? Credo che la
contessa von Lodron 13 non vorrà più sentire una musica del genere.14 Czernin è un giovane
scervellato, e Brunetti uno zotico. Domani partirà di qui il mio amico Raaff; passando per
Bruxelles, andrà ad Aquisgrana e a Spa e poi a Mannheim. Mi avvertirà subito del suo arrivo,
perché staremo in corrispondenza. Anche se non vi conosce, manda i suoi saluti a lei e a mia
sorella. Lei scrive che da tempo non sente più parlare della mia allieva di composizione.15
Lo credo bene: che cosa dovrei dirle? Non è fatta per comporre, è tutta fatica sprecata. In
primo luogo è profondamente scema, e poi è profondamente pigra. Per l’opera 16 le ho già
risposto nella mia ultima lettera. Quanto al balletto 17 di Noverre, non ho mai scritto altro, se
non che forse ne farà uno nuovo. Aveva bisogno proprio di un mezzo balletto ed io gli ho
composto la musica. Ci sono, per meglio dire, parti scritte da altri, consistenti in vecchie,
miserabili arie francesi, mentre la sinfonia e le Con-tredance, in tutto dodici pezzi, le ho
composte io.18 Questo balletto è stato già dato quattro volte con il più grande successo. Ora
però non voglio scrivere nulla, se prima non so quale sarà il mio guadagno, essendo questa
una cortesia che ho fatto a Noverre. Il signor Wendling è partito di qui l’ultimo giorno di
maggio. Per vedere il barone Bagge dovrei avere un’ottima vista, dato che non è qui, ma a
Londra. Possibile che io non l’abbia scritto? Le assicuro che d’ora in poi risponderò
accuratamente a tutte le sue lettere. Si dice che il barone Bagge tornerà presto ed io ne sarei
molto lieto. Per molte ragioni, ma soprattutto perché da lui c’è la possibilità di fare delle
prove come si deve.19 Presto sarà qui anche il maestro di cappella Bach.20 Credo che
scriverà un’opera: i francesi sono e restano dei veri somari, non sanno far niente, devono
ricorrere a degli stranieri. Con Piccinni21 ho parlato al Concert spiri-tuel: è molto gentile con
me ed io con lui, quando ci incontriamo così per caso. Per il resto non ho rapporti con
nessuno, né con lui, né con altri compositori. Io so il fatto mio e loro pure, e questo basta.
Come la mia sinfonia 22 al Concert spirituel abbia avuto un successo incomparabile, già l’ho
scritto. Se mi commissioneranno un’opera avrò noie a sufficienza. Non ci farei però tanto
caso, considerando che ci sono già abituato, se solo questa maledetta lingua francese non
fosse così infame per la musica! È una cosa da far pietà: quella tedesca al confronto è divina.
E poi anche i cantanti e le cantanti! Non bisognerebbe neppure chiamarli così, perché non
cantano: gridano, urlano a squarciagola, dal naso e dal gargarozzo. La prossima quaresima
dovrò comporre un oratorio francese per il Concert spirituel.23 Il signor Le Gros, il direttore,
ha per me una simpatia straordinaria. Deve sapere che io, sebbene prima vi andassi ogni
giorno, da Pasqua non ero più stato da lui, seccato per il fatto che non aveva eseguito la mia
sinfonia concertante.24 Andavo spesso in quella casa per far visita al signor Raaff e dovevo
sempre passare davanti ai loro appartamenti. I camerieri e le domestiche mi vedevano ogni
volta, e ogni volta facevo loro porgere i miei saluti. È proprio un peccato che non l’abbia
eseguita, sarebbe piaciuta molto. Ora un’occasione simile non si ripresenterà più: come potrà
riunire quattro persone come quelle?25 Un giorno che volevo far visita a Raaff, lui non era in
casa e mi hanno assicurato che sarebbe tornato di lì a poco. Allora ho aspettato. Il signor Le
Gros è entrato nella stanza. «È un miracolo avere ancora una volta il piacere di rivederla!».
«Eh sì, ho così tanto da fare». «Ma oggi resta a pranzo da noi, vero?». «La prego di scusarmi,
ho già un impegno». «Signor Mozart, bisogna che passiamo di nuovo un giorno insieme».
«Sarà un piacere per me». Lunga pausa. «A proposito, non vuole scrivermi una grande
sinfonia per il Corpus Domini?». «Perché no?». «Ma ci posso contare?». «Oh sì, se solo potrò
contare a mia volta che verrà eseguita e che tutto non finirà come con la sinfonia
concertante». Allora è cominciata la musica. Si è scusato come meglio ha potuto, ma non ha
saputo dire molto. Per farla breve, la sinfonia ha avuto pieno successo e Le Gros ne è tanto
contento che va dicendo che è la sua migliore sinfonia. L’andante però non ha avuto la
fortuna di soddisfarlo: dice che c’è troppa modulazione e che è troppo lungo. Ma questo
dipende dal fatto che il pubblico s’è dimenticato di produrre, battendo le mani, un clamore
così forte e ininterrotto, come al primo e all’ultimo pezzo. Perché a me, a tutti gli intenditori,
agli amatori e alla maggior parte degli ascoltatori l’andante piace moltissimo. È esattamente il
Contraire di quello che dice Le Gros: è del tutto naturale... e corto. Ma per fare contento lui e,
a sentir lui, parecchi altri, ne ho composto un altro.26 Vanno bene entrambi, ognuno nel suo
genere, giacché ciascuno ha un Caractére diverso: l’ultimo però mi piace ancora di più. Ad
una buona occasione le manderò la sinfonia con il Metodo di violino,11 dei pezzi per
pianoforte 28 e il libro di Vogler Scienza musicale e arte della composizione 29 e voglio poi
sentire il suo parere al riguardo. Il 15 agosto, giorno dell’Assunzione, la sinfonia verrà
eseguita per la seconda volta, con il nuovo andante. La sinfonia è in re e l’andante in sol: qui
non si può dire D o G. Ora Le Gros è tutto dalla mia parte. È tempo che mi decida a chiudere.
Se mi scrive, penso sia meglio metta «chez Mr Le Baron de grim, chaufièe d’antin prés le
Boulevard». Il signor Grimm le scriverà lui stesso con la prossima posta. Lui e Madame
d’Epinay vi mandano i loro ossequi e le loro sentite condoglianze. Sperando però che
sappiate rassegnarvi davanti a un fatto che è impossibile mutare. Consolatevi e pregate
bravamente, è l’unica risorsa che ci resta. Avrei voluto pregarvi di far dire una santa Messa a
Maria Plain 30 e a Loreto 31 : lo faccio adesso. Per la lettera di raccomandazione al signor
Beer non credo sia necessario mandarmela. Non ho ancora avuto modo di conoscerlo; so solo
che è un bravo clarinettista, e però un dissoluto. Non mi piace frequentare gente del genere: è
una cosa che non fa onore. E non mi va proprio di portargli una lettera di raccomandazione,
avrei davvero di che vergognarmi. Se almeno potesse fare qualcosa! Ma cosi non gode di
nessuna considerazione; molti non lo conoscono affatto. Dei due Stamitz 32 è qui solo il più
giovane. Il più vecchio, un vero compositore alla Hafeneder, è a Londra. Sono due miserabili
imbrattatori di spartiti e poi giocatori, ubriaconi e puttanieri. Non è gente per me. Quello di
qui possiede a mala pena un abito decente. A proposito, se mai un giorno si dovesse rompere
con Brunetti, sarei lieto di raccomandareall’arcivescovo come primo violino un mio buon
amico, un uomo retto, onesto e dabbene: un uomo posato (credo di una quarantina d’anni),
vedovo. Si chiama Rothfischer, è primo violino a Kircheimbolanden, presso la principessa di
Nassau Weilburg. Detto fra noi, è scontento, perché il principe 33 non ha simpatia per lui,
cioè per la sua musica. Mi si è cordialmente raccomandato e per me sarebbe un vero piacere
aiutarlo, perché è l’uomo migliore di questo mondo. Adieu. Le bacio centomila volte le mani,
abbraccio mia sorella di tutto cuore e rimango il suo devotissimo figlio
Wolfgang Amadè Mozart
*
1 In rue de la Chaussée d’Antin.
2 Allusione ai suoi progetti matrimoniali.
3 Johann Michael Haydn. Nella sua lettera del 29 giugno Leopold racconta che Haydn
aveva suonato l’organo in modo orribile, spaventando tutti, ma che poi si era scoperto che era
solo ubriaco.
4 Anton Cajetan Adlgasser venne colpito da colpo apoplettico mentre stava suonando
l’organo e morì poco dopo.
5 Franz Lactanz, conte Firmian.
6 Carlo Teodoro, principe elettore del Palatinato.
7 Franz Joseph, conte Starhemberg. Con lui Leopold aveva parlato di un eventuale
ritorno del figlio a Salisburgo.
8 La contessa Maria Franziska Wallis.
9 Quarinus Stein, prevosto del convento di Baumburg, nella Baviera meridionale. Era
morto il 13 giugno.
10 Bartholomaus Christa, prevosto e abate del convento di Santa Croce, ad Augusta.
11 Ludwig Zoschinger, organista e decano del convento di Santa Croce, eletto il 22
giugno 1778 prevosto del convento. Era anche compositore, donde il commento di Mozart.
12 Maria Anna Elisabeth von Stockhammer, figlia di un procuratore della camera di
corte di Salisburgo, aveva sposato Louis Handl, lacchè del canonico Franz Joseph, conte
Starhemberg. Era incinta di sette mesi.
13 Maria Antonia, contessa Lodron.
14 II giovane conte Czernin aveva commesso una gaffe facendo suonare una serenata
per la contessa Lodron, con la partecipazione del violinista Brunetti.
15 La figlia di Adrien-Louis Bonnières de Souastre, duca di Guines.
16 Cfr. lettera del 3 luglio 1778.
17 Si tratta del balletto Les petits riens, rappresentato a Parigi l’11 giugno 1778 insieme
all’opera di Piccinni Le finte gemelle.
18 K Anh. 10 (K6299b).
19 II barone Bagge era solito organizzare dei concerti a casa sua, invitando a
parteciparvi anche musicisti di passaggio a Parigi.
20 Johann Christian Bach. L’opera di cui si parla è Amadis de Gaule, rappresentata a
Parigi il 14 dicembre 1779 nel Théàtre de l’Académie Royale de Musique.
21 II compositore Nicola Piccinni.
22 K297. Cfr. lettera del 3 luglio 1778.
23 Non se ne fece nulla.
24 K Anh. 9 (K6297b). Cfr. lettera del i° maggio 1778.
25 I musicisti Wendling, Ramm, Punto e Ritter, per i quali Mozart aveva composto la
sinfonia.
26 Nella prima edizione della sinfonia, uscita a Parigi intorno al 1778 presso l’editore
Jean Georges Sieber, compare questo secondo andante.
27 Methode rasonnée pour apprendre à jouer du violon, Paris 1770, versione francese
dell’opera di Leopold Versuch einer grùndlichen Vio-linschule, Augsburg, 1756.
28 Nella lettera del 28 maggio 1778 Leopold aveva pregato il figlio di cercargli della
buona musica per pianoforte, da utilizzare per i suoi allievi a Salisburgo.
29 Georg Joseph Vogler, Tonwissenschaft und Tonsetzkunst, Mannheim, 1776.
30 Santuario vicino a Salisburgo.
31 Chiesa di Loreto, a Salisburgo, nella Paris Lodron-Strade.
32 I musicisti Antonin e Karel Stamitz.
33 Karl Christian von Nassau-Weilburg.
AD ALOISIA WEBER
Parigi li 30 di giuglio 1778
Carissima Amica!
La prego di pardonarmi che manco questa volta d’inviare le variazioni per l’aria
mandatami1 - ma stimai tanto necessario il rispondere al più presto alla lettera del suo sig.r
Padre, che non mi restò poi il Tempo di scriverle, e perciò era imponibile di mandargliele -
ma lei le avrà sicuramente colla proximo lettera; Adesso spero che ben Presto saranno
Stampate le mie sonate2 - e con quella occasione avrà anche il Popolo di Tessaglia,1 ch’è già
mezzo Terminato - se lei ne sarà si contenta - camme lo son io - potrò chiamarmi felice; -
intanto, sinché avrò la sodisfazione di sapere di lei stessa l’incontro che avrà avuta questa
scena apresso di lei s’intende, perchè siccome l’hò fatta solamente per lei - così non desidero
altra Lode che la sua; - intanto dunque non posso dir altro, che, Tra le mie composizioni di
questo genere - devo confessare che questa scena è la megliore ch’hò fatto in vita mia - Lei
mi farà molto piacere se lei vuol mettersi adesso con tutto l’impegno sopra la mia scena
d’Andromeda «Ah lo previddi!»4 perché l'assicuro, che questa scena le starà assai bene — e
che lei sene farà molto onore - al più le raccomando l’espressione - di rifletter bene al senso
ed alla forza delle parole - di mettersi con serietà nello stato e nella situazione d’Andromeda!
- e di figurarsi d’esser quella stessa persona; - Cambiando in questa quisa (colla sua
bellissima voce - col suo bel methodo di cantare) lei diventerà in breve tempo infalibilmente
Eccelente. La maggior parte della lettera ventura ch'avrò l’onore di scriverle, consisterà in
una breve esplicazione sopra il methodo e la maniera come desidererei io che lei cantasse e
recitasse quella scena - nulla di meno sono a pregarla di studiarla da se frattanto - vedendo
poi la differenza. — sarà questo d’una granutilità per lei - benché son persvasifiimo che non
avrà molto à corregere o a cambiare - e che farà stessa molte cose così, come lo desidero -
sapendo questo per esperienza - a l'aria, «Non sò d’onde viene» che lei ha imparata da se
stessa - non ho trovato niente a criticare o a corregere - lei me l’hà Cantata con quel gusto,
con quel methodo, e con quella espressione che ho desiderato - dunque ho ragione di avere
tutta la fiducia nella di lei virtù e sapere - Basta, lei è Capace - e capacissima - solamente le
raccomando (e di ciò la prego caldamente) di aver la bontà di rileggere qualche volta le mie
lettere, e di fare come io le ho consigliato - e di esser certa, e persuasa, che per Tutto ch’io le
dico, e le ho detto, non ho e non avrò mai altra intenzione che di farle Tutto il bene che mi sia
possibile - Carissima amica! — spero che lei starà d’ottima salute — la prego di averne
sempre cura — essendo questa la miglior cosa di questo mondo; io, grazie à Dio stò bene,
toccante la mia salute, perchè ne ho cura - ma non ho l'animo quieto - e non l’avrò mai sinché
non avrò la consolazione di essere accertato che una volta si ha reso giustizia al di lei merito -
ma lo stato e la situazione più felice per me sarà in quel giorno in cui avrò il sommo piacere
di rivederla, e di abbracciarla di Tutto il mio cuore - mà questo è anche Tutto ch’io posso
bramare e desiderare - non Trovo che in questo desiderio ed augurio l’unica mia
consolazione, e la mia quiete; — la prego di scrivermi spesso - lei non si può immaginare
quanto piacere mi fanno le sue lettere, la prego di scrivermi quante volte che lei và dal sig.r‘
Marchand - di farmi una piccola dichiarazione dello studio dell’azione — che le
raccommando caldamente - Basta, lei sà, che tutto quel che tocca lei, m’interessa assai. - a
proposito: io le ho da fare mille Complimenti d’un signore - ch'è l’unico amico ch’io stimo
qui, e ch’amo assai, perchè è gran amico della sua casa, ed ha avuto la fortuna ed il piacere di
portarla molte volte sul braccio, e di bocciarla una centinaia di volte quando lei era ancora
piccolina - e questo è, il sig.re Kùmli,5 pittore dell’Elettore - questa amicizia m’hà procurato
il sig. Raaff, il quale è ad sso il mio stretto amico, e conciòsiachè anche il di lei - e di Tutta la
famiglia Weber -sapendo pur bene il sig.r‘ Raaff che non lo può essere, senza di questo; il sig.
Kynly,5 che riverisce Tutti, non si può stancare di parlare di lei, ed io - non pofio finire —
dunque non trovo altro piacere che di far la conversazione con lui - ed egli, ch’è vero amico
di Tutta la sua casa, e sapendo dal sig.re Raaff che non mi può fare più gran piacere che di
parlare di lei, non ne manca mai - Addio, fràtanto, Carissima amica! - sono anziosissimo
d’avere una lettera di lei, la prego dunque di non farmi troppo aspettare, e troppo languire —
sperando di aver ben presto delle sue nuove, le baccio le mani, l'abbraccio di core e sono e
sarò sempre il di lei vero e sincero amico
WAMozart
La prego di abbracciare a nome mio la sua Carissima sigra Madre — e tutte le sue sigrt
sorelle
*
1 Si tratta dell’aria «Non so donde viene» (K294) su testo di Meta-stasio.
2 Le sonate per pianoforte c violino K3or, 302, 303, 304, 305 e 306 dedicate alla
principessa Elisabeth Maria Aloisia Auguste, moglie di Carlo Teodoro, principe elettore del
Palatinato.
3 II recitativo K316, su testo di Calzabigi.
4 II recitativo e aria per soprano «Ah lo previdi» - «Ah, t’invola agli occhi miei»
(K272).
5 Franz Peter Joseph Kymli, pittore di corte a Mannheim, in quel momento a Parigi per
una mostra.
6 Vedi nota precedente.
AL PADRE
Paris ce 31 juillet 1778
Monsieur mon trés cher Pére!
Spero abbia ricevuto regolarmente le mie ultime due, dell’n e del 18, se non erro. Io nel
frattempo ho ricevuto le sue due del 13 e del 20. La prima mi ha fatto piangere lacrime di
dolore, perché m’ha ricordato la triste scomparsa della mia cara, povera mamma: tutto mi è
tornato alla mente nel modo più vivo e certo non lo dimenticherò per tutta la vita. Lei sa che
in vita mia, nonostante me lo augurassi, non avevo mai visto morire nessuno: e la prima volta
doveva essere proprio mia madre. Questo era il momento che maggiormente temevo e ho
supplicato Dio di darmi forza. Sono stato esaudito e me l’ha concessa. Sebbene la sua lettera
mi abbia rattristato, tuttavia ho provato un’immensa gioia vedendo che lei aveva accolto la
notizia così come era necessario accoglierla, e che dunque non devo più preoccuparmi per il
mio dilettissimo padre e la mia carissima sorella. Non appena ho finito di leggere la sua
lettera mi sono inginocchiato e ho ringraziato Iddio dal profondo del cuore per questa grazia.
Ora sono del tutto tranquillo, perché so che non ho nulla da temere per le due persone che mi
sono più care al mondo: in caso contrario sarebbe stata per me la più grave delle sciagure e
sarei caduto preda del più grande sconforto. Abbiate dunque cura entrambi della vostra salute,
così preziosa per me, ve ne prego, e concedete a colui che si lusinga di essere ormai quanto di
più caro avete al mondo, la felicità, il piacere, la gioia di potervi presto abbracciare. La sua
ultima lettera mi ha fatto piangere di gioia, perché mi ha pienamente confermato il suo
autentico affetto e la sua sollecitudine di padre. Da parte mia cercherò con tutte le mie forze
di essere sempre più degno del suo affetto paterno. Per la polvere 1 la ringrazio baciandole
teneramente la mano e sono convinto che sarà contento di sapere che non ho bisogno di farne
uso. Durante la malattia della mia povera mamma ne ho avuto quasi bisogno ma ora,
ringraziando Dio, sto benissimo. Solo ogni tanto ho qualche crisi di malinconia, ma le supero
con la massima facilità grazie alle lettere, quelle che scrivo e quelle che ricevo: mi ridanno
coraggio. Stia comunque certo che non mi succede mai senza una ragione. Vuole sapere
quanto ho pagato per la sua ultima lettera, quella in cui c’era la polvere? 45 souls. Vuole una
piccola descrizione della malattia e di tutto il resto? È suo diritto. La prego solo di
permettermi di non dilungarmi troppo e di scrivere soltanto l’essenziale, perché ormai è una
cosa passata e purtroppo non è più possibile far nulla. Ho necessità di spazio per parlarle di
problemi che riguardano la nostra situazione. In primo luogo devo dirle che la povera
mamma doveva morire: nessun dottore al mondo avrebbe potuto salvarla, perché
evidentemente era questa la volontà di Dio; i suoi giorni erano conclusi e Dio l’ha voluta con
sé. Lei ritiene che abbia atteso troppo a farsi salassare. Può darsi: infatti l’ha rimandato un
po’. Condivido però l’opinione della gente di qui, che le sconsigliava il salasso e cercava di
convincerla a fare un clistere, ma lei non ha voluto e io non osavo contraddirla, non essendo
esperto in queste cose e temendo che se non le avesse fatto bene ne avrei avuto io la
responsabilità. Se si fosse trattato della mia pelle avrei accettato subito di farlo, perché qui
viene molto usato -quando uno ha un riscaldo gli fanno subito un clistere - e l’origine della
malattia di mia madre era un riscaldo interno, o almeno si è ritenuto che si trattasse di questo.
Non so dirle con precisione quanto sangue le sia stato tolto, perché qui non viene misurato a
once, ma a scodelle. Gliene hanno tolto due scodelle scarse: il cerusico ha detto che era
assolutamente necessario, ma non ha osato toglierne di più, essendo una giornata
spaventosamente calda. Per alcuni giorni è stata bene, poi è iniziata la diarrea, ma nessuno vi
ha dato particolare importanza, essendo qui una cosa normale per tutti gli stranieri che
bevono molta acqua. Ed è vero: io stesso l’ho avuta nei primi giorni, ma ora non ne soffro
più, perché evito di bere acqua pura e ci aggiungo sempre un poco di vino; ma non potendo
fare a meno di bere acqua pura, per purgarla aggiungo del ghiaccio e la bevo così: ne bevo
sempre due bicchieri colmi prima di andare a dormire.
Ma procediamo: il 19 le è venuto mal di testa e per la prima volta è stata costretta a letto
per l’intero giorno. Il giorno precedente, il 18, è stato così l’ultimo che ha trascorso in piedi.
Il 20 ha accusato brividi e poi le è venuta la febbre. Le ho dato allora un po’ di polvere
antispasmodica.2 In tutto questo tempo avrei voluto far chiamare un dottore, ma lei rifiutava
e alle mie continue insistenze ha detto che non si fidava di un medico francese. Allora ne ho
cercato uno tedesco. Io naturalmente non potevo uscire e ho aspettato ansiosamente il signor
Haina, che veniva immancabilmente a trovarci ogni giorno, ma proprio quella volta non si
presentò per due giorni. Finalmente è venuto, ma il giorno dopo il dottore era impegnato e
non l’abbiamo potuto avere. È venuto quindi solo il 24. Il giorno prima, quando avevo
sperato che venisse, sono caduto preda di una grande angoscia perché la mamma
all’improvviso ha perso l’udito. Il dottore, un tedesco di settant’anni, le ha dato del rabarbaro
en poudre mescolato con del vino. Questo non riesco a capirlo: si dice che il vino riscalda, ma
non appena l’ho fatto notare tutti hanno gridato: «Per carità, che dice, il vino non riscalda; dà
solo forza, è
l’acqua che riscalda», e intanto la povera inalata agognava l’acqua fresca. Quanto avrei
voluto accontentarla! Padre carissimo, non può immaginare quello che ho passato. Ma non
c’era altro da fare: in nome di Dio, ho dovuto affidarla alle mani del medico. Tutto quello che
ho potuto fare con buona coscienza è stato di pregare per tutto il tempo il Signore di voler
disporre ogni cosa secondo la sua volontà. Andavo in giro senza sapere dove avevo la testa.
Avrei avuto tutto il tempo per comporre, ma non sarei stato in grado di scrivere una nota. II
25 il dottore non è venuto; è tornato a visitarla il 26. Si metta nei miei panni quando costui,
inaspettatamente, mi ha detto: «Temo che non supererà la notte; e se si sente male sulla
seggetta può andarsene in un amen; faccia dunque in modo che si possa confessare». Allora
sono corso fino in fondo alla Chaussée d’Antin,3 oltrepassando anche la barriera, per cercare
Haina, perché sapevo che era a casa di un conte per un trattenimento musicale. E lui mi ha
detto che il giorno seguente avrebbe portato da noi un religioso tedesco. Sulla via del ritorno
sono passato un momento da Grimm e da Madame d’Epinay, che si sono mostrati dispiaciuti
di non averlo saputo prima, perché in tal caso mi avrebbero mandato subito il loro dottore. Io
d’altra parte non gli avevo detto nulla perché la mamma non voleva un francese. A quel punto
però ero giunto all’estremo. Mi hanno detto che avrebbero mandato il loro dottore quella sera
stessa. Arrivato a casa, ho detto alla mamma che avevo incontrato il signor Haina in
compagnia di un religioso tedesco e che l’indomani sarebbero venuti a farmi visita, e lei ne è
stata molto contenta, e poiché, pur non essendo un dottore, l’avevo trovata meglio, non le ho
detto altro. Vedo già che mi è impossibile raccontare tutto brevemente. Preferisco scriverle
ogni cosa per filo e per segno e credo che lo preferisca anche lei. Comunque, dovendo
comunicarle altre cose più urgenti, continuerò il racconto nella prossima lettera. Intanto dalle
mie ultime lettere ha saputo dove mi trovo e che tutte le cose mie e della mia povera mamma
sono in ordine. Quando arriverò a questo punto del racconto, le spiegherò per bene cosa è
accaduto. Abbiamo fatto tutto io e Haina. I vestiti, la biancheria, i gioielli e tutte le altre cose
della mamma le manderò a Salisburgo imballate per bene alla prima occasione favorevole.
Sistemerò tutto con il signor Gschwendtner. Ed ora torniamo a noi. Devo però prima
chiederle di non preoccuparsi assolutamente per quello che le ho scritto nella mia lettera del 3
pregandola di permettermi di non palesarle i miei pensieri prima che sia maturo il momento.
Le rinnovo ancora una volta la richiesta: se non posso ancora dirglielo è perché
effettivamente non è ancora il momento. Facendolo, invece di migliorare le cose rischierei di
rovinare tutto. Per sua tranquillità sappia che la cosa riguarda solo me; la sua situazione non
ne verrebbe peggiorata né migliorata e fin quando non la saprò sistemata in modo più
favorevole, non voglio neppure pensarci. Ma se un giorno vivremo insieme felici e contenti
nello stesso luogo - ed è questa l’unica cosa che desidero - se questo felice giorno verrà — e
Dio voglia che sia presto - allora sarà giunto il momento e tutto dipenderà unicamente da lei.
Ora dunque non se ne dia pensiero e stia sicuro che in tutte le cose da cui può dipendente
anche la sua felicità e la sua soddisfazione avrò sempre la massima fiducia in lei, il mio padre
dilettissimo e il mio più vero amico, e le riferirò tutto per filo e per segno. Se finora a volte
non è stato così, non ne sono l’unico responsabile. Il signor Grimm mi diceva ultimamente:
«Cosa devo scrivere a suo padre? Cosa pensa di fare? Resta qui o va a Mannheim?». Non ho
potuto proprio trattenermi dal ridere. Cosa ci vado a fare a Mannheim ora? Se non fossi mai
venuto a Parigi... Ma ormai sono qui e devo fare ogni sforzo per tirare avanti. «Sì», ha detto
lui, «ma non credo che lei qui possa sistemarsi bene». «Perché? Vedo qui tanti di quei poveri
strimpellatori che riescono a campare e non dovrei riuscirci io con il mio talento? Le assicuro
che sarei contentissimo di vivere a Mannheim, che desidero molto entrare nelle grazie del
principe, però senza recare danno al mio onore e alla mia reputazione. Devo essere sicuro
della cosa, altrimenti non muovo un passo». «Sì», ha detto lui, «temo però che lei qui non si
dia abbastanza da fare. Non va abbastanza in giro». «Sì», ho risposto io, «questa è la cosa più
difficile per me qui a Parigi».5 Del resto, a causa della lunga malattia della mamma in questo
periodo non ho frequentato nessuno, e due delle mie allieve sono in campagna e la terza, la
figlia del duca di Guines,6 sta per sposarsi e non ha più intenzione di continuare, il che non è
poi un gran danno per il mio onore. E nep-
pure ci perdo niente, perché quello che mi paga il duca qui lo pagano tutti. Si immagini
che il duca di Guines, da cui dovevo andare tutti i giorni e restarci due ore, mi ha fatto fare
venti-quattro lezioni, mentre qui tutti pagano dopo dodici lezioni, se n’è andato in campagna,
è tornato dieci giorni dopo senza farmi sapere nulla (se non fossi stato tanto indiscreto da
informarmi io stesso, non saprei ancora che è tornato) e alla fine la governante ha tirato fuori
una borsa dicendo: «Mi scusi se per questa volta le pago solo dodici lezioni, è perché non ho
denaro». Che distinzione! E mi ha dato 3 louis d’or aggiungendo: «Spero che lei sia
soddisfatto, altrimenti la prego di dirmelo». Il signor duca non ha dunque neppure una
briciola d’onore e ha pensato: «Costui è un giovanotto e per di più uno stupido tedesco -
come dicono tutti i francesi dei tedeschi - sarà dunque più che soddisfatto». Ma lo stupido
tedesco non è stato per niente soddisfatto e non l’ha mandata giù. Insomma, voleva pagarmi
due ore come fossero una sola. E questo per riguardo, perché sono quattro mesi che ha un
mio concerto per flauto e arpa7 che ancora non ha pagato. E così attendo sino alla
conclusione delle nozze e poi vado dalla governante a esigere i miei soldi. Quello che qui mi
irrita di più è che questi stupidi francesi pensano che io abbia ancora sette anni, perché mi
hanno conosciuto a quell’età. È verissimo. Madame d’Epinay me l’ha detto in tutta serietà.
Dunque mi trattano da principiante, escludendo le persone del mestiere, che hanno un’altra
maniera di pensare; ma è poi la massa che conta. Dopo questo Discours con Grimm, il giorno
dopo sono andato subito dal conte Sickingen e lui la pensava proprio come me, e cioè che
devo avere ancora pazienza, aspettare finché non arriva Raaff, che farà per me tutto il
possibile. Ma se la cosa non dovesse funzionare, il conte Sickingen si è offerto lui stesso di
procurarmi un posto a Magonza. Queste dunque sono le mie prospettive. Ora farò del mio
meglio per tirare avanti con gli scolari e guadagnare quanto più possibile. Ma lo faccio nella
dolce speranza che avvenga presto un cambiamento: non posso negare di desiderarlo; devo
anzi confessare che sarò lieto di potermi liberare da simili necessità. Perché qui dare lezioni
non è per nulla divertente, è una bella fatica, e se non se ne prendono molte non si guadagna
molto. Non deve pensare che sia una questione di pi-
grizia, no!, ma è una cosa che non mi va assolutamente a genio, essendo contraria al mio
modo di vivere. Lei sa che io, per così dire, vivo immerso nella musica, che me ne occupo
tutto il giorno, che mi piace meditare, studiare, riflettere. Ma ora tutto questo mi è impedito
dalla vita di qui. Certo avrò qualche ora libera, ma questo tempo limitato mi servirà più per
riposarmi che per lavorare. Dell’opera le ho già fatto cenno nella mia ultima lettera.1 Non
posso fare diversamente: o scriverò una grande opera o non ne scriverò nessuna; se ne
componessi una piccola, guadagnerei poco, giacché qui esiste una tariffa per tutto. Se poi
avesse la sventura di non piacere a questi stupidi francesi, sarebbe finita; non potrei più
comporre opere, ne avrei ricavato ben poco e per il mio onore sarebbe stato un danno. Se
scrivessi una grande opera mi pagherebbero meglio, sarei sul mio terreno, il che mi farebbe
piacere, e avrei maggiori speranze di essere applaudito, poiché in un grande lavoro esistono
maggiori possibilità di farsi onore. Le garantisco che se mi dessero da comporre un’opera non
avrei alcun timore. Questa lingua l’ha inventata il diavolo, è vero, e mi rendo perfettamente
conto di tutte le difficoltà che hanno incontrato tutti i Compositeurs, ma comunque mi sento
in grado di superare queste difficoltà come ogni altra. Anzi, quando, come spesso accade, mi
immagino che la mia opera andrà in porto, sento un fuoco invadermi in tutto il corpo, e mi
tremano le mani e le gambe per la voglia di insegnare ai francesi a conoscere, apprezzare e
temere sempre di più i tedeschi. Perché non affidano mai una grande opera a un francese?
Perché devono essere sempre degli stranieri a comporla? La cosa più insopportabile per me
sarebbero i cantanti. E comunque sono pronto. Non voglio attaccare briga, ma se mi
provocano saprò difendermi. Preferisco però che la cosa si risolva senza duelli, perché non
intendo azzuffarmi con dei nani. Voglia Iddio che avvenga presto un cambiamento! Intanto
non verranno certo meno la mia diligenza, il mio zelo e il mio lavoro. Spero molto
nell’inverno, quando tutti saranno ritornati dalla campagna. Nel frattempo stia in buona salute
e mi voglia sempre bene. Il cuore mi balza in petto dalla gioia se penso al lieto giorno in cui
avrò nuovamente il piacere di rivederla e di abbracciarla con tutto il cuore. Adieu. Le bacio
centomila volte le mani, abbraccio mia sorella con tutto il mio affetto fraterno e rimango il
suo devotissimo figlio
Wolfgang Amadè Mozart
Qualche altra notizia alla rinfusa.
Lei mi ha dato notizia che il conte Seeau è stato confermato direttore teatrale sia per
Monaco che per Mannheim. La cosa mi è apparsa così assurda che ancora non potrei crederla
se non mi avesse definitivamente convinto una lettera ricevuta da Mannheim.
L’altro ieri mi ha scritto il mio caro amico Weber, comunicandomi tra l’altro che il
giorno dopo barrivo del principe elettore9 è stato reso noto che quest’ultimo prenderà come
residenza Monaco, una notizia che per tutta Mannheim è stata come un fulmine a ciel sereno
e che per così dire ha spento completamente la gioia che i suoi cittadini avevano manifestato
il giorno prima con una grande luminaria. La notizia è stata annunciata anche all’orchestra di
corte, con la precisazione che ognuno era libero di seguire la corte a Monaco o di restare a
Mannheim, conservando la stessa paga e che entro quattro giorni ognuno doveva far
conoscere al direttore la propria decisione, scritta e sigillata. Weber che, come lei sa, si trova
nella più infelice delle situazioni, ha risposto così: «Per quanto possa desiderarlo, nella mia
dissestata situazione non sono in grado di seguire Sua Grazia a Monaco». Prima di questi
avvenimenti c’era stato un grande concerto a corte e nell’occasione la povera Weber ha
dovuto fare i conti con la potenza dei suoi nemici: non ha cantato nulla. Non si sa chi lo abbia
deciso. Subito dopo però c’è stato un concerto dal signor von Gemmingen, a cui assisteva
anche il conte Seeau: lei ha cantato due mie arie e per fortuna è piaciuta a dispetto delle
canaglie italiane. Quegli infami coglioni continuano a diffondere la voce che essa stia
assolutamente regredendo nel canto. Cannabich però, terminate le arie, le ha detto:
«Mademoiselle, mi auguro che lei continui a regredire sempre più in questo modo. Domani
scriverò al signor Mozart e gli farò le sue lodi». Ora la cosa più importante è che, se la guerra
non fosse davvero già scoppiata,10 la corte si sarebbe trasferita a Monaco, e il conte Seeau,
che vuole assolutamente avere la Weber, avrebbe fatto di tutto per condurla con sé, e in tal
modo ci sarebbe stata la speranza di vedere l’intera famiglia meglio sistemata. Ma ora
nessuno parla più del viaggio a Monaco e questi poveretti avranno ancora da aspettare a
lungo. E i loro debiti crescono ogni giorno... Se solo potessi aiutarli! Padre carissimo! Glieli
raccomando di tutto cuore. Se intanto potessero disporre solo per qualche anno di 1000
fiorini!
Parliamo un po’ della guerra! Che dire? Dopo quello che le ho scritto nella mia ultima
lettera non ho avuto altre notizie se non che in Prussia il re 11 è dovuto indietreggiare per
sette ore. Si dice addirittura che il generale Wunsch sia stato fatto prigioniero con
quindicimila uomini. Io però non lo credo, anche se mi auguro di tutto cuore che bastonino il
Prussiano come si deve! Ma qui in casa non posso dirlo.12
Adieu
Saluti a tutta Salisburgo, in particolare al signor Bullinger e a tutta l’eminentissima
compagnia dei tiratori.13
POSCRITTO PER LA SORELLA Ma Trés chere soeur!
Spero che ti accontenterai del piccolo preludio.14 Non è come lo volevi tu, che
permettesse cioè di passare da un tono all’altro con la possibilità di interrompere a
piacimento, ma non avevo abbastanza tempo per scrivere un preludio del genere. Perché per
una cosa simile ci vuole più lavoro. Non appena avrò tempo te ne farò omaggio. Quando
spedirò a casa le nostre cose ne approfitterò per mandarvi questo nuovo preludio, i concerti di
Schròter,15 le sonate di Hùllmandel,16 il metodo per lo studio del violino 17 e qualche altra
mia sonata.18 Adieu, stai bene. Non voglio ricordarti nulla. Rimettiti alla volontà di Dio, abbi
fiducia in essa. Pensa che hai un fratello che ti ama di tutto cuore e che si preoccuperà sempre
del tuo bene e della tua felicità. Adieu, voglimi bene. Ti bacio teneramente e rimango il tuo
leale e sincero fratello
Wolfgang Mozart
I miei ossequi a tutti, in particolare all’alfiere Antretter, se
è ancora a Salisburgo. E a Salisburgo si sta certo meglio che in Boemia, ci si può
scommettere la testa.
*
1 La polvere nera. Cfr. lettera al padre del 3 luglio 1778, nota 2.
2 Cfr. ibidem.
3 Dove si trovava la casa di Madame d’Epinay e dove si sarebbe poi trasferito lo stesso
Mozart.
4 Allusione ai suoi progetti matrimoniali.
5 II 27 luglio 1778 Grimm aveva scritto a Leopold esprimendogli i suoi dubbi in merito
alle possibilità future di Mozart a Parigi: «Il est zu treuherzig (troppo buono), peu actif, trop
aisé à attrapper, trop peu occupò des moyens, qui peuvent conduire à la fortune. Je lui
voudrais pour sa fortune la moitié moins de talent et le double plus d’entregent et je n’en
serais pas embarassé. Au reste, il ne peut tenter ici que deux chemins pour se faire un sort. Le
premier c’est de donner des Le?on de Clavecin; mais sans compter qu’on n’a des écoliers
qu’avec beaucoup d’activité et mème de charlatanerie, je ne sais s’il aurait asscz de sante
pour soutenir ce métier, car c’est une chose très fatigante de courir les quatte coins de Paris et
de s’épuiser à parler pour montrer. Et puis ce métier ne lui plaira pas, parce qu’il l’empèchera
d’écrire, ce qu’il aime par dessus tout. Il pourrait done s’y livrer tout à fait; mais en ce pays le
gros du public ne se connait pas en musique. On donne par consequent tout aux noms, et le
ménte de l’ouvrage ne peut étre jugé que par un très petit nombre. Le public est dans ce
moment si ridiculement partagé entre Piccini (sic) et Gluck et touts les raisonne-ments qu’on
entend sur la musique font pitié. Il est done très difficile pour votre Fils de réussir entre ces
deux partis (...] vous voyez, mon cher maitre, que dans un pays où tant de musiciens
médiocres et détestables méme ont fait des fortunes immenses, je crains fort que Mr. Votre
Fils ne se tire pas seulement d’affaire ...».
6 Cfr. lettera del 9 luglio 1778. Si sposò nell’estate del 1778 con
Monsieur de Chartus e mori di parto due anni dopo.
7 K299.
8 Cfr. lettera al padre del 3 luglio 1778, nota 9.
9 Carlo Teodoro, principe elettore del Palatinato e dal 1778 anche della Baviera.
10 La guerra di successione bavarese. Cfr. lettera del 12 febbraio 1778, nota 12.
11 Federico II, re di Prussia.
12 Grimm era ministro della casa di Sassonia-Gotha, alleata della Prussia.
13 II gruppo di amici che a Salisburgo si riuniva regolarmente per una specie di tiro al
piattello. Il disco da colpire doveva essere dipinto da uno dei membri della compagnia con un
motivo d’attualità, accompagnato da un’iscrizione in versi che ne illustrava il significato.
14 K395, inviato da Mozart alla sorella il 20 luglio, per il suo onomastico.
15 Cfr. lettera al padre del 3 luglio 1778, nota io.
16 Cfr. lettera al padre del 3 luglio 1778, nota 11.
17 Cfr. lettera del 9 luglio 1778, nota 27.
18 Probabilmente le sonate per pianoforte K330 in do maggiore, K331 in la minore e
K332 in fa maggiore.
AL PADRE
Paris ce il Sept.b 1778
Mon Trés cher Pére!
Ho ricevuto regolarmente le sue tre lettere del 13, del 27 e del 31 agosto, ma ora
risponderò solo all’ultima, perché è la più importante.1 Leggendola (c’era da me il signor
Haina, che manda i suoi saluti a entrambi) mi sono messo a tremare di gioia, perché mi
vedevo già nelle vostre braccia. Certo, e lo riconoscerà anche lei, presso di voi non m’attende
una grande felicità, ma quando penso che potrò baciare con tutto il mio affetto lei, padre
carissimo, e la mia cara sorella, non c’è altra felicità che conti per me, e questa è anche
l’unica cosa che possa scusarmi agli occhi della gente di qui, che quasi mi assorda a furia di
ripetermi che devo restare; io infatti ogni volta dico loro: «Ma che volete? io sono contento e
questo è tutto; ho un posto in cui posso considerarmi a casa, vivo in pace e in tranquillità con
il mio dilettissimo padre e la mia cara sorella, posso fare quello che voglio, perché quando
non sono in servizio non dipendo da nessuno, ho di che vivere per tutta la vita, posso
andarmene quando voglio, ogni due anni posso fare un viaggio, che desiderare di più?».
L’unica cosa che mi ripugna a Salisburgo, le parlo in tutta sincerità, è il fatto che non si
possano avere rapporti accettabili con la gente, che l’orchestra non goda di maggiore
considerazione e che il vescovo non abbia fiducia nelle persone intelligenti, che hanno
viaggiato. Perché, glielo garantisco, se non si viaggia - e questo vale almeno per gli artisti e
gli uomini di scienza - si resta dei poveri incapaci; e le assicuro che se l’arcivescovo non mi
permetterà di fare un viaggio ogni due anni, mi sarà impossibile accettare l’impiego. Un
uomo di mediocre talento resta mediocre comunque, che viaggi o no; ma un uomo di talento
superiore, quale io non posso negare di essere senza essere sacrilego, si rovina se rimane
sempre nello stesso luogo. Se l’arcivescovo avesse fiducia in me, ben presto renderei famosa
la sua orchestra, questo è verissimo. Le assicuro che questo viaggio per me non è stato
inutile, per la composizione, si capisce, perché il pianoforte... lo suono meglio che posso. A
Salisburgo porrò l’unica condizione di non dover più suonare il violino come in passato. Non
farò più il violinista, è al pianoforte che voglio dirigere, accompagnare le arie. Sarebbe stato
preferibile se avessi potuto ottenere un’assicurazione scritta per il posto di maestro di
cappella,2 perché altrimenti avrò forse l’onore di fare due servizi, di essere pagato per uno
solo e alla fine di vedermi di nuovo messo da parte a favore di uno straniero. Padre carissimo!
Devo confessarle che se non fosse per il desiderio di riabbracciare voi due, davvero non
riuscirei a decidermi a compiere questo passo, e anche per venire via da Parigi, che non posso
soffrire, benché ora le mie cose comincino ad andare meglio ed io non dubiti che se decidessi
di restare qui ancora qualche anno, mi sistemerei sicuramente benissimo. Ora infatti sono
abbastanza conosciuto, non conosco granché la gente, ma la gente conosce me. Mi sono fatto
molto onore con le mie due sinfonie,3 di cui l’ultima è stata eseguita l’8 di questo mese. Ora,
avendo annunciato che parto, avrei veramente dovuto scrivere un’opera, ma a No-verre ho
detto: «Se lei mi garantisce che sarà messa in scena non appena pronta e mi viene detto con
sicurezza quanto prenderò, resto ancora tre mesi e la scrivo». Non potevo infatti rifiutare
subito, altrimenti avrebbero pensato che non me la sentivo. Ma non sono riusciti a combinare
la cosa come volevo io, ed io lo sapevo fin dall’inizio che non sarebbe stato possibile, perché
qui non si usa così. Qui, come lei forse già sa, ci si comporta così: quando l’opera è finita, si
fa una prova; se gli stupidi francesi non la trovano buona, non la si mette in scena e il
compositeur ha lavorato per niente; se la si trova buona, la si mette in Scena; e più riscuote
applausi, più viene pagata. Non c’è alcuna garanzia. Ma di queste cose preferisco parlarle poi
a voce. Tra parentesi, le assicuro in tutta sincerità che le mie faccende cominciavano ad
andare bene; non si possono precipitare le cose, chi và piano, và sano.
Con la mia Complaisance sono riuscito ad ottenere amicizia e protezione. Se volessi
scriverle tutto mi farebbero male le dita; le riferirò ogni cosa a voce e le dimostrerò
chiaramente che il signor Grimm è in grado di aiutare i bambini,4 ma non le persone adulte
e... ma no, non voglio scriverlo... eppure si, devo farlo: non si immagini che costui sia lo
stesso di un tempo. Se non fosse per Madame d’Epinay non sarei in questa casa, e di questo
lui non deve vantarsi tanto, perché avrei quattro case dove alloggiare e dove mangiare. Il
buon uomo non sapeva certo che se fossi rimasto qui a Parigi il mese prossimo me ne sarei
comunque andato per trasferirmi in una casa dove non ci si comporti tanto da sciocchi e da
babbei come qui da lui... e dove non si arricci sempre il naso davanti a una persona a cui si fa
un favore. In questo modo il favore ricevuto potrei davvero finire per dimenticarlo. Ma voglio
essere più generoso di lui; mi dispiace solo di non restare qui per dimostrargli che non mi
serve il suo aiuto e che non sono inferiore al suo Piccinni, benché io sia soltanto un tedesco. Il
maggior favore che m’ha reso consiste in quei 15 louis d’or che m’ha prestato un po’ alla
volta in occasione della malattia e della morte della povera mamma. È forse preoccupato per
questi soldi? Se ha qualche dubbio in proposito merita davvero un calcio, perché vuol dire
che non ha fiducia nella mia onestà (il che è l’unica cosa che possa mandarmi in bestia) e
neppure nel mio talento. Ma di quest’ultimo fatto sono sicuro, avendomi una volta detto in
faccia di non credere che io sia in grado di scrivere un’opera francese. Gli restituirò quei 15
louis d’or con tanti ringraziamenti al momento di partire, accompagnati da qualche parola
molto garbata. La povera mamma ripeteva spesso: «Non so, costui mi sembra tanto diverso»,
ma io ne ho sempre assunto le difese, sebbene anch’io ne fossi intimamente convinto. Non ha
parlato di me con nessuno, e quando l’ha fatto è stato sempre in modo stupido e maldestro,
abietto. Voleva sempre che corressi da Piccinni e anche da Garibaldi, perché ora c’è una
Miserabile opera buffa? ed io ho sempre detto: no, non faccio neppure un passo per andarci,
ecc. ecc. In una parola, sta dalla parte degli italiani, è falso e cerca di soffocarmi. Da non
crederlo, vero? Eppure è proprio cosi. Ecco la prova: gli ho aperto il mio cuore, come si fa
con un amico sincero, e lui s’è servito di questo per darmi sempre
cattivi consigli, sapendo che li avrei seguiti. Ma gli è riuscito solo due o tre volte, perché
poi non gli ho più chiesto nulla e quando lui mi ha dato altri consigli, non li ho seguiti, anche
se ho sempre detto di sì, per non ricevere nuove villanie.
Ma basta con questo argomento, ne parleremo ancora a voce. Madame d’Epinay ha
invece un animo migliore. La camera in cui mi trovo è sua, non del signor Grimm; è la
camera dei malati: quando qualcuno in casa è malato lo si mette qua sopra. Non c’è niente di
bello, fuorché la vista: è puro muro, non c’è un armadio, niente di niente. Mi dica dunque se
avrei potuto restarci ancora. Da tempo avrei voluto scriverle tutto questo, ma ho temuto che
lei non mi credesse. Ora però non posso più tacere, che lei mi creda o no. Ma lei mi crederà,
ne sono certo; ho ancora abbastanza credito presso di lei da convincerla che dico la verità.
Anche il cibo è Madame d’Epinay che me lo offre. Non deve credere che lui le paghi
qualcosa, perché le costo meno di niente. Che io ci sia o no, a tavola non cambia; visto che
non sanno mai quando vengo a mangiare, non devono contare sulla mia presenza, e a cena
mangio frutta e bevo un bicchiere di vino. Da quando abito in questa casa, e sono oltre due
mesi, avrò mangiato in casa non più di quattordici volte al massimo. Dunque, a parte i 15
louis d’or che restituirò con molte grazie, per me non spende niente, tranne che per le
candele; e mi vergognerei veramente per lui se dovessi fargli la proposta di comprarmele io.
Non me la sono davvero sentita di dirglielo: sul mio onore, sono fatto così. Ultimamente,
quando mi ha parlato in modo piuttosto duro, stupido e seccante, non ho osato dirgli che non
doveva preoccuparsi dei 15 louis d’or, perché ho temuto di offenderlo. Non ho fatto altro che
sopportare, ho chiesto se aveva finito e poi, servitore umilissimo. Pretende che io parta tra
otto giorni, tanta è la sua fretta. Ho risposto che non è possibile, spiegando i motivi. «Sì, sì,
ma non c’è niente da fare, questa è la volontà di suo padre». «Chiedo scusa, mi ha scritto che
solo con la prossima lettera saprò quando devo partire». «Si tenga pronto per il viaggio». Le
devo dire che non posso partire prima dell’inizio del mese prossimo o al più presto alla fine
di questo mese, perché devo comporre ancora sei trii,6 che mi vengono pagati bene. Devo
prima essere pagato da Le Gros e dal duca di Guines e poi, dal momento che la corte7 alla
fine del mese andrà a Monaco, vorrei incontrarla là per poter offrire io stesso le mie sonate8
alla principessa,9 il che potrebbe forse fruttarmi un regalo. Preparerò i bagagli, parlerò con il
signor Gschwendtner e li spedirò subito, non appena possibile. Non è consigliabile lasciarli
qui, considerando come vanno le cose con Grimm. Dietro pagamento in contante darò
all’incisore che mi ha inciso le sonate 10 tre concerti, quello per Jeunehomme, quello per
Liitzow e quello in si bemolle,11 e lo stesso farò se possibile anche con le mie sei sonate
difficili.12 Anche se non sarà molto, sarà sempre meglio di niente. In viaggio c’è bisogno di
soldi. Quanto alle sinfonie, la maggior parte non corrispondono al gusto di qui. Se ho tempo
arrangio qualche concerto per violino, li accorcio: da noi in Germania infatti si preferiscono
lunghi, ma in realtà è meglio un pezzo breve e ben fatto. Per il viaggio mi fornirà sicuramente
qualche chiarimento nella sua prossima lettera. Mi auguro solo che lei abbia scritto soltanto a
me, perché con lui13 non desidero avere più nulla a che fare. Spero che sia cosi, e sarebbe
anche meglio. In fin dei conti infatti un Gschwendtner e un Haina cose del genere le sanno
fare meglio di un barone novello.14 In effetti provo più riconoscenza verso Haina che non
verso di lui. Consideri bene la cosa alla luce del sole. Ora attendo una sua sollecita risposta a
questa mia, e non partirò prima di averla ricevuta. Ho già fatto i conti: lei riceve questa lettera
il 22 settembre, mi risponde subito, la posta parte venerdì 25, il 3 ottobre ricevo la sua
risposta e il 6 posso partire. Non ho infatti nessuna ragione per affrettarmi, e certo non resto
qui inutilmente o senza frutto, perché mi rinchiudo in casa e lavoro per mettere insieme
quanti più soldi è possibile. Ora vorrei solo domandarle una cosa. Non so ancora in che modo
desidera che io viaggi. Visto che con me non avrò molto bagaglio, in quanto quello di cui non
ho bisogno lo spedirò alla prima occasione, potrei procurarmi un bel cabriolet, di quelli che
vanno di moda ora, come ha fatto Wendling. Dopo uno può viaggiare come vuole, con la
posta o con un vetturino. Qui i cabriolet non sono più come quelli di un tempo, cioè aperti,
ora sono chiusi e con i vetri, solo che hanno due ruote e che possono starci sedute due
persone non troppo grasse. Ma
il tutto lo saprò dalla sua risposta a questa lettera. Devo chiederle ancora una cosa, che
spero non mi negherà. Si tratta di questo: qualora i Weber non si siano trasferiti a Monaco,
ma siano rimasti a Mannheim, cosa che d’altra parte non mi auguro e di cui dubito molto, non
potrei concedermi il piacere di passare di là per fare loro visita? Certo non è la strada più
diretta, ma non allungherei di molto, almeno non mi pare. Ma non credo che sarà necessario,
li troverò a Monaco. Spero di riceverne conferma domani per lettera. In caso contrario sono
del tutto certo, conoscendo bene la sua bontà, che non vorrà negarmi questa gioia.
Dilettissimo padre! Se l’arcivescovo vuole una nuova cantante, in fede mia non ne conosco
una migliore,15 ché una Teyber o una De Amicis non la trova e le altre sono sicuramente
meno brave di lei. Mi dispiace solo che se per Carnevale verrà a Monaco qualcuno di
Salisburgo e verrà data la Rosamunda,16 la povera Weber probabilmente non piacerà, o
quanto meno la gente non potrà giudicarla in modo corrispondente ai suoi meriti, perché ha
una parte infelicissima, quasi una Persona muta. Deve cantare alcune strofe fra i cori; ha un
'aria dal cui ritornello si potrebbe trarre qualcosa di buono, ma la parte vocale è alla
Schweitzer, come se ci fossero tanti cani che abbaiano; ha solo una specie di Rondeau nel
secondo atto, in cui può sostenere un po’ la voce e quindi anche metterla in evidenza. Eh sì,
mal gliene incoglie al cantante o alla cantante che capita nelle mani di Schweitzer, ché costui
non imparerà mai finché campa a scrivere qualcosa di cantabile. Quando sarò a Salisburgo,
certo non mancherò di parlare con tutto lo zelo possibile a favore della mia cara amica. Nel
frattempo lo chiedo a lei, e non manchi di fare anche lei il possibile, non c’è piacere più
grande che possa fare a suo figlio. Ora non penso ad altro che alla gioia di riabbracciarla
presto. La prego, faccia in modo di ottenere assicurazioni in merito a tutto quanto ha
promesso l’arcivescovo, e per quello che le ho chiesto, cioè che il mio posto sia al pianoforte.
Saluti da parte mia ogni buon amico e amica, in particolare il signor Bullinger. Oh, quanto
saremo contenti insieme! Già me lo immagino, ed è come se lo vedessi. Adieu. Le bacio
centomila volte le mani e abbraccio mia sorella con tutto il cuore. Nella speranza di ricevere
subito una risposta per poter partire immediatamente, rimango il suo devotissimo figlio
Wolfgang Amadè Mozart
A propos, dalla mia ultima lettera saprà che sono stato a St. Germain e là mi hanno dato
una commissione: Madame de Folard, moglie dell’ex ambasciatore francese a Monaco 17 e
amica carissima del vescovo di Chiemsee, vorrebbe sapere se quest’ultimo ha ricevuto le sue
lettere, non avendo lei ricevuto risposta. La prego sinceramente di usarmi questa cortesia, che
mi è stata chiesta in modo assai pressante. Adieu. Attendo la sua risposta e non partirò prima
di averla ricevuta. Per quel che le ho scritto di questo signore, faccia finta di nulla: certa gente
mi piace ripagarla con la gentilezza; così soffre maggiormente, non potendo rispondere nulla.
Adieu.
*
1 In questa lettera Leopold annunciava di aver concordato tutto con l’arcivescovo
Colloredo per la riassunzione di Wolfgang alla corte di Salisburgo.
2 Colloredo aveva detto a voce a Leopold che gli era impossibile nominare Wolfgang
maestro di cappella, ma che quando Leopold stesso non si fosse più sentito in grado di
svolgere tale funzione, Wolfgang sarebbe subentrato al suo posto.
3 K297 e Anh. 8 (K63iia), perduta.
4 Si era mostrato in effetti prezioso durante il soggiorno dei Mozart a Parigi nel 1763,
organizzando concerti, mediando loro utili conoscenze, ecc.
5 Verosimilmente l’opera Le finte gemelle, di Nicola Piccinni.
6 Non risulta che li abbia mai composti.
7 La corte di Mannheim.
8 Cfr. lettera del 30 luglio 1778, nota 2.
9 Elisabeth Maria Aloisia Auguste, moglie di Carlo Teodoro, principe elettore del
Palatinato e della Baviera.
10 Jean Georges Sieber, che pubblicò le sonate di cui alla nota 8.
11 I concerti per pianoforte e orchestra K271, 246 e 238.
12 Cfr. lettera del 4 febbraio 1778, nota 5.
13 Friedrich Melchior von Grimm.
14 Grimm era divenuto barone solo nel 1775, quando era stato nominato ambasciatore
della casa di Sassonia-Gotha.
15 Pensa ad Aloisia Weber.
16 Opera di Anton Schweitzer, su testo di Wieland.
17 Hubert Chavalier de Folard, dal 1736 al 1776 ambasciatore francese in Baviera.
AL PADRE
Monaco, 8 gennaio 1779
Mon trés cher Pére!
Mi auguro lei abbia ricevuto regolarmente la mia ultima lettera, che volevo spedirle per
mezzo del vetturino di corte, ma che poi, non avendo fatto in tempo, ho consegnato alla
posta. Attraverso il signor Becke ho ricevuto regolarmente tutte le sue lettere, compresa
l’ultima del 31 dicembre. Gli ho fatto leggere la mia lettera e lui mi ha fatto leggere la sua.
Le assicuro, padre carissimo, che sono felicissimo di tornare da lei (ma non a Salisburgo)
perché dalla sua ultima lettera mi sono convinto che lei mi conosce meglio di un tempo. I
miei lunghi indugi a ritornare a casa, la tristezza che alla fine non mi è stato possibile celare,
avendo aperto tutto il mio cuore all’amico Becke, non avevano altra ragione che questo
dubbio. E quale altra ragione avrebbero mai potuto avere? So di non aver fatto nulla per cui
debba temere i suoi rimproveri, non mi è attribuibile alcuna colpa, se per colpa s’intende
quello che non si addice a un cristiano e a un uomo onesto; in una parola sono felice e
m’attendo fin d’ora giorni più piacevoli e lieti, ma solo in sua compagnia e in quella della mia
carissima sorella.
Le giuro sul mio onore che non posso soffrire Salisburgo e i suoi abitanti (parlo dei
salisburghesi di nascita); la loro lingua, il loro modo di vivere mi riescono del tutto
insopportabili. Lei non può immaginare ciò che ho sofferto facendo qui visita a Madame
Robinig: era da tempo che non mi capitava di parlare con una sciocca simile. E per mia
maggiore sventura c’era anche quello stupidissimo idiota di Mosmayer.1 Ma andiamo avanti.
Ieri, con il mio amico Cannabich, sono stato dalla principessa 1 e le ho presentato le mie
sonate.3 Il suo alloggio qui è come quello che sicuramente avrò io stesso un giorno, un
alloggio da privato cittadino, molto carino e grazioso, tranne che per la vista, bruttissima.
Siamo rimasti da lei una buona mezz’ora ed è stata molto gentile. Ho già fatto in modo che le
venga comunicata la mia imminente partenza, affinché si provveda presto a congedarmi. Per
il conte Seeau non deve preoccuparsi, perché non credo che la cosa dipenda da lui, e se anche
fosse non può fiatare. Per farla breve, mi creda, ardo dal desiderio di riabbracciare lei e la mia
cara sorella... se solo non fosse a Salisburgo! Ma poiché almeno per ora è impossibile vederla
senza venire a Salisburgo, ci verrò con gioia.
Devo sbrigarmi, la posta sta per partire. C’è qui la mia cuginetta. Perché? Per far piacere
a suo cugino! Questo certo è il motivo ufficiale! Solo... Ma ne parleremo a Salisburgo. Per
questo avrei molto piacere se potesse venire con me a Salisburgo! Alla quarta pagina troverà
qualcosa appuntato di sua mano. Lei verrebbe volentieri, e se dunque ha piacere di vederla a
casa sua abbia la bontà di scrivere subito al suo signor fratello affinché la cosa sia definita.
Quando la vedrà e la conoscerà, certamente le piacerà. Tutti le vogliono bene. Stia bene,
carissimo, amatissimo padre. Le bacio mille volte le mani, abbraccio di tutto cuore la mia
cara sorella e rimango in eterno
Madame Hepp, nata d’Hosson4 è morta ieri di parto. Anche lei il suo devotissimo figlio
l’hanno ammazzata i medici. W. A. Mozart
*
1 Non meglio identificato.
2 Elisabeth Maria Aloisia Auguste, moglie di Carlo Teodoro, principe elettore del
Palatinato e della Baviera.
3 Cfr. lettera del 30 luglio 1778, nota 2.
4 Maria Anna von Hepp, una conoscente di Monaco.
ALLA CUGINA
Salisburgo, 10 maggio 1779
Carissima, amatissima, bellissima, gentilissima, leggiadrissima cuginetta o cornetta,1
che un indegno cugino ha fatto montare in bestia! soffiami non dico dove se è buono
buon pro.
Se io Joannes Chrisostomus Sigismundus Amadeus Wolfgangus Mozartus sarò in grado
di placare, mitigare, ammansire l’ira che sicuramente innalza di un buon tacco di pantofola la
sua leggiadra beltà - visibilia e invisibilia — è una domanda a cui voglio pur dare risposta:
ammansire significa all’incirca rendere qualcuno tenero e gustoso come manzo bollito - io di
natura sono molto mansueto, e mi piace anche il manzo, specie con la senape. Dunque tutto
bene con Lipsia,2 benché il signor Ficograttato3 si picchi o piuttosto s’impicchi di sapere che
del pasticcio non se ne farà nulla - e a questo non ci posso proprio credere. Non varrebbe
neanche la pena di chinarsi. Già, ma se fosse una borsa piena di quattrini, allora sì che la si
potrebbe raccogliere, prendere su o agguantare. Sicché, come ho detto, non posso darlo a
meno, è il prezzo più onesto. Non voglio che ci si metta a mercanteggiare, visto che non sono
una donnetta. E così, ciao ciao! Eh, sì, mia carissima cornetta, così va il mondo, uno ha la
borsa e l’altro ha i quattrini, e chi non ha né l’uno né l’altro non ha niente, e niente è molto
poco, e poco non è molto, perciò niente è sempre meno di poco e poco sempre più di non
molto e molto sempre più di poco e ... così è, così è stato e così sarà. Falla finita con questa
lettera, chiudila e spediscila a destinazione... Feigele.
il suo umilissimo e devoto cugino il culo mio non è di Berlino
Latus di sopra V.S.4
P.S. La compagnia di Bòhm 5 è già partita? me lo dica, carissima, la prego, per l’amor
del cielo! ohimè!... Ormai sarà ad Ulm, no? oh, non mi lasci nell’incertezza, la supplico per
tutto ciò che più le è sacro ...
Gli dei sanno che sono sincero.
Campa ancora Michele Tura? 6 soffia soffia nella mia apertura.
Vogt7 e signora vanno d’accordo?
Ancora non si sono presi per il collo?
Domando, domando e più non mollo.
Una tenera ode! 8
La tua soave imago, o cuginetta, sempre davanti agli occhi miei si libra, solo fra meste
lagrime la miro, perché lei non è te.
Quando la sera imbruna essa mi appare, e ai raggi della luna; e allora io piango perché
lei non è te.
Io ti supplico, imago, per quei fiori che cogliere desidero per lei, per quei rami di mirto
che vorrei in vaghe corone intrecciar per lei, trasfórmati, visione, deh, trasformati, S.V.9 e
diventa colei, la cuginetta. P.T.10
finis coronat opus, Barone di Codaporcina. I
I miei ossequi e quelli di tutti noi all’autore dei suoi giorni e alla di lui signora - cioè a
chi si è dato la pena di farla e a chi se l’è lasciata fare. Adieu, adieu, angelo.
Mio padre le dà la sua ziesca benedizione, mia sorella le dà mille baci cuginali e il
cugino le dà quello che non ha il permesso di darle.
Adieu, adieu, angelo!
Scriverò più a lungo con la prossima posta ordinaria e sarà qualcosa di molto serio e di
veramente importante. Rimaniamo dunque cosi fino a nuovo ordine. Adieu, adieu, angelo!
*
1 In tedesco gioco di parole tra Baste (cuginetta) e Basse ben (piccolo contrabbasso). È il
primo di una serie di giochi di parole che non sempre è possibile rendere in italiano.
2 Allusione non più comprensibile.
3 Probabilmente si tratta di Karl Bernhard von Feigele (Fe;g=fico), studente di
giurisprudenza all’università di Salisburgo, futuro innamorato della cuginetta.
4 Vertatur subito.
5 La compagnia del celebre capocomico Johann Heinrich Bohm.
6 Statua di san Michele posta sopra l’orologio della Perlachturm ad Augusta.
7 Peter Vogt, ballerino della compagnia di Bòhm; sua moglie era attrice nella stessa
compagnia.
8 Mozart riprende qui con pochissime varianti (o Baschen invece di Edone; wenn der
Mond invece di wenn der Abend-, o Bàschen selbst invece di Edone selbst) l’ode An Edone
di Klopstock (1771).
9 Salva verecundia.
10 Pieno titulo.
AL PADRE
Vienne, ce 17 de mars 1781
Mon trés cher amy! 1
Grazie a Dio ieri, giorno 16, sono arrivato qui, solo soletto, con un calesse postale. L’ora
stavo quasi per dimenticarla: erano le 9 di mattina. Fino ad Unterhaag ho viaggiato con la
carrozza postale, ma poi il culo con tutti i suoi annessi ha cominciato ad ardermi in modo tale
che non ce la facevo più a resistere. Volevo proseguire con la diligenza ordinaria, ma il signor
Escherich2, un egregio funzionario, ne aveva anche lui abbastanza del postale e mi ha fatto
compagnia fino a Kemmelbach. A Kemmelbach volevo aspettare la diligenza, ma il signor
postiere mi ha detto che non avrebbe potuto autorizzarmi a viaggiarvi, perché lì non c’era una
posta centrale. Ho dovuto perciò prendere la posta straordinaria. Giovedì 15 alle 7 di sera
sono arrivato stanco morto a St. Pòiten, mi sono messo a dormire fino alle 2 di notte e poi ho
proseguito diritto fino a Vienna.
Le scrivo, sa dove?, nel giardino dei Mesmer,3 nella Land-strafie. La vecchia signora
Mesmer4 non è in casa, ma c’è l’ex signorina Franzl,s ora signora von Bosch, che mi ha
incaricato e mi incarica tuttora di porgere mille ossequi a lei e a mia sorella. Senta, sul mio
onore quasi non l’avrei più riconosciuta, tanto si è fatta grossa e grassa; ha tre figli, due
signorine e un giovanotto; la signorina si chiama Nannerl, ha quattro anni e si giurerebbe che
ne ha sei, il giovanotto tre e si giurerebbe che ne ha sette, e alla bambina di nove mesi si
darebbero sicuramente due anni, tanto crescono forti e robusti. E ora parliamo
dell’arcivescovo6: ho una camera deliziosa nella stessa casa in cui alloggia lui. Brunetti e
Ceccarelli alloggiano in un’altra casa. Che distinzione! Il mio vicino è il signor Klein-mayr,
che al mio arrivo mi ha colmato di gentilezze; è davvero un uomo squisito.
A mezzogiorno - per i miei gusti un po’ troppo presto, purtroppo - ci mettiamo già a
tavola; a mangiare ci sono i due signori camerieri particolari, il signor controllore,7 il signor
Zetti, il pasticciere, i due signori cuochi, Ceccarelli, Brunetti e la mia modesta persona. N.B.:
i due signori camerieri partici
colari siedono a capotavola. Io ho almeno l’onore di sedere davanti ai cuochi. Insomma,
mi pare sempre di essere a Salisburgo. A tavola si fanno scherzi sciocchi e grossolani; con me
non scherza nessuno, perché non dico una parola, e se proprio devo dire qualcosa lo faccio
sempre con la massima serietà. Non appena ho finito di mangiare, me ne vado per la mia
strada. La sera non si mangia, ma ognuno riceve tre ducati. Ci si va lontano. Il signor
arcivescovo è tanto generoso e si fa bello con i suoi dipendenti. Sottrae loro ogni possibile
guadagno e in cambio non li paga.
Ieri alle quattro abbiamo già dato un concerto. Cerano almeno venti persone della più
alta nobiltà. Ceccarelli ha dovuto già cantare dal Balfi.8 Oggi dobbiamo andare dal principe
Galitsin, che era presente anche ieri. Ora voglio vedere se mi danno qualcosa; se non ricevo
niente, vado dall’arcivescovo e gli dico con tutta franchezza che se non vuole che io guadagni
qualcosa, allora deve pagarmi lui, in modo che io non sia costretto a vivere del mio.
Adesso devo chiudere, perché passando consegnerò la lettera alla posta e poi andrò
subito dal principe Galitsin. Le bacio mille volte le mani, abbraccio di cuore mia sorella e
rimango ora e sempre il suo
P.S. Qui a Vienna c’è Rossi, il buffo.9 Sono stato dai Fischer 10: non posso descrivere la
loro gioia, tutta la famiglia vi manda i suoi ossequi.
Sento che a Salisburgo danno dei concerti.
Cosa mi perdo, è spaventoso! Adieu!
Il mio indirizzo è; presso la
Casa tedesca,devotissimo figlio
nella SingerstraSe. Wolfgang Amadé Mozart
*
1 È l’unica lettera dell’epistolario in cui Mozart si rivolge al padre con questa formula,
particolarmente affettuosa.
2 Non meglio identificato.
3 La famiglia del medico Franz Anton Mesmer.
4 Maria Anna Mesmer, moglie di Franz Anton Mesmer.
5 Franziska Oesterling, che abitava in casa Mesmer dal 1772 e su cui il dottor Mesmer
nel luglio 1774 aveva sperimentato la sua terapia. Nel 1776 aveva sposato il figliastro del
dottore, Franz de Paula von Bosch.
6 Mozart era al seguito dell’arcivescovo di Salisburgo, che si era recato a Vienna per far
visita a suo padre, il vicecancelliere imperiale Rudolph Joseph, principe di Colloredo-Melz
und Wallsec.
7 Ernst Maximilian Kòllenberger.
8 II conte Pàlffy, marito di una sorella dell’arcivescovo.
9 II basso Felice Rossi, che aveva cantato la parte del podestà Anchise alla prima
dell’opera La finta giardiniera, il 13 gennaio 1775.
10 La famiglia del ramaio Gottlieb Friedrich Fischer, conoscente dei Mozart.
AL PADRE
Vienna, 24 marzo 1781
Mon Trés Cher Pére!
Ho ricevuto regolarissimamente la sua lettera del 20 e da essa ho appreso con gioia che
siete entrambi felicemente arrivati e che state bene.1 Dovrà prendersela con il mio cattivo
inchiostro e con la mia penna se questa lettera più che leggerla dovrà compitarla. Basta,
bisogna comunque che le scriva e il mio signor tagliapenne, il signor von Lierzer, oggi mi ha
piantato in asso. Sul suo conto, poiché lei probabilmente lo conoscerà meglio di me, non
posso dirle altro se non che è, credo, salisburghese e che in vita mia l’ho visto solo qualche
volta dai Robinig, al cosiddetto concerto delle *. Ma lui mi ha fatto subito visita e mi sembra
una persona molto ben educata e, poiché mi ha tagliato le penne, cortese. Ritengo sia un
Secretaire. Un altro che mi ha fatto una visita inattesa è stato Gilowsky, il fratello della
Katherl. Perché inattesa? Perché mi ero completamente dimenticato che si trova a Vienna.
Come può trasformare rapidamente una persona, un paese straniero! Costui diventerà
sicuramente una persona onesta e capace, sia nel suo mestiere, sia nella sua condotta.
Nel frattempo avrà ricevuto la lettera dell’imperatore e del principe Kaunitz.2 Quello che
mi scrive dell’arcivescovo, sul fatto che la mia persona solletica il suo orgoglio, è giusto, ma
a che serve tutto ciò? Non si vive di questo, e deve credere che lui nei miei confronti è come
uno schermo paraluce. Quali segni di distinzione mi offre? Il signor von Kleinmayr e Bònike
hanno un tavolo a parte con l’illustrissimo signor conte Arco 3; sarebbe un segno di
distinzione potermi sedere a tavola con loro e non con i camerieri, che - salvo poi avere il
primo posto a tavola — accendono le luci, aprono la porta e devono restare in anticamera,
quando io sono dentro, e con i signori cuochi. E poi, se siamo chiamati da qualche parte dove
c’è un concerto, il signor Angelbauer deve aspettare fuori finché non arrivano i signori di
Salisburgo e farli annunciare da un lacchè perché possano entrare. Quando Brunetti l’ha
raccontato, così parlando, ho pensato: «Aspettate solo che arrivi io». Così quando
ultimamente dovevamo andare dal principe Galitsin, Brunetti mi ha detto, con la sua abituale
cortesia: «Tu, bisogna che sei qui sta sera alle sette, per andare insieme dal Prencipe gallizin.
L‘Angelbauer ci condurrà», ho risposto: «Và bene - ma - se in caso mai non fofli qui alle
sette in punto: ci andate pure; non serve aspettarmi, sò ben dovè sta, e ci verrò sicuro». Ci
sono andato da solo volutamente, vergognandomi di presentarmi con loro, ovunque fosse.
Quando sono salito il signor Angelbauer era già là, pronto a ordinare al signor domestico di
farmi.entrare. Io però non ho fatto caso né al signor cameriere né al signor domestico, ma ho
tirato diritto attraverso le stanze fino alla sala di musica, essendo tutte le porte aperte, e sono
andato direttamente dal principe e gli ho presentato i miei omaggi e là sono poi rimasto
parlando sempre con lui. M’ero totalmente dimenticato dei miei Ceccarelli e Brunetti, perché
non si vedevano. Erano appoggiati al muro, dietro l’orchestra, e non osavano fare un passo.
Se un cavaliere o una dama parla con Ceccarelli, lui ride sempre. E se qualcuno parla con
Brunetti, lui diventa rosso e risponde con il tono più asciutto di questo mondo. Oh, avrei
molto da scrivere, se volessi descrivere tutte le scene che d sono state con l’arcivescovo,
Ceccarelli e Brunetti da quando sono giunto e prima del mio arrivo. Mi stupisce solo che lui
non si vergogni di Brunetti: se fossi in lui mi vergognerei. E poiché il giovanotto qui ci sta
tanto mal volentieri — è una cosa troppo distinta per lui - credo che le sue ore più liete siano
quelle che trascorre a tavola. Oggi il principe Galitsin ha mandato a chiamare Ceccarelli
perché cantasse. La prossima volta sarà certamente il mio turno. Stasera andrò con il signor
Kleinmayr da uno dei suoi buoni amici, il consigliere aulico Braun, che tutti mi dicono essere
il più grande appassionato di pianoforte esistente. Sono stato già due volte a pranzo dalla
contessa Thun e le faccio visita quasi tutti i giorni. È la dama più affascinante e più amabile
che abbia conosciuto in vita mia, ed anche lei mi tiene in grandissimo conto. Suo marito è
sempre il solito eccentrico cavaliere, però onesto e benpensante. Sono stato a pranzo anche
dal conte Cobenzl,4 per merito di sua cugina, la contessa von Rumbeke, sorella del Cobenzl5
che è nel collegio dei paggi, quella che è stata a Salisburgo con suo marito.
Ora il mio scopo principale è di arrivare in qualche bella maniera all’imperatore, perché
voglio assolutamente che mi conosca. Sarei ben contento di dargli un rapido saggio della mia
opera e di suonargli poi bravamente delle fughe, perché ne è un appassionato. Se avessi
previsto questa mia venuta a Vienna per la quaresima, avrei scritto un piccolo oratorio e
l’avrei dato a teatro, a mio beneficio, come fanno tutti da queste parti. Non avrei avuto
difficoltà a scriverlo in anticipo, perché
conosco tutte le voci. Quanto mi piacerebbe poi dare un concerto pubblico, come si usa
qui, ma... non me lo permettono, lo so bene, perché, si figuri... Lei sa che qui esiste una
società che organizza concerti a beneficio delle vedove dei musicisti.6 Chiunque abbia a che
fare con la musica vi suona gratuitamente. L’orchestra comprende centottanta persone.
Nessun virtuoso che abbia un minimo di amore del prossimo rifiuta di suonare, se la società
lo prega di farlo, perché in tal modo ci si fa benvolere sia dall’imperatore che dal pubblico.
Starzer è stato incaricato di invitarmi ed io ho accettato subito, dicendo però che avrei
dovuto sentire prima il parere del mio principe, pur non nutrendo alcun dubbio, trattandosi di
una cosa santa, senza compenso, fatta solo per compiere un’opera buona; non me l’ha
permesso. Tutta la nobiltà se ne è avuta a male con lui. A me dispiace solo perché non avrei
suonato un concerto, ma (con l’imperatore seduto nel palco di proscenio e con la contessa
Thun che mi avrebbe fornito per l’occasione il suo bel Pianoforte Stein) avrei eseguito da
solo dei preludi, una fuga e poi le variazioni «Je suis Lindor»7; dovunque lo abbia fatto, ho
sempre riscosso il massimo successo di pubblico, perché sono pezzi che fanno un bel
contrasto, e tali da soddisfare ogni gusto; ma Pazienza.
Fiala ai miei occhi vale ora mille volte di più, se si rifiuta di suonare per meno di un
ducato.8 Mia sorella non è stata ancora invitata? Spero che ne domanderà due, di ducati.
Perché non mi piacerebbe che noi, che dall’orchestra di corte ci distinguiamo in tutto, non lo
facessimo anche in questo caso. Se non la vogliono, lascino perdere, ma se la vogliono, che la
paghino, per Dio. In questi giorni andrò da Madame Rosa9 e lei sarà sicuramente soddisfatto
del suo abile ministro; voglio metter mano alla faccenda con la stessa abilità di Weiser,
quando hanno suonato la campana a morto per la madre di sua moglie.10
Il signor von Zetti mi ha proposto subito di affidargli le mie lettere. Le spedirà con il
pacchetto.
I due quartetti11 non mi servono e neppure l’aria della Baumgarten.12
A propos, a che punto siamo con il regalo del principe elettore? 13 Hanno già mandato
qualcosa? È stato dalla Baumgarten prima di partire?
Ora la prego di porgere i miei saluti ad ogni buon amico e amica, in particolare alla
Katherl, a Schachtner e a Fiala. Il signor von Kleinmayr, Zetti, Ceccarelli, Brunetti, il
controllore,14 i due camerieri,15 Leutgeb, Ramm, che parte domenica, inviano tutti i loro
saluti.
A propos, c’è qui Peter Vogt.14 Ed ora stia bene, le bacio mille volte le mani, abbraccio
di tutto cuore mia sorella e rimango per sempre il suo
(C’è qui anche il buffo Rossi).17
28 marzo
Non ho terminato la lettera perché è venuto a prendermi con la carrozza il signor von
Kleinmayr, per portarmi al concerto del barone Braun. Posso cosi scriverle che l’arcivescovo
mi ha dato il permesso di suonare al concerto per le vedove. Starzer ha assistito al concerto da
Galitsin e sia lui che l’intera Noblesse l’hanno a tal punto tormentato che alla fine ha
concesso l’autorizzazione. Quanto sono contento! Da quando sono qui ho mangiato in casa
quattro volte: è troppo presto per me e si mangia troppo male. Se il tempo è molto brutto
resto in casa, come oggi, par Exemple.
Mi scriva un po’ cosa succede di nuovo a Salisburgo, perché mi hanno posto una
terribile quantità di domande al riguardo.
Questi signori hanno molta più voglia di me di avere notizie di Salisburgo.
devotissimo figlio Wolf. Amadé Mozart
La Mara 18 è qui. Martedì scorso ha dato un concerto a teatro. Suo marito 19 non ha
potuto farsi vedere, perché altrimenti l’orchestra non l’avrebbe accompagnato, avendo fatto
scrivere sui giornali che in tutta Vienna non esiste nessuno in grado di farlo. Adieu.
Oggi mi ha fatto visita il signor von Moli20; domani o dopodomani andrò a colazione da
lui e porterò con me l’opera.21 Porge i suoi ossequi ad entrambi. Dal signor von Auern-
hammer22 e dalla sua grassa signorina figlia 23 andrò non appena migliora il tempo. Dal che
può capire che ho ricevuto
anche la sua ultima del 24. Il vecchio principe Colloredo,24 a casa del quale abbiamo
eseguito un concerto, ha dato a ciascuno di noi cinque ducati. La contessa Rumbeke è
divenuta mia allieva. Il signor von Mesmer,25 ispettore della scuola normale, vi invia i suoi
saluti con quelli della sua gentile signora e del suo figliolo. Suo figlio 26 suona
magnificamente, ma è pigro, perché ritiene di saperne già abbastanza; ha anche molto
ingegno per la composizione, ma è troppo indolente per dedi-carvisi. E questo a suo padre
non garba affatto. Adieu.
*
1 Leopold e Nannerl erano arrivati il 14 marzo a Salisburgo, di ritorno da Monaco.
2 Nella lettera precedente Mozart aveva ricopiato il testo di un biglietto scritto
dall’imperatore Giuseppe al suo cancelliere, il principe Wenzel Anton Kaunitz-Rietberg, per
accompagnare il dono di una tabacchiera e la risposta del principe. I Mozart avevano
conosciuto il principe Kaunitz a Bologna nel 1770.
3 II conte Karl Joseph Felix Arco.
4 II conte Johann Philipp Cobenzl.
5 II conte Franz von Cobenzl, canonico di Olmiitz, dal 1779 al 1781 pensionante al
Collegium Virgilianum di Salisburgo, dove studiava diritto ecclesiastico e teologia.
6 La Tonkùnstler-Societat per vedove e orfani di musicisti, fondata nel 1771.
7 K354, 12 variazioni per pianoforte su «Je suis Lindor», dal Barbier de Seville di
Beaumarchais, musicato da Antoine-Laurent Bau-dron.
8 Per un concerto alla corte di Salisburgo.
9 Rosa Hagenauer-Barducci, pittrice, moglie dello scultore Johann Baptist Hagenauer.
Nel 1765 aveva dipinto il ritratto di Maria Anna Mozart, la madre di Wolfgang. Leopold
aveva ora incaricato il figlio di recuperare il ritratto in questione. Wolfgang riuscì a farselo
dare e lo spedì al padre il 17 giugno 1781.
10 Allusione non più comprensibile. Si tratta probabilmente di Franz Xaver Weiser,
consigliere e commerciante a Salisburgo.
11 Non meglio identificabili.
12 La scena «Misera dove son» - «Ah, non son io che parlo» (K 369) dall’Ez/o di
Metastasio, scritta a Monaco per la contessa Baumgar-ten, nata Lerchenfeld, favorita del
principe elettore Carlo Teodoro.
13 Mozart si aspettava un regalo dal principe elettore per la rappresentazione
dcll’Idomeneo.
14 Ernst Maximilian Kòllenberger.
15 Johann Ulrich Angelbauer e Franz Schlauka.
16 Cfr. lettera del io maggio 1779, nota 7.
17 Cfr. lettera del 17 marzo 1781, nota 9.
18 Gertrud Elisabeth Mara-Schmehling, cantante.
19 Johann Mara, violoncellista.
20 Probabilmente Ludwig Gottfried von Moli.
21 ldomeneo.
22 Johann Michael von Auernhammer.
23 Josepha Barbara Auernhammer.
24 II principe Rudolph Joseph Colloredo-Melz und Wallsee, vicecancelliere imperiale,
padre dell’arcivescovo di Salisburgo.
25 Joseph Conrad Mesmer. Fu insegnante dei figli delle famiglie più nobili di Vienna;
insegnò a leggere e a scrivere anche all’arciduchessa Maria Antonia, la futura regina Maria
Antonietta.
26 Joseph Mesmer.
AL PADRE
Vienne, ce 9 de may 1781
Mon trés cher Pére!
Sono ancora pieno di bile! e lo sarà certo anche lei, amatissimo, carissimo padre mio. La
mia pazienza è stata messa alla prova per tanto tempo; alla fine però non ho più resistito. Non
ho più la sventura di essere al servizio di Salisburgo.
Oggi per me è stato un giorno fortunato. Mi ascolti.
Già due volte quel - non so proprio come devo chiamarlo - mi ha detto in faccia le più
grandi villanie e insolenze, che non le ho voluto riferire per un riguardo verso la sua persona,
e di cui non mi sono vendicato subito soltanto perché davanti agli occhi avevo sempre lei,
padre mio carissimo. Mi ha chiamato furfante, scapestrato, mi ha detto che dovevo filare, ed
io ho sopportato tutto. Sentivo che in questo modo non veniva offeso solo il mio onore, ma
anche il suo; ma lei voleva così e sono stato zitto.
Ora ascolti! Otto giorni fa è venuto da me inaspettatamente un servitore, e mi ha detto
che dovevo sloggiare all’istante.
Tutti gli altri erano stati avvertiti del giorno, io solo no. Ho messo dunque insieme in
fretta tutte le mie cose nella valigia e la vecchia signora Weber 1 è stata tanto buona da
offrirmi la sua casa; ho una bella stanza; sto da persone premurose, che mi aiutano in tutto
quello di cui posso aver bisogno e di cui si è privi vivendo da soli.
Avevo fissato per mercoledì (cioè oggi nove) il mio viaggio con la diligenza ordinaria;
non essendo però riuscito, in questo periodo, a raccogliere il denaro che ancora mi debbono
dare, ho rimandato la partenza a sabato. Oggi, quando mi sono presentato, i camerieri mi
hanno detto che l’arcivescovo voleva darmi un Paquet da portare con me. Ho chiesto se c’era
fretta e loro mi hanno detto di sì, che era una faccenda di grande importanza. «Se è così, mi
dispiace di non poter avere l’onore di servire Sua Grazia, dato che (per le ragioni di cui sopra)
non posso partire prima di sabato; non alloggio più qui, devo vivere a mie spese, e a questo
punto mi sembra naturale che non possa partire finché non sono in condizione di farlo, e
d’altra parte non può pretendere che io ci rimetta». Kleinmayr, Moli, Bònicke e i due
camerieri personali 2 mi hanno dato pienamente ragione. Quando mi sono presentato a lui -
N.B.; devo prima dirle che Schlauka mi aveva consigliato di accampare il pretesto che nella
diligenza ordinaria non c’era più posto, perché questo per lui sarebbe stata una scusa più
plausibile - quando dunque mi sono presentato a lui, la prima cosa che mi ha detto è stata:
«Ebbene, quando partite, giovanotto?». Ed io: «Volevo andare via stanotte, ma non c’era più
posto». A questo punto ha incominciato a urlare tutto d’un fiato che sono il giovane più
scapestrato che lui conosca, che nessuno lo serve peggio di me, che mi consiglia di partire il
giorno stesso, perché altrimenti ordinerà di sospendermi la paga. Non era possibile replicare
nulla, andava avanti come una valanga. Ho ascoltato tutto quanto con la massima calma; ha
mentito spudoratamente dicendomi che la mia paga è di 500 fiorini3; mi ha chiamato
farabutto, birbone, pazzo, - oh, non potrei davvero scriverle tutto. Alla fine, avendomi
veramente fatto ribollire il sangue, ho detto: «Dunque Vostra Grazia non è contenta di me?».
«Come, intendete minacciarmi, pazzo che non siete altro! Quella è la porta, guardate, non
voglio avere più nulla a che fare con un simile infame briccone...». Alla fine ho detto: * E
neppure io con Lei». «Allora andatevene». Ed io, andandomene: «Resta senz’altro inteso
così; domani l’avrà per iscritto». Mi dica dunque, padre carissimo, se non Le sembra che io
abbia pronunciato queste parole non troppo presto, bensì troppo tardi. Ora stia a sentire! Per
me l’onore viene prima di ogni altra cosa, e
so che è così anche per Lei.
Non si preoccupi per me; qui sono tanto sicuro del fatto mio che mi sarei dimesso anche
senza avere un motivo per farlo. Ma poiché il motivo l’ho avuto, e per tre volte, non ho più
niente da guadagnare nell’attesa. O contraire, mi sono comportato due volte da vigliacco; non
mi è stato possibile alla terza.
Finché ci sarà l’arcivescovo non darò alcun concerto. Si sbaglia se crede che io mi metta
in cattiva luce presso la nobiltà e l’imperatore. L’arcivescovo qui lo detestano tutti, e
l’imperatore più di ogni altro. Infatti la sua collera è anche dovuta al fatto che l’imperatore
non l’ha invitato a Laxen-burg.4 Con la prossima posta le invierò un po’ di denaro per
convincerla che qui non sto morendo di fame.
Per il resto, la prego di stare di buon animo, perché sta per iniziare la mia fortuna ed io
spero che la mia fortuna sarà anche la sua. Mi scriva in segreto che è contento della cosa,
perché in effetti ha motivo di esserlo, ma pubblicamente si arrabbi con me come si deve, in
modo che non le si possa attribuire alcuna colpa. Ma se, nonostante questo, l’arcivescovo le
dovesse fare la minima insolenza, venga subito con mia sorella qui da me a Vienna. Sono in
grado di mantenervi entrambi, lo giuro sul mio onore; tuttavia preferirei che Lei potesse
resistere ancora un anno. Non mi scriva più nessuna lettera alla Casa tedesca,5 neppure con il
pacchetto. Non voglio sapere più niente di Salisburgo, odio l’arcivescovo fino alla frenesia.
A-dieu. Le bacio mille volte le mani, abbraccio mia sorella di tutto cuore e rimango ora e
sempre il suo devotissimo figlio
Scriva solo: da consegnare al Peter im Aug-Gottes,6 secondo piano.
Mi faccia presto sapere
che è contento, essendo questa
l’unica cosa che manca
alla mia attuale felicità. Adieu! W. A.Mozart
*
1 Maria Cacilia Weber, vedova di Franz Fridolin Weber, dal 1779 a Vienna. Dopo la
morte del marito, per mantenere sé e le figlie Josepha, Constanze e Sophie, faceva
l’affittacamere.
2 Johann Ulrich Angelbauer e Franz Schlauka.
3 Lo stipendio di Mozart a Salisburgo, come organista di corte, era di 450 fiorini l’anno.
4 Residenza estiva dell’imperatore a sud di Vienna.
5 La casa dell’ordine dei cavalieri teutonici, nei pressi del duomo di Santo Stefano,
dove alloggiava l’arcivescovo di Salisburgo con il suo seguito.
6 È l’indirizzo della famiglia Weber.
AL PADRE
Vienne ce 12 de May 1781
Mon trés cher Pére!
Saprà dalla mia ultima lettera che ho chiesto al principe di congedarmi, giacché lui stesso
me l’ha ordinato. Infatti già nelle due udienze precedenti mi aveva detto: «Se non volete
servirmi come si deve, filate via!». Lui naturalmente dirà che non è così, ma è vero, come è
vero che Dio sta in cielo. Non c’è dunque da meravigliarsi se io alla fine (del tutto fuori di me
a causa di certi epiteti come birbante, farabutto, buffone, scapestrato e simili, espressioni
veramente degne di encomio in bocca ad un principe) ho preso atto di questo «filate via».
Il giorno dopo ho consegnato una supplica al conte Arco,1 perché la presentasse a Sua
Grazia con i soldi per il viaggio, vale a dire 15 fiorini e 40 soldi per la Diligence e 2 ducati
per i pasti. Lui non ha accettato nulla, sostenendo che non posso licenziarmi se prima non ho
il suo benestare, padre mio. «È suo dovere», mi ha detto. Ho ribattuto subito che il mio
dovere verso mio padre lo conosco quanto e forse meglio di lui e che mi dispiacerebbe molto
doverlo apprendere da lui. Ha detto: «Bene, se lui è d’accordo, lei può chiedere di essere
congedato, altrimenti... può chiederlo ugualmente». Una bella distinzione! Tutte le cose
edificanti che mi ha detto l’arcivescovo nelle tre udienze, specie nell’ultima, e le belle novità
che mi ha riferito questo egregio uomo di Dio hanno avuto un effetto così eccellente sul mio
fisico che quella sera, all’opera, ho dovuto tornarmene a casa a metà del primo atto per
mettermi a letto, dato che ero tutto accaldato, tremavo in tutto il corpo e per strada barcollavo
come un ubriaco. Anche il giorno successivo, cioè ieri, non sono uscito di casa, rimanendo a
letto tutta la mattina, perché ho preso l’acqua di tamarindo.
Il signor conte ha avuto anche la bontà di scrivere al suo signor padre 2 tante cose belle
sul mio conto, che lei, immagino, avrà già dovuto mandare giù. Naturalmente ci sarà qualche
particolare assai fantasioso; ma scrivendo una commedia, se si vuole essere applauditi,
bisogna esagerare un po’, senza preoccuparsi tanto di rimanere fedeli alla verità dei fatti. E
deve anche dare atto a questi signori del loro zelo.
Ora desidero solamente, senza peraltro angustiarmi troppo, poiché tengo maggiormente
alla mia salute e alla mia vita (è già abbastanza spiacevole per me esservi costretto), desidero
dunque riferirle il principale appunto che mi è stato fatto a proposito del mio servizio. Non
sapevo di essere un cameriere, e questo è stata la mia rovina. Ogni mattina avrei dovuto
sprecare cosi un paio d’ore in anticamera. Lo ammetto, più di una volta mi è stato detto di
farmi vedere, ma non mi risultava che il mio servizio consistesse in questo e mi sono sempre
regolarmente presentato solo quando l’arcivescovo mi ha fatto chiamare.
E ora voglio brevemente confidarle la mia irremovibile decisione, in modo tale però che
la possa ascoltare il mondo intero: se dall’arcivescovo di Salisburgo potessi avere 2.000
fiorini di stipendio e in un altro posto solo 1.000, sceglierei quest’altro, giacché in cambio dei
1.000 fiorini di differenza potrei godere della salute e della tranquillità d’animo. Per il suo
affetto paterno, che lei mi ha dimostrato in così grande misura fin dagli anni dell’infanzia e di
cui finché avrò vita non potrò mai esserle abbastanza riconoscente (meno che mai però a
Salisburgo), mi auguro dunque che non mi scriva assolutamente nulla su questo argomento e
lo seppellisca nel più profondo oblio, se desidera la salute a la felicità di suo figlio. Giacché
anche una sola parola basterebbe ad avvelenarmi nuovamente il sangue e anche per lei - sì, lo
riconosca - sarebbe lo stesso.
Ora stia bene e sia contento di non avere per figlio un vigliacco; le bacio mille volte le
mani, abbraccio la mia cara sorella di tutto cuore e rimango per sempre
il Suo devotissimo figlio Wolfgang Amadé Mozart
*
1 II conte Karl Joseph Felix Arco.
2 II conte Georg Anton Felix Arco.
AL PADRE
Vienne, ce 12 de may 1781
Mon trés cher Pére!
Nella lettera che le ho spedito con la posta1 mi sono espresso con lei come se fossimo al
cospetto dell’arcivescovo.
Ma ora, padre mio carissimo, le parlo da solo a solo. Di tutti i torti che l’arcivescovo mi
ha fatto dall’inizio del suo governo fino ad oggi, dei continui rimbrotti, di tutte le insolenze e
le villanie che mi ha detto in faccia, del mio diritto incontestabile di lasciare il suo servizio,
possiamo anche non parlare, non essendoci tra l’altro nulla da dire. Ora voglio parlare solo di
quello che mi avrebbe comunque indotto ad andarmene anche senza il motivo dell’offesa.
Qui ho le migliori, le più utili conoscenze del mondo, sono benvoluto e stimato dalle famiglie
più importanti, mi viene reso ogni possibile onore e per di più mi pagano. E dovrei languire
per 400 fiorini a Salisburgo, senza remunerazione, senza incoraggiamenti? Languire senza
esserle utile in alcun modo, mentre qui posso esserlo sicuramente! Come andrebbe a finire?
Nello stesso identico modo: o dovrei lasciarmi offendere a morte, o dovrei di nuovo
andarmene. Non è necessario che le dica altro, lo sa benissimo. Ancora una cosa: tutta Vienna
conosce già la mia storia. Tutta la Noblesse mi consiglia di non farmi più ingannare.
Padre carissimo! Presto verranno da lei con tante belle parole, ma sono serpenti, vipere.
Tutte le anime abiette sono così: altere e superbe fino alla nausea, e poi tornano a strisciare.
Disgustoso! I due camerieri particolari2 sono stati testimoni di questa porcheria; Schlauka in
particolare ha detto a qualcuno: «In tutta questa storia non posso certo dare torto a Mozart, ha
perfettamente ragione. Avrebbe dovuto provarci con me! L’ha messo alla porta come un
mendicante. L’ho sentito. Infame!». Ammettiamo che l’arcivescovo riconosca il suo torto. Ma
non ha già avuto tante volte la possibilità di riconoscerlo? Ed è forse divenuto migliore per
questo? No! Dunque, via! Se non avessi avuto paura che la vicenda potesse provocare
conseguenze poco piacevoli per lei, la situazione sarebbe cambiata già da un pezzo. Ma,
venendo al dunque, cosa può farle? Niente! Una volta che sa che le cose mi vanno bene, potrà
facilmente fare a meno del favore dell’arcivescovo, la paga non gliela può togliere. E del
resto lei compie il suo dovere. E che le cose mi andranno bene, glielo posso garantire.
Altrimenti non avrei compiuto un passo così decisivo. Benché debba confessarle che dopo
una tale offesa me ne sarei andato comunque, a costo di dover chiedere l’elemosina: chi,
infatti, si lascia rompere i coglioni, soprattutto quando può avere di meglio? Perciò se ha dei
timori faccia finta di essere arrabbiato con me. Nella sua lettera mi rimproveri pure come si
deve, purché noi due si sappia come stanno le cose. Non si faccia però ingannare dalle loro
lusinghe! Stia in guardia! Adieu. Le bacio mille volte le mani, abbraccio la mia cara sorella di
tutto cuore. Alla prossima occasione arriveranno anche il ritratto,3 i nastri, la mussolina e
tutto il resto. Adieu. Rimango per sempre
il suo devotissimo figlio Wolfgang Amadè Mozart
I miei complimenti a tutta Salisburgo, in particolare alla Katherl e a Marchand.4
*
1 La lettera precedente. Questa lettera invece Mozart l’ha fatta consegnare al padre da
qualche dipendente della corte di Salisburgo ed è scritta in parte in linguaggio cifrato.
2 Johann Ulrich Angelbauer e Franz Schlauka.
3 II ritratto della madre, dipinto da Rosa Hagenauer-Barducci. Cfr. lettera del 24 marzo
1781, nota 9.
4 Heinrich Wilhelm Philipp Marchand.
AL PADRE
Vienne ce 16 de may 1781
Mon trés cher Pére!
Altro non potevo supporre se non che lei sul momento, di fronte ad un fatto per lei così
inaspettato (visto che attendeva già il mio arrivo come cosa certa), avrebbe scritto tutto quello
che in effetti ho dovuto leggere. Ma ora avrà riflettuto meglio e, da uomo d’onore quale lei è,
sentirà più grave l’offesa, e saprà e vedrà che quello che lei pensava non tanto deve accadere,
ma è già accaduto. A Salisburgo è sempre più difficile riuscire ad andarsene; là è lui che
comanda, ma qui... è un buffone, come Io sono io ai suoi occhi. E poi mi creda! La conosco e
conosco i miei buoni sentimenti per lei. L’arcivescovo magari mi avrebbe dato qualche
centinaio di fiorini in più ed io... avrei accettato e sarebbe ricominciato tutto da capo.
Mi creda, padre mio carissimo, ho bisogno di tutta la forza che un uomo può avere per
scriverle quel che la ragione comanda. Dio sa quanto sia doloroso per me separarmi da lei!
Ma a costo di dover mendicare, non voglio più servire un simile signore, perché non potrò
dimenticare sin che vivo quanto è accaduto. E la prego, la prego per tutto quanto esiste al
mondo, non tenti di distogliermi da questa decisione, ma cerchi piuttosto di rafforzarla! Lei
vuole costringermi all’inattività. È mio desiderio e mia speranza raggiungere onore, fama e
ricchezza, e spero sinceramente di esserle più utile a Vienna che non a Salisburgo. La strada
per Praga 1 è ora per me un poco più aperta che se fossi a Salisburgo. Quanto a quello che lei
scrive sulla Weber,2 posso assicurarle che non è vero. Con la Lange3 sono stato un pazzo, è
vero, ma che cosa non si fa quando si è innamorati! Ma l’ho amata davvero e sento che
ancora non mi è indifferente. Ed è una fortuna per me che suo marito sia pazzamente geloso e
non le permetta di andare da nessuna parte, perché così raramente ho occasione di vederla.
Può esser certo che la vecchia signora Weber4 è una donna molto pronta a rendersi utile e che
io non posso contraccambiarla adeguatamente, à proportion del suo zelo, perché non ne ho il
tempo.
Ora sono ansioso di ricevere una sua lettera, carissimo, amatissimo padre mio. Rassereni
suo figlio; perché solo il pensiero di dispiacerle può renderlo infelice in circostanze così
promettenti come quelle attuali! Adieu, mille volte addio! Le bacio mille volte le mani e
rimango per sempre il suo
devotissimo figlio W. A. Mzt
P.S. Se dovesse veramente credere che io mi trovo qui solo perché spinto da odio per
Salisburgo e da un irragionevole amore per Vienna, si informi! Il signor von Strack, mio
ottimo amico, da uomo onesto qual è, le scriverà di certo la verità.
*
1 Mozart sperava con l’aiuto dei Duschek di riuscire a trovare una sistemazione in
questa città.
2 La lettera di Leopold a cui si riferisce Mozart è andata perduta, ma si può supporre
che Leopold diffidasse delle premure della famiglia Weber e mettesse in guardia il figlio
contro i loro possibili secondi fini.
3 Cioè Aloisia Weber, dal 10 ottobre 1780 sposata con l’attore Joseph Lange.
4 Maria Cacilia Weber.
AL PADRE
Vienne ce 19 de may 1781
Mon trés cher Pére!
Non so neppure come cominciare, padre mio carissimo; ché ancora non riesco a riavermi
dallo stupore e non ci riuscirò mai, se lei continuerà a pensare e a scrivere in questa maniera.1
Devo confessarle che non c’è nella sua lettera nessun tratto in cui io riconosca mio padre! Un
padre sì, ma non l’amatissimo, l’affettuosissimo padre che ha a cuore il suo onore e quello dei
suoi figli, in una parola non mio padre.
Ma no, non è stato altro che un sogno. Lei ora si è destato e non ha bisogno di una mia
replica alle sue argomentazioni per essere più che convinto del fatto che io - ora meno che
mai - non posso assolutamente recedere dalla mia decisione. Eppure su alcuni argomenti devo
rispondere, perché in taluni punti il mio onore e il mio carattere vengono offesi nel modo più
duro. Lei non potrà mai approvare il fatto che io mi sia licenziato a Vienna. Ritengo che
quando si prende una simile decisione (benché io allora non l’avessi presa, perché altrimenti
l’avrei fatto alla prima occasione), la cosa più ragionevole sia realizzarla in un luogo in cui ci
si trova bene e in cui si hanno le migliori prospettive. Che lei non possa approvarlo per
quanto riguarda l’arcivescovo è possibile, ma per quanto riguarda me non può fare altro che
approvarlo. Il mio onore può essere salvato solo se recedo dalla mia decisione? Come può
venirle in mente un tale controsenso! Non ha pensato, scrivendolo, che tornando sui miei
passi farei di me l’essere più vile di questo mondo? Tutta Vienna sa che ho lasciato
l’arcivescovo; e conosce i motivi! Sa che l’ho fatto perché è stato offeso il mio onore, e per
ben tre volte. E io dovrei attestare davanti a tutti il contrario? Devo fare di me un vigliacco e
dell’arcivescovo un bravo principe? A fare la prima cosa non può riuscirci nessuno, e io meno
di chiunque altro, e a fare la seconda può riuscirci solo Dio, se vorrà illuminarlo. Dunque
ancora una volta non le ho dimostrato alcun affetto? E devo dimostrarglielo adesso per la
prima volta? Può affermare una cosa simile?
Non ho voluto sacrificarle nulla per il mio piacere?
E che piacere mai ho qui? Quello di affannarmi continua-mente e di angustiarmi per il
mio borsellino! Lei ritiene, a quanto sembra, che io sguazzi nei divertimenti e nei piaceri. Oh,
quanto si inganna! E questo ora! Ora che possiedo proprio ciò di cui ho bisogno. In questo
periodo è però in corso una sottoscrizione per sei sonate 2 e ricaverò così del denaro. Anche
per l’opera 3 è tutto concluso. Durante l’avvento darò un concerto4 e in seguito andrà sempre
meglio, perché qui in inverno si può guadagnare molto bene. Se per piacere si intende
l’essermi liberato da un principe che non ti paga e ti rompe i coglioni a morte, allora è vero,
vivo nel piacere; e se anche non dovessi far altro che lavorare dalla mattina alla sera, ne sarei
felice unicamente per non dover vivere dei favori di... non posso proprio chiamarlo con il
nome che si merita. Sono stato costretto a fare questo passo ed ora non posso tornare indietro
neppure di un capello, è impossibile. Tutto quello che posso dirle è che mi dispiace molto
(per lei, solo per lei, padre mio) d’essere stato costretto a tanto, e che avrei desiderato che
l’arcivescovo si fosse comportato in modo più ragionevole, solo perché così avrei potuto
consacrarle ancora tutta la mia vita. Per farle piacere, padre mio carissimo, sàrei pronto a
sacrificare la mia felicità, la mia salute e la mia vita, ma il mio onore per me viene prima di
tutto e così deve essere anche per lei. Faccia leggere questo al conte Arco 5 e a tutta
Salisburgo. Dopo una simile offesa, dopo questa triplice offesa, l’arcivescovo potrebbe
offrirmi di persona 1.200 fiorini e io non li accetterei. Non sono un moccioso, non sono un
ragazzino, e se non fosse stato per lei non avrei aspettato che mi dicesse una terza volta
«andate via» per prenderlo in parola; che dico «aspettato»! Sarei stato io a dirlo, io e non lui.
Mi meraviglio solo che l’arcivescovo abbia potuto comportarsi in modo così sconsiderato in
un luogo come Vienna! Vedrà dunque quanto si è ingannato. Il principe Breuner e il conte
Arco hanno bisogno dell’arcivescovo, io no. E se si dovesse arrivare agli estremi, al punto
che egli dimentichi tutti i doveri di un principe, e di un principe della chiesa, venga qui da me
a Vienna; 400 fiorini glieli danno dovunque. Ma sa di quanto disonore si coprirebbe presso
l’imperatore, che già lo detesta, se facesse una cosa del genere!
Anche per mia sorella sarebbe meglio stare qui che non a Salisburgo. In molte case
signorili ci si fa scrupolo ad assumere come maestro un uomo, ma una donna la pagherebbero
benissimo.
Sono tutte cose ancora possibili.
Alla prossima occasione, quando il signor von Kleinmayr, Bonike o Zetti verranno a
Salisburgo, le manderò qualcosa per pagare quello che sa. La mussolina per mia sorella gliela
porterà il signor controllore,6 che è partito oggi.
Carissimo, amatissimo padre mio, mi chieda quello che vuole, tutto, ma non questo, il
solo pensiero mi fa fremere di rabbia. Adieu. Le bacio mille volte le mani, abbraccio mia
sorella di tutto cuore e rimango per sempre il suo
devotissimo figlio Wolfgang Amadé Mozart
*
1 La lettera di Leopold a cui fa riferimento Mozart è andata perduta.
2 Si tratta delle sonate per pianoforte e violino K. 296, 376, 377, 378, 379 e 380, dedicate
a Josepha Auemhammer. Uscirono presso Artaria & Co. alla fine del novembre 1781.
3 Stephanie aveva promesso di scrivergli un libretto: sarà quello del Ratto dal serraglio,
che Mozart riceverà il 30 luglio 1781.
4 Non se ne fece nulla.
5 II conte Georg Anton Felix Arco.
6 Ernst Maximilian Kòllenberger.
AL PADRE
Vienne ce 26 de may 1781
Mon trés cher Pére!
Lei ha pienamente ragione, padre mio carissimo, così come ce l’ho io! Conosco
perfettamente ogni mio difetto, ma non sarà forse per me possibile emendarmi? E non può
essere che in realtà mi sia già emendato? Comunque consideri la cosa, vedo che solo restando
a Vienna potrò meglio giovare, sotto ogni aspetto, a me stesso, a lei, padre carissimo, e alla
mia diletta sorella. Mi sembra che qui si realizzerà la mia fortuna. Sento che è qui che devo
fermarmi. E questa sensazione l’ho avuta già quando sono partito da Monaco: ero
estremamente contento di venire a Vienna, e non sapevo il motivo. Deve avere ancora
pazienza, e ben presto le dimostrerò con i fatti quanto possa essere utile Vienna a noi tutti. Io,
mi creda, sono cambiato completamente. Oltre alla mia salute, per me non esiste nulla di più
importante del denaro. Certo non sono uno spilorcio, perché mi riuscirebbe troppo difficile
diventarlo, sebbene tutti qui mi considerino più incline alla taccagneria che allo sperpero, il
che per cominciare è già abbastanza. Di allievi posso averne quanti ne desidero; però non ne
voglio molti, voglio essere pagato più degli altri e per questo preferisco averne di meno.
All’inizio bisogna darsi un po’ di tono, altrimenti si perde definitivamente la partita e non
resta che percorrere la stessa strada di tutti gli altri. Per la sottoscrizione1 è tutto in ordine e
per l’opera2 non vedo proprio perché mai dovrei mantenere delle riserve. Il conte
Rosenberg,3 a cui ho fatto visita due volte, mi ha ricevuto con la massima cortesia e ha
ascoltato la mia opera4 dalla contessa Thun insieme a van Swieten e al signor von
Sonnenfels. Ed essendo Stephanie un amico sincero, tutto procede per il meglio. Mi creda,
non amo l’ozio, ma il lavoro. A Salisburgo, è vero, lavorare mi è costato fatica, e quasi non
riuscivo a decidermi a farlo. Ma perché? Perché dentro di me non ero contento. Dovrà pur
concedermi che a Salisburgo non avevo la benché minima possibilità di divertirmi. Molti
sono io a non volerli frequentare e la maggior parte degli altri non mi considera alla loro
altezza. Mai che venisse incoraggiato il mio talento! Se suono o se viene eseguita una mia
composizione è come se ad ascoltare ci fossero solo tavoli e poltrone Se almeno esistesse un
teatro degno di questo nome, ché in questo consiste il mio divertimento, qui a Vienna. A
Monaco, è vero, mi sono messo involontariamente in cattiva luce ai suoi occhi e ho esagerato
con i divertimenti. Posso però giurarle sul mio onore che, prima che la mia opera 5 andasse in
scena, non mi sono mai recato a teatro, né da nessun’altra parte, eccetto che dai Cannabich. È
vero: la maggior parte del lavoro, e quella più importante, ho dovuto farla all’ultimo
momento; non è però dipeso da pigrizia o da negligenza: sono rimasto quattordici giorni
senza scrivere una nota perché mi era impossibile farlo. Certo qualcosa ho scritto,6 ma non in
bella copia, e così dopo, ovviamente, ho perduto molto tempo. Ma non me ne pento. E se mi
sono concesso troppi divertimenti è stato per leggerezza giovanile. Pensavo: «Dov’è che
dovrai tornare? a Salisburgo! Dunque ti occorre un ristoro». Ma se a Salisburgo vado
sospirando cento divertimenti, qui non ne desidero alcuno, perché essere a Vienna è già un
divertimento sufficiente. Abbia piena fiducia in me, non sono più uno sventato. E certo non
penserà sul serio che io sia un figlio empio ed ingrato. Abbia dunque piena fiducia nella mia
ragione e nel mio sentimento, e certo non avrà a pentirsene.
Dove avrei potuto imparare ad apprezzare il denaro? Finora ne ho avuto sempre troppo
poco tra le mani. Ricordo che una volta in cui entrai in possesso di 20 ducati mi sentii già
ricco. Solo il bisogno ci insegna ad apprezzare il denaro.
Stia bene, amatissimo e carissimo padre mio! Il mio dovere ora è quello di risarcire e di
riparare con la mia sollecitudine e il mio impegno ciò che lei ritiene di aver perduto in
conseguenza di ciò che è accaduto. E lo farò di certo, con grandissimo piacere. Adieu. Le
bacio mille volte le mani, abbraccio la mia cara sorella di tutto cuore e rimango per sempre
il suo devotissimo figlio Wolfgang Amadé Mozart
P.S. Non appena qualcuno del seguito dell’arcivescovo andrà a Salisburgo, le farò
pervenire il
ritratto.6 Hò fatto fare la sopra scritta d’un altro, espressamente, perchè non si può
sapere. Non ci si può fidaredi nessun furfante.
I miei complimenti a tutti i conoscenti.
*
1 Cfr. lettera precedente, nota 2.
2 Cfr. ibidem, nota 3. Leopold verosimilmente l’aveva invitato alla prudenza al riguardo.
3 II conte Franz Xaver Orsini-Rosenberg, direttore generale degli spettacoli alla corte di
Vienna.
4 Idomeneo.
5 Idomeneo.
6 Cfr. lettera del 24 marzo 1781, nota 9.
AL PADRE
[Vienna, tra il 26 maggio e il 2 giugno 1781]
Mon trés cher Pére!
L’altro ieri il conte Arco 1 mi ha fatto sapere di recarmi da lui a mezzogiorno, ché mi
aspettava. Me l’avevano chiesto già altre volte, sia lui, sia Schlauka, ma poiché detesto i
colloqui in cui quasi ogni parola che si deve sentire è una menzogna, non ci sono mai andato.
Avrei fatto cosi anche questa volta, se non mi avesse mandato a dire che aveva ricevuto una
sua lettera. Mi sono dunque presentato puntualmente. Non sarebbe possibile riferire tutto il
colloquio, che si è svolto nella massima calma, senza che nessuno di noi si accalorasse troppo
(è stata questa la prima cosa che ho chiesto). In breve, mi ha presentato ogni cosa nel modo
più amichevole. Uno avrebbe potuto giurare che gli veniva tutto dal cuore. Da parte sua non
credo che avrebbe potuto giurare altrettanto sul mio conto. Ho risposto alle sue
argomentazioni, che sembravano sincere, dicendo la pura verità, con tutta la calma e tutta la
cortesia possibili, con il più bel garbo di questo mondo. E non ha potuto ribattere nulla. Alla
fine ho
voluto consegnargli il mio memoriale e i soldi del viaggio, che avevo portato con me.
Egli però ha aggiunto che sarebbe stato troppo triste per lui immischiarsi in questa faccenda e
che il memoriale potevo darlo a un cameriere. Quanto ai soldi, li avrebbe presi quando tutto
fosse finito. L’arcivescovo qui lancia fulmini contro di me davanti a tutti, e non è abbastanza
intelligente per capire che la cosa non gli fa per niente onore. Perché qui stimano me più di
lui. Tutti lo considerano un prete altezzoso e presuntuoso, che di questa città disprezza ogni
cosa; io invece sono considerato una persona amabile. È vero, sono orgoglioso quando vedo
che qualcuno intende trattarmi con sprezzo e en bagatelle. Ed è cosi che si comporta
l’arcivescovo nei miei confronti. Ma con le buone avrebbe potuto ottenere da me tutto quello
che avesse voluto. L’ho detto anche al conte, aggiungendo tra l’altro che l’arcivescovo non
merita affatto la stima che lei nutre per lui. E per finire: che utilità avrebbe il mio ritorno a
casa in questo momento? Tra qualche mese chiederei comunque (senza bisogno di una nuova
offesa) di essere congedato, perché non posso e non voglio più prestare i miei servizi per un
compenso così misero. Ma perché no? Perché — ho detto - non potrei mai vivere contento e
soddisfatto in un posto in cui mi pagano cosi poco da costringermi sempre a pensare: «Eh, se
fossi lì! Eh, se fossi là!». Se invece sono pagato abbastanza da non essere indotto a pensare
ad altri posti, allora posso sentirmi contento. E se l’arcivescovo mi pagasse cosi, sarei pronto
a partire oggi stesso.
Ma quanto sono contento che l’arcivescovo non mi prenda in parola! Perché è certo una
fortuna per lei e per me che io sia qui, lo vedrà! Stia bene, carissimo e amatissimo padre!
Andrà tutto bene. Non sto sognando mentre scrivo. Da questo dipende il mio stesso bene.
Adieu.
Le bacio mille volte le mani, abbraccio la mia cara sorella di tutto cuore e rimango per
sempre
P.S. I miei complimenti il suo devotissimo figlio
a tutti i buoni amici. Wolfgang Am[a]dè Mozart
*
1 II conte Karl Joseph Felix Arco
AL PADRE
Vienne ce 2 de Juin 1781
Mon Trés Cher Pére!
Dalla mia ultima lettera 1 avrà saputo che ho parlato con il conte Arco in persona.2
Ringraziamo Iddio che tutto è andato per il meglio! Non si preoccupi, dall’arcivescovo non
deve temere la benché minima noia; il conte Arco infatti non mi ha detto neppure una parola
da cui si debba pensare che possa derivarne un danno per lei. E quando mi ha riferito che lei
gli aveva scritto lamentandosi molto sul mio conto, l’ho interrotto subito dicendo: «E con me
non l’ha fatto? Mi ha scritto tali cose che ho quasi temuto di diventar pazzo.3 Ma comunque
consideri la cosa, non posso proprio ecc. ...». Quando mi ha detto: «Mi creda, lei qui si lascia
abbagliare troppo; qui la gloria di un uomo dura ben poco. All’inizio si raccolgono gli elogi
di tutti e si guadagna anche parecchio, è vero, ma per quanto tempo? Dopo pochi mesi i
viennesi esigono qualcosa di nuovo». «Lei ha ragione, signor conte», ho detto, «ma pensa
forse che io resterò a Vienna? Per carità, so già dove andare. Se questa cosa è accaduta
proprio a Vienna, non è per causa mia, ma dell’arcivescovo. Se lui sapesse trattare con la
gente di talento, non sarebbe successo. Signor conte, sono la migliore persona di questo
mondo, a patto che gli altri lo siano con me». «SI», ha detto lui, «l’arcivescovo la ritiene una
persona vanagloriosa». «Lo credo», ho detto io, «con lui lo sono di certo. Con gli altri mi
comporto come loro si comportano con me. Quando mi accorgo che qualcuno mi disprezza e
non mi stima, so essere superbo come un babbuino».
Tra l’altro mi ha chiesto se non pensavo che non dovesse anch’egli mandar giù spesso
qualche ingiuria. Ho alzato le spalle e ho risposto: «Lei avrà le sue buone ragioni per
sopportarlo, come io le mie per non sopportarlo». Il resto lo saprà dalla mia ultima lettera.
Non dubiti, carissimo e amatissimo padre mio! È certo accaduto per il mio e quindi anche per
il suo bene. I viennesi saranno pure persone a cui piace dare il benservito, ma solo a teatro! E
la mia professione qui è troppo apprezzata perché io rischi di non trovare di che vivere.
Questo è veramente il paese del pianoforte! Ma ammettiamo
pure il peggio, se ne riparlerebbe comunque tra qualche anno, certo non prima. E nel
frattempo mi sarò procurato onore e denaro. Ci sono altri luoghi dove andare, e chi può dire
quali occasioni possono presentarsi nel frattempo? Le invierò qualcosa a mezzo del signor
von Zetti, con cui ho già parlato. Per questa volta dovrà accontentarsi di poco. Non posso
mandarle più di 30 ducati. Se avessi previsto quel che sarebbe accaduto, avrei accettato di
prendere gli allievi che mi si erano offerti. Allora però pensavo di partire entro otto giorni e
ormai loro sono in campagna. Seguirà anche il ritratto 4; se lui non lo può portare con sé,
arriverà con la posta. Stia bene, carissimo e amatissimo padre. Le bacio mille volte le mani,
abbraccio di tutto cuore la mia cara sorella e rimango per sempre il suo
devotissimo figlio Wolfgang Amadè Mozart
I miei saluti ad ogni buon amico e amica. A Ceccarelli risponderò prossimamente.
*
1 La lettera precedente.
2 II conte Karl Joseph Felix Arco.
3 La lettera in questione è andata perduta.
4 Cfr. lettera del 24 marzo 1781, nota 9.
AL PADRE
Vienne ce 9 de Juin 1781
Mon trés cher Pére!
Ora sì che ha sistemato le cose, il signor conte Arco! 1 Ecco dunque la maniera di
convincere la gente, di attirarla dalla propria parte. Per innata stupidità si rifiuta di accogliere
le suppliche, per mancanza di coraggio e per gusto di leccare i piedi non si dice una parola al
signore, si prende in giro qualcuno per quattro settimane e per finire, quando questo qualcuno
è costretto a presentare la sua supplica di persona, invece di permettergli almeno l’accesso, lo
si mette alla porta con un calcio nel di dietro. Questo dunque è il conte che (stando alla sua
ultima lettera)2 mi ha tanto sinceramente a cuore, questa dunque è la corte dove dovrei
servire, una corte in cui uno che intende presentare una supplica per iscritto, invece di essere
agevolato nell’inoltrarla, viene trattato in questo modo? È accaduto nell’anticamera e a quel
punto non ho potuto far altro che balzar via e andarmene di corsa, giacché non volevo perdere
il rispetto dovuto all’appartamento del principe, anche se Arco l’aveva già perso. Ho scritto
tre memoriali, li ho consegnati cinque volte ed ogni volta mi sono stati rimandati indietro. Li
ho conservati con la massima cura e chi vorrà leggerli potrà farlo e convincersi che non vi era
nulla di sconveniente. L’ultima volta, quando alla sera mi son visto riconsegnare il mio
memoriale dal signor von Kleinmayr (che qui è adibito a questo), sapendo che la partenza
dell’arcivescovo era fissata per il giorno dopo, ero fuori di me per la rabbia. Non potevo
lasciarlo partire così, e poiché avevo saputo da Arco (così almeno mi aveva detto) che
l’arcivescovo non sapeva nulla dell’accaduto e quindi chissà sino a che punto poteva essere
arrabbiato con me, che stava là da tutto quel tempo ed io arrivavo solo all’ultimo minuto con
una richiesta simile, ho scritto un altro memoriale in cui gli facevo sapere che già da quattro
settimane avevo preparato una supplica, e poiché, per motivi che ignoravo, avevano
trascinato la faccenda per tutto quel tempo, mi vedevo ora costretto a presentargliela di
persona e all’ultimo momento. Per questo memoriale ho ottenuto il mio benservito nella
maniera più bella di questo mondo. Ma non sarà forse per ordine dell’arcivescovo che le cose
sono andate cosi? Il signor von Kleinmayr, se desidera essere ancora considerato una persona
onesta, e i domestici dell’arcivescovo sono testimoni che l’ordine è stato eseguito. Ora non ho
più bisogno di mandare nessuna supplica, essendo la cosa ormai chiusa. Su tutta questa
faccenda non voglio più scrivere nulla ed anche se ora l’arcivescovo mi pagasse 1.200 fiorini,
dopo un trattamento simile proprio non andrei da lui. Quanto sarebbe stato facile
convincermi! Ma con le buone maniere, senza arroganza e senza villania. Al conte Arco ho
fatto sapere che non ho più nulla da dirgli, dopo quella prima volta in cui mi ha aggredito in
quel modo, trattandomi come un farabutto, cosa che non ha alcun diritto di fare. E, per Dio,
gliel’ho già scritto, non sarei andato da lui neppure l’ultima volta, se non mi avesse mandato
a dire che aveva una sua lettera. E veniamo all’ultima volta. Che gliene importa se voglio
avere il mio congedo? E se è davvero tanto ben intenzionato nei miei confronti, cerchi allora
di convincermi con dei
motivi fondati, oppure lasci che le cose seguano il loro corso. Ma non si azzardi a
chiamarmi zotico e furfante e non mi metta alla porta con un calcio nel culo; ma dimenticavo
che forse l’ha fatto per ordine di Sua grazia.
Alla sua lettera risponderò solo molto brevemente perché sono così stanco di tutta questa
faccenda che non vorrei sentirne più parlare.
Valutando i motivi che m’hanno indotto a lasciare il servizio (motivi che lei ben
conosce), a nessun padre salterebbe in mente di infierire contro il figlio; potrebbe semmai
arrabbiarsi se non l’avesse fatto. Tanto più sapendo che lo desideravo anche prima di avere un
motivo particolare per farlo. E... è impossibile che lei faccia sul serio. Deve comportarsi cosi
a causa della corte. Tuttavia la prego, padre mio carissimo, di non strisciare troppo, perché il
vescovo non può farle nulla. E magari lo facesse! Quasi me lo auguro! Sarebbe proprio
un’azione, una nuova azione che gli darebbe il colpo di grazia definitivo presso
l’imperatore.3 Perché l’imperatore non solo non lo può soffrire, ma lo odia. Se dopo un
trattamento del genere lei venisse a Vienna e raccontasse la storia all’imperatore, riceverebbe
da lui per lo meno lo stesso stipendio, essendo l’imperatore in questi casi degno di
venerazione. Mi sorprende sommamente che lei mi abbia paragonato alla signora Lange,4 e
ne sono rimasto rattristato per tutto il giorno. Questa ragazza è vissuta a carico dei genitori
per tutto il tempo in cui non era ancora in grado di guadagnare, e non appena si è presentata
l’occasione in cui avrebbe potuto dimostrare loro la sua riconoscenza (N.B.: suo padre è
morto quando qui non aveva ancora visto un centesimo) ha abbandonato la sua povera madre,
si è messa con un attore, l’ha sposato e non si può dire che sua madre riceva molto da lei.5
Dio! Il mio unico scopo, Dio lo sa, è quello di essere di aiuto a lei e a noi tutti; devo proprio
scriverglielo cento volte che le sono più utile qui che a Salisburgo? La prego, padre mio
carissimo e amatissimo, non mi scriva più lettere simili, la scongiuro, perché non servono ad
altro che a esasperarmi e a sconvolgermi il cuore e l’animo. Ed io, ora che compongo di
continuo, devo avere la mente serena e l’animo tranquillo. L’imperatore non è qui. Il conte
Rosenberg neppure. Quest’ultimo ha incaricato Schroder (l’eminente Acteur) di cercare un
buon libretto e di farmelo poi mettere in musica.
Il signor von Zetti, contro ogni previsione, ha avuto l’ordine di partire così di buon
mattino che il ritratto,4 i nastri per mia sorella e quello che lei sa 7 mi sarà possibile spedirli
solo domani alle otto con la posta.
Stia bene, carissimo e amatissimo padre mio! Le bacio mille volte le mani, abbraccio di
tutto cuore la mia cara sorella e rimango per sempre il suo
devotissimo figlio Wolfgang Amadé Mozart
*
1 II conte Karl Joseph Felix Arco.
2 La lettera in questione è andata perduta.
3 Giuseppe II, imperatore d’Austria.
4 Aloisia Weber, dal 1780 sposata con l’attore Joseph Lange.
5 Questa era probabilmente la versione presentata dalla madre di Aloisia. In realtà le cose
stavano diversamente: prima del matrimonio inoltre l’anticipo che la cassa del teatro di corte
aveva concesso alla famiglia Weber nel 1779.
6 Cfr. lettera del 24 marzo 1781, nota 9.
7 I trenta ducati promessi nella lettera precedente.
AL PADRE
Vienne ce 13 de Juin 1781
Mon Trés Cher Pére!
Ottimo fra tutti i padri! Con quale gioia continuerei ancora a sacrificarle i miei anni
migliori in un luogo in cui si è mal pagati, se questo fosse l’unico male! Ma mal pagato e per
di più deriso, disprezzato e preso per i coglioni... questo è davvero troppo.
Per il concerto dell’arcivescovo 1 qui a Vienna ho composto una sonata 2 per me, un
Rondeau 3 per Brunetti e per Ceccarelli, ad ogni concerto ho suonato due volte e l’ultima
volta, quando tutto era finito, ho suonato ancora per un’ora delle variazioni (su un tema
datomi dall’arcivescovo) e il plauso è stato tanto generale che se l’arcivescovo ha un minimo
di umanità, ha dovuto certamente provarne piacere. E invece di dimostrarmi almeno la sua
contentezza e il suo compiacimento - oppure, per quel che me ne importa, niente del tutto -
mi sbatte fuori come un ragazzaccio di strada, mi dice in faccia di sloggiare, che ne trova
cento in grado di servirlo meglio di me. E perché? Perché non potevo partire proprio quel
giorno che s’era messo in testa lui. Sono costretto a lasciare la sua casa, devo vivere a mie
spese e non posso avere la libertà di partire quando me lo permette la mia borsa, tanto più che
a Salisburgo non c’era alcun bisogno della mia presenza e che avrei ritardato la mia partenza
di soli due giorni. L’arcivescovo per due volte mi ha ripetuto le più dure insolenze ed io non
ho aperto bocca, non solo, ma ho suonato per lui con lo stesso zelo e con la stessa diligenza
che se non fosse accaduto nulla. E invece di riconoscere il mio zelo nel servirlo e i miei sforzi
per compiacerlo, proprio nel momento in cui avrei potuto aspettarmi qualcosa di diverso, per
la terza volta mi tratta nella maniera più ignobile. E affinché io non mi limiti a non avere
torto, ma abbia completamente ragione, sembra che ci si sia voluti liberare di me con la forza.
Bene, se non mi si vuole più, è proprio questo che io desidero. Il conte Arco 4 poteva
accettare la mia supplica, procurarmi un’udienza, consigliarmi di inviare la supplica
direttamente, oppure di lasciar perdere, di pensarci meglio, afin... tutto quello che avesse
voluto. Invece no! Mi sbatte fuori dalla porta e mi dà un calcio sul di dietro. Ebbene, a casa
mia questo significa che Salisburgo non fa più per me; a patto che non si presenti
un’occasione favorevole per restituire al signor conte un calcio nel culo, fosse pure sulla
pubblica via. E così non chiedo Satisfaction alcuna all’arcivescovo, perché non sarebbe in
grado di darmela nel modo in cui io intendo prendermela. Ma nei prossimi giorni scriverò al
signor conte che cosa deve aspettarsi da me con certezza non appena il destino me lo farà
incontrare, ovunque sia, purché non in un luogo in cui io debba mantenere il rispetto.
Per la salute della mia anima stia pure tranquillo, padre mio amatissimo! Sono un
giovane che può sbagliare, come tutti, ma a mia consolazione posso dire che magari gli altri
sbagliassero così raramente come me... Forse lei sul mio conto immagina cose inesatte. Il mio
difetto principale è che in apparenza non agisco sempre come dovrei. Non è vero che mi sono
vantato di mangiare carne tutti i giorni di magro; ho detto invece che non ci faccio caso e che
non lo ritengo un peccato, perché a mio avviso digiunare vuol dire privarsi di qualcosa,
mangiare meno del solito. Ascolto la messa tutte le domeniche e i giorni festivi e se è
possibile anche i giorni feriali, lei lo sa bene, padre mio! Tutti i miei rapporti con quella
persona di cattiva reputazione 5 si sono limitati al ballo; e molto prima di sapere che avesse
una cattiva reputazione e solo per essere certo di avere una dama con cui ballare la
contraddanza. Dopo non potevo rompere all’improvviso senza darle una spiegazione. E chi
potrà mai dire in faccia certe cose a qualcuno? E poi alla fine non l’ho abbandonata più di una
volta per ballare con altre? Questa volta sono stato ben felice che finisse il carnevale. Del
resto nessuno potrà dire che l’ho vista da qualche altra parte o che sia andato a casa sua senza
passare per un bugiardo. E poi stia certo che sinceramente onoro la religione. E se mai mi
colpisse la sventura di allontanarmi dalla retta via, a lei, padre mio amatissimo, non potrei
rimproverare nulla. Sarei io solo ad essere un infame. A lei io devo tutto ciò che favorisce il
mio bene e la mia salute, sia temporale sia spirituale.
Ora devo chiudere, altrimenti perdo la posta. Le bacio mille volte le mani, abbraccio di
cuore la mia casa sorella e rimango per sempre il suo
devotissimo figlio Wolfgang Amadè Mozart
P.S. I miei saluti al giovane Marchand, alla Katherl e ad ogni buon amico e amica.
*
1 II concerto dato l’8 aprile.
2 La sonata per pianoforte e violino K379.
3 II rondò per violino e orchestra in do maggiore K373 e il recitativo e aria per soprano
«A questo seno deh vieni» - «Or che il cielo a me ti rende» 1X374), da Sismano nel Mogol di
Giovanni de Gannerra, musicato da Paisiello.
4 II conte Karl Joseph Felix Arco.
5 Non meglio identificata.
AL PADRE
Vienne ce 16 de Juin 1781
Mon trés cher Pére!
Domani partiranno il ritratto1 e i nastri per mia sorella. Non so se i nastri saranno di suo
gradimento, posso comunque assicurarle che sono veramente alla moda. Se ne vuole ancora o
magari altri non colorati, basta che me lo faccia sapere; e, più in generale, se desidera
qualcosa che ritiene si possa trovare più bella a Vienna, è sufficiente che me lo scriva. Spero
non avrà pagato il grembiule, perché già l’ho fatto; mi sono dimenticato di scriverlo, dovendo
sempre parlare di quella vicenda sciagurata. Il denaro glielo spedirò come lei mi ha detto.
Ora finalmente posso nuovamente scriverle qualcosa di Vienna, finora avevo sempre
dovuto riempiere le mie lettere con quella porcata. Sia lode a Dio che è finita. La stagione
attuale è la peggiore per chi vuole guadagnare quattrini, lei del resto lo sa. Le famiglie più
distinte sono in campagna. Quindi non si può far altro che preparare il lavoro per l’inverno, in
cui si ha meno tempo per farlo. Non appena saranno finite le sonate,2 cercherò una piccola
cantata italiana e la metterò in musica, così da farla eseguire in teatro durante l’avvento,3 a
mio beneficio, è chiaro. Ho escogitato una piccola astuzia: infatti potrò utilizzarla due volte,
ricavandone lo stesso guadagno, perché la seconda volta suonerò qualcosa al pianoforte.
Attualmente ho solo un’allieva, la contessa Rumbeke, cugina di Cobenzl. Naturalmente potrei
averne di più se fossi disposto ad abbassare il prezzo, ma cosi facendo perderei subito la mia
reputazione. Io chiedo 6 ducati per dodici lezioni, dando poi a vedere che lo faccio per pura
cortesia. Preferisco tre lezioni ben pagate piuttosto che sei pagate male. Con quest’unica
allieva riesco a tirare avanti, il che per il momento mi basta. Le scrivo questo solo perché lei
non pensi che se le ho mandato soltanto 30 ducati sia dipeso da egoismo. Stia certo che mi
spoglierei di tutto se solo avessi di che spogliarmi! Ma verrà il momento! Non bisogna mai
far capire alla gente la propria situazione.
Passiamo al teatro. Ultimamente le ho scritto, se non erro, che il conte Rosenberg
partendo aveva incaricato Schròder di cercare un libretto per me. Ebbene, ora è cosa fatta e
l’ha in mano Stephanie (il giovane),4 nella sua qualità di direttore dell’opera. Bergopzoomer,
sincero buon amico di Schròder e del sottoscritto, mi ha informato immediatamente. Mi sono
così recato subito da lui en forme de visite. Temevamo che per favorire Umlauf potesse
comportarsi con falsità nei miei riguardi, ma il sospetto era infondato: ho infatti avuto notizia
che aveva incaricato qualcuno di dirmi che andassi da lui, avendo qualcosa da comunicarmi;
e in effetti, non appena sono entrato, mi ha detto: «Oh, arriva proprio a proposito».
L’opera però ha quattro atti e, stando a quel che dice lui, il primo atto è incomparabile,
ma il resto è di livello molto inferiore. Se Schròder permette che lo si rimaneggi, se ne può
ricavare un buon libretto. Così com’è, non può presentarlo alla direzione prima di averne
parlato con lui, sapendo già sin d’ora che gli verrebbe rifiutato. È dunque una cosa su cui
dovranno mettersi d’accordo loro due. Dopo quello che mi ha detto Stephanie, mi sono ben
guardato dal chiedere di leggerlo: infatti se non mi piacesse dovrei dirlo, altrimenti se la
prenderebbero con me. E non voglio perdere il favore di Schròder, che mi stima. In questo
modo posso sempre accampare la scusa che non l’avevo letto.
Ora devo spiegarle perché avevamo dei sospetti su Stephanie. Costui, e me ne dispiace
molto, ha in tutta Vienna la peggiore delle reputazioni, essendo considerato un uomo volgare,
bugiardo, calunniatore, che fa i più grandi torti alla gente. Io però non voglio saperne nulla.
Può darsi che sia vero, perché tutto il mondo lo va dicendo a gran voce. D’altra parte gode del
massimo credito presso l’imperatore; e nei miei confronti si è mostrato subito cordialissimo
fin dalla prima volta. Mi ha detto: «Siamo già vecchi amici5 e sarò molto contento di poterla
servire in qualche cosa». Ritengo, e lo desidero molto, che scriverà lui stesso un’opera per
me. Che le sue commedie le abbia scritte da solo o con l’aiuto di altri, che si limiti ad
arrangiare le cose altrui o che le crei lui stesso, ciò non toglie che di teatro se ne intende e che
le sue commedie piacciono sempre. Ho appena visto due suoi nuovi lavori, che sono
veramente ottimi: Das Loch in der Ture 6 e Der Oberamt-mann und die Soldaten? Nel
frattempo scriverò la cantata, perché, anche se avessi davvero già un libretto, non prenderei
comunque la penna in mano, poiché il conte Rosenberg non è qui. Se costui infatti alla fine
non trovasse buono il libretto, io avrei avuto l’onore di comporre per niente, cosa di cui
faccio volentieri a meno. Dell’accoglienza che avrà non mi preoccupo, purché il libretto sia
buono. Pensa forse che io scriverò un’Opera Comique nella stessa maniera di un'opera Seria?
Quanto l’opera seria deve essere povera di frivolezze e ricca di sapienza e di giudizio, tanto
l’opera Buffa deve invece essere povera di sapienza e ricca di frivolezze e di gaiezza.
Se poi si desidera che in un’opera Seria sia presente anche della musica comica, io non
posso farci niente. Qui però si opera una distinzione molto precisa tra questi due generi.
Mi sembra che nella musica il pagliaccio non sia stato ancora eliminato 8; e su questo
punto hanno ragione i francesi.
Spero dunque di ricevere regolarmente i miei vestiti con la prossima posta. Non so
quando partirà il postale, ma ritengo che questa lettera farà in tempo a giungerle prima; perciò
la prego di tenere il bastone per amor mio. Qui i bastoni si adoperano, ma per far cosa? Per
andare a passeggio, e per questo va bene qualunque bastoncino. Dunque ci si appoggi lei al
posto mio e, se possibile, lo porti sempre con sé. Chissà se in mano sua non riuscirà a
vendicare su Arco 9 il suo ex padrone? Ma si capisce, accidentaliter o per puro caso...
Quell’asino affamato non mancherà di sentire il mio Discours palpabilmente evidente, fosse
pure tra vent’anni. Che vederlo e dargli un calcio nel culo sarà sicuramente tutt’uno; a meno
che non abbia la sventura d’incontrarlo la prima volta in qualche luogo sacro. Ora adieu! Stia
bene. Le bacio mille volte la mano, abbraccio mia sorella di tutto cuore e rimango per sempre
il suo devotissimo figlio W. A. Mzt
I miei ossequi a tutti.
*
1 Cfr. lettera del 24 marzo 1781, nota 9.
2 Cfr. lettera del 19 maggio 1781, nota 2.
3 Non se ne fece nulla.
4 Johann Gottlieb Stephanie, detto «il giovane» per distinguerlo dal fratellastro
Christian Gottlieb Stephanie.
5 Si conoscevano già dal 1773.
6 Commedia in quattro atti, rappresentata per la prima volta a Vienna il 17 febbraio
1781.
7 Commedia in cinque atti, traduzione di una commedia di Calderon. Fu rappresentata
per la prima volta a Vienna il 29 luglio 1780.
8 Allusione alla battaglia intrapresa dal critico tedesco Gottsched, intesa a liberare il
teatro comico dai lazzi e dalle oscenità dei pagliacci. In uno spettacolo allegorico del 1737, al
termine di una farsa allestita dai coniugi Neuber, alleati di Gottsched in questa opera di
riforma, si assisteva alla solenne «cacciata» di Hanswurst, la figura di pagliaccio creata
intorno al 1710 dall’attore viennese Joseph Anton Stranitzky.
9 II conte Karl Joseph Felix Arco
AL PADRE
Vienne ce 20 de Juin 1781
Mon trés cher Pére!
Ho ricevuto regolarmente il pacco 1 e spero che anche lei ora abbia ricevuto il ritratto 2 e
i nastri. Non so perché non ho messo subito tutto insieme in una valigia o in una cesta; se si
spediscono delle cose una alla volta bisogna pagare per ogni sciocchezza, mentre inviando
tutto contemporaneamente non viene a costare tanto. Che i cortigiani la guardino storto lo
credo bene; ma cosa gliene deve importare, di questo miserabile servitorame? Quanto più
ostile le si mostra questa gente, tanto più la deve guardare fieramente e con disprezzo.
Per il conte Arco 3 devo chiedere consiglio unicamente alla mia ragione e al mio cuore e
non ho dunque bisogno di nessuna dama e di nessuna persona di rango per fare quello che è
giusto e corretto fare, né troppo né troppo poco; è il cuore che nobilita l’uomo; e anche se non
sono un conte, forse ho più onore in corpo di certi conti; e servo o conte che sia, nel momento
in cui m’insulta si comporta da canaglia. Comincerò dimostrandogli, molto ragionevolmente,
quanto male e quanto villanamente si sia comportato in questa faccenda; ma alla fine dovrò
anche avvertirlo per lettera che dovrà attendersi da me un calcio nel culo e un paio di schiaffi
per soprammercato. Perché se uno mi offende devo vendicarmi, e se non faccio più di quanto
sia stato fatto a me, non è una punizione, ma solo una restituzione; e inoltre mi porrei al suo
livello, e ho davvero troppo orgoglio per mettermi alla pari con un simile cretino;
A patto che non ci sia qualcosa di indispensabile da dire, le scriverò solo ogni otto
giorni, perché al momento ho troppo da fare. Chiudo, dovendo ancora terminare alcune
variazioni per la mia allieva.4 Adieu. Le bacio mille volte le mani, abbraccio mia sorella di
tutto cuore e rimango per sempre 5
*
1 II pacco con i suoi vestiti.
2 Cfr. lettera del 24 marzo 1781, nota 9.
3 II conte Karl Joseph Felix Arco.
4 La contessa Marie Karoline Thiennes de Rumbeke.
5 La fine della lettera è strappata.
AL PADRE
Vienne ce 25 de Juillet 1781
Mon trés cher Pére!
Le ripeto che già da tempo ho deciso di cercarmi un altro alloggio, e questo solo per le
chiacchiere della gente.1 E mi spiace d’essere costretto a farlo per uno stupido pettegolezzo
in cui non c’è assolutamente nulla di vero. Vorrei solo sapere che gusto ci trova certa gente a
diffondere delle dicerie prive di qualunque fondamento. Abito a casa loro e quindi sposo la
figlia.2 Del fatto che fossi o meno innamorato non si è affatto parlato, questo aspetto l’hanno
saltato a piè pari; ma alloggio in quella casa e dunque mi sposo. In vita mia non ho mai
pensato così poco al matrimonio come in questo momento. Certamente non esiste nulla che io
desideri meno di una moglie ricca, ma se ora potessi realmente fare la mia fortuna con un
matrimonio, non sarei assolutamente in grado di corteggiare una donna, avendo ben altri
pensieri per la testa. Dio non mi ha dato il mio talento perché lo vada sprecando dietro a una
donna, trascinando la mia giovinezza nell’ozio. Incomincio appena ora a vivere e devo
avvelenarmi la vita con le mie stesse mani? Non ho assolutamente nulla contro il matrimonio,
ma per me ora sarebbe negativo. Ebbene, non c’è altra soluzione; e pur non essendoci nulla di
vero, devo evitare almeno l’apparenza. Benché questa apparenza su nient’altro si fondi se non
sul fatto che abito là, perché non entrando in casa non si può neppure dire che io abbia con lei
tanti rapporti quanti ne ho con tutte le altre creature di Dio. Le ragazze 3 escono di rado, non
vanno da nessuna parte, se non alla commedia, e io non le accompagno mai perché all’ora
della commedia per lo più non sono in casa. Un paio di volte siamo stati al Prater,4 ma
sempre in compagnia della madre; poiché ero in casa, non ho potuto rifiutare di andare con
loro. E a quell’epoca non avevo ancora sentito queste idiozie. Devo poi dire che in
quell’occasione non mi è stato permesso di pagare altro che la mia parte. E poiché anche la
madre ha sentito questi pettegolezzi e ne è stata informata anche da me, devo dire che lei
stessa non vuole più che noi si vada insieme da qualche parte e mi ha consigliato di
trasferirmi altrove, per evitare noie. Perché dice che non vuole essere, seppure senza colpa, la
causa della mia infelicità. Questa dunque è l’unica ragione per cui già da tempo (da quando
sono nate queste chiacchiere) pensavo di andarmene. Per come stanno le cose, in verità non
avrei avuto nessun motivo per farlo, ma ora ne ho uno a causa delle malelingue. Se non ci
fossero questi pettegolezzi difficilmente me ne andrei, perché una camera più bella la troverò
facilmente, ma la Comoditè e persone così cordiali e gentili difficilmente! Non voglio del
resto affermare che con la signorina con cui mi considerano già sposato io stia sulle mie o
non scambi una parola, ma innamorato, questo no. Mi diverto e scherzo con lei, se ne ho il
tempo, il che accade solo la sera, quando ceno in casa; al mattino infatti resto nella mia stanza
a scrivere e nel pomeriggio sto in casa raramente e... questo è tutto. Se dovessi sposare tutte
le ragazze con cui ho scherzato, dovrei avere duecento mogli. Veniamo ora ai soldi.
La mia allieva5 è rimasta in campagna per tre settimane, e così non ho incassato più
nulla, mentre le spese continuavano. Per questo non ho potuto inviarle 30 ducati, ma solo 20.
Poiché però mi ero fatto qualche speranza per le sottoscrizioni,6 ho voluto aspettare, per
poterle inviare la somma promessa. Ora però la contessa Thun mi ha riferito che non è
possibile pensare a questa sottoscrizione prima dell’autunno, perché tutte le persone ricche
sono in campagna: attualmente non ho più di dieci nomi e la mia allieva non ne ha più di
sette. Nel frattempo faccio incidere sei sonate. Artaria (l’incisore di musica) ha già parlato
con me. Non appena saranno vendute e avrò del denaro, glielo manderò.
Devo ora pregare la mia cara sorella di perdonarmi se non le ho fatto gli auguri per
iscritto in occasione del suo onomastico.7 La lettera incominciata giace nel mio cassetto.
Sabato, quando l’ho iniziata, è giunto il domestico della contessa Rumbeke ad annunziare che
si sarebbero recati tutti in campagna e a chiedermi se non volessi andarci anch’io. Poiché a
Cobenzl non voglio rifiutare nulla, ho lasciato là la lettera, ho messo velocemente insieme le
mie cose e sono partito con lui, pensando che mia sorella non se la sarebbe presa a male. Una
settimana dopo la sua festa le auguro dunque tutto quello che di buono e di utile può mai
augurare un buon fratello che ama la sorella di tutto cuore e la bacio con la più grande
tenerezza.
Oggi sono rientrato in città con il conte8 e domani riparto con lui. E ora stia bene,
carissimo, dilettissimo padre! Abbia fede e fiducia in suo figlio, che è di certo animato dai
migliori sentimenti nei confronti di tutte le persone oneste. E perché non dovrebbe essere cosi
verso il suo diletto padre e sua sorella? Abbia più fede e più fiducia in lui di certuni che non
hanno niente di meglio da fare che calunniare le persone oneste. Ed ora adieu. Le bacio mille
volte le mani e rimango per sempre il suo
devotissimo figlio Wolfgang Amadè Mozart
*
1 Pettegolezzi sorti da quando è andato ad alloggiare presso la famiglia Weber.
2 Verosimilmente Constanze.
3 Josepha, Constanze e Sophie.
4 Parco pubblico di Vienna, alla periferia della città. s La contessa Marie Karoline
Thiennes de Rumbeke.
6 Cfr. lettera del 19 maggio 1781, nota 2.
7 II 26 luglio, giorno di sant’Anna.
8 II conte Cobenzl.
AL PADRE
Vienne ce 22 d’Aout 1781
Mon trés cher Pére!
Per quel che riguarda l’indirizzo del mio nuovo alloggio non posso scriverle ancora
niente, perché non ne ho ancora uno; ce ne sono però due per cui sono in trattative e uno di
questi lo
prenderò senz’altro, perché il mese prossimo non potrei più abitare qui e dovrei dunque
andarmene. A quanto pare le ha scritto il signor von Auernhammer comunicandole che in
realtà avrei un alloggio! In effetti ne ho avuto uno, ma che alloggio! Per ratti e per sorci, non
per esseri umani. A mezzogiorno era necessaria la lanterna per trovare la scala. La camera,
più che una camera era un gabinetto. Per entrarci si doveva passare dalla cucina e sulla porta
c’era una finestrella; mi permettevano, è vero, di metterci una tenda, ma nello stesso tempo
mi pregavano di toglierla non appena mi fossi vestito, perché altrimenti non avrebbero avuto
più luce né in cucina né nella stanza contigua. La stessa padrona di casa chiamava la casa «il
nido dei ratti»; in una parola, era orribile a vedersi. Sarebbe stata una splendida dimora per
me, per ricevervi le diverse persone di riguardo che vengono a trovarmi. Il buon uomo ha
pensato solo per sé e sua figlia, che è la più grande seccatrice che io conosca. Poiché nella sua
ultima lettera ho letto un Eloge del conte Daun su questa famiglia, devo scriverle anch’io
qualcosa al riguardo. Sarei passato sopra a tutto ciò che ora sta per leggere e l’avrei
considerata una cosa senza importanza in quanto si tratta di una seccatura privata che
riguarda solo me, ma poiché dalla sua lettera traspare una certa fiducia in questa famiglia, mi
vedo costretto a parlarle sinceramente sia delle cose positive che di quelle negative. Lui è
l’uomo migliore di questo mondo. Fin troppo buono; in realtà è sua moglie, la più stupida e la
più stravagante pettegola del mondo, che porta i calzoni. A tal punto che quando parla lei, lui
non osa dire una parola. Mi ha pregato, essendo spesso usciti insieme a passeggio, di non dire
in presenza di sua moglie che abbiamo preso un fiacre o che abbiamo bevuto una birra. Ora,
in un uomo del genere non posso avere fiducia; in casa sua mi sembra che conti troppo poco.
È una bravissima persona e un mio buon amico; potrei pranzare spesso a casa sua a
mezzogiorno, ma ho l’abitudine di non farmi mai pagare per le mie cortesie. Non è certo con
una minestra a pranzo che potrebbero essere pagate. Ma la gente di questo tipo pensa di
potersela cavare così. Non vado a casa loro per il mio tornaconto, ma per il loro. Per me non
vedo proprio alcun vantaggio. Da loro non ho incontrato una sola persona di cui valga la pena
scrivere il nome su questo foglio. Brave persone, indubbiamente, ma niente di più. Persone
che hanno abbastanza giudizio per rendersi conto di quanto la mia conoscenza sia. stata utile
alla figlia che, a detta di chiunque l’abbia sentita in precedenza, da quando vado da lei ha
fatto progressi straordinari. La madre non voglio neppure descriverla. Basti dire che a tavola
si devono fare degli sforzi per trattenere il riso. Basta. Lei conosce la signora Adlgasser1;
ebbene, questo pezzo di donna è ancora peggio, essendo per giunta una malalingua, insomma
stupida e cattiva ad un tempo. Passiamo alla figlia. Se un pittore volesse dipingere il diavolo
al naturale, potrebbe ispirarsi al suo aspetto. È grossa come una contadina, suda da far
vomitare e se ne va in giro così scollata che sembra di leggervi a chiare note «vi prego,
guardate qua». È vero che da vedere ce n’è abbastanza, tanto che si vorrebbe diventar ciechi.
Ma... si è puniti a sufficienza per tutta la giornata se gli occhi hanno la sventura di volgersi da
quella parte. Ci vuole il cremortartaro. Così stomachevole, così sporca, così orrenda. Puah, al
diavolo! Le ho già scritto come suona il piano.2 Le ho anche scritto perché mi ha pregato di
aiutarla.3 Mi fa molto piacere essere utile agli altri, ma che almeno poi non mi secchino! Non
si accontenta delle due ore che trascorro con lei ogni giorno; mi vorrebbe seduto al suo fianco
per tutta la giornata. E poi vuol fare la graziosa. Meglio ancora: è seriamente innamorata di
me. Dapprima ho creduto che scherzasse, ma ora ne ho la certezza. Quando me ne sono
accorto - perché si prendeva certe libertà, per esempio mi faceva teneri rimproveri se arrivavo
un poco più tardi del solito o non mi potevo trattenere per molto, e altre cose di questo genere
- per non prendermi gioco di lei mi sono visto costretto a dirle cortesemente la verità. Ma non
è servito a niente, era sempre più innamorata. Alla fine ho cominciato a trattarla sempre con
molta cortesia, tranne quando si produceva nelle sue moine: in questo caso diventavo
sgarbato. Lei allora, prendendomi per mano, diceva: «Caro Mozart, non sia così cattivo; può
dire ciò che vuole, io le voglio sempre bene». In tutta la città corre voce che ci sposeremo, e
ci si meraviglia che io possa prendermi in moglie una faccia simile. Lei mi ha detto che
ogniqualvolta le hanno parlato di queste cose, ci ha sempre riso sopra; io però sono venuto a
sapere da una certa persona che lei ha confermato la cosa, aggiungendo che poi avremmo
viaggiato insieme. Questo mi ha fatto perdere la pazienza. Ultimamente dunque gliele ho
cantate come si deve, dicendole che non doveva più abusare della mia bontà. E ora non vado
più da lei ogni giorno, ma a giorni alterni, così le mie visite diventeranno sempre meno
frequenti. È solo una pazza innamorata; prima di conoscermi, a teatro, dopo avermi ascoltato,
disse: «Domani verrà da me e gli suonerò le sue variazioni con lo stesso gusto». E per questa
ragione non ci sono andato affatto, trattandosi di un discorso pieno di superbia e avendo lei
detto una bugia, perché non era affatto vero che dovessi recarmi a casa sua l’indomani. Ora
adieu, il foglio è pieno. Il primo atto dell’opera 4 è terminato. Le bacio mille volte le mani,
abbraccio con tutto il cuore la mia cara sorella e rimango per sempre il suo
devotissimo figlio W. A. Mozart
*
1 Maria Anna Adlgasser, terza moglie di Anton Cajetan Adlgasser, organista alla corte di
Salisburgo.
2 Nella lettera del 27 giugno 1781 aveva scritto al padre: «Suona che è un incanto. Nel
cantabile però le manca il gusto autentico, fine, della melodia e sfilaccia tutto».
3 Gli aveva confidato di voler studiare altri due o tre anni come si deve, per poi andare
a Parigi a guadagnarsi da vivere come pianista. Gli aveva detto: «Non sono bella, anzi sono
brutta. Non voglio sposare un impiegato di cancelleria con trecento o quattrocento fiorini di
stipendio e altri partiti non ne trovo. Allora preferisco restare cosi e vivere del mio talento».
Josepha Auernhammer rinunciò poi ai suoi programmi di emancipazione ante litteram e nel
1786 sposò proprio un impiegato di cancelleria.
4 II ratto dal serraglio (K384).
AL PADRE
Vienne ce 26 de Septembre 1781
Mon trés cher Pére!
Mi perdoni se l’ultima volta la lettera ha superato il peso e ha dovuto pagare qualcosa di
più. Ma non avendo proprio nulla di importante da scriverle, ho ritenuto di farle piacere
dandole un’idea dell’opera.1 Poiché l’opera incominciava con un monologo, ho pregato il
signor Stephanie di scrivere alcuni versi per un’arietta,2 affinché i due personaggi, dopo la
canzoncina di Osmino,3 invece di parlare tra loro, potessero cantare un duetto.4 La parte di
Osmino l’abbiamo destinata al signor Fischer,5 che ha veramente un’eccellente voce da basso
(benché l’arcivescovo mi abbia detto che canta con una voce troppo grave per un basso ed io
gli abbia allora assicurato che la prossima volta avrebbe cantato più alto), e bisogna
approfittare di un uomo simile, soprattutto perché ha dalla sua tutto il pubblico. Nel libretto
originale questo Osmino canta quell’u-nica canzoncina e nient’altro, a parte il terzetto 6 e il
finale,7 e allora gli ho dato un’aria nel primo atto 8 e gliene darò un’altra anche nel secondo.’
L’aria 10 al signor Stephanie l’ho suggerita io da cima a fondo, e la parte essenziale della
musica era già ultimata prima che Stephanie avesse scritto una parola. Qui troverà solo
l’inizio e la fine, che devono essere di buon effetto; l’ira di Osmino in questo modo volgerà al
comico, perché la musica turca è adatta allo scopo. Nella composizione dell’aria ho dato
particolare risalto ai bei toni gravi del basso (a dispetto del Mida11 di Salisburgo). Il
passaggio «Drum beim Barte des Propheten», ecc. è nello stesso tempo, ma con note più
celeri, e poiché la sua collera cresce sempre più, l’allegro assai, tutto in un altro tempo e in un
altro tono, quando si pensa che l’aria stia per finire, dovrebbe produrre il miglior effetto. Un
uomo in preda a una collera tanto violenta oltrepassa ogni norma, ogni misura, ogni limite,
non è più in sé e allora anche la musica non deve essere più in sé. Ma poiché le passioni,
violente o no, non devono mai essere espresse fino al punto da suscitare disgusto e la musica,
anche nella situazione più terribile, non deve mai offendere l’orecchio, ma piuttosto dilettarlo
e restare pur sempre musica, non ho scelto un tono estraneo a quello di fa, che è il tono
dell’aria, ma uno prossimo; non però quello più vicino, re minore, ma quello più lontano, la
minore. E l'aria di Belmonte in la maggiore: «O wie àngstlich, o wie feurig» lei sa come
viene resa: il cuore che batte pieno d’amore è già annunciato dai due violini in ottava. Questa
è l’aria preferita da tutti coloro che l’hanno ascoltata e anche da me; ed è stata scritta in tutto
e per tutto per la voce di Adamberger. Si vede il tremore, l’esitazione, si vede il petto gonfio
che si solleva, espresso da un crescendo; si sente il sussurrare, il sospirare, reso dai primi
violini in sordina e da un flauto all’unisono.
Il coro dei giannizzeri è tutto quello che si può desiderare per un coro di giannizzeri u:
breve e allegro, scritto proprio per i viennesi. L’aria di Costanza l’ho un po’ sacrificata
all’agile gola della signorina Cavalieri. «Trennung war mein banges Los und nun schwimmt
mein Aug in Thrànen» ho cercato di esprimerlo per quanto lo consente un’aria di bravura
all’italiana. Ho cambiato «Hui» in «schnell», così risulta «Doch wie schnell schwand meine
Freude», ecc. Non so cosa abbiano in testa i nostri poeti tedeschi; anche se di teatro non se ne
intendono, per quel che riguarda l’opera per lo meno non dovrebbero far parlare i personaggi
come se accudissero ai porci. Hui, porco!
Veniamo ora al terzetto,14 cioè al finale del primo atto. Pedrillo ha fatto passare il suo
padrone per un architetto, per offrirgli l’occasione di incontrare nel giardino la sua Costanza.
Il pascià l’ha preso al suo servizio; Osmino, nelle sue vesti di guardiano e ignaro di tutto,
essendo un tanghero villano e nemico giurato di tutti gli stranieri, fa l’insolente e non vuole
permettere loro di entrare in giardino. Questo inizio di cui le ho accennato è molto breve, e
poiché il testo si prestava l’ho potuto scrivere abbastanza bene per tre voci. Poi comincia
subito il tono maggiore, pianissimo, che deve andare avanti molto rapidamente, e la fine farà
un bel po’ di chiasso, e questo è proprio quello che ci vuole per un finale d’atto. Più rumore si
fa, meglio è, e più corto è, meglio è, cosi la gente non fa in tempo a raffreddarsi per gli
applausi.
Dell’ouverture troverà solo 14 battute. È brevissima, con una continua alternanza di forte
e di piano, e al forte inizia sempre la musica turca. Varia così da un tono all’altro e credo che
sarà impossibile addormentarsi, anche se si fosse trascorsa un’intera notte in bianco. Ma qui ti
voglio: il primo atto è finito da più di tre settimane; è già pronta anche un ’aria del secondo
atto e il duetto dei bevitori15 (per li sig.ri vieneri), ma non posso comporre più nulla perché
ora l’intera storia viene rimaneggiata da cima a fondo, e proprio su mia richiesta. Al principio
del terzo atto c’è un delizioso quintetto,16 o piuttosto un finale, che però preferirei avere alla
fine del secondo atto. Per poterlo fare, è necessario operare un grande cambiamento,
addirittura inventare tutto un nuovo intrigue, e Stephanie è carico di lavoro fin sopra i capelli;
bisogna avere un po’ di pazienza. Tutti arricciano il naso su Stephanie. Può darsi che anche
con me si comporti da amico solo quando gli sono di fronte. Però mi sta rimaneggiando il
libretto e proprio come voglio io, a pennello, e, per Dio, altro da lui non pretendo! Ecco
dunque che le ho dato un’idea dell’opera; ma non ne potevo fare a meno. La prego, mi mandi
la marcia 17 che le ho indicato l’ultima volta. Gilowsky 18 dice che Daubrawaick verrà fra
poco. La signorina von Auernhammer ed io aspettiamo ansiosamente i due doppi concerti.19
Spero che la nostra attesa non sarà vana come quella degli Ebrei che aspettano il Messia. Ed
ora adieu. Stia bene, le bacio mille volte le mani, abbraccio di tutto cuore mia sorella e
rimango per sempre il suo devotissimo figlio
W. A. Mozart
*
1 Del Ratto dal serraglio. Nelle lettere precedenti aveva unito l’inizio dell’Ouverture, la
prima aria di Belmonte e l’inizio e la fine della prima aria di Osmino.
2 L’aria di Belmonte: «Hier soli ich dich denn sehen».
3 «Wer ein Liebchen hat gefunden».
4 II duetto tra Belmonte e Osmino, che inizia con «Verwiinscht seist du samt deinem
Liede».
5 Johann Ignaz Ludwig Fischer, basso.
6 II terzetto Osmino-Belmonte-Pedrillo che inizia con le parole «Marsch, marsch,
marsch».
7 «Nie werd’ich deine Huld verkennen».
8 «Solche hergelaufne Laffen».
9 Non l’ha poi mai composta.
10 «Wer ein Liebchen hat gefunden».
11 L’arcivescovo Colloredo.
12 Nell’aria «Solche hergelaufne Laffen».
13 «Singt dem grossen Bassa Lieder».
14 «Marsch, marsch, marsch».
15 II duetto tra Pedrillo e Osmino: «Vivat Bacchus, Bacchus lebe».
16 «Ach Belmonte, ach mein Leben», che chiude il secondo atto.
17 Non meglio identificata.
18 Franz Xaver Wenzel Gilowsky.
19 II concerto per due pianoforti K365 e l’arrangiamento fatto dallo stesso Mozart del
concerto per tre pianoforti K242. Doveva suonarli insieme alla Auernhammer e Daubrawaick
era stato verosimilmente pregato di portarglieli in occasione di un suo viaggio a Vienna.
AL PADRE
Vienne ce 13 d’octobre 1781
Mon trés cher Pére!
Grazie per i concerti1 anche a nome della signorina von Auernhammer. Ieri mattina il
signor Marchal2 mi ha portato in camera il giovane signor von Mayrn 3 e nel pomeriggio
sono andato fuori e ho ritirato le mie cose. Il signor Marchal spera di diventare maggiordomo
presso il conte Jean Esterhàzy, e il conte Cobenzl gli ha consegnato una raccomandazione
scritta per il conte. Mi ha detto: «J’ai donnè une lettre à Monsieur votre protegè». E quando
ha parlato nuovamente con Marchal, gli ha detto: «D’abord que J’aurai de reponse, Je le dirai
à M.r Mozart, votre protecteur».
Veniamo ora al testo dell’opera. Per quanto riguarda il lavoro di Stephanie, lei ha
sicuramente ragione.4 Ma quello che ha scritto è del tutto adeguato al carattere di Osmino,
stupido, rozzo e crudele. So bene che lo stile non è dei migliori, ma si accorda così bene con
le mie idee musicali che doveva necessariamente piacermi e sono pronto a scommettere che
alla rappresentazione non si noterà alcun difetto. Quanto alle parti poetiche del libretto,
davvero non mi sento di disprezzarle. L’aria di Belmont «O wie àngstlich»,5 per quanto
riguarda la musica non potrebbe essere scritta meglio. A parte lo «hui»6 e «Kummer ruht in
meinem Schoss» 7 (perché la pena non può riposare), l’aria non è male, soprattutto nella
prima parte. Io non so, ma in un’opera la poesia deve essere assolutamente la figlia devota
della musica. Perché le opere buffe italiane piacciono ovunque, per miserabile che sia il
libretto? Perfino a Parigi, come ho visto con i miei occhi, la musica domina totalmente e fa
dimenticare tutto il resto. Tanto più allora dovrà piacere un’opera in cui il canovaccio è ben
elaborato, ma le parole sono scritte solo in funzione della musica, senza inserire qua e là, per
amore delle rime (che poi, per Dio, non aggiungono comunque nulla al valore di una
rappresentazione teatrale, ma semmai vanno a suo detrimento) parole o strofe intere che
rovinano l’intenzione del compositore. I versi per la musica sono assolutamente
indispensabili, ma le rime fini a se stesse sono quanto di più deleterio ci sia. I signori che
procedono in modo cosi pedante naufragheranno sempre insieme alla musica.
L’ideale è quando s’incontrano un buon compositore, che si intende di teatro ed è in
grado di dare un suo contributo, e un poeta intelligente, una vera araba fenice. E allora non ci
si dovrà certo preoccupare dell’approvazione degli ignoranti. I poeti mi sembrano quasi dei
trombettisti, con quelle loro ridicole manie di corporazione.8 Se noi compositori volessimo
seguire cosi fedelmente le regole (che un tempo, quando non si era in grado di fare nulla di
meglio, erano validissime) la musica che scriveremmo varrebbe quanto i loro libretti.
Ma mi sembra di averle già detto sciocchezze a sufficienza; ora desidero informarmi di
ciò che più mi sta a cuore, e cioè della sua salute, padre dilettissimo! Nella mia ultima lettera
le ho consigliato due rimedi per i giramenti di testa 9 che, se non le fossero noti, forse le
sembreranno inutili. Mi hanno però assicurato che avranno di sicuro un buon effetto, e il
piacere di saperla in buona salute mi ha tanto convinto della loro efficacia che non ho potuto
fare a meno di consigliarlieli dal più profondo del cuore, con il più vivo desiderio che lei non
ne abbia bisogno e, in caso contrario, che possano servire a ristabilirla completamente. Spero
che mia sorella vada riprendendosi ogni giorno di più. La bacio di tutto cuore e a Lei,
carissimo, dilettissimo padre mio, bacio mille volte le mani e rimango per sempre il suo
Non appena avrò ricevuto l’orologio, le manderò in cambio il suo.10 Adieu.
devotissimo figlio W. A. Mozart
*
1 Cfr. lettera precedente, nota 19.
2 Verosimilmente l’istitutore del giovane von Mayrn.
3 Johann Baptist Mayr von Mayrn.
4 La lettera di Leopold, con le osservazioni a cui si riferisce Mozart, è andata perduta.
5 L’aria del primo atto: «Konstanze, dich wiederzusehen, dich!».
6 Cfr. lettera precedente.
7 «Kummer ruht in meinem Schoss» (la pena riposa nel mio seno), verso finale dell’aria
di Costanza: «Ach, ich liebte, war so gliicklich».
8 All’epoca di Mozart i trombettisti erano ancora riuniti in una corporazione, molto
fedele alle sue tradizioni.
9 Leopold aveva cominciato a soffrirne negli ultimi tempi e se n’era lamentato per
lettera.
10 Mozart aveva lasciato a Salisburgo il suo orologio preferito, per farlo riparare, e aveva
preso in prestito un orologio del padre.
AL PADRE
Vienne ce 15 de Dec.bre 1781
Mon trés cher Pére!
Ho ricevuto in questo momento la sua lettera del 12. Il signor von Daubrawaick le
porterà questa mia, l’orologio,1 l’opera di Monaco,2 le sei sonate incise,3 la sonata per due
pianoforti4 e le cadenze.5 La faccenda con la principessa di Wiirttemberg 6 è andata a monte.
È stato l’imperatore7 che mi ha rovinato tutto, per lui esiste solo Salieri. L’arciduca
Massimiliano 8 le ha raccomandato me, e la principessa ha risposto che se fosse stato per lei
non avrebbe preso nessun altro, ma l’imperatore le aveva raccomandato Salieri per via del
canto. Ne era molto dispiaciuta. Quanto a quello che mi ha scritto della casa di Wiirttemberg
9 e della sua persona, non è escluso che possa riuscirmi utile.
Padre carissimo! Mi chiede di spiegarle le parole che ho scritto alla fine della mia ultima
lettera.10 Oh, quanto sarei stato contento di aprirle già da tempo il mio cuore; ma il
rimprovero che lei avrebbe potuto farmi, di aver scelto un momento poco opportuno per
pensare a una cosa del genere, mi ha trattenuto dal farlo, benché il pensare non possa mai
essere inopportuno. Nel frattempo la mia preoccupazione è quella di trovare qui qualcosa che
mi dia una certa sicurezza; in questo modo, con l’aiuto delle entrate incerte, qui è possibile
vivere benissimo... e poi... potrò sposarmi! Lei si spaventa all’idea? Ma la prego, carissimo e
amatissimo padre mio, mi ascolti! Ho dovuto rivelarle i miei desideri, mi permetta ora di
esporle anche le mie ragioni, le mie ben fondate ragioni. La natura si manifesta in me come in
chiunque altro, e forse maggiormente che in certi colossi. Mi riesce impossibile vivere come
la maggior parte dei giovani d’oggi. Prima di tutto ho troppa religione, poi ho troppo amore
per il prossimo e sentimenti troppo onesti per poter sedurre una ragazza innocente, in terzo
luogo ho troppo orrore e disgusto, paura e ripugnanza delle malattie e troppa cura della mia
salute per poter frequentare delle puttane. Posso quindi giurare di non aver ancora avuto
rapporti di questo genere con una donna. Se fosse accaduto non glielo nasconderei, giacché
per l’uomo è sempre abbastanza naturale sbagliare, e sbagliare un’unica volta sarebbe una
semplice debolezza, anche se non oserei promettere di limitarmi a quest’unico errore, qualora
l’avessi commesso anche una sola volta. Ma posso giurarle per la mia vita e per la mia morte
che quanto le ho detto risponde a verità. So bene che questo motivo (per quanto forte sia) non
ha tuttavia un peso sufficiente. Ma con il mio temperamento, che mi rende più incline alla
tranquilla vita domestica che al disordine, io, che fin dalla giovinezza non sono mai stato
abituato a occuparmi delle mie cose, come biancheria, vestiti e simili, non riesco a concepire
nulla di più necessario di una moglie. Non so dirle quante spese superflue sia costretto ad
affrontare per questa mia incuria. Sono del tutto certo che con una moglie (e con lo stesso
reddito che ho vivendo da solo) me la caverei meglio di quanto non faccia ora. E quante spese
inutili vengono in tal modo eliminate! Ce ne sono altre, è vero, che sono però prevedibili e
quindi è possibile regolarsi e, in una parola, vivere in modo ordinato.
Un uomo celibe a mio avviso vive solo a metà. Io la penso così e non posso fare
diversamente. Ho pensato e riflettuto a lungo, restando sempre di questa idea.
Ma chi è l’oggetto del mio amore? Non si spaventi neppure per questo, la prego! Non
sarà forse una delle Weber? Sì, una delle Weber! Non Josepha, non Sophie, ma Costanza,
quella di mezzo. In nessuna famiglia ho trovato tanta diversità di caratteri come in questa. La
maggiore è pigra, rozza, falsa, una furba di tre cotte. La Lange 11 è falsa, maligna e per
giunta civetta. La più giovane... è ancora troppo giovane per essere qualcosa, e non è altro
che una cara creatura, solo troppo sventata, che Dio la protegga da qualunque seduzione. Ma
quella di mezzo, cioè la mia buona, la mia cara Costanza, è... la martire della situazione e
forse proprio per questo è la più buona, la più brava e, in una parola, la migliore... In casa è
lei che si preoccupa di tutto, ma non può fare nulla. O padre mio amatissimo, potrei riempire
pagine e pagine se volessi descrivere tutte le scene che sono avvenute in questa casa. Se però
lo desidera, lo farò nella prossima lettera. Ma prima di smettere di tormentarla con le mie
chiacchiere, desidero farle conoscere un po’ meglio il carattere della mia carissima Costanza.
Non è brutta, pur non essendo certamente bella. Tutta la sua bellezza consiste in due occhietti
neri e in una bella figura. Non ha spirito, ha però sufficiente buon senso per poter adempiere i
doveri di una moglie e di una madre. Non è affatto incline allo sperpero, questo è
assolutamente falso. Al contrario è abituata ad essere mal vestita. Perché quel poco che la
madre ha potuto fare per le sue figlie, l’ha riservato alle altre due, mai a lei. È vero che le
piacerebbe essere in ordine e carina, ma senza alcuna pretesa di eleganza. E quasi tutto quello
di cui ha bisogno una donna sa farselo da sé. E si pettina ogni giorno da sé.12 Sa tenere la
casa, ha il cuore migliore del mondo. Io l’amo e lei mi ama con tutto il cuore. Mi dica lei se
potrei augurarmi una moglie migliore. Devo ancora dirle che all’epoca delle mie dimissioni
l’amore non era ancora sorto. È nato solo dopo, dalle sue tenere cure e dai suoi servigi
(quando abitavo in quella casa).
Ora dunque spero solo di trovare qualcosa che mi dia una certa sicurezza (e grazie a
Dio, ho buone speranze di riuscirvi) e poi la pregherò incessantemente di lasciare che io salvi
questa poveretta, e me con lei, facendo cosi - credo di poterlo dire - la felicità di noi tutti.
Perché sarà certo felice anche lei, se lo sono io! E la metà delle mie entrate fisse sarà a suo
beneficio, padre mio carissimo! Ora le ho aperto il mio cuore e le ho spiegato le mie parole.
La prego ora di spiegarmi a sua volta quelle della sua ultima lettera: «Non ci crederai, ma
sono venuto a conoscenza di una proposta che ti è stata fatta e alla quale tu, all’epoca in cui
l’ho saputo, non avevi dato nessuna risposta».13 Non capisco a cosa voglia alludere. Non so
di nessuna proposta. Ora abbia compassione di suo figlio. Le bacio mille volte le mani e
rimango per sempre
il suo devotissimo figlio W. A. Mozart
*
1 Cfr. lettera precedente, nota 10.
2 Idomeneo.
3 Cfr. lettera del 19 maggio 1781, nota 2.
4 Probabilmente la sonata K448.
5 Le cadenze per il concerto per due pianoforti e orchestra K365.
6 Mozart sperava di essere scelto come maestro di musica della principessa Elisabeth
Wilhelmine Louise von Wùrttemberg, promessa sposa dell’arciduca Francesco di Toscana,
nipote dell’imperatore, che si sarebbe trasferita a Vienna all’inizio del 1782.
7 Giuseppe II, imperatore d’Austria.
8 Massimiliano Francesco, il figlio più giovane di Maria Teresa.
9 La lettera di Leopold a cui fa riferimento Mozart è andata perduta.
10 «Non ho potuto soddisfare tutti i suoi desideri, nel modo da lei voluto».
11 Aloisia Weber, dal 1780 sposata con l’attore Joseph Lange.
12 Diversamente da Nannerl, la sorella di Mozart, che aveva bisogno di un aiuto.
13 Non si sa di cosa si trattasse.
AL PADRE
Mon trés cher Pére!
Vienne ce 22 dicembre 1781
Sono ancora pieno di collera e di rabbia per le vergognose menzogne di quel gran
mascalzone di Winter1; calmo e tranquillo perché non mi toccano, contento e soddisfatto del
mio inestimabile, carissimo e amatissimo padre. Ma dalla sua intelligenza, dal suo amore e
dalla sua bontà verso di me non avrei mai potuto attendermi altro. Ora, dalla confessione che
le ho fatto nella mia ultima lettera avrà saputo del mio amore e dei miei progetti e avrà
compreso che a ventisei anni non sarò così sciocco da sposarmi avventatamente e senza
prospettive, che le mie ragioni per sposarmi il più presto possibile sono assai fondate e che la
mia ragazza, per come gliel’ho descritta, sarà proprio la moglie che mi si addice. Non è
diversa da come gliel’ho descritta, né migliore né peggiore. Desidero farle la più sincera
confessione anche a riguardo del contratto di matrimonio, nella certezza che lei vorrà
perdonarmi questo passo giacché anche lei non si sarebbe comportato diversamente,
trovandosi nella mia stessa situazione. Le chiedo perdono unicamente per non averle scritto
prima ogni cosa. Di questo mi sono scusato già nella mia ultima lettera e le ho spiegato le
ragioni che mi hanno trattenuto dal farlo. Spero dunque che vorrà perdonarmi, poiché
nessuno ha sofferto per questo più di me. E anche se lei non me ne avesse dato occasione con
la sua ultima lettera, le avrei scritto tutto io stesso, rivelandole ogni cosa. Perché, in nome di
Dio, non avrei potuto resistere più a lungo.
Ma venendo al contratto di matrimonio, o meglio all’assicurazione scritta delle mie
buone intenzioni nei confronti della ragazza, lei sa bene che, essendo morto il padre
(purtroppo per tutta la famiglia ed anche per me e per la mia Costanza), c’è un tutore.2 A
costui (che non mi conosce affatto) signori zelanti e saccenti come il signor Winter ed altri
ancora devono essere andati a riferire menzogne di ogni genere sul mio conto: che con me
bisogna stare attenti, che non ho niente di sicuro, che sto tutto il tempo con lei, che magari la
pianterò e che poi la ragazza sarà un’infelice, ecc. Tutto questo ha indispettito il tutore,
mentre la madre,3 che mi conosce e conosce la mia onestà, non ha dato importanza alla cosa
e non gli ha detto nulla. I miei rapporti con lei si limitavano al fatto che avevo abitato nella
sua casa e che dopo andavo a farle visita ogni giorno. Nessuno mi ha mai visto con lei fuori
della sua casa. Quell’uomo ha perseguitato a tal punto la madre con i suoi rimproveri, che
costei alla fine mi ha riferito tutto pregandomi di parlare personalmente con lui, che sarebbe
venuto in quei giorni. È venuto, gli ho parlato, ottenendo come risultato (non essendomi
spiegato tanto chiaramente quanto avrebbe desiderato) che lui ha detto alla madre di
proibirmi ogni rapporto con la figlia sin quando non avessi concluso un accordo scritto con
lui. La madre ha replicato: «Tutti i suoi rapporti con lei consistono nel fatto che viene a casa
mia e questo non posso proibirglielo: è troppo un buon amico, e un amico nei cui confronti
mi sento molto obbligata. Sono contenta, mi fido di lui. Se la veda lei con lui». Lui dunque
mi ha proibito di frequentarla, se non avessi firmato un accordo scritto. Che cosa mi rimaneva
da fare a questo punto? Dare una legittimazione scritta o lasciare la ragazza. Chi ama
sinceramente e seriamente può forse abbandonare l’amata? La madre, l’amata stessa, non lo
interpreterebbero nel modo più orribile? Questa era la mia situazione. Ho redatto la scrittura
in questi termini, che mi impegno a sposare la signorina Costanza Weber entro tre anni;
qualora dovesse verificarsi l’impossibile eventualità che io cambiassi idea, essa riceverà da
me ogni anno 300 fiorini. Niente al mondo era più facile da scrivere per me. Sapevo infatti
che non si sarebbe mai giunti al pagamento di questi 300 fiorini, perché non la lascerò mai. E
se anche dovessi avere la sventura di cambiare idea, sarei ben felice di potermi liberare di
ogni impegno con 300 fiorini. E Costanza, per come la conosco, avrebbe troppo orgoglio per
lasciarsi mettere in vendita.
Ma cosa ha fatto questa meravigliosa ragazza quando il tutore se n’è andato? Ha chiesto
la scrittura a sua madre e mi ha detto: «Caro Mozart, non ho bisogno di nessuna assicurazione
scritta da parte sua, credo alle sue parole e basta», e l’ha strappata. Questo atto mi ha reso
ancora più cara la mia Costanza. E visto che la scrittura era stata cassata in questo modo e che
il tutore dando la sua Parole d’honneur aveva promesso di tenere la cosa segreta, mi sono
sentito un poco tranquillizzato nei suoi riguardi, padre mio amatissimo. Del suo consenso alle
nozze (è una ragazza a cui manca una cosa sola, i soldi) quando fosse stato il momento, non
dubitavo affatto, poiché conosco le sue idee così ragionevoli al riguardo.
Mi perdonerà? Lo spero. Non ne dubito affatto. E ora (per quanto mi ripugni) voglio
parlarle di quelle canaglie.
Credo che l’unica malattia che abbia avuto il signor Reiner4 sia stata quella di non avere
il cervello in ordine. L’ho visto per caso a teatro, dove mi ha consegnato una lettera di Ramm.
Gli ho chiesto dove alloggiasse, ma mi ha risposto di non essere in grado di indicarmi né la
strada né la casa ed ha espresso la sua irritazione per il fatto di essersi lasciato convincere a
venire qui. Mi sono offerto di condurlo dalla contessa 5 e in qualunque altro luogo a cui
avessi accesso, e gli ho promesso che se non avesse potuto dare alcun concerto l’avrei
senz’altro presentato al granduca.6 Ma ha risposto: «Mah, qui non c’è niente da fare, ripartirò
subito». «Abbia un po’ di pazienza, e poiché lei non sa indicarmi il suo alloggio, le dirò il
mio, che è facile da trovare». Ma non l’ho visto. Ho chiesto informazioni su di lui, ma
quando mi sono messo sulle sue tracce era già partito. E ora basta con questo signore. Quanto
a Winter, se meritasse il nome di uomo (visto che è sposato) o quanto meno di essere umano,
potrei dire che è sempre stato il mio più grande nemico, e questo a causa di Vogler.7 Ma
poiché ha i modi di una bestia e per il resto si comporta e agisce come un bambino, in effetti
mi vergognerei a spendere una sola parola sul suo conto, in quanto merita il più assoluto
disprezzo da parte di qualunque uomo onesto. Non voglio dunque dire di lui (invece di infami
menzogne) infami verità, ma mi limiterò a raccontarle qualcosa di quello che faccio. Tutti i
giorni alle sei arriva il mio barbiere e mi sveglia. Per le sette sono vestito di tutto punto. Poi
scrivo fino alle dieci. Alle dieci ho un’ora di lezione dalla signora von Trattner, alle undici
dalla contessa Rumbeke, e ricevo da entrambe 6 ducati per dodici lezioni; vado da loro tutti i
giorni, salvo avviso contrario, il che non mi fa mai piacere. Con la contessa siamo già
d’accordo che non m’avverte mai di non andare; anche se non la trovo, ricevo comunque il
mio biglietto; la Trattner invece è troppo parsimoniosa per fare lo stesso. Non devo un
centesimo a nessuno. Non so nulla di un concerto per dilettanti in cui due partecipanti
suonavano bene il piano. E le dico sinceramente che non mi sembra valga la pena di
rispondere a tutte le stupidaggini che può aver detto un furfante e un miserabile strimpellatore
come lui; in questo modo riesce soltanto a rendersi ridicolo. Se crede che io sia detestato
dalla corte e dalla grande e piccola nobiltà, scriva semplicemente al signor von Strack, alla
contessa Thun, alla contessa Rumbeke, alla baronessa Waldstatten, al signor von Sonnenfels,
alla signora von Trattner; enfin, a chi vuole lei. Nel frattempo le dirò soltanto che
l’imperatore8 ha fatto recentemente, durante un pranzo, il più grande Eloge della mia
persona, accompagnandolo con queste parole: «C’est un talent decide». E l’altro ieri, il 24, ho
suonato a corte. È arrivato qui anche un altro pianista, un italiano che si chiama Clementi.9
Era stato convocato anche lui. Ieri mi hanno mandato come ricompensa 50 ducati, che in
questo momento mi tornano veramente utili. Mio carissimo, amatissimo padre, vedrà che
gradualmente i miei affari procederanno di bene in meglio. A che serve procurarsi una gran
fama, una rapida fortuna? Sono cose che non durano. Chi và piano và sano. Non bisogna fare
il passo più lungo della gamba. Di tutte le canagliate che ha detto Winter la sola che mi abbia
fatto montare in collera è stato l’aver definito la mia Costanza una furbacchiona. Gliel’ho
descritta cosi com’è. Se vuole sentire il parere di altre persone, scriva al signor von
Auernhammer, da cui è stata in varie occasioni, e una volta anche a pranzo; scriva alla
baronessa Waldstatten, che l’ha avuta con sé (purtroppo solo per un mese perché la signora si
era ammalata; e ora la madre non vuole più lasciarla andare). Voglia Iddio che possa sposarla
presto! Cecca-relli le invia i suoi saluti. Ieri ha cantato a corte. A proposito di Winter, devo
riferirle che una volta, tra le altre cose, mi ha detto: «Lei non è accorto, se si sposa. Guadagna
abbastanza, può farlo, si prenda un’amante. Cosa la trattiene? Qualche stupido scrupolo
religioso?». E ora pensi quello che vuole. Adieu. Le bacio mille volte le mani, abbraccio di
tutto cuore la mia cara sorella e rimango per sempre il suo
devotissimo figlio W. A. Mzt
*
1 Non si conoscono altri particolari in merito.
2 Johann Franz Joseph von Thorwart.
3 Maria Cacilia Weber.
4 Franz de Paula Reiner, cantante, uno dei calunniatori di Mozart.
5 La contessa di Rumbeke.
6 Paolo Pctrovic, che nel 1796 diventerà zar con il nome di Paolo I. Venne a Vienna nel
novembre 1781 e nell’ottobre 1782.
7 Georg Joseph Vogler, di cui era stato allievo Peter von Winter. A quanto pare
quest’ultimo si vendicò delle critiche fatte da Mozart al suo maestro.
8 Giuseppe II, imperatore d’Austria.
9 II musicista Muzio Clementi.
AL PADRE
Vienne ce 16 de Janvier 1782
Mon trés cher Pére!
La ringrazio della sua lettera affettuosa e animata da tante buone intenzioni. Se dovessi
rispondere a tutto in modo dettagliato, dovrei riempire un libro intero; ma essendo questo
impossibile, mi limiterò a rispondere alle cose più importanti. Il tutore si chiama signor von
Thorwart. È ispettore del guardaroba teatrale. Detto brevemente, tutto ciò che riguarda il
teatro deve passare dalle sue mani. Per mezzo di lui l’imperatore mi ha fatto avere i 50 ducati
ed è con lui che ho dovuto parlare anche per il concerto a teatro, perché il più dipende da lui e
perché ha molta influenza sul conte Rosenberg e sul barone Kienmayr. Devo confessarle che
dentro di me avevo pensato che le avrebbe rivelato tutta la faccenda senza dirmene una
parola; il fatto che non abbia agito cosi, ma che invece (malgrado la sua parola d’onore) ne
abbia messo al corrente tutta la città di Vienna, ha grandemente diminuito la stima che
nutrivo per lui. Che la signora Weber e il signor von Thorwart abbiano sbagliato perché
troppo preoccupati della propria sicurezza, posso pure concederglielo, anche se la signora non
può più disporre liberamente di sé e, soprattutto in cose del genere, deve rimettersi
completamente al tutore. E quest’ultimo, anche se (non conoscendomi) non mi deve in effetti
alcuna fiducia, certo però è stato troppo precipitoso con la sua richiesta di un impegno scritto.
Questo è incontestabile, soprattutto dopo avergli detto che lei non ne sapeva ancora nulla e
che in quel momento non potevo assolutamente dirle nulla. Lo avevo anche pregato di avere
ancora un po’ di pazienza, finché la mia situazione non fosse mutata, perché allora le avrei
scritto e tutto si sarebbe sistemato. Ma ormai sono cose passate e l’amore deve scusarmi. Il
signor von Thorwart ha commesso un errore, ma non al punto che lui e la signora Weber
debbano essere messi ai ferri e mandati a scopare le strade con al collo un cartello con sopra
scritto: «Corruttori della gioventù». Sarebbe troppo. Anche se fosse vero quello che ha scritto
lei, che per favorirmi mi abbiano spalancato le porte, mi abbiano lasciato ogni libertà
nella casa, mi abbiano dato ogni possibile occasione, ecc. ecc., la punizione sarebbe
comunque troppo vistosa. Che le cose non siano in questi termini non ho neppure bisogno di
dirlo; soffro già abbastanza all’idea che lei possa credere che suo figlio abbia potuto
frequentare una casa simile, dove ci fosse un tale andazzo. Mi limiterò a dirle che deve
credere esattamente il contrario. E ora basta!
Passiamo a Clementi! È un bravo cembalista. E con questo è detto tutto. È molto bravo
con la mano destra e il suo forte sono i passaggi di terza. Per il resto non ha neppure un
briciolo di gusto né di sentimento. Un puro meccanico.
L’imperatore,2 dopo che noi ci eravamo scambiati tutti i complimenti del caso, ha deciso
che fosse lui a cominciare a suonare. «La santa chiesa Catholica», ha detto, perché Clementi è
romano. Ha suonato dei preludi e poi ha eseguito una sonata. Allora l’imperatore mi ha detto:
«Allons, avanti». Ho suonato anch’io dei preludi e ho eseguito delle variazioni. Poi la
granduchessa 3 ha portato alcune sonate di Paisiello 4 (scritte di sua mano in modo
Miserable). Io ho dovuto suonare l’allegro e lui l’andante e il Rondò. Poi ne abbiamo preso
un tema e l’abbiamo sviluppato su due Piano forte. Si noti che io ho preso in prestito il Piano
forte 5 della contessa Thun, ma che vi ho suonato solo quando ho suonato solo. Perché così
ha voluto l’imperatore. E, N.B.: l’altro era scordato e c’erano tre tasti bloccati. «Non fa
niente», ha detto l’imperatore. Io la prendo così, dal lato migliore, cioè che l’imperatore
conosce già la mia arte e la mia scienza nella musica e si è voluto gustare per bene solo il
forestiero.
Del resto so da fonte sicurissima che è stato molto contento. L’imperatore è stato molto
gentile con me e mi ha parlato di molte cose prendendomi da parte. Ha anche parlato del mio
matrimonio. Chissà, magari... lei che ne pensa? Provare si può sempre.
Scriverò più a lungo nella prossima lettera. Stia bene. Le bacio mille volte le mani,
abbraccio la mia cara sorella di tutto cuore e rimango per sempre il suo
devotissimo figlio W. A. Mozart
*
1 Questo verosimilmente era quanto auspicava Leopold, ispirandosi ad una disposizione
di Giuseppe II che imponeva ai carcerati di ambo i sessi di andare a scopare le strade,
incatenati a due a due e con la testa rasata.
2 Giuseppe II, imperatore d’Austria.
3Maria Feodorovna, seconda moglie del granduca Paolo, futuro zar di Russia.
4 Giovanni Paisiello soggiornò a Pietroburgo dal 1776 al 1784 e fu maestro di musica
della granduchessa.
5 Un pianoforte costruito da Johann Andreas Stein ad Augusta.
AL PADRE
Vienne ce 30 de Janvier 1782
Mon trés cher Pére!
Le scrivo in tutta fretta, e alle dieci e mezza di sera; avevo intenzione di rimandare la
mia lettera a sabato, ma devo chiederle una cosa molto importante e spero che non se la
prenderà a male se le scrivo così poco. La prego dunque di mandarmi, con la prossima lettera,
un libretto dell’Idomeneo (con o senza la traduzione tedesca).1
Ne ho prestato uno alla contessa Thun, che ora ha traslocato e non lo trova più:
probabilmente è andato perduto. Un altro l’aveva la Auernhammer. L’ha cercato, ma non l’ha
ancora ritrovato. Può darsi che lo ritrovi, ma se poi non lo ritrovasse, soprattutto ora che ne
ho bisogno, sarei sistemato. Per non rischiare, la prego di mandarmelo subito, costi quel che
costi. Ne ho bisogno immediatamente, così da mettere tutto in ordine per il mio concerto, che
si terrà la terza domenica di quaresima. La prego dunque di spedirlo subito.
Le sonate 2 le manderò con la prossima posta.
L’opera 3 non dorme, ma è rimasta indietro a causa delle grandi opere di Gluck 4 e per
tutte le modifiche che è stato necessario apportare al libretto5; comunque verrà data subito
dopo Pasqua.6
Ora devo chiudere. Ancora una cosa (perché altrimenti non dormirei tranquillo): non
attribuisca alla mia Costanza pensieri così cattivi. Stia certo che se avesse simili sentimenti
mi sarebbe impossibile amarla. Lei ed io ci siamo entrambi accorti da tempo delle intenzioni
di sua madre. Ma costei certo si sbaglia di grosso. Desidererebbe infatti che noi, una volta
sposati, abitassimo da lei (dato che ha un alloggio da affittare). Ma non se ne farà niente,
perché io non accetterei mai e la mia cara Costanza ancor meno di me. O contraire: ha
intenzione di farsi vedere pochissimo a casa di sua madre, ed io farò il possibile perché non ci
vada affatto; la conosciamo. Carissimo, amatissimo padre! Altro non mi auguro se non di
poterci trovare presto insieme, perché lei la veda e l’ami, perché lei ama le persone di buon
cuore, lo so. E ora stia bene, carissimo, amatissimo padre! Le bacio mille volte le mani e
rimango per sempre il suo
devotissimo figlio W. A. Mozart
Abbraccio di tutto cuore la mia cara sorella, e non mi dimenticherò delle variazioni.7
*
1 II libretto dell’Idomeneo era uscito a Monaco nel 1781 in due edizioni, una in italiano e
una in italiano con versione in prosa tedesca.
2 Cfr. lettera del 19 maggio 1781, nota 2.
3 II ratto dal serraglio.
4 Ifigenia in Tauride, Alceste e Orfeo scelte dalla direzione dell’opera di Vienna per
festeggiare la venuta del granduca Paolo Petrovif nell’autunno 1781. In un primo momento
Mozart aveva sperato che per tale occasione sarebbe stata rappresentata la sua nuova opera.
5 Cfr. lettera del 26 settembre 1781.
6 In realtà la prima rappresentazione del Ratto dal serraglio ebbe luogo solo il 7 luglio
1782.
7 Presumibilmente le variazioni per pianoforte K352, 359 e 360.
ALLA SORELLA
Vienne ce 13 febrier 1782
Ma trés chére soeur!
Ti ringrazio per l’invio del libretto,1 che in effetti ho atteso con la più viva impazienza.
Spero che nel momento in cui riceverai questa lettera, ti sarà nuovamente a fianco il nostro
caro, dilettissimo padre.2 Se non ti rispondo, non devi dedurne che le tue lettere mi giungano
importune. L’onore di ricevere una lettera da te, cara sorella, sarà per me sempre motivo di
grandissimo piacere. Se le mie occupazioni, così necessarie per il mio sostentamento, me lo
consentissero, lo sa Iddio se non ti risponderei. Puoi forse dire che non ti ho risposto mai? E
allora? Non può essere dimenticanza e neppure negligenza. Di altro non si tratta, dunque, se
non di un impedimento diretto, di una reale impossibilità. Non ho scritto piuttosto poco anche
a mio padre? Faccio già abbastanza male, dirai tu. Ma per l’amor del cielo, entrambi
conoscete Vienna! Una persona che non ha una lira di entrate sicure in una città come questa
non ha da pensare e da lavorare a sufficienza, giorno e notte? Nostro padre, quando ha finito
con il suo servizio in chiesa,3 e tu con i tuoi pochi allievi, potete fare entrambi tutto il giorno
quello che volete e scrivere lettere che contengono intere litanie. Ma io no. Ho già descritto
ultimamente a mio padre come trascorro le mie giornate e lo rifarò con te. Alle sei del mattino
sono sempre già pettinato. Alle sette sono vestito di tutto punto. Poi scrivo fino alle nove.
Dalle nove all’una ho le mie lezioni. Poi mangio, a meno che non sia invitato da qualche
parte, e in tal caso si pranza alle due e anche alle tre, come oggi e domani dalla contessa
Zichy e dalla contessa Thun. Prima delle cinque o delle sei di sera non posso lavorare. E
spesso c’è un concerto ad impedirmelo, altrimenti scrivo fino alle nove. Poi vado a casa della
mia cara Costanza, dove però molte volte il piacere di vederci ci è reso amaro dai pungenti
discorsi di sua madre. Lo spiegherò a mio padre nella prossima lettera. E per questo desidero
liberarla e salvarla quanto prima possibile. Alle dieci e mezza o alle undici torno a casa.
Dipende dalla lingua di sua madre o dalla forza che ho di sopportarla. Poiché a causa degli
eventuali concerti, e anche perché non so se non mi chiameranno da qualche parte, non posso
contare sulla sera per scrivere, sono solito scrivere ancora un poco prima di andare a letto,
soprattutto quando rientro a casa presto. Così spesso resto a scrivere fino all’una. E alle sei
sono di nuovo in piedi.
Carissima sorella! Se credi che possa mai dimenticarmi del mio carissimo, dilettissimo
padre e di te, allora... ma zitti! Dio lo sa e questo basta a confortarmi. Che mi punisca, se
sono capace di tanto! Adieu. Rimango per sempre
P.S. Al mio carissimo padre, se è già a Salisburgo, bacio il tuo sincero fratello mille
volte le mani.
W. A. Mozart
*
1 II libretto de]l’Idomeneo.
2 Leopold si era recato a Monaco per il carnevale.
3 Dal 1777 Leopold insegnava pianoforte, violino e organo ai cantori della cappella del
duomo.
AL PADRE
Vienne ce 10 d’avril 1782
Mon trés cher Pére!
Dalla sua lettera del 2 vedo che ha ricevuto tutto regolarmente; mi fa piacere che lei sia
così contento dei nastrini per l’orologio e della tabacchiera e mia sorella delle due cuffie.1 La
tabacchiera e i nastrini non li ho comperati, ma li ho avuti in dono dal conte Zapara. Ho
trasmesso alla mia cara Costanza i vostri complimenti. Ella da parte sua le bacia le mani,
padre mio, e abbraccia di tutto cuore mia sorella, di cui vorrebbe essere amica. Le ha fatto
molto piacere quando le ho detto che è stata molto contenta delle due cuffie, perché questo
era quanto desiderava. L’appendice2 relativa a sua madre è vera solo per il fatto che beve
volentieri, ed effettivamente più di quanto non dovrebbe bere una donna. Tuttavia finora non
l’ho mai vista ubriaca, mentirei se dicessi il contrario. Le figlie bevono solo acqua, e benché
la madre voglia quasi costringerle a bere vino, non le riesce di farglielo toccare. Spesso per
questo motivo ci sono grandissime liti. Ci si può immaginare una lite del genere con una
madre?
Quanto a quello che lei scrive sulle voci per cui dovrei sicuramente entrare al servizio
dell’imperatore,3 se non le ho scritto nulla è perché io stesso non ne so nulla. L’unica cosa
certa è che anche qui tutta la città ne parla e numerosissime persone sono già venute a
congratularsi con me. Sono pronto a credere che se ne sia parlato anche dall’imperatore e che
lui forse abbia questa intenzione. Ma finora non ne so nulla. Siamo arrivati al punto che
l’imperatore ha in mente un’idea simile senza che io abbia fatto alcun passo in questo senso.
Sono andato qualche volta dal signor von Strack (che è sicuramente un mio ottimo amico) per
farmi vedere e perché sto volentieri con lui, ma non spesso, per non riuscirgli molesto e non
dargli occasione di pensare che ho delle mire. E se vorrà parlare da uomo d’onore, dovrà dire
di non aver sentito da me una sola parola che avrebbe potuto fargli pensare che io volessi
restare qui e tanto meno poi andare dall’imperatore. Abbiamo parlato solo di musica. È
dunque di sua iniziativa e senza alcun interesse che parla di me in modo cosi favorevole
all’imperatore. Se la cosa è andata tanto lontano senza il mio intervento, potrà giungere anche
a conclusione.4 Perché se uno si dà da fare, riceve subito una paga inferiore, visto quanto è
spilorcio l’imperatore. Se l’imperatore mi vuole, deve pagarmi; perché l’onore di essere al
servizio dell’imperatore non mi basta. Se l’imperatore mi dà 1.000 fiorini e un conte 2.000,
porgo i miei rispetti all’imperatore e vado dal conte, questo è certo.
A propòs, quando mi rispedisce il Rondeau,5 la pregherei di inviarmi le sei fughe di
Hàndel6 e le toccate e fughe di Eberlin.7 Ogni domenica alle dodici mi reco dal barone van
Swieten e là non si suona altro che Hàndel e Bach.
Mi sto appunto facendo una collezione di fughe dei Bach, sia di Sebastian che di
Emanuel e di Friedemann. E poi anche delle fughe di Handel; mi mancano solo queste sei.
Vorrei far sentire al barone anche quelle di Eberlin. Saprà già che è morto il Bach inglese.*
Che perdita per il mondo musicale! E ora stia bene. Le bacio mille volte le mani, abbraccio la
mia cara sorella di tutto cuore e rimango per sempre il suo
devotissimo figlio W. A. Mozart
P.S. Vorrei ancora pregarla di mandarmi non appena possibile - ma prima è meglio è - il
mio concerto in do per la contessa Liitzow.9
*
1 Le aveva fatte Costanza: un primo tentativo di ingraziarsi la futura cognata.
2 Nella lettera del padre, già citata all’inizio, che è andata perduta.
3 Giuseppe II, imperatore d’Austria.
4 Mozart si fa qui molte illusioni, sia sull’amicizia di Strack che sulle intenzioni
dell’imperatore nei suoi riguardi: in realtà non ne venne fuori nulla.
5 II rondò per pianoforte e orchestra K382.
6 Probabilmente le sei fughe per clavicembalo del 1733.
7 Le Nove toccate e fughe per l’organo di Johann Ernst Eberlin, uscite nel 1747.
8 Johann Christian Bach. Mozart lo conosceva personalmente, avendolo incontrato nel
1764 a Londra e poi a St. Germain nell’agosto 1778.
9 II concerto per pianoforte e orchestra in do maggiore K246, scritto per la contessa
Antonia von Liitzow.
ALLA SORELLA
Vienna, 20 aprile 1782
Carissima sorella!
La mia cara Costanza ha infine avuto il coraggio di seguire l’impulso del suo buon cuore
e di scriverti, mia cara sorella. Se vuoi (e davvero lo spero, per poter leggere la gioia sul volto
di questa buona creatura), se vuoi dunque onorarla di una risposta, ti prego di accludere la sua
lettera a quella che mi invierai. Lo scrivo solo per precauzione, perché tu sappia che sua
madre e le sue sorelle non sanno che ti ha scritto. Ti mando qui un Praeludio e una fuga a tre
voci.1 Se non ti ho risposto subito è stato proprio perché non sono riuscito a terminarlo
prima, dovendo fare la fatica di trascrivere tutte queste piccole note. Non è scritto bene: il
Praeludio viene prima, poi segue la fuga. Il fatto è che la fuga l’avevo già composta e l’ho
trascritta mentre andavo meditando sul preludio. Spero solo che tu riesca a leggerlo, visto che
è scritto così in piccolo, e poi spero che ti piaccia. Un’altra volta ti manderò qualcosa di
meglio per il pianoforte. La venuta al mondo di questa fuga è dovuta in realtà alla mia cara
Costanza. Il barone van Swieten, da cui mi reco ogni domenica, mi ha dato da portare a casa
tutte le opere di Hàndel e di Sebastian Bach (dopo che gliele avevo suonate tutte). Quando
Costanza ha sentito le fughe, se ne è subito innamorata. Non vuole sentire che fughe e, in
questo genere, nient’altro che Handel e Bach. Siccome mi ha sentito spesso improvvisare
fughe, mi ha chiesto se non ne avessi scritta nessuna. E quando le ho detto di no, mi ha
rimproverato molto di non voler comporre nella forma musicale più bella e che richiede più
arte. E non mi ha dato pace con le sue preghiere finché non gliene ho scritta una. Ed ora ecco
il risultato. Mi sono dato cura di scriverci sopra Andante Maestoso, affinché non venga
suonata troppo velocemente: se una fuga non viene suonata lentamente, non se ne può
riconoscere distintamente e chiaramente il tema, quando viene introdotto, e così si perde
l’effetto. Col tempo, e se si presenterà una buona occasione, ne scriverò altre cinque 2 e ne
farò omaggio al barone van Swieten, il cui tesoro di buona musica è in effetti molto grande,
se si considera la qualità, ma molto piccolo per quel che riguarda la quantità. E per questo ti
prego di non venir meno alla tua promessa e di non farla vedere a nessuno. Imparala a
memoria e suonala. Una fuga non la si può riprodurre tanto facilmente dopo averla sentita. Se
papà non ha ancora fatto copiare le opere di Eberlin, per me va benissimo.3 Le ho avute sotto
mano e ho dovuto purtroppo constatare, non ricordandole più, che sono troppo mediocri e che
davvero non meritano un posto accanto a Handel e Bach. Tutto il mio rispetto per le sue
composizioni a quattro voci, ma le sue fughe per pianoforte non sono altro che versetti tirati
per le lunghe. E ora stai bene. Sono contento che le due cuffie ti piacciano. Ti bacio mille
volte e rimango il tuo
sincero fratello
W. A. Mozart
Bacio la mano a papà. Oggi non ho ricevuto nessuna lettera.
*
1 II preludio e fuga per pianoforte in do maggiore K394.
2 Probabilmente non andò oltre l’intenzione. Non resta altro che un frammento di fuga
per pianoforte, K383b, Anh. 33 e Anh. 40.
3 Cfr. lettera precedente, nota 7.
A COSTANZA
[Vienna] 29 aprile 1782
Carissima, amatissima amica!
Mi permetterà certo di chiamarla ancora così? Non mi odierà al punto da non poter
essere più considerato suo amico e lei... mia amica? E se anche non intende più esserlo, non
può proibirmi di volerle bene, amica mia, come è ormai mia abitudine. Rifletta bene a quello
che mi ha detto oggi. Nonostante tutte le mie preghiere mi ha dato per tre volte il benservito,
dicendomi in faccia che non intende più avere nessun rapporto con me. Poiché per me non è
così indifferente come per lei perdere l’oggetto amato, non sono tanto impulsivo, irriflessivo
e irragionevole da accettare questo benservito. L’amo troppo per fare un passo del genere. La
prego dunque di riflettere e di ripensare ancora una volta alla causa di tutta questa spiacevole
vicenda, che è consistita nell’aver io criticato che lei fosse stata così sfacciatamente avventata
da dire alle sue sorelle - Nota Bene, in mia presenza - di essersi lasciata misurare i polpacci
da un giovanotto.1 Nessuna donna che tenga al suo onore fa una cosa simile. La regola
secondo cui in compagnia bisogna uniformarsi a quello che fanno gli altri va benissimo, ma
bisogna considerare molte altre circostanze. I presenti sono tutti buoni amici e buoni
conoscenti? Sono una bambina o una ragazza da marito e, soprattutto, sono o non sono una
promessa sposa? Ma in particolar modo è necessario considerare se tutti i presenti sono della
mia stessa condizione, oppure se ci sono persone socialmente inferiori o, cosa più importante,
a me superiori. Ammettendo anche che la stessa baronessa 2 si sia comportata così, è una
cosa ben diversa, essendo lei una donna ormai matura,3 che non può più eccitare il desiderio.
E poi, soprattutto, è una donna un po’ troppo disinvolta nel concedere i suoi favori. Spero che
lei, amica carissima, non vorrà condurre una vita del genere, anche se non intende diventare
mia moglie. Se le era impossibile resistere alla voglia di fare come gli altri (benché fare come
gli altri non sia cosa che sempre si addica ad un uomo e tanto meno a una donna), avrebbe
dovuto prendere il nastro e misurarsi i polpacci da sola (come tutte le donne d’onore hanno
fatto in mia presenza in casi simili), senza lasciarlo fare ad un giovanotto; io, io non l’avrei
mai fatto in presenza di altri, e avrei dato il nastro a lei. Meno che mai, dunque, avrebbe
dovuto tollerarlo da un estraneo che non ha nulla a che vedere con lei. Ma è tutto passato. E
una piccola ammissione da parte sua d’essersi comportata in quella circostanza in modo un
po’ avventato avrebbe risolto ogni cosa. E... se non se ne ha a male, amica carissima...
sistemerebbe ancora tutto. Da questo può capire quanto io la ami. Io non monto su tutte le
furie, come fa lei, io penso, rifletto e sono sensibile ai sentimenti. Lo sia anche lei, dia ascolto
ai suoi sentimenti, e so con certezza che oggi stesso potrò dire tranquillamente: Costanza è
l’amata virtuosa, gelosa del suo onore, assennata e fedele, del suo onesto e devoto
Mozart
*
1 Un gioco di pegni.
2 La baronessa Martha Elisabeth von Waldstàtten.
3 All’epoca aveva 38 anni.
AL PADRE
Vienne ce 27 Juliet 1782
Mon trés cher Pére!
Farà tanto d’occhi vedendo solo il primo Allegro1; d’altra parte non potevo fare
diversamente. Ho dovuto comporre alla svelta una serenata,2 ma solo per fiati, altrimenti
avrei potuto utilizzarla anche per lei. Mercoledì 31 le invierò i due minuetti, l’andante e
l’ultimo pezzo3; potendo, le invierò anche una marcia,4 altrimenti dovrà prendere quella
della musica per Haffner 5 (che è pochissimo conosciuta).
L’ho scritta in re perché lei lo preferisce. La mia opera è stata data ieri per la terza volta
tra gli applausi generali in onore di tutte le Nannerl.6 E il teatro, nonostante il caldo
spaventoso, era pieno zeppo. Dovrebbe essere replicata venerdì prossimo, ma ho protestato
perché non voglio che corra il rischio di logorarsi. Posso proprio dire che la gente impazzisce
per quest’opera. Fa davvero bene avere un successo del genere. Spero che abbia regolarmente
ricevuto l’originale. Carissimo, amatissimo padre! Devo pregarla, in nome di quanto le è più
caro al mondo, di darmi il suo consenso affinché io possa sposare la mia cara Costanza. Non
creda che si tratti solo del matrimonio in sé - per questo sarei disposto ad aspettare ancora -
ma ritengo che sia assolutamente necessario per il mio onore, per l’onore della mia ragazza,
per la mia salute e per le mie condizioni di spirito. Il mio cuore è inquieto, la mia mente
confusa. In simili condizioni come si può concepire e comporre qualcosa di buono? Qual è la
ragione? La maggior parte della gente ci crede già sposati, questo irrita la madre e la povera
ragazza viene tormentata a morte, ed io con lei. Il rimedio sarebbe così semplice! Mi creda,
Vienna è cara, ma ci si può vivere senza problemi come in qualunque altro posto, è solo
questione di buona amministrazione e di vita ordinata, cose impossibili per un giovane,
soprattutto se innamorato. Chi trova una moglie come la mia sarà certamente felice. Vivremo
molto tranquilli e lontano dalla mondanità, ma saremo contenti. E se anche mi dovessi
ammalare, Dio non lo voglia, non si preoccupi: soprattutto una volta sposato, sono pronto a
scommettere che le persone più in vista della No-blefie mi sarebbero di grande aiuto, posso
affermarlo con piena fiducia. So che cosa il principe Kaunitz ha detto di me all’imperatore 7 e
all’arciduca Massimiliano.8 Attendo ansiosamente il suo consenso, amatissimo padre mio.
L’attendo come cosa certa, da esso dipendono il mio onore e la mia pace. Non rimandi a
lungo il piacere di abbracciare presto suo figlio insieme alla sua sposa. Le bacio mille volte le
mani e rimango per sempre il suo
devotissimo figlio W. A. Mozart
P.S. Abbraccio di tutto cuore la mia cara sorella.
La mia Costanza vi manda i suoi saluti. Adieu.
*
1 Della sinfonia K385, detta «Haffner», commissionata a Mozart da Sigmund Haffner il
giovane, divenuto nobile «von Imbachhausen».
2 La serenata K388 per il principe Lichtenstein.
3 La sinfonia K385 aveva originariamente la forma di una serenata, con una marcia
introduttiva e due minuetti.
4 La marcia K408/2 (385a), che Mozart invierà solo il 7 agosto. Per la festa a
celebrazione del titolo nobiliare conferito a Sigmund Haffner, che ebbe luogo il 29 luglio, si
dovette pertanto utilizzare la marcia K249, in re maggiore, composta nel 1776 per la Serenata
Haffner.
5 La Serenata Haffner in re maggiore commissionatagli da Sigmund Haffner nel 1776
per le nozze di sua sorella Maria Elisabeth. Cfr. nota precedente.
6 II 26 luglio è la festa di sant’Anna.
7 Giuseppe II, imperatore d’Austria.
8 Massimiliano Francesco, figlio minore di Maria Teresa.
AL PADRE
Vienne ce 31 de Julliette 1782
Mon trés cher Pére!
Le mie intenzioni sono buone, mi creda, ma quando non si può, non si può. Non mi piace
buttar giù degli scarabocchi. Potrò mandarle l’intera sinfonia 1 solo con la prossima posta.
Avrei potuto inviarle l’ultima parte, ma preferisco inviarle tutto insieme, così la spesa sarà
unica; quello che ho spedito del resto mi è già costato tre fiorini.
Oggi ho ricevuto la sua del 26, ma una lettera così fredda e indifferente, in risposta alla
notizia che le davo della buona accoglienza riservata alla mia opera, davvero non me la sarei
mai aspettata. Pensavo, basandomi sui miei stessi sentimenti, che dalla curiosità a malapena
sarebbe riuscito ad aprire il pacchetto, per vedere l’opera di suo figlio che a Vienna, lungi dal
cadere nel vuoto, fa tanto parlare di sé che la gente non vuole sentire altro e il teatro è sempre
stracolmo. Ieri sera è stata data per la quarta volta e verrà ridata ancora venerdì. Ma... lei, lei
non ha avuto tempo di leggerla... Tutto il mondo dice che con le mie fanfaronate e le mie
critiche mi sono inimicato i Professori dell’orchestra e anche altre persone!2
Che mondo? Probabilmente il mondo di Salisburgo; perché chi vive qui può vedere e
sentire abbastanza per convincersi del contrario. E questo valga come risposta. Nel frattempo
avrà ricevuto la mia ultima lettera e con la sua prossima sono sicuro di ricevere il suo
consenso al mio matrimonio; lei non potrà avanzare nessuna obiezione - e in effetti non ne ha
nessuna, me lo dimostrano le sue lettere - essendo una brava ragazza, onesta, di buona
famiglia ed essendo io in grado di procurarle il pane, e poi ci amiamo e ci desideriamo. Ogni
altra cosa che mi ha scritto e che potrebbe eventualmente ancora scrivermi sarebbe un
semplice consiglio ispirato dalle migliori intenzioni, ma per quanto bello e buono fosse, non
potrebbe più valere per uno che si è spinto tanto oltre con una ragazza. Non c’è dunque rinvio
che tenga. È meglio sistemare per il meglio le proprie faccende e comportarsi da uomo
onesto, e per questo Dio ci ricompenserà sempre. Non voglio avere nulla da rimproverarmi.
E ora stia bene, le bacio mille volte le mani e rimango per sempre il suo
devotissimo figlio W. A. Mozart
P.S. Abbraccio di tutto cuore la mia cara sorella.
Adieu.
*
1 K385.
2 Cita dalla lettera del padre, che è andata perduta.
AL PADRE
Vienne ce 17 d’Aoùt 1782
Mon trés chèr Pére!
Ultimamente mi sono dimenticato di scriverle che mia moglie ed io nel giorno della
Porziuncola 1 abbiamo recitato le nostre preghiere dai Teatini. Anche se non ci avesse spinto
un’autentica devozione, avremmo dovuto farlo comunque per il biglietto di confessione,
senza il quale non ci saremmo potuti sposare. Per un lungo periodo, anche prima di sposarci,
siamo andati insieme alla santa messa, a confessarci e a comunicarci, e ho constatato di non
aver mai pregato con tanto fervore, di non essermi mai confessato e comunicato con tanta
devozione come quando l’avevo vicina, e anche per lei è stato così; in una parola, siamo fatti
l’uno per l’altra, e Dio, che tutto dispone e che quindi ha provveduto anche a questo, non ci
abbandonerà. La ringraziamo entrambi in tutta umiltà per la sua paterna benedizione. Nel
frattempo spero avrà ricevuto la lettera di mia moglie.
Riguardo a Gluck condivido quello che lei mi ha scritto, padre carissimo.2 Desidero
però aggiungere ancora una cosa: i signori viennesi (ma penso soprattutto all’imperatore)3
non devono ritenere che io viva solo per Vienna. Non c’è monarca al mondo che io serva più
volentieri dell’imperatore, ma non intendo mendicare nessun posto. Mi ritengo in grado di
fare onore a qualunque corte. Se la Germania, la mia patria amata, di cui (come lei sa) sono
orgoglioso, non vuole accogliermi, ebbene, in nome di Dio, che siano allora la Francia o
l’Inghilterra ad arricchirsi con un altro tedesco di valore; e questo ad onta della nazione
tedesca. Lei sa bene che in quasi tutte le arti sono sempre stati i tedeschi ad eccellere. Ma
dove hanno raggiunto fortuna e fama? Certo non in Germania. Persino Gluck... è stata la
Germania a farne il grande uomo che è? 4 Purtroppo no! La contessa Thun, il conte Zichy, il
barone van Swieten, lo stesso principe Kaunitz, sono scontenti dell’imperatore, perché non
apprezza sufficientemente gli uomini di valore e lascia che abbandonino il paese. L’ultimo
che ho nominato ha recentemente detto all’arciduca Massimiliano,5 mentre si parlava di me,
che «certe persone vengono al mondo solo ogni cento anni e che non si dovrebbe costringerle
ad abbandonare la Germania, soprattutto quando si ha la fortuna di averle proprio nella
capitale». Non può immaginare quanto è stato buono e gentile con me il principe Kaunitz,
quando sono stato da lui. Alla fine mi ha detto pure: «Le sono obbligato, mio caro Mozart,
d’essersi incomodato a rendermi visita, ecc.». E non può immaginare neppure quanti sforzi
facciano la contessa Thun, il barone van Swieten e altri grandi personaggi, per trattenermi
qui. Ma io non posso aspettare più oltre e neppure desidero stare in attesa della carità; anche
trattandosi dell’imperatore, non mi sembra proprio di avere tanto bisogno della sua grazia. Il
mio progetto è di trasferirmi a Parigi per la prossima quaresima; naturalmente non così
all’avventura. Ho già scritto in proposito a Le Gros e sto aspettando la sua risposta. Qui ho
già accennato qualcosa, soprattutto alle persone più importanti, mentre si discorreva del più e
del meno. Lei sa bene che spesso una parola lasciata cadere nel discorso produce maggior
effetto che se fosse proclamata in tono apodittico. Basta che riesca ad impegnarmi con il
Concert spirituel6 e il Concert des Amateurs,7 e gli allievi poi non mancheranno; e poiché ora
ho una moglie, potrò occuparmi di loro più agevolmente e con più assiduità; e poi con la
composizione, ecc. ... Ma quello che soprattutto mi interessa è l’opera. Per tutto questo tempo
mi sono esercitato quotidianamente nella lingua francese e ho anche preso tre lezioni di
inglese. Entro tre mesi spero quindi di riuscire a leggere e a capire discretamente i libretti
inglesi. E ora stia bene. Mia moglie ed io le baciamo mille volte le mani e rimango per
sempre
il suo devotissimo figlio W. A. Mozart
P.S. Che dice Luigi Gatti? 8 I miei rispetti a Berwein.
Spero che l’indisposizione di mia sorella non abbia seguito. Mia moglie ed io la baciamo
mille volte e ci auguriamo che si sia totalmente ristabilita. Addio.
*
1 II 2 agosto. Papa Gregorio XV nel 1662 aveva concesso un’indulgenza per chi si fosse
recato in tale giorno in una chiesa di francescani.
2 La lettera di Leopold è andata perduta.
3 Giuseppe II, imperatore d’Austria.
4 Gluck soggiornò a Milano, a Londra e a Parigi.
5 Massimiliano Francesco, il figlio minore di Maria Teresa.
6 Cfr. lettera del 1° maggio 1778, nota 5.
7 Creato a Parigi nel 1769 in concorrenza con il Concert spirituel.
8 In quel momento Gatti era in trattative con la corte di Salisburgo, da cui nel 1783
venne nominato maestro di cappella, diventando cosi il diretto superiore di Leopold. Mozart
l’aveva conosciuto nel 1770 a Mantova, dove era secondo maestro di cappella alla Reale
Accademia.
AL PADRE
Vienne ce 28 de decembre 1782
Mon trés cher Pére!
Devo scriverle in tutta fretta perché sono già le cinque e mezza e per le sei aspetto dei
musicisti che ho invitato per fare una piccola serenata. In ogni caso sono sempre cosi
occupato che spesso non so più dove ho la testa. L’intera mattinata fino alle due se ne va con
le lezioni, poi mangiamo; dopo pranzo devo concedere un’oretta al mio povero stomaco per
la digestione; poi posso contare solo sulla sera per poter scrivere qualcosa, ma neppure questo
è sicuro, perché spesso mi invitano a un concerto. Ora mancano ancora due concerti alla serie
per sottoscrizione.1 Questi concerti sono proprio una via di mezzo tra il troppo difficile e il
troppo facile: sono molto brillanti, gradevoli all’orecchio e naturali senza cadere nella
vacuità. In alcuni punti solo gli intenditori possono ricavarne diletto, ma faccio in modo che
anche i non intenditori restino contenti, pur senza sapere il perché. Vendo i biglietti per 6
ducati, in contanti. Adesso sto finendo anche la riduzione per piano della mia opera,2 che
dovrà essere poi incisa per la pubblicazione, e nel contempo sto lavorando a una cosa molto
difficile: un canto bardico di Denis su Gibilterra.3 Ma è un segreto, perché una dama
ungherese4 vuol fare questo omaggio a Denis. L’ode è solenne, bella, tutto quello che vuole,
però esageratamente ampollosa per le mie orecchie delicate. Ma che vuol farci! Ormai non
c’è più nessuno che nelle cose conosca e apprezzi il giusto mezzo. Per essere applauditi
bisogna scrivere cose così facili che le possa ricantare un vetturino, oppure così
incomprensibili che piacciono proprio perché nessuna persona ragionevole può capirle. Ma
non è di questo che volevo parlare con lei; avrei desiderio di scrivere un libro, una piccola
critica musicale con esempi, ma, N.B., non sotto il mio nome.5 Troverà qui alcune righe della
baronessa Waldstàtten; anche lei teme che una sua seconda lettera possa essersi perduta per
strada; la sua ultima infatti non deve esserle pervenuta, visto che non ne ha fatto menzione. Io
l’avevo interrogata al riguardo nella lettera che è andata perduta. Ora adieu. Di più la
prossima volta. La mia mogliettina
devotissimi figli W. et C. Mzt
*
1 La serie comprendeva tre concerti per pianoforte: K413, 414 (già terminato quando
scrive la lettera) e K415, fatti incidere da Mozart su sottoscrizione al prezzo di 18 fiorini,
senza alcun successo.
2 Mozart non portò mai a compimento questo lavoro e finì per farsi precedere da altri.
Nel 1785 uscirono infatti due trascrizioni per pianoforte del Ratto dal serraglio, una ad
Augusta e l’altra a Magonza.
3 Michael Denis aveva scritto un’ode sull’ammiraglio Richard Howe, che nel 1782,
accorrendo con i viveri, aveva salvato gli inglesi, assediati dai francesi a Gibilterra: un
episodio della guerra per le province americane. La composizione di Mozart restò allo stadio
di frammento («O Calpe! dir donnerts am Fusse» - K Anh. 2b/386d).
4 Non meglio identificata.
5 L’idea non ebbe poi seguito.
AL PADRE
Vienne ce 22 de Janvier 1783
Mon trés cher Pére!
Per quanto riguarda i tre concerti,1 non abbia paura che siano troppo cari; credo bene di
meritare un ducato per ognuno di essi e poi vorrei ben vedere che qualcuno riuscisse a farseli
copiare per un ducato. Oltre tutto non possono essere ricopiati poiché non li metterò in
vendita prima di avere un certo numero di sottoscrittori. È la terza volta che vengono
annunciati nel Wiener Diarium.2 I biglietti per la sottoscrizione sono disponibili a casa mia
dal 20 di questo mese, per 4 ducati, e i concerti potranno essere ritirati a casa mia nel mese di
aprile restituendo il biglietto.
Le cadenze e le introduzioni3 le invierò alla mia cara sorella con la prossima posta. Non
ho ancora modificato le introduzioni nel Rondeau4 perché ogni volta che suono questo
concerto seguo sempre l’ispirazione del momento. La prego di inviarmi al più presto le
sinfonie5 che ho chiesto, perché ne ho davvero bisogno. E ora un’altra preghiera, perché mia
moglie non mi dà pace. Saprà certamente che ora è carnevale e che qui si balla tanto quanto a
Salisburgo e a Monaco; io vorrei, ma senza che nessuno lo sappia, mascherarmi da
Arlecchino, perché qui al ballo ce ne sono tanti, ma sono solo dei somari; vorrei così pregarla
di spedirmi il suo costume da Arlecchino. Solo dovrebbe farlo quanto prima. Finché non
arriva non andremo al ballo, benché ci sia già un gran movimento. Noi preferiamo i balli
privati. La settimana scorsa ho dato un ballo nel mio appartamento; naturalmente i cavalieri
hanno pagato ciascuno due fiorini. Abbiamo cominciato alle sei di sera e abbiamo finito alle
sette. Come, un’ora sola? No, no, le sette di mattina. Ma lei non potrà capire come abbia
trovato lo spazio. Già. Mi viene ora in mente d’essermi sempre dimenticato di scriverle che
da un mese e mezzo ho un altro alloggio, ma sempre sulla Hohenbrucke, a poche case di
distanza. Abitiamo dunque nella piccola casa Herberstein, n. 412, al terzo piano, presso il
signor von Wetzlar, un ricco ebreo. Dunque, qui ho una stanza lunga mille passi e larga uno,
una camera da letto, un’anticamera e una bella e spaziosa cucina. Accanto a noi ci sono poi
altre due grandi, belle stanze che sono ancora vuote. Ho utilizzato proprio queste per il ballo.
C’erano anche il barone Wetzlar e signora, nonché la baronessa Waldstàtten, il signor von
Edlenbach, Gilowsky il fanfarone,6 il giovane Stephanie et uxor, Adamberger e signora, il
Lange e la Lange, ecc. ecc. Non posso nominarglieli tutti. Ora devo chiudere, dovendo
scrivere un’altra lettera alla signora Wendling a Mannheim a proposito dei miei concerti.7
La prego di sollecitare per i libretti Gatti,* questo compositore d’opere sempre
disponibile. Vorrei già averli ricevuti. Ora adieu. Le baciamo mille volte le mani,
abbracciamo di tutto cuore la nostra cara sorella e rimaniamo per sempre i suoi
devotissimi figli W. Et C. Mozart
*
1 Cfr. lettera precedente, nota 1.
2 Cioè nel «Wiener Zeitung», giornale di Vienna.
3 Per il concerto per pianoforte K414.
4 II rondò per pianoforte K382.
5 K320 (serenata in re maggiore) e K385 (sinfonia in re maggiore, Haffner).
6 Franz Xaver Wenzel Gilowsky von Urazowa.
7 Verosimilmente per i concerti in sottoscrizione (cfr. lettera precedente, nota 1).
8 Mozart sperava che Gatti gli facesse avere qualche libretto d’opera italiano.
AL PADRE
Vienne ce 5 de fevrier 1783
Mon Trés cher Pére!
Ho ricevuto regolarmente la sua ultima lettera e spero che anche Lei nel frattempo abbia
ricevuto la mia, con la richiesta del costume da Arlecchino.1 Gliela rinnovo ancora una volta,
aggiungendo che dovrebbe avere la bontà di mandarmelo al più presto. Quanto alle sinfonie,2
specie l’ultima, la prego di inviarmele quanto prima, perché il mio concerto avrà luogo già la
terza domenica di quaresima, cioè il 23 marzo, e io devo ancora farne diverse copie.
Se non è già stata ricopiata, la prego di rimandarmela semplicemente in partitura, come
io stesso gliela inviai, però con i minuetti.3
Dunque Ceccarelli non è più a Salisburgo? O non gli hanno dato nessuna parte nella
Cantata di Gatti,4 visto che lei non lo mette neppure tra i contendenti e i litiganti!
Ieri la mia opera è stata rappresentata per la diciassettesima volta,5 con il successo
abituale e a teatro pieno.
Venerdì prossimo, cioè dopodomani, verrà data una nuova opera.6 La musica, un
pasticcio, è di un giovane di qui, allievo di Wagenseil, che si chiama Gallus cantans, in arbore
sedens, gigirigi faciens. Probabilmente non avrà molto successo, ma certo ne riscuoterà più
della precedente, una vecchia opera di Gassmann, La notte critica, in tedesco Die unruhige
Nacht,7 che ha retto a stento per tre rappresentazioni. E prima di questa s’era data l’esecrabile
opera di Umlauf8 di cui le ho parlato, che non è riuscita ad arrivare neppure alla terza
rappresentazione. È come se avessero voluto uccidere quest’opera tedesca, che è comunque
condannata a morire dopo la Pasqua, ancor prima del tempo. E sono proprio dei tedeschi a
farlo! Puah!
Nella mia ultima lettera l’ho pregata di sollecitare assiduamente Gatti per i libretti
d’opera italiani e lo ripeto ancora. Ma ora devo esporle il mio pensiero. Non credo che
l’opera italiana possa reggere a lungo, e per quanto mi riguarda tengo senz’altro per l’opera
tedesca. Anche se mi costa più fatica, la preferisco. Ogni nazione ha la sua opera: perché noi
tedeschi non dovremmo averla? Forse la lingua tedesca non è allettando buona per il canto
quanto il francese e l’inglese? Non è migliore del russo? Ebbene, ora sto scrivendo un’opera
tedesca tutta per me. A questo scopo ho scelto la commedia di Goldoni Il servitore di Due
Padroni,9 e il primo atto è già tradotto. Il traduttore è il barone Binder. Ma è un segreto che
manterrò sin quando non avrò finito. Allora, che ne pensa? Non crede che riuscirò a
realizzare un buon lavoro? Ma ora devo chiudere. Qui da me c’è Fischer, il basso. Mi ha
pregato di scrivere a Le Gros, a Parigi, per raccomandarlo, giacché giungerà lì già per la
quaresima. Qui fanno una pazzia a privarsi di un uomo che non potrà mai essere sostituito.
Mia moglie ed io le
devotissimi figli W. et C. Mozart
*
1 Cfr. lettera precedente.
2 K320 e 385.
3 La sinfonia K385 originariamente era introdotta da una marcia (K4o8/38ja) c
conteneva due minuetti. Nell’esecuzione del 23 marzo Mozart rinunciò poi sia alla marcia sia
a uno dei minuetti.
4 La serenata L'isola disabitata, rappresentata a Salisburgo il 19 gennaio 1783.
5 II ratto dal serraglio.
6 Rose, oder Pflicht und Liebe im Streit, testo di Gottlieb Stephanie «il giovane», musica
di Johann Mederitsch detto Gallus, allievo di Georg Christoph Wagenseil.
7 Opera in tre atti di Florian Leopold Gassmann, su testo di Carlo Goldoni, rappresentata
per la prima volta a Vienna il 3 gennaio 1768.
8 L’opera Welches ist die beste Nation, su testo di Cornelius Hermann von Ayrenhoff,
rappresentata a Vienna il 13 dicembre 1782.
9 L’idea non sembra abbia avuto seguito.
AL PADRE
[Vienna, 7 maggio 1783]
Mon très cher Pére!
Ancora una letterina! Poiché oggi devo recarmi a un concerto, volevo riservare la lettera
a sabato prossimo, ma avendo da scrivere una cosa molto importante per me, devo trovare il
tempo per scrivere almeno questo. Non ho ancora ricevuto la musica che lei sa.' Ignoro come
stiano le cose. Qui ora è ricominciata l’opera Buffa italiana e ha molto successo. Il Buffo è
particolarmente bravo. Si chiama Benucci. Avrò dato una scorsa a un centinaio di libretti e
forse più, ma non ne ho trovato quasi nessuno che mi soddisfacesse. Quanto meno sarebbe
necessario apportare modifiche in diversi punti. E se un poeta fosse disposto a lavorarvi,
sarebbe più semplice che ne scrivesse uno totalmente nuovo. E un libretto nuovo è sempre
preferibile. Qui come poeta abbiamo un certo abate Da Ponte. Ora è terribilmente occupato
con le correzioni in teatro e deve scrivere per obligo un libretto completamente nuovo per
Salieri 2; prima di due mesi non sarà pronto. Mi ha promesso di scrivermene uno nuovo; ma
chissà se potrà — o vorrà! - mantenere la parola. Lei lo sa bene, gli italiani quando li hai
davanti sono molto amabili. Basta, li conosciamo. Se è d’accordo con Salieri, non avrò mai
un libretto finché campo. Ed io invece ho un gran desiderio di esibirmi anche in un’opera
italiana. Perciò avrei pensato che Varesco, se non è ancora arrabbiato per l’opera di Monaco,3
potrebbe scrivermi un libretto nuovo con sette personaggi. Basta, lei saprà meglio di
chiunque altro se la cosa è possibile. Lui nel frattempo potrebbe stendere le sue idee e poi
potremmo elaborarle insieme a Salisburgo. La cosa però più importante è che l’insieme risulti
veramente comico; se poi fosse possibile, bisognerebbe includere due buone parti femminili
dello stesso livello. Una dovrebbe essere Seria, l’altra Mezzo Carattere. Ma le due parti
dovrebbero avere la stessa importanza. La terza donna può anche essere del tutto Buffa, e così
tutti gli uomini, se è necessario. Se pensa che con Varesco si possa fare qualcosa, la prego di
parlargliene presto. Non deve però dirgli niente del fatto che a luglio verrò io stesso,
altrimenti non lavora. Sarei infatti molto contento se potessi ricevere qualcosa mentre sono
ancora qui a Vienna. Potrebbe essere certo di prendere 400 o 500 fiorini. Qui infatti vige l’uso
che il poeta riceva sempre il terzo incasso.
Ora devo chiudere, non avendo ancora finito di vestirmi. Intanto stia bene. Mia moglie
ed io le baciamo mille volte le mani, abbracciamo di tutto cuore la nostra cara sorella e
rimaniamo per sempre i suoi
devotissimi figli W. A. Mozart
Vienna 7 maggio 1783
*
1 Non meglio identificata.
2 II libretto per l’opera II ricco d’un giorno, rappresentata al Burgtheater il 6 dicembre
1784.
3 Varesco aveva scritto il libretto dell‘Idomeneo, che Mozart aveva ampiamente
modificato. Per questo e anche per questioni di onorario erano sorti alcuni screzi tra i due, che
Leopold aveva cercato di appianare.
AL PADRE
Vienne ce 18 de Juin 1783
Mon trés cher Pére!
Le faccio le mie congratulazioni, è diventato nonno! Ieri mattina, il 17, alle sei e mezza,
la mia cara moglie ha felicemente partorito un maschietto forte, robusto e grassottello.1 Le
doglie sono cominciate all’una e mezza di notte, e così da allora non c’è stato più né sonno né
riposo per entrambi. Alle quattro ho mandato a chiamare mia suocera e poi la levatrice. Alle
sei è stata messa sulla sedia e alle sei e mezza tutto era finito. Mia suocera sta ora riparando
con ogni possibile bontà a tutto il male che ha fatto a sua figlia prima che si sposasse: resta
tutto il giorno accanto a lei.
La mia cara moglie, che le bacia le mani e abbraccia di cuore la mia cara sorella, sta
benissimo, per quanto lo permettono le circostanze. Le sue condizioni sono buone e spero che
con l’aiuto di Dio possa superare felicemente anche il puerperio.
Sono preoccupato per la febbre del latte, perché ha un seno considerevole. E ora il
bambino, contro il mio volere, e tuttavia per mio volere, ha una balia. Il mio fermo proposito
era che mia moglie, fosse o no in grado di farlo, non avrebbe mai dovuto allattare suo figlio.
Mio figlio tuttavia non avrebbe neppure dovuto nutrirsi con il latte di un’altra; volevo
allevarlo ad acqua,2 come siamo stati allevati mia sorella ed io. Ma la levatrice, mia suocera e
la maggior parte delle persone di qui mi hanno supplicato di non farlo, per l’unica ragione
che la maggior parte dei bambini svezzati con l’acqua muoiono, perché qui non sono pratici.
Questo mi ha indotto a cedere, perché non voglio avere nulla da rimproverarmi.
E veniamo ora alla faccenda del padrino! Senta cosa mi è capitato. Ho fatto subito
avvertire del felice parto di mia moglie il barone Wetzlar, com’era necessario fare verso un
sincero e buon amico. È venuto subito di persona e si è offerto come padrino. Non potevo
dirgli di no e ho pensato fra me e me che potevo pur sempre chiamarlo Leopold. E mentre
facevo questa riflessione, ha esclamato allegramente: «Ah, adesso abbiamo un piccolo
Raymund», e ha baciato il bambino. Che si poteva fare? Così ho fatto battezzare il bambino
Raymund Leopold. Le confesso francamente che se lei in una sua lettera non m’avesse
espresso la sua opinione al riguardo,3 mi sarei trovato in grande imbarazzo e non potrei
garantire che non gli avrei magari opposto un netto rifiuto. Ma dalla sua lettera ricavo il
confortante convincimento che lei non sarà scontento della mia condotta! E in fin dei conti si
chiama anche Leopold.
Ora devo chiudere. Insieme alla mia puerpera le bacio mille volte le mani, abbracciamo
mille volte la nostra cara sorella e rimaniamo per sempre i suoi
devotissimi figli W. A. C. Mozart
*
1 II bambino, battezzato con il nome di Raimund Leopold, venne dato a balia vicino a
Vienna e morì il 21 agosto 1783, di un’infezione intestinale, mentre i genitori erano a
Salisburgo.
2 Ovviamente non si tratta di acqua pura, ma di pappe di avena o di orzo.
3 La lettera in questione è andata perduta.
AL PADRE
Vienne ce 21 de Juin 1783
Mon trés cher Pére!
Questa volta devo essere brevissimo e scrivere solo l’essenziale, perché ho davvero
troppo da fare; si sta rappresentando infatti una nuova opera italiana,1 in cui per la prima
volta sono in scena due tedeschi, la Lange, mia cognata, e Adamberger, ed io devo scrivere
due arie2 per la Lange e un Rondeau per Adamberger.3 Spero abbia ricevuto la mia ultima
lettera di giubilo.4 Mia moglie grazie a Dio ha superato bene i due giorni critici, cioè ieri e
l’altro ieri, e ora, per quanto lo permettono le circostanze, sta benissimo. Speriamo dunque
che tutto proceda per il meglio. Anche il bambino è vispo e sano, e ha una quantità
spaventosa di cose da fare, cioè bere, dormire, strillare, p..., c..., ecc.
Bacia le mani al nonno e alla zia.
E ora veniamo a Varesco. Il piano dell’opera mi va benissimo.5 Ora è necessario che
parli subito con il conte Rosenberg, per assicurare al poeta la sua remunerazione. Che però il
signor Varesco dubiti del successo dell’opera mi sembra molto offensivo nei miei riguardi.
Posso assicurargli che il suo libretto certamente non piacerà se la musica non sarà buona. La
musica è la cosa principale in ogni opera; e se vuole che il libretto piaccia, così da poter
sperare in una ricompensa, dovrà modificare e rifondere tutto quello che vorrò, ogni volta che
vorrò, e non fare di testa sua, poiché non ha la minima esperienza né la minima conoscenza
del teatro. Lei può fargli inoltre notare che dopo tutto non importa molto se vorrà o meno
scrivere l’opera. Ora conosco il piano e quindi un altro può scrivermela bene quanto lui.
Inoltre attendo per oggi quattro dei migliori e più recenti libretti italiani, tra i quali ce ne sarà
pure uno buono. Quindi c’è tempo. Ora devo chiudere. La mia puerpera ed io baciamo mille
volte le mani al nostro dilettissimo padre, abbracciamo di cuore la nostra cara sorella e
rimaniamo per sempre i suoi
devotissimi figli W. A. et C. Mozart
*
1 II curioso indiscreto, opera buffa di Pasquale Anfossi, rappresentata il 30 giugno 1783.
2 «Vorrei spiegarvi, oh Dio» - «Ah conte, partite» (K418) e «No, no, che non sei capace»
(K419).
3 «Per pietà non ricercate» (K420).
4 La lettera precedente, in cui annunciava la nascita del figlio.
5 Si tratta del libretto per L'oca del Cairo (K422). L’opera non venne mai portata a
termine.
ALLA SORELLA
Vienne ce 18 d’Aoùt 1784
Ma trés chete soeur!
Accidempoli! È ora che scriva, se voglio che la mia lettera ti trovi ancora come una
vestale! E poi tra qualche giorno... addio!
Mia moglie ed io ti auguriamo tutta la felicità e la gioia possibili per il tuo cambiamento
di stato e ci rammarichiamo sinceramente di non poter avere la fortuna di essere presenti alle
tue nozze; speriamo però di poterti abbracciare all’inizio dell’anno prossimo a Salisburgo o a
St. Gilgen,1 come signora von Sonnenburg, insieme al tuo signor sposo.2 Ora compiangiamo
solo il nostro caro padre, che sarà costretto a vivere tutto solo! Certo tu non sei lontana3 e
ogni tanto potrà fare una passeggiata fin da te, benché ora sia nuovamente legato a quella
maledetta cappella!4 Ma se io fossi al posto di mio padre farei cosi: pregherei l’arcivescovo
di mettermi a riposo, essendo da cosi lungo tempo al suo servizio, e dopo aver ricevuto la mia
pensione me ne andrei da mia figlia a St. Gilgen e là vivrei tranquillo. Se l’Arcivescovo non
volesse esaudire la mia preghiera, presenterei le mie dimissioni e me ne andrei da mio figlio a
Vienna; e soprattutto ti prego di convincerlo a far cosi; io gliel’ho già scritto nella lettera che
gli ho inviato oggi. E ora ti mando ancora da Vienna a Salisburgo mille auguri e soprattutto ti
auguro che possiate vivere insieme felici... come noi due; ed eccoti una piccola
raccomandazione, tratta dal mio cranio poetico.5 Senti un po’: Nel matrimonio molto
imparerai di ciò che mezzo enigma era per te, per tua esperienza presto ora saprai ciò che Èva
fece in un lontano giorno perché Caino poi venisse al mondo.
Ma cotesti doveri coniugali li assolverai, sorella, di buon grado, perché, credimi pure,
non son gravi.
Però ogni medaglia ha il suo rovescio, il matrimonio è fonte di piacere, ma con la gioia
porta anche le pene.
Se tuo marito non è di buona luna e per questo ti fa la faccia scura quando tu veramente
non lo meriti, pensa che sono grilli dei mariti e di’ perciò: «Signore, si faccia il tuo voler col
sole, e il mio voler, la notte».
il tuo sincero fratello W. A. Mozart
*
1 La visita a St. Gilgen non ebbe mai luogo.
2 II 23 agosto 1784 Nannerl si unì in matrimonio con Johann Baptist Franz von
Bcrchthold zu Sonnenburg, curatore arcivescovile a St. Gilgen. Lo sposo, che aveva quindici
anni più di Nannerl, era rimasto vedovo due volte e aveva cinque figli.
3 Allora erano circa sei ore di carrozza da Salisburgo.
4 Cfr. lettera del 13 febbraio 1782, nota 3.
5 Non è molto probabile che sia stata scritta davvero da Mozart. Poesie di questo tipo
erano molto comuni nelle antologie dell’epoca, destinate all’edificazione e al diletto delle
famiglie.
AD ANTON KLEIN
[Vienna, 21 maggio 1785]
Stimatissimo signor consigliere segreto!
Ho gravemente mancato, devo riconoscerlo, nel non comunicarle subito d’aver
regolarmente ricevuto la sua lettera e il Pacquets allegato.1 Ma che nel frattempo abbia
ricevuto da lei altre due lettere non è esatto; già alla prima mi sarei immediatamente strappato
al mio sonno per risponderle, come faccio ora. Ho ricevuto le sue due lettere insieme,
l’ultimo giorno di posta. Io stesso ho già riconosciuto il mio torto per non averle risposto
subito, ma per quel che riguarda l’opera avrei potuto scriverle ben poco, allora come ora.
Caro signor consigliere segreto! Sono così occupato col lavoro che non trovo quasi più un
minuto per me. Un uomo di così grande discernimento e di così grande esperienza come lei
sa meglio di me che una cosa simile deve essere letta con tutta l’attenzione e tutta la
ponderazione possibili e non una volta sola, ma varie volte. Finora non ho ancora potuto
leggerla una sola volta senza essere interrotto. Tutto quello che posso dire al momento è che
non vorrei mi fosse sottratto questo lavoro; la prego dunque di volermelo lasciare ancora per
qualche tempo. Nel caso mi sentissi invogliato a musicarlo, vorrei prima sapere se è
effettivamente destinato ad essere rappresentato da qualche parte, perché un’opera del genere,
sia per la poesia sia per la musica, non meriterebbe di essere composta invano. Spero che lei
mi dia dei chiarimenti su questo punto. Non posso darle notizie sul futuro teatro d’opera
tedesco, perché (a parte la costruzione del teatro della Kartnertor, destinato a tale scopo) tutto
è ancora avvolto nel massimo silenzio. Dovrebbe essere inaugurato all’inizio di ottobre. Per
parte mia non prevedo per esso una gran fortuna.2 Se guardiamo ai preparativi già fatti, si sta
facendo di tutto per mandare completamente in rovina l’opera tedesca, il cui declino era forse
solo momentaneo, piuttosto che aiutarla a risollevarsi e sostenerla. Solo mia cognata, la
Lange,3 è ammessa al Singspiel tedesco. La Cavalieri, Adamberger, la Teyber, tutti tedeschi
di cui la Germania può essere fiera, devono restare al teatro italiano e lottare contro i propri
compatrioti. I cantanti e le cantanti tedesche, in questo momento, ci vuol poco a contarli! E
anche se ce ne fossero davvero di altrettanto buoni, del che però dubito molto, la direzione
del teatro di qui mi pare troppo attenta a risparmiare e troppo poco patriottica per far venire
gente di fuori, pagandola un patrimonio, quando sul posto ha cantanti migliori o quanto meno
altrettanto validi e che non le costano nulla. Quanto al numero, infatti, la compagnia italiana
non ha bisogno di nessuno, può andare in scena da sola. Per l’opera tedesca si pensa ora di
rimediare con acteurs e attrici che cantino solo in caso di necessità. Per colmo di sventura
sono stati mantenuti al loro posto sia il directeur del teatro sia quello dell’orchestra, che per la
loro ignoranza e per la loro inerzia hanno dato il maggior contributo alla rovina della loro
propria impresa. Se ci fosse anche un solo patriota che avesse voce in capitolo, la cosa
cambierebbe aspetto! In tal caso forse il teatro nazionale, i cui germogli sono così belli,
comincerebbe veramente a fiorire; e sarebbe davvero un indelebile marchio di infamia per la
Germania, se noi tedeschi cominciassimo una buona volta sul serio a pensare in tedesco, ad
agire in tedesco, a parlare in tedesco e addirittura a cantare in tedesco!!!
Non se l’abbia a male, mio carissimo consigliere segreto, se nel mio ardore mi sono forse
spinto troppo oltre! Pienamente convinto di parlare con un uomo tedesco, mi sono espresso
liberamente, cosa che di questi tempi purtroppo si può fare così raramente che dopo uno
sfogo del genere uno potrebbe
arditamente prendersi una sbornia senza rischiare di rovinarsi la salute. Resto con la più
alta considerazione,
Vienna, 21 maggio 1785
stimatissimo consigliere segreto
il suo devotissimo servitore W. A. Mozart
*
1 Klein aveva mandato a Mozart un suo libretto, Kaiser Rudolf von Habsburg,
proponendogli di metterlo in musica.
2 In effetti l’Opera tedesca di Vienna, inaugurata il 16 ottobre 1785, chiuse i battenti già
nel carnevale 1788 e solo dopo la morte di Mozart, nel 1794, venne fatto un nuovo tentativo
per rimetterla in piedi.
3 Aloisia Weber, sposata dal 1780 con Joseph Lange.
A JOSEPH HAYDN 1
[Vienna, 1° settembre 1785]
Al mio caro Amico Haydn
Un Padre, avendo risolto di mandare i suoi figlj nel gran Mondo, stimò doverli affidare
alla protezione, e condotta d’un Uomo molto celebre in allora, il quale per buona sorte, era di
più il suo migliore Amico. Eccoti dunque del pari, Uom celebre, ed Amico mio carissimo i sei
miei figlj. Essi sono, è vero il frutto di una lunga, e laboriosa fatica, pur la sperenza fattami da
più Amici di vederla almeno in parte compensata, m’incor-raggisce, e mi lusinga, che questi
parti siano per efìermi un giorno di qualche consolazione. Tu stesso Amico carissimo,
nell’ultimo tuo Soggiorno in questa Capitale, me ne dimostrasti la tua soddisfazione. Questo
tuo suffragio mi anima sopra tutto, perché io te li raccommandi, e mi fa sperare, che non ti
sembreranno del tutto indegni del tuo favore. Piacciati dunque accoglierli benignamente; ed
efier loro Padre, Guida, ed Amico! Da questo momento, Jo ti cedo i miei diritti sopra di efli:
ti supplico però di guardare con indulgenza i difetti, che l’occhio parziale di Padre mi può
aver celati, e di continuar loro malgrado, la generosa tua Amicizia a chi tanto l’apprezza,
mentre sono di tutto Cuore.
Amico Cariamo
Vienna il p.mo Settembre 178;
il tuo Sincerissimo Amico W. A. Mozart
*
1 Dedica dei sei quartetti per archi K387, 421, 428, 438, 464 e 465, usciti nel 1785 come
op. X presso l’editore Artaria & Co. di Vienna.
AL PADRE
[Vienna, 4 aprile 1787]
Mon tres cher Pére!
Mi dispiace molto che per la stupidità della Storace 1 la mia lettera non sia giunta nelle
sue mani; tra l’altro le esprimevo la speranza che avesse ricevuto l’ultima mia. Poiché non ne
fa alcuna menzione (era la seconda lettera da Praga) non so cosa pensare. È possibilissimo
che un domestico del conte Thun abbia pensato bene di intascare il denaro della posta; io però
avrei preferito pagare il doppio, piuttosto di sapere che le mie lettere sono cadute in mani
sbagliate. Questa quaresima sono venuti qui Ramm e i due Fischer, il basso e l’oboista di
Londra. Quest’ultimo, se all’epoca in cui l’abbiamo conosciuto in Olanda 2 non suonava
meglio di ora, non merita la Renomée di cui gode. Ma, sia detto fra noi, allora avevo un’età in
cui non ero in grado di giudicare; posso solo ricordare che mi piaceva straordinariamente,
come a tutti. Si penserà che è un fatto del tutto naturale, essendosi il gusto modificato
moltissimo: suonerà secondo una vecchia scuola. E invece no! Per dirla in una parola, suona
come un pessimo principiante. Il giovane André, che ha studiato con Fiala, suona mille volte
meglio. E poi i suoi concerti!3 Composti da lui! Ogni ritornello dura un quarto d’ora, poi fa la
sua apparizione l’eroe, solleva uno dopo l’altro i suoi piedi di piombo e pumi, li fa ricadere a
ritmo alterno a terra. Il suo timbro è in tutto e per tutto nasale e i suoi legati un tremolo
all’organo. Se lo sarebbe mai immaginato? Eppure è la semplice verità; ma una verità che
confesso solo a lei. In questo istante ricevo una notizia che rappresenta per me un durissimo
colpo, soprattutto perché dalla sua ultima lettera potevo sperare che lei, grazie a Dio, stesse
benissimo. Ora invece sento che è seriamente malato. Non occorre certo che le dica con
quanta ansietà attendo da lei una notizia consolante. E vi spero come in una cosa certa,
benché ormai mi sia abituato a temere sempre il peggio in ogni circostanza. Poiché la morte
(a ben guardare) è l’ultimo, vero fine della nostra vita,4 da qualche anno sono entrato in tanta
familiarità con quest’amica sincera e carissima dell’uomo, che la sua immagine non solo non
ha per me più nulla di terrificante, ma mi appare addirittura molto tranquillizzante e
consolante! E ringrazio il mio Dio di avermi concesso la fortuna di avere l’opportunità (lei mi
capisce) 5 di riconoscere in essa la chiave della nostra vera felicità. Non vado mai a letto
senza pensare che (per quanto giovane io sia) l’indomani forse non ci sarò più. Eppure
nessuno fra tutti coloro che mi conoscono potrà dire che in compagnia io sia triste o di cattivo
umore. E di questa fortuna ringrazio ogni giorno il mio creatore e l’auguro di tutto cuore ad
ognuno dei miei simili. Nella lettera (di cui la Storace ha avuto tanta cura) le ho già esposto il
mio pensiero su questo punto (in occasione della triste dipartita del mio carissimo amico, il
conte von Hatzfeld). Aveva trentun anni, la mia stessa età. Non compiango lui, ma compiango
vivamente me e tutti coloro che, come me, l’hanno conosciuto bene. Spero e mi auguro che,
mentre scrivo queste cose, lei stia meglio; ma se contrariamente ad ogni aspettativa non
dovesse essere così, la prego per...6 di non tenermelo nascosto, ma di scrivermi o di farmi
scrivere la pura verità, affinché io possa riabbracciarla tanto presto quanto è umanamente
possibile; la scongiuro, per tutto quello che ci è sacro. Ma spero di ricevere presto una sua
lettera che mi rassicuri, e con questa lieta speranza le bacio mille volte le mani insieme a mia
moglie e a Carl7 e rimango per sempre
Vienna, 4 aprile 1787
il suo devotissimo figlio W. A. Mozart
*
1 La madre di Anna Seiina Storace, di passaggio a Salisburgo: le era stata affidata una
lettera per Leopold e l’aveva perduta.
2 Tra il settembre 1765 e l’aprile 1766.
3 Di Johann Christian Fischer restano due concerti per oboe e orchestra e nove concerti
per oboe o flauto e orchestra.
4 Queste considerazioni sembrano ispirarsi al Phadon oder iiber die Unsterblichkeit der
Seele (1767), un’opera di Moses Mendelssohn di cui Mozart possedeva un esemplare.
5 Allusione alla comune appartenenza alla massoneria.
6 Cfr. nota precedente.
7 II figlio primogenito di Mozart.
ALLA SORELLA
[Vienna, 2 giugno 1787]
Carissima sorella,
Puoi facilmente immaginare quanto sia stata dolorosa per me la notizia della morte
improvvisa del nostro carissimo padre,1 giacché la perdita è stata la stessa per entrambi. Non
potendo per il momento lasciare Vienna2 - cosa che farei più che altro per il piacere di
abbracciarti, giacché per quello che ha lasciato il nostro povero padre non ne varrebbe quasi
la pena3 - desidero dirti che condivido pienamente la tua opinione riguardo a un’asta
pubblica; solo attendo di averne prima l’inventario, per poter fare qualche scelta. Se però,
come scrive il signor von d’Yppold, c’è una dispositio paterna inter liberos,4 dovrò
necessariamente prima conoscerla per poter prendere ulteriori provvedimenti; ne attendo
dunque una copia accurata, e dopo averne preso brevemente visione ti comunicherò
immediatamente la mia opinione. Ti prego di far consegnare al nostro sincero amico, il signor
von d’Yppold, la lettera qui acclusa; poiché in numerose occasioni si è già dimostrato amico
della nostra casa, spero mi farà questa cortesia accettando di rappresentare la mia persona là
dove sarà necessario. Addio, carissima sorella! Rimango per sempre il tuo
fedele fratello W. A. Mozart
Vienna, 2 giugno 1787
P.S. Mia moglie porge i suoi saluti a te e a tuo marito ed io mi unisco a lei.
*
1 II 28 maggio 1787.
2 Stava lavorando al Don Giovanni.
3 Nell’inventario ufficiale per l’asta il patrimonio di Leopold era valutato 999 fiorini e 42
corone. Vi figuravano tra l’altro un microscopio, un pianoforte e altri strumenti musicali.
4 Fino a oggi non è stata trovata nessuna disposizione testamentaria di Leopold.
ALLA SORELLA
Vienna, 16 giugno 1787
Carissima, amatissima sorella,
Non mi ha affatto sorpreso che non sia stata tu stessa ad informarmi della morte del
nostro carissimo padre,1 così triste e così inattesa per me, giacché potevo facilmente intuirne
la ragione. Che Dio lo abbia con sé! Sii certa, mia cara, che se desideri un buon fratello, che ti
ami e ti protegga, lo troverai sicuramente in me in qualsiasi circostanza.
Carissima, amatissima sorella mia! Se tu fossi ancora senza una sistemazione non ci
sarebbe bisogno di tutto questo. Come ho pensato e detto già mille volte, ti lascerei tutto con
vero piacere. Ma giacché tu ora non ne hai, per così dire, alcun bisogno, mentre per me
rappresenta una precisa necessità, ritengo mio dovere pensare a mia moglie e a mio figlio.2
*
1 Ne era stato informato dal signor d’Yppold.
2 Manca la firma.
A MICHAEL PUCHBERG
[Vienna, prima del 17 giugno 1788]
Venerabile fratello,1 carissimo, amatissimo amico!
La convinzione che lei mi sia veramente amico e che mi conosca come uomo d’onore
m’incoraggia ad aprirle tutto il mio cuore e a farle la richiesta che segue. Con la mia innata
sincerità voglio venire subito al dunque senza tanti preamboli.
Se volesse avere per me tanto affetto e tanta amicizia da soccorrermi per un anno o due
con mille o duemila fiorini, dietro pagamento dei dovuti interessi, mi renderebbe un
grandissimo servizio. Anche lei riconoscerà senz’altro come cosa certa e vera che è
spiacevole o meglio impossibile vivere dovendo sempre aspettare un’entrata dopo l’altra.
Quando non si ha una certa riserva, almeno lo stretto necessario, non è possibile mettere
ordine nei propri affari. Con niente non si fa niente. Se mi usa questa cortesia, in primo luogo
(trovandomi provvisto di fondi) potrò far fronte alle spese necessarie a tempo debito e quindi
più agevolmente, mentre ora devo differire i pagamenti, con la conseguenza che spesso mi
tocca versare in una volta tutto quello che ho guadagnato, e proprio nel momento meno
opportuno; in secondo luogo potrò lavorare con l’animo meno gravato di preoccupazioni e
con il cuore più leggero, e quindi potrò guadagnare di più. Per le garanzie, non credo che lei
possa nutrire dubbi. Lei conosce la mia situazione e il mio modo di pensare. Per la
sottoscrizione non deve preoccuparsi2; ora protrarrò il termine di qualche mese, con la
speranza di trovare all’estero più amatori di quanti non ne trovi qui.
Ecco dunque che in una faccenda della massima importanza le ho aperto tutto il mio
cuore, comportandomi dunque come un vero fratello. Perché solo con un vero fratello ci si
può confidare pienamente. Ora attendo ansiosamente una risposta, però una risposta davvero
positiva; non so, io la considero un uomo che, come me, avendone la possibilità, aiuta
sinceramente il proprio amico, se è un amico sincero, e il fratello, se è un vero fratello. Nel
caso in cui non potesse privarsi subito di una simile somma, la prego di prestarmi almeno
fino a domani qualche centinaio di fiorini,3 perché il mio padrone di casa della Landstrafie4
mi ha a tal punto importunato da costringermi a pagarlo immediatamente (per evitare noie) e
questo mi ha posto in grande difficoltà. Oggi per la prima volta dormiamo nel nostro nuovo
appartamento,5 dove resteremo estate e inverno. In fin dei conti mi sembra sia la stessa cosa,
se non addirittura meglio. In ogni caso non ho molti impegni in città e, non essendo più
disturbato da tante visite, potrò lavorare con più agio. Se devo recarmi in città per affari, il
che comunque accadrà abbastanza di rado, qualunque fiacre mi ci porta per dieci soldi, e in
compenso l’alloggio è più economico e più gradevole per la primavera, l’estate e l’autunno
avendo anche un giardino. Siamo nella Wahringergasse, alle 3 Stelle No 135.
Consideri ora questa lettera come un vero segno della mia completa fiducia in lei e
rimanga per sempre mio amico e fratello, come Io sarò io fino alla tomba
il suo vero, sincerissimo amico e fratello W. A. Mozart
P.S. Quando faremo di nuovo un po’ di musica a casa sua?
Ho scritto un nuovo trio! 6
*
1 Anche Puchberg era massone.
2 La sottoscrizione per i quintetti K406, 515 e 516. I biglietti si potevano acquistare da
Puchberg e quest’ultimo aveva espresso verosimilmente qualche preoccupazione in merito,
visto lo scarso numero di sottoscrittori.
3 Puchberg gli fece pervenire 200 fiorini.
4 Mozart aveva lasciato l’alloggio della LandstraBe, alla periferia di Vienna, già ai primi
di dicembre del 1787, per trasferirsi in centro città, «unter den Tuchlauben».
5 II 17 giugno 1788 Mozart aveva lasciato l’alloggio «unter den Tuchlauben» e si era
trasferito di nuovo in periferia, nella Wàhringer-strafie.
6 II trio per pianoforte, violino e violoncello in mi maggiore K542.
A MICHAEL PUCHBERG
[Vienna, 27 giugno 1788]
Venerabilissimo fratello,1 carissimo, amatissimo amico!
Ho pensato sempre di venire personalmente in città in questi giorni per poterla
ringraziare a voce della prova di amicizia che mi ha dato. Ora però non avrei cuore di
presentarmi a lei, in quanto sono costretto a confessarle francamente che non posso restituirle
subito quanto mi ha prestato e che devo pregarla di avere pazienza. Mi preoccupa molto il
fatto che allo stato attuale non le sia possibile aiutarmi nella misura in cui avrei desiderato. La
mia situazione è tale che sono assolutamente costretto a prendere del denaro a prestito. Ma
Dio mio, di chi dovrò fidarmi? Di lei e di nessun altro, carissimo! Se almeno volesse usarmi
la gentilezza di procurarmi denaro per un’altra via! Pago di buon grado gli interessi, e per chi
mi concedesse un prestito il mio carattere e la mia retribuzione costituirebbero una garanzia
sufficiente. È assai increscioso per me trovarmi in questa situazione ed è proprio per questo
che desidererei avere una somma abbastanza ragguardevole per un periodo sufficientemente
lungo, così da poter prevenire situazioni simili. Se lei, fratello carissimo, non mi aiuta in
questa circostanza, perderò il credito e l’onore, le uniche cose che desideri conservare. Faccio
completo affidamento sulla sua sincera amicizia e sul suo affetto fraterno e aspetto
fiduciosamente che mi venga in aiuto con le parole e con i fatti. Se il mio desiderio verrà
esaudito, potrò riprendere fiato, perché in tal modo potrò rimettere ordine nei miei affari, e
poi mantenerlo. Venga dunque a trovarmi: sono sempre in casa. Sono dieci giorni che abito
qui e ho lavorato più di quanto abbia fatto in due mesi nell’altra casa,2 e se non fossi assalito
con tanta frequenza da pensieri cupi (che devo scacciare con la forza) mi sentirei molto
meglio, essendo la mia abitazione piacevole, confortevole ed economica. Non voglio
importunarla ulteriormente con le mie chiacchiere, ma taccio e spero.
Per sempre il suo fedelissimo servitore sincero amico e fratello W. A. Mozart
*
1 Cfr. lettera precedente, nota 1.
2 In questi giorni vennero scritti verosimilmente il trio per pianoforte, violino e
violoncello K542, la sinfonia in mi bemolle maggiore K543, la piccola marcia in re maggiore
K544 (perduta), la sonata per pianoforte in do maggiore KJ45 e l’adagio e fuga per archi in
do minore K546.
ALLA MOGLIE
Dresda 13 aprile 1789 alle sette del mattino
Prevedevamo di giungere a Dresda sabato dopo pranzo, ma siamo arrivati solo ieri,
domenica, alle sei di sera; tanto sono cattive le strade.
Ieri stesso sono andato dai Neumann,1 dove abita la signora Duschek, per consegnarle la
lettera di suo marito.2 È al terzo piano, sulla strada, e dalla camera si possono vedere tutti i
visitatori; quando sono arrivato sulla porta, il signor Neumann mi aveva già preceduto e mi
ha chiesto con chi avesse l’onore di parlare; io ho risposto: «Le dirò subito chi sono, abbia
solo la bontà di far chiamare la signora Duschek, perché non venga rovinato lo scherzo». Ma
ecco, proprio in quel momento mi compare davanti la signora Duschek, che mi aveva
riconosciuto dalla finestra e aveva subito esclamato: «Arriva qualcuno che somiglia a
Mozart». La gioia a questo punto è divenuta generale. La compagnia era numerosa, composta
esclusivamente di donne, per lo più brutte, ma che con il loro garbo compensavano la
mancanza di bellezza. Oggi il principe 3 ed io andiamo a colazione, poi passiamo da
Naumann e infine alla cappella; domani o dopodomani partiremo di qui alla volta di Lipsia.
Una volta ricevuta questa lettera dovrai già scrivere a Berlino post restante; spero che
avrai ricevuto regolarmente la mia lettera da Praga.
Tutti i Neumann e la Duschek inviano i loro saluti a te e anche al cognato e alla cognata
Lange.
Carissima mogliettina, potessi avere una tua lettera! Se ti raccontassi tutto quello che
faccio con il tuo caro ritratto probabilmente ti faresti un bel po’ di risate. Per esempio: quando
lo tiro fuori dalla sua prigione, dico «Dio ti benedica, Stanzerl.4 Buon giorno, buon giorno;
birbante; botta che scoppia; naso appuntito; bagatella; schluck und druck»,5 e nel rimetterlo
dentro lo faccio scivolare pian pianino, dicendo sempre «str! str! stri»,6 ma con quella certa
enfasi che ci vuole per una parola cosi ricca di significato, e da ultimo, più
in fretta, «buona notte, topolino, dormi bene». Ebbene, credo proprio di aver scritto
qualcosa di assai sciocco, almeno per il mondo; ma per noi, che ci amiamo tanto
profondamente, non è certamente sciocco. Oggi è il sesto giorno che sono lontano da te e, per
Dio, mi sembra già un anno.
Probabilmente in molti punti dovrai faticare non poco a leggere questa lettera, perché
scrivo in fretta e quindi un po’ male. Adieu, cara, unica! Ecco la carrozza; il che non significa
«bravo? la carrozza è pronta», ma «Male». Stai bene, e amami eternamente come io ti amo; ti
bacio un milione di volte con la più grande tenerezza e rimango per sempre
il tuo sposo che ti ama teneramente W. A. Mozart
P.S. Come si comporta il nostro Carl? 8 Spero bene. Bacialo da parte mia.
I migliori saluti al signor e alla signora von Puchberg.9
N.B.: la lunghezza delle tue lettere non deve dipendere da quella delle mie, che riescono
un po’ corte solo perché ho fretta, altrimenti scriverei un foglio intero. Ma tu hai più tempo.
Adieu!
*
1 La famiglia di Johann Leopold Neumann.
2 Franz Xaver Duschek, a cui Mozart aveva fatto visita il io aprile, passando per Praga.
3 II principe Karl Lichnowsky.
4 Diminutivo di Costanza.
5 Letteralmente: «inghiotti e schiaccia». Agli inizi del 1789 Mozart aveva scritto anche
un quartetto scherzoso: «Caro mio Druck und Schluck» (K Anh. 5/5713), rimasto allo stadio
di frammento.
6 Abbreviazione per «serviteur».
7 Nel senso di «meno male».
8 II figlio primogenito di Mozart.
9 II titolo è scherzoso. Puchberg venne fatto nobile solo tre anni e mezzo più tardi, il 6
novembre 1792.
ALLA MOGLIE
Dresda, 16 aprile 1789 alle undici e mezza di notte
Carissima, amatissima mogliettina!
Come? Ancora a Dresda? Sì, amore mio. Ti racconterò tutto per filo e per segno. Lunedì
13, dopo aver fatto colazione dai Neumann, siamo andati alla cappella di corte; la messa era
di Naumann (dirigeva lui stesso), molto mediocre. Ci trovavamo in una cappella di fronte
all’orchestra; d’un tratto Neumann mi ha preso per un braccio e mi ha presentato al signor
von Konig, che è Directeur des plaisirs (dei tristi Plaisirs del principe elettore) 1; è stato
straordinariamente gentile, e alla domanda se non volessi farmi ascoltare da Sua Altezza
Serenissima ho risposto che sarebbe stato certo un onore per me, ma che però, non potendo
disporre liberamente della mia persona,2 non potevo trattenermi. E la cosa è finita lì. Il mio
nobile compagno di viaggio3 ha invitato a pranzo i Neumann insieme con la Duschek.
Mentre mangiavamo è arrivata la notizia che l’indomani, martedì 14, alle cinque e mezza di
sera, avrei dovuto suonare a corte. Da queste parti è una cosa assolutamente straordinaria,
perché normalmente è molto difficile farsi ascoltare, e tu sai che non era nei miei progetti.
Avevamo preparato un quartetto qua da noi, all’Hotel de Boulogne. L’abbiamo eseguito nella
cappella con Anton Teyber (che, come sai, è organista qui a Dresda) e con il signor Kraft
(violoncellista del principe Este-rhazy), che è qui con suo figlio 4; in questo piccolo concerto
ho suonato il trio 5 che ho scritto per il signor von Puchberg. È stato eseguito in modo
assolutamente decoroso. La Duschek ha cantato diverse arie del Figaro e del Don Giovanni.
L’indomani ho suonato a corte il nuovo concerto in re 6; il giorno seguente, la mattina di
mercoledì quindici, ho ricevuto in dono una bellissima tabacchiera.7 Siamo poi stati a pranzo
dall’ambasciatore russo,8 dove ho suonato a lungo. Dopo mangiato si è deciso di andare a
vedere un organo. Ci siamo mossi alle quattro. C’era anche Naumann. Ora devi sapere che
qui c’è un certo Hassier (un organista di Erfurt) e anche lui era della partita. È allievo di un
allievo di Bach 9 e il suo forte sono l’organo e il piano (clavicorde). Qui la gente è convinta
che, venendo da Vienna, io non conosca affatto questo stile e questa maniera di suonare. Mi
sono dunque seduto all’organo e ho suonato. Il principe Lichnowsky (conoscendo bene
Hassier) lo ha convinto con gran fatica a suonare. La force di questo Hassier all’organo è nel
gioco dei piedi, il che però, essendo qui i pedali graduati, non richiede poi una grande arte;
per il resto si è limitato ad imparare a memoria armonia e modulazioni del vecchio Sebastian
Bach, ma non è in grado di eseguire correttamente una fuga; il suo modo di suonare è privo di
solidità, per cui è ben lungi dall’essere un Albrechts-berger. Dopo di ciò si è deciso di tornare
dall’ambasciatore russo, perché Hassier potesse sentirmi al forte piano. Ha suonato anche
Hassier. Al forte piano la Auernhammer mi sembra brava come lui. Puoi ben immaginarti
quanto sia calata la stima nei suoi riguardi. Poi siamo andati all’opera, che è davvero
miserabile.10 Sai chi c’è fra le cantanti? La Rosa Manservisi.11 Puoi immaginarti la sua
contentezza. Tra parentesi la prima cantante, la Allegrante, è molto migliore della Ferraresi, il
che certo non vuol dire molto. Dopo l’opera siamo tornati a casa. E allora giunge l’istante più
felice per me, trovando ciò che da tanto tempo attendevo con ansia: una tua lettera, carissima,
amatissima! La Duschek e i Neumann erano là come al solito, e io me ne sono andato subito
in camera tutto trionfante, ho baciato la lettera infinite volte prima di aprirla, poi, più che
leggerla l’ho divorata. Sono rimasto a lungo nella mia stanza, perché non ero mai sazio di
leggerla e di baciarla. Quando sono tornato insieme agli altri, i Neumann mi hanno chiesto se
avevo ricevuto una lettera, e alla mia risposta affermativa si sono tutti vivamente felicitati con
me, dato che ogni giorno mi lamentavo di non aver avuto ancora notizie. I Neumann sono
persone gentili.
E ora veniamo alla tua cara lettera, perché il seguito del resoconto sul mio soggiorno qui
fino alla partenza te lo farò nella prossima lettera.
Cara mogliettina, ho tante preghiere da farti:
1. ti prego di non essere triste;
2. di stare attenta alla tua salute e di non fidarti dell’aria primaverile;
3. di non uscire a piedi da sola e possibilmente di non uscire a piedi affatto;
4. di essere in tutto e per tutto certa del mio amore; non ti ho scritto una sola lettera
senza aver avuto davanti a me il tuo caro ritratto.
6. et ultimo, ti prego di scrivermi lettere più lunghe e dettagliate. Vorrei sapere se tuo
cognato Hofer è venuto l’indomani della mia partenza. Se viene spesso, come mi ha
promesso. Se i Lange vengono ogni tanto. Se si continua a lavorare al ritratto.12 Come passi
le giornate. Tutte cose che naturalmente mi interessano molto.
5. Nella tua condotta ti prego di aver rispetto non solo per il tuo e il mio onore, ma
anche per le apparenze. Non arrabbiarti per questa preghiera. Devi amarmi ancora di più,
proprio per il fatto che tengo all’onore.
E ora stai bene, carissima, amatissima! Pensa che ogni notte, prima di andare a letto,
parlo una buona mezz’ora con il tuo ritratto e così anche al risveglio. Partiamo dopodomani,
il 18. Scrivi sempre a Berlino poste restante.
O stru! stri! Ti bacio e ti stringo 1095060437082 volte (eccoti un bell’esercizio per la
pronuncia) e rimango per sempre
il tuo fedelissimo sposo ed amico
W. A. Mozart -P
La fine del mio resoconto sul soggiorno a Dresda seguirà nella prossima lettera. Buona
notte!
*
1 II principe elettore Federico Augusto III.
2 In quanto viaggiava insieme al principe Karl Lichnowsky.
3 II principe Karl Lichnowsky.
4 Nikolaus Kraft (1778-1853), insieme al quale stava facendo una tournée nella
Germania settentrionale.
5 II divertimento per violino, viola e violoncello in mi bemolle maggiore (K563).
6 II concerto per pianoforte in re maggiore (Krònungs-Konzert) K537, che Mozart
eseguirà verosimilmente anche il 15 ottobre 1790 a Francoforte, nel concerto da lui eseguito
in occasione dei festeggiamenti per l’incoronazione dell’imperatore Leopoldo II.
7 Mozart tace prudentemente a Costanza il particolare che nella tabacchiera c’erano
cento ducati.
8 II principe Aleksander Michailovic Beloselskij, consigliere segreto, tesoriere e dal
1780 al 1790 ambasciatore in Sassonia.
9 Hàssler era stato allievo di Johann Christian Kittei (1732-1809), allievo a sua volta di
Johann Sebastian Bach.
10 Venne rappresentata l’opera Le trame deluse ovvero l raggiri scoperti (1786) di
Domenico Cimarosa.
11 Nel 1775 aveva cantato la parte di Sandrina alla prima rappresentazione della Finta
giardiniera.
12 II ritratto ad olio di Mozart eseguito da Joseph Lange e rimasto incompiuto.
ALLA MOGLIE
Berlino, 23 maggio 1789
Carissima, amatissima, dilettissima mogliettina!
Con gioia straordinaria ho ricevuto qui la tua lettera del 13; solo in questo istante ricevo
invece la tua precedente del 9, perché da Lipsia è stata rimandata a Berlino. Per prima cosa
faccio il conto di tutte le lettere che ti ho scritto e poi di quelle che ho ricevuto da te.
Ti ho scritto: l’8 aprile dalla stazione di posta di Budwitz
il 10 da Praga
il 13 e il 17 da Dresda
il 22 (in francese) da Lipsia
il 28 e il 5 maggio da Potsdam
il 9 e il 16 da Lipsia
il 19 da Berlino
e ora il 23
in tutto fanno 11 lettere.
Ho ricevuto da te: la lettera dell’8 aprile il 15 aprile a Dresda quella del 13 il 21a Lipsia
quella del24 l’8 maggioa Lipsia, al mio Retour
quella del 5 maggio il 14a Lipsia
quella del13 il 20 a Berlino
quella del 9 il 22 a Berlino
in tutto dunque sei lettere.
Come vedi, tra il 13 e il 24 aprile c’è una lacuna; una tua lettera deve essere andata
perduta e così ho dovuto rimanere 17 giorni senza lettere! Se tu stessa hai dovuto vivere 17
giorni in questa situazione, evidentemente è andata perduta anche una delle mie lettere; grazie
a Dio, ben presto ci saremo lasciati alle spalle tutte queste disavventure; e quando sarò stretto
fra le tue braccia ti racconterò per bene come mi sono sentito allora! Ma tu conosci il mio
amore per te! Dove pensi che stia scrivendo? Nella mia stanza nella locanda? No, al giardino
zoologico,1 in una trattoria, in un padiglione con una bella vista, dove oggi ho mangiato tutto
solo per potermi dedicare a te in solitudine. La regina 2 vuole ascoltarmi martedì, ma non c’è
da ricavarci molto; mi sono fatto annunciare, perché qui si usa così e diversamente si sarebbe
offesa. Mia carissima mogliettina, al mio ritorno dovrai rallegrarti più per me che per il
denaro. In primo luogo, 100 federichi d’oro3 non sono 900 fiorini, bensì 700, almeno così mi
hanno detto. In secondo luogo, Lichnowsky mi ha lasciato prima, perché aveva fretta e sono
dunque costretto a vivere a mie spese in una città cara come Potsdam. In terzo luogo, ho
dovuto prestargli 100 fiorini, perché la sua borsa si andava vuotando. Non potevo dirgli di no,
tu sai il motivo. In quarto luogo il concerto a Lipsia, come avevo previsto, è andato male4 e
così ho dovuto sobbarcarmi 32 miglia quasi per niente. È tutto per colpa di Lichnowsky, che
non mi ha dato pace; così ho dovuto assolutamente tornare a Lipsia. Ma di questo ti parlerò
più a lungo a voce. Qui, primo, da un concerto si ricava ben poco; secondo, il re non lo
gradisce. Come me devi accontentarti di questo, che sono così fortunato da essere nelle grazie
del re.s Quanto ti ho scritto resti fra noi. Giovedì 28 parto per Dresda, dove passerò la notte;
il 1° giugno dormirò a Praga e il 4... il 4? Presso la mia carissima mogliettina. Prepara per
bene il tuo caro, bellissimo nido, perché il mio giovanotto in effetti se lo merita; si è
comportato benissimo e altro non desidera se non di possedere la tua cosa più bella. Pensa
che birbante, mentre scrivo s’affaccia di soppiatto sul tavolo e mi si mostra con aria
interrogativa. Io però gli do svelto un energico colpetto. Ma il ragazzo è solo [...] e il briccone
pizzica ancor di più e quasi non si può tenere a freno. Spero proprio che mi verrai incontro
alla prima stazione di posta. Vi arriverò il 4 a mezzogiorno; spero ci sarà anche Hofer, che
abbraccio mille volte. Se venissero pure il signore e la signora von Puchberg, si troverebbero
là riuniti tutti quelli che desidero. Non dimenticare neppure Carl. Ma ora la cosa più
importante: devi portare con te un uomo di fiducia, Satmann 6 o qualcun altro, che vada poi
alla dogana col mio bagaglio nella mia carrozza, in modo che io non abbia questa inutile
seccatura e possa invece tornare a casa con voi, miei cari. Mi raccomando!
Ora adieu. Ti bacio milioni di volte e rimango per sempre
il tuo fedelissimo sposo W. A. Mozart
*
1 Parco di Berlino. Originariamente era una riserva di caccia, che fu poi aperta al
pubblico da Federico IL
2 Federica, moglie del re Federico Guglielmo II.
3 Si tratta verosimilmente dell’onorario per le sei sonate per pianoforte e i sei quartetti
commissionatigli dal re.
4 II concerto aveva avuto luogo il 12 maggio, in una sala semivuota, e Mozart non ne
aveva ricavato quasi nulla.
5 Questa frase ha probabilmente contribuito al sorgere della leggenda secondo cui il re
Federico Guglielmo II avrebbe offerto a Mozart uno stipendio di 3.000 talleri l’anno, se si
fosse stabilito a Berlino, e che quest’ultimo avrebbe rifiutato per fedeltà all’imperatore.
6 Un conoscente di Vienna, forse uno scrivano.
A MICHAEL PUCHBERG
[Vienna] 12 luglio 1789
Carissimo, amatissimo amico e venerabilissimo fratello! 1
Dio! Sono in una situazione che non auguro al mio peggiore nemico e se mi abbandona
lei, carissimo amico e fratello, io, sventurato e senza colpa, sono perduto, insieme con la mia
povera moglie ammalata 2 e con il mio bambino. Già l’ultima volta che sono stato da lei
volevo aprirle il mio cuore, ma non ne ho avuto il coraggio! E non l’avrei nemmeno ora — è
solo tremando che oso farlo per lettera - e non oserei neppure per lettera, se non sapessi che
lei conosce me e lo stato in cui mi trovo ed è pienamente persuaso che non ho colpa della mia
infelice, tristissima situazione. O Dio! Invece di ringraziarla giungo con nuove preghiere!
Invece di ripagarla, nuove richieste! Se conosce a fondo il mio cuore, deve sentire il dolore
che provo; non è certo necessario ripeterle che a causa di questa
sciagurata malattia non mi è possibile realizzare alcun guadagno. Le dirò soltanto che,
nonostante la mia infelice situazione, avevo deciso di dare a casa mia dei concerti su
sottoscrizione, per poter far fronte almeno alle spese più urgenti e necessarie, poiché sono
convinto della sua benevola pazienza, ma ho fallito anche in questo. Il destino purtroppo - ma
solo qui a Vienna - mi è così contrario che, per quanto cerchi, non mi è possibile guadagnare
nulla. Ho fatto circolare una lista per 14 giorni, ma su di essa vedo solo il nome di Swieten.
Poiché ora sembra (oggi è il 13) che la mia cara moglie vada migliorando di giorno in giorno,
avrei potuto riprendere il lavoro, se non si fosse abbattuto questo nuovo colpo, questo duro
colpo. Cercano di consolarci dicendo che migliorerà, benché ieri sera mi abbia nuovamente
gettato nello sgomento e nella disperazione, tanto ha nuovamente sofferto, ed io con lei.
Questa notte (il 14) ha però dormito così bene ed è rimasta per l’intera mattina di un umore
così buono che nutro le migliori speranze. Ora mi sta ritornando la voglia di lavorare, ma mi
sento nuovamente infelice per un altro motivo, certo solo momentaneo! Carissimo,
amatissimo amico e fratello. Lei conosce la mia situazione, ma conosce anche quali siano le
mie prospettive; quella cosa di cui abbiamo parlato rimane valida, in un modo o nell’altro.
Nel frattempo sto scrivendo sei sonate facili per pianoforte per la principessa Friederike 3 e
sei quartetti per il re,4 che farò incidere a mie spese da Kozeluch; anche le due dediche poi
mi faranno guadagnare qualcosa.5 Fra un paio di mesi il mio destino sarà deciso per la
faccenda che lei sa6 e quindi lei, amico carissimo, con me non può rischiare niente. Dipende
quindi solo da lei, mio unico amico, se vuole o può prestarmi altri 500 fiorini. Le offro di
restituirle io fiorini al mese, finché la mia faccenda non sarà decisa, e di restituirle poi (sarà
questione al massimo di qualche mese) l’intera somma con gli interessi che lei vorrà e di
riconoscermi per tutta la vita come suo debitore, e purtroppo lo sarò sempre, giacché non sarò
mai in grado di ringraziarla abbastanza per la sua amicizia e per il suo affetto. Grazie a Dio è
fatta, ora sa tutto, solo non mi rimproveri per la fiducia che ho in lei e pensi che senza il suo
aiuto andranno in rovina l’onore, la tranquillità e forse la vita del suo amico e
fratello. Il suo servitore per sempre obbligato, amico sincero e fratello
W. A. Mozart
Da casa, 14 luglio 1789
Ah Dio, non so decidermi a spedire questa lettera! Eppure devo farlo! Se non fosse
sopravvenuta questa malattia non sarei costretto a mostrarmi cosi spudorato con il mio unico
amico. Spero però nel suo perdono, perché lei conosce il bene e il male della mia situazione.
Il male è solo momentaneo, mentre il bene, una volta eliminato il male momentaneo, sarà
certamente duraturo. Adjeu. Mi perdoni, per l’amor di Dio, mi perdoni! E... Adieu!…
*
1 Cfr. lettera del 17 giugno 1788, nota 1.
2 Costanza era stata colpita da una grave infezione al piede, dovuta a un salasso
praticato con le sanguisughe.
3 Friederike Charlotte Ulrike Katherine, figlia di Federico Guglielmo II, re di Prussia.
Delle sei sonate Mozart ne compose una sola (K576).
4 II re di Prussia Federico Guglielmo II. Di questi sei quartetti Mozart ne compose solo
tre: K375, 589 e 590.
5 I tre quartetti uscirono in realtà solo nel 1791, poco dopo la morte di Mozart, presso
l’editore Artaria & Co., senza nessuna dedica al re.
6 Si tratta probabilmente dell’impiego a corte, che resterà peraltro in sospeso ancora per
tutto il 1790.
A MICHAEL PUCHBERG
[Vienna] 17 luglio 1789
Carissimo, amatissimo amico e venerabilissimo fratello! 1
Lei è certamente in collera con me, non avendomi dato alcuna risposta! Se considero
insieme le sue dimostrazioni di amicizia e la mia attuale richiesta, trovo che lei ha
perfettamente ragione. Se però considero le mie sventure (di cui non ho alcuna colpa) e
insieme i suoi sentimenti di amicizia nei miei confronti, mi sembra di meritare il perdono.
Dato che nella mia ultima lettera, carissimo, le ho esposto con piena sincerità tutto quello
che mi pesava sul cuore, oggi dovrei soltanto ripetermi. Devo però aggiungere ancora, in
primo luogo, che non avrei bisogno di una somma tanto considerevole se non mi si
prospettassero delle spese terribili per la cura di mia moglieJ; in secondo luogo che, essendo
certo di trovarmi tra breve in una situazione migliore, l’entità della somma da restituire mi è
del tutto indifferente, ma che d’altra parte sarebbe per me preferibile e più sicuro se si
trattasse di una grossa somma; in terzo luogo che, se le fosse assolutamente impossibile
venirmi in aiuto con questa somma, devo scongiurarla di avere per me tanta amicizia e tanto
amore fraterno da aiutarmi, in questa circostanza, con qualsiasi importo di cui possa privarsi,
perché ne dipende davvero la mia sorte. Della mia onestà non può certo dubitare, mi conosce
troppo bene. Neppure può diffidare delle mie parole, della mia condotta e del mio modo di
vivere, giacché sa come vivo e quale sia il mio comportamento. Dunque perdoni la mia
fiducia in lei, sono pienamente convinto che solo l’impossibilità materiale potrebbe impedirle
di aiutare il suo amico. Se può e se vuole confortarmi in tutto e per tutto, gliene renderò
grazie come al mio salvatore, fin oltre la tomba, perché in questo modo mi aiuterà a realizzare
la mia fortuna futura. In caso contrario, in nome di Dio, la prego e la scongiuro di darmi un
aiuto momentaneo,3 come meglio le piacerà, ma anche consiglio e conforto.
Per sempre il suo obbligatissimo servitore
P.S. Ieri mia moglie è stata di nuovo male.
Oggi con le sanguisughe grazie a Dio si sente di nuovo meglio; sono davvero
infelicissimo!
Sempre sospeso tra paura e speranza. E poi!
Ieri è venuto un’altra volta il dottor Closset.
*
1 Cfr. lettera datata prima del 17 giugno 1788, nota 1.
2 II dottore aveva consigliato a Costanza la cura delle acque sulfuree a Baden.
3 Puchberg gli fece avere 150 fiorini.
A MICHAEL PUCHBERG
[Vienna, seconda metà di luglio 1789]
Carissimo amico e fratello! 1
Da quando mi ha reso un così grande servizio da amico sono vissuto nella disperazione,
a tal punto che non solo non sono potuto uscire, ma non sono stato neppure in grado di
scrivere, tanta era la mia pena.
Ora lei è più tranquilla, e se non le fossero venute le piaghe da decubito, cosa che le
rende assai fastidiosa la posizione supina, potrebbe dormire. Si teme soltanto che possa essere
intaccato l’osso. Accetta il suo destino con straordinaria rassegnazione e aspetta la guarigione
o la morte con serenità veramente filosofica. Lo scrivo con gli occhi pieni di lacrime.
Se può, amico carissimo, venga a trovarci; e se può, mi assista in quello che sa 2 con le
parole e con i fatti.
Mozart
*
1 Cfr lettera datata prima del 17 giugno 1788, nota 1.
2 Cfr. lettera del 12 luglio 1789, nota 6.
ALLA MOGLIE
[Vienna, prima metà d'agosto 1789]
Carissima mogliettina!
Ho ricevuto con gioia la tua cara lettera. Spero che tu abbia ricevuto ieri la mia seconda
lettera insieme al decotto, all’elet-tuario e alle uova di formica.1 Domani alle cinque levo
l’ancora. Se non fosse semplicemente per avere il piacere di rivederti e di riabbracciarti non
partirei ancora, perché fra poco daranno Figaro 2 e io devo operare ancora alcune modifiche,
il che rende necessaria la mia presenza alle prove. Dovrò comunque rientrare per il 19, ma
rimanere qui senza te fino al 19 non mi sarebbe possibile. Cara mogliettina! Voglio parlarti
con tutta sincerità. Non hai alcuna ragione per essere triste. Hai un marito che ti ama e che fa
per te tutto quello che è in grado di fare. Per il piede devi solo aver pazienza, guarirà
sicuramente benissimo. Sono contento se ti diverti, certo, solo vorrei che a volte tu non dessi
un’eccessiva confidenza. Con N.N.3 mi sembra che ti sia comportata troppo liberamente, e
anche con N.N., quando si trovava a Baden. Considera che gli N.N. non sono stati così
impudenti con nessun’altra donna, che magari conoscono meglio di quanto non conoscano te.
Perfino N.N., che di solito è un uomo cortese, particolarmente rispettoso con le donne,
perfino lui è stato indotto in questo modo a scrivere nella sua lettera le più disgustose e
grossolane sciocchezze. Una donna deve sempre farsi rispettare, altrimenti dà luogo a
pettegolezzi. Amore mio! Perdonami se sono così sincero, ma è necessario per la mia
tranquillità e per la nostra comune felicità. Ricorda che tu stessa una volta hai riconosciuto
parlando con me di essere troppo condiscendente. Le conseguenze ti sono note. Ricorda
anche la promessa che mi hai fatto. Oh Dio, prova almeno, amore mio! Sii allegra,
contenta e compiacente con me. Non tormentarti e non tormentarmi con un’inutile
gelosia. Abbi fiducia nel mio amore, non te ne mancano certo le prove! E vedrai quanto
saremo contenti. Sii certa che solo una saggia condotta della moglie può mettere le catene al
marito. Adjeu! Domani ti bacerò con tutto il cuore.
Mozart
*
1 Forse Costanza aveva portato con sé a Baden il canarino e le uova di formica (per la
precisione, larve di formica rossa dei boschi) erano destinate a lui.
2 Si tratta di un nuovo allestimento delle Nozze di Figaro, che andò in scena il 29 agosto
1789. L’opera era stata già rappresentata a Vienna nel 1786.
3 Non meglio identificato.
A MICHAEL PUCHBERG
[Vienna, 17 maggio 1790]
Carissimo amico e fratello,1
avrà sicuramente saputo dai suoi domestici che ieri sono stato a casa sua (ho il suo
permesso) con l’intenzione di pranzare da lei anche senza essere stato invitato. Lei conosce la
mia situazione: in breve, non trovando amici autentici, sono costretto a prendere soldi a
prestito dagli usurai. Ma poiché per cercare e trovare i più cristiani in questa categoria di
persone assai poco cristiane è necessario tempo, ora sono rimasto così allo scoperto che devo
pregarla, amico carissimo, per tutto quanto esiste al mondo, di soccorrermi con quello di cui
più facilmente può privarsi.2 Se, come spero, tra 8 o 14 giorni avrò il denaro, le restituirò
subito quanto mi avrà prestato ora; per la somma di cui le sono debitore già da tanto tempo,
devo purtroppo pregarla ancora una volta di avere pazienza. Se sapesse quanti affanni e
quante preoccupazioni mi procura tutto questo! Mi ha impedito per tutto il tempo di terminare
i miei quartetti.3 Ora ho grandissime speranze a corte; so infatti per certo che l’imperatore
non ha rifiutato la mia supplica, come ha fatto con le altre, accolte o respinte che fossero, ma
l’ha messa da parte. È un buon segno! Sabato prossimo ho intenzione di eseguire i miei
quartetti a casa mia e la invito caldamente ad essere presente, con sua moglie. Carissimo,
amatissimo amico e fratello, non mi tolga la sua amicizia a causa della mia
importuna insistenza, e mi aiuti. Faccio pieno affidamento su di lei e rimango
sempre
il suo gratissimo
Mozart
P
P.S. Ora ho due allievi. Sarei contento di arrivare a otto. Cerchi di spargere la voce che
impartisco lezioni!
*
1 Cfr. lettera del 17 giugno 1788, nota 1.
2 Puchberg gli inviò 150 fiorini.
3 La serie di quartetti per il re di Prussia; nel mese di maggio X790 ne terminò due;
K575 e 589.
A MICHAEL PUCHBERG
[Vienna, 12 giugno 1790]
Carissimo amico e fratello! 1
Sono qui per dirigere la mia opera.2 Mia moglie sta un po’ meglio. Prova già un certo
sollievo; dovrà però prendere 60 bagni e ripeterli in autunno. Voglia Iddio che le possano
giovare. Amico carissimo, se può aiutarmi un poco a far fronte alle urgenti spese di questo
momento, oh, lo faccia! 3 Per economizzare rimango a Baden e vengo qui solo quando è
assolutamente necessario. Ora sono costretto a svendere i miei quartetti4 (questo lavoro così
faticoso) a un prezzo irrisorio, solo per poter avere in mano qualche soldo nelle attuali
circostanze. Per questo stesso motivo sto scrivendo delle sonate per pianoforte.5 Adieu! Mi
mandi ciò di cui può privarsi più facilmente. Domani a Baden verrà eseguita una mia messa.6
Adjeu. (Alle dieci).
Per sempre il suo Mozart
P.S. La prego ancora di mandarmi la viola.
*
1 Cfr. lettera del 17 giugno 1788, nota x.
2 Così fan tutte (Kj88), la cui prima rappresenazione aveva avuto luogo il 26 gennaio
1790. L’opera, dopo cinque rappresentazioni tra gennaio e febbraio, tornò in scena il 6 giugno
e venne replicata altre tre volte tra luglio e agosto.
3 Puchberg gli inviò 25 fiorini.
4 I tre quartetti per archi K575, 589 e 590, che uscirono alla fine
del 1791 presso l’editore Artaria & Co.
5 Non vennero portate a termine. Di questo periodo restano alcuni frammenti,
appartenenti probabilmente a un’unica sonata: due tempi di una sonata per pianoforte in fa
maggiore (K589 e 590b) e un rondò per pianoforte in fa maggiore (K590C).
6 Probabilmente la Messa dell'incoronazione in do maggiore (K317) del 1779.
ALLA MOGLIE
[Francoforte, 8 ottobre 1790]
Carissima, amatissima mogliettina,
finora ho ricevuto da te tre lettere, amore mio. Quella del 28 settembre l’ho avuta in
questo istante. Non ho ancora ricevuto quella che mi hai inviato per mezzo del signor von
Alt,1 ma andrò subito a informarmi da Le Noble. Anche tu ora dovresti avere avuto quattro
lettere. Questa è la quinta. Adesso non potrai più scrivermi: infatti, quando leggerai questa
lettera, probabilmente non sarò più qui, giacché penso di dare il mio concerto mercoledì o
giovedì2 e poi venerdì - ciri cicì - la cosa migliore sarà scappare via. Carissima mogliettina!
Spero tu ti sia già interessata e ti stia ancora interessando della faccenda di cui ti ho scritto.3
Qui sicuramente non guadagnerò tanto da essere in grado di pagare subito al mio ritorno 800
o 1.000 fiorini. Ma se almeno l’affare con Hoffmeister è giunto al punto che manca soltanto
la mia presenza, potrò comunque avere subito in mano da 2.000 a 1.600 fiorini (calcolando
un interesse del venti per cento circa). In questo caso potrò poi pagare 1.000 fiorini e me ne
resteranno ancora 600. Per l’avvento comincerò comunque a dare piccoli concerti di quartetti
4 e prenderò anche degli allievi. Non dovrò mai pagare l’intera somma, perché firmo
Hoffmeister.5 E quindi si sistemerà tutto. Ti prego solo di concludere l’affare con H.,6 se vuoi
davvero che ritorni. Se tu potessi leggere nel mio cuore! La nostalgia, il desiderio di rivederti
e di abbracciarti lottano con il desiderio di riportare a casa molto danaro. Più volte mi è
venuta l’idea di proseguire ancora il viaggio, ma ogni volta che ho tentato di costringermi a
prendere questa decisione ho pensato a quanto me ne sarei pentito separandomi per tanto
tempo dalla mia cara sposa, senza prospettive sicure, magari senza alcun frutto. Mi sembra di
essere da anni lontano da te. Credimi, amore mio, se tu fossi accanto a me mi riuscirebbe
forse più facile prendere una decisione del genere. Solo, sono troppo abituato a te e ti amo
troppo per poter stare a lungo separato da te. E poi, tutto quello che si dice delle città
imperiali non è che fantasia. Certo, qui sono famoso, ammirato e amato, ma per il resto la
gente qui è ancora più taccagna che a Vienna. Se il concerto avrà un qualche successo, lo
dovrò al mio nome, alla contessa Hatzfeld7 ed alla casa Schweitzer,8 che hanno preso
grandemente a cuore la mia persona. Ma sarò contento quando tutto sarà finito. Se a Vienna
lavorerò con solerzia e darò lezioni, potremo vivere felici e contenti, e nulla potrà
distogliermi da questo progetto, salvo un buon impiego presso qualche corte.
Cerca solo di sistemare l’affare con Hoffmeister, con l’aiuto di Faccia di ribes 9 o in
qualche altra maniera, e di far sapere che ho intenzione di dare lezioni: in tal modo è certo
che non ci mancherà nulla. Adieu, amore mio. Tu riceverai ancora mie lettere, ma io
purtroppo non potrò più averne di tue.
Ama sempre il tuo Mozart
Francoforte sul Meno, 8 ott. 790
Domani c’è l’incoronazione.10
Abbi cura della tua salute e fa’ attenzione quando cammini! Adieu!
*
1 Non meglio identificato.
2 II concerto ebbe luogo il venerdì 15 ottobre.
3 Probabilmente si tratta di un prestito di oltre mille fiorini, sotto-scritto da Mozart al suo
rientro a Vienna, con il commerciante viennese Heinrich Lackenbacher, su garanzia di Franz
Anton Hoffmeister, compositore ed editore musicale. Mozart impegnò tutti i suoi mobili e
finché visse cercò probabilmente di estinguere il debito fornendo regolarmente sue
composizioni ad Hoffmeister.
4 Non se ne fece nulla.
5 Cfr. nota 3.
6 Franz Anton Hoffmeister.
7 Verosimilmente la baronessa Sophie von Hatzfeld, sposata von Condenhoven.
8 Franz Maria Schweitzer, commerciante in sete e articoli di moda.
9 Probabilmente il clarinettista Anton Paul Stadler.
10 Incoronazione a imperatore di Leopoldo II, granduca di Toscana, successore
dell’imperatore Giuseppe II, morto il 20 febbraio 1790.
ALLA MOGLIE
[Vienna, 6 giugno 1791]
Ma trés chère Epouse!
J’écris cette lettre dans la petite Chambre au Jardin chez Leutgeb où j’ai couché cette
Nuit excellement... et J’espére que ma chere Epouse aura passée cette Nuit aussi bien que
moi,
j’y palerai cette Nuit ausi, puisque J’ai congedié Léonore,1 et je serai tout seul à la
maison, ce qui n’est pas agreable.
J’attends avec beaucoup d’impatience una lettre qui m’apprendra comme vous avés
passée le Jour d’hier... Je tremble quand je pense au baigne du st. Antoin; car je crains
toujours le risque de tomber sur l’escalier, en sortant,... et je me trouve entre l’esperance et la
Crainte, une Situation bien desagreable!,
si vous n’etiés pas grafie 2 Jen’ craignerais moins...
mais abbandonons cette Jdée triste!... Le Ciel aura eu certainement soin de ma Chere
Stanzi-Marini,3 Mad.me de Schwingenschuh 4 m’a priée de leur procurer une loge pour ce
soir au theatre de Wieden 5 ou l’on donnera la cinquième panie d’Antoin6, et j’etais si
heureux de pouvoir les servir; j’aurai done le plaisir de voir cet Opera dans leur Compagnie.
In questo istante ricevo la tua cara lettera, da cui vedo con piacere che stai bene e sei in
buona salute. Madame Leutgeb mi ha fatto una berretta e una cravatta, ma come? Dio santo!
Ho avuto un bel dirle tutto il tempo: «Lei7 fa così», ma non è servito a niente. Sono contento
che tu abbia un buon appetito, ma chi mangia molto non deve anche c[acare] molto? No,
volevo dire camminare molto, però preferisco che tu non faccia grandi passeggiate senza di
me. Fa’ tutto quello che ti consiglio, te lo dico certo pensando al tuo bene. Adieu... Cara...
Unica... Acchiappa al volo per aria... Ci sono 2.999 bacetti e mezzo che volano via da me e
aspettano di essere afferrati. Adesso ti dico una cosa all’orecchio... E allora tu mi... ora
apriamo la bocca e la chiudiamo... sempre di più... di più. Alla fine diciamo: è per via di
Plumpi-Strumpi.® Ora puoi pensarne quello che ti pare. Questa appunto è la comodità.
Adieu. Mille teneri baci. Per sempre tuo
Mozart
6 giugno 1791
*
1 Cameriera dei Mozart.
2 Costanza era incinta del suo sesto figlio, Franz Xaver Wolfgang, che nascerà il 26
luglio.
3 Vezzeggiativo di Costanza.
4 Anna von Schwingenschuh, moglie di un assistente alla zecca centrale.
5 Al Freihaus-Theater.
6 La quinta parte, cioè la quarta puntata dell’opera di Schikaneder Der dumme Gartner
aus dem Gebùrge oder Die zweein Anton con il titolo Anton bei Hofe oder Das Namensfest.
7 Cioè Costanza.
8 Forse è il nomignolo dato al bambino che deve nascere.
ALLA MOGLIE
[Vienna, 6 giugno 1791]
Ma très chère Epouse!
Criés avec moi contre mon mauvais sort!... Mad.selle Kirchgefiner ne donne pas son
Academie Lundi! 1... Par consequent j’aurais pu vous posseder, ma chére, tout ce jour de
Dimanche. Mercredi je viendrai surement.
Devo sbrigarmi, perché sono già le sei e tre quarti e la vettura parte alle sette. Ai bagni
cerca di non cadere e di non restare mai sola! Se fossi in te sospenderei il trattamento per un
giorno, in modo da non affrontare la cura in modo troppo violento. Spero che stanotte ci sia
stato qualcuno a dormire da te. Non posso dirti cosa darei per poter essere da te a Baden,
invece di starmene piantato qui. Oggi per pura noia ho composto un’aria dell’opera.2 Alle
quattro e mezza ero già in piedi. Il mio orologio, stupisci, l’ho aperto ma non avevo la chiave
e purtroppo non ho potuto ricaricarlo. Non è triste? Schlumbla! Ecco un’altra parola su cui
meditare. In compenso ho caricato l’orologio grande. Adjeu! Amore! Oggi mangio da
Puchberg. Ti bacio mille volte e nei miei pensieri dico con te: «E sol gli resta onta e
rossori».3
Tuo marito che ti ama ora e sempre W. A. Mozart
Che Carl4 si comporti bene!
Bacialo da parte mia!
(Prendi dell’elettuario, se non riesci ad andare di corpo, ma solo in questo caso).
(Riguardati la mattina e la sera, quando rinfresca!).
*
1 Mozart aveva scritto per lei l’adagio e rondò per armonica K617. Verosimilmente era
rimasto a Vienna appositamente per andare al suo concerto.
2 Non sappiamo di quale aria del Flauto magico (K620) si tratti.
3 Citazione dal Flauto magico, sono i versi finali del duetto tra l’oratore e il sacerdote
(atto II, scena III).
4 II figlio Carl Thomas, che Costanza aveva portato con sé a Baden.
ALLA MOGLIE
[Vienna, 12 giugno 1791]
Carissima, amatissima mogliettina!
Come mai ieri sera non ho ricevuto nessuna lettera? È per farmi stare più a lungo in
pensiero a causa dei tuoi bagni? Questo ed altro mi hanno guastato l’intera giornata di ieri. La
mattina sono stato da N.N., che mi ha promesso, Parole d’honneur, di venire da me fra le
dodici e l’una per sistemare tutto.1 Cosi non ho potuto pranzare da Puchberg, ma ho dovuto
aspettare. Ho aspettato, sono suonate le due e mezza, lui non veniva e allora ho scritto un
biglietto, mandando la domestica a portarglielo da suo padre; nel frattempo sono andato alla
Corona ungherese,2 essendo per gli altri posti troppo tardi, e perfino là ho dovuto mangiare
da solo, perché gli avventori se n’erano già andati tutti via. Fra la preoccupazione per te e
l’irritazione per N.N., puoi immaginare il mio pranzo. Avessi avuto un’anima viva che mi
consolasse un poco! Non mi fa bene stare solo quando ho dei pensieri per la testa. Alle
tre e mezza ero di nuovo a casa. La domestica non era ancora tornata. Ho aspettato, ho
aspettato: alle sei e mezza è arrivata con un biglietto. Certo aspettare è sempre seccante, ma
ancora più seccante quando il risultato non corrisponde alle attese. Nel biglietto di N.N. ho
trovato solo scuse perché non era riuscito a sapere ancora niente di preciso e assicurazioni
che non si sarebbe certo dimenticato di me e che avrebbe senz’altro mantenuto la parola. Poi
per distrarmi sono andato a vedere Kasperl nella nuova opera II fagottista,3 di cui si parla
tanto, ma che non vale nulla. Passando ho guardato se Lòbel4 era al caffè, ma non c’era. La
sera ho mangiato di nuovo alla Corona (per non essere solo) e lì ho avuto almeno occasione
di parlare, poi sono andato subito a letto. Alle cinque del mattino ero di nuovo in piedi. Mi
sono vestito subito, mi sono recato da Montecuculi,5 che ho trovato, e poi da N.N., che però
se n’era già andato. Quello che mi dispiace è che, per una cosa di cui non si è fatto nulla,
stamattina non ho potuto scriverti. L’avrei fatto volentieri!
Ora esco e vado dai Rechberg,6 alla grande riunione di famiglia. Se non l’avessi
promesso tanto solennemente e non fosse una grossa scortesia mancarvi, non andrei
nemmeno là. Ma a che mi servirebbe? Domani parto di qui per venire da te! Se solo le mie
faccende fossero sistemate! Chi starà dietro ad N.N. se non ci sto io? E se uno non gli sta
dietro, diventa freddo. Sono stato da lui tutte le mattine, altrimenti non avrebbe fatto neppure
quello. Ti prego, oggi non andare al Casino, anche se dovesse uscire la Schwingenschuh.7
Riservalo per quando ci sono anch’io. Se solo avessi tue notizie! Ora sono le dieci e mezza e
alle dodici già si pranza! Ora battono le undici! Non posso più aspettare! Adieu cara
mogliettina, amami quanto io ti amo, ti bacio duemila volte col pensiero. Domenica
Per sempre tuo
Mozart
*
1 Su questa faccenda e sulla persona di N.N. non si conoscono altri particolari.
2 Una locanda in città, la cui saletta interna trent’anni dopo avrebbe ospitato anche
Schubert.
3 II Singspiel Kaspar der Fagottist oder Die Zauberzither, testo di Joachim Perinet,
musica di Wenzel Muller (1767-1835). La trama dell’opera presenta molte analogie con
quella del Flauto magico, che si spiegano probabilmente con l’utilizzazione delle stesse fonti
(YOberon e la favola Lulu oder die Zanberflote di Wieland, il libretto Oberon, Konig der
Elfen di Karl Ludwig Gieseke ecc.). Alcuni però hanno voluto vedere in questa
rappresentazione di un’opera «concorrente» l’origine dei profondi cambiamenti apportati alla
trama originaria del Flauto magico.
4 Probabilmente Johann Martin Loib(e)l, consigliere alla ragioneria della corte di
Ungheria e di Transilvania, maestro della loggia massonica «Zum Palmbaum».
5 II margravio Ludwig Franz Montecuculi, suonatore dilettante di oboe e allievo di
Mozart.
6 La famiglia von Rechberg; il conte Alois von Rechberg (1766-1849) era stato allievo
del Collegium Virgilianum di Salisburgo.
7 Cfr. lettera del 6 giugno 1791, nota 4.
ALLA MOGLIE
Ma trés chère Epouse!
Ricevo in questo istante la tua lettera, che mi ha fatto straordinariamente piacere. Ora
aspetto già ansiosamente la seconda, per sentire che effetto ti ha fatto il bagno. Mi dispiace
inoltre di non aver assistito ieri al vostro bel concerto, non però per il concerto, ma perché
avrei avuto la fortuna di essere con te. Oggi ho fatto una sorpresa a L. 1; prima sono andato
dai Rechberg,2 e là la signora ha mandato di sopra una figlia ad annunciargli che c’era un
vecchio amico di Roma che era già andato per tutte le case senza riuscire a trovarlo. Lui ha
mandato a dire che aspettassi solo un po’. Nel frattempo quel povero imbecille si è vestito
come fosse domenica. Il più bel vestito, e splendidamente pettinato. Puoi immaginarti quanto
abbiamo poi riso di lui. Mi tocca sempre avere a che fare con dei matti: se non è L. allora è
N.3 o Snai.4 Dove ho dormito? A casa, naturalmente. Ho dormito ottimamente, solo che i topi
mi hanno fatto buona compagnia. Ho fatto con loro dei bei discorsi. Prima delle cinque ero
già in piedi. A proposi non ti consiglio di andare alla funzione domani. Questi contadini sono
troppo rozzi per i miei gusti. È vero che hai un compagno altrettanto rozzo, ma i contadini
non hanno alcun rispetto per lui, perdunt Respectum, perché si accorgono subito che è uno
spilorcio. Snai!
A Sussmayr risponderò a voce. Non voglio sprecare la carta.
A Krùgel o Klùgel5 manda a dire che esigi un cibo migliore. Meglio ancora forse se
parli direttamente con lui, passando. Per il resto è una persona gentile e ha stima di me.
Domani, con una candela in mano, parteciperò alla processione 6 a Josephstadt! 7 Snai!
Non dimenticare le mie raccomandazioni riguardo all’aria del mattino e della sera, ai
bagni troppo prolungati, ecc. ecc. I miei rispetti al conte e alla contessa Wagensperg.8 Adieu.
Ti bacio mille volte col pensiero e rimango per sempre il tuo
Mozart
P.S. Sarebbe bene che tu dessi a Cari9 un po’ di rabarbaro.
Perché non mi hai mandato quella grande lettera? Qui c’è una lettera per lui. Esigo una
risposta. Acchiappa... acchiappa... bs bs bs, tanti bacetti per te volano nell’aria, bs, eccone
ancora uno che trotterella dietro agli altri.
In questo istante ricevo la tua seconda lettera. Non fidarti dei bagni. E dormi di più. Non
in modo così irregolare. Altrimenti sto in pena. Un po’ lo sono già.
Adieu.
*
1 Joseph Leutgeb, incontrato a Roma nel 1772.
2 Cfr. lettera precedente, nota 6.
3 Non meglio identificato.
4 Probabilmente Franz Xaver Sussmayr.
s Presumibilmente l’oste della locanda da cui Costanza si faceva portare da mangiare.
6 La processione del Corpus Domini. Mozart ha intenzione di parteciparvi per
ingraziarsi la gente di chiesa e in particolare i padri scolopi, nel cui collegio vorrebbe riuscire
a sistemare il figlio Carl Thomas.
7 Josephstadt era allora un sobborgo di Vienna.
8 Probabilmente il conte Johann Nepomuk von Wagensperg e sua moglie Maria Anna.
9 II figlio primogenito Carl Thomas.
ALLA MOGLIE
[Vienna, 5 luglio 1791]
Carissima, amatissima mogliettina!
Non essere triste, ti prego! Spero tu abbia ricevuto il denaro. Per il tuo piede comunque
è meglio che tu rimanga ancora a Baden, perché là puoi uscire più facilmente. Spero di poterti
abbracciare sabato, e forse prima. Non appena la mia faccenda sarà sistemata, verrò da te,
essendomi ripromesso di riposarmi fra le tue braccia. Ne avrò bisogno: le preoccupazioni
interiori, l’apprensione e le corse che bisogna fare a causa di questa storia alla fine stancano
un poco. Ho ricevuto regolarmente anche l’ultimo pacchetto e te ne ringrazio. Non so dirti
quanto sono contento che tu non faccia più bagni. In una parola non mi manca altro che... la
tua presenza. Penso di non poter più aspettare. Potrei senz’altro farti ritornare definitivamente
quando la mia faccenda sarà sistemata, solo... vorrei passare ancora qualche bella giornata
con te a Baden. N.N.1 è ora qui con me e dice che dovrei fare cosi con te... Ha un gusto per te
e crede fermamente che tu debba sentirlo.
Che fa dunque il mio secondo matto? 2 Tra questi due matti sarà dura la scelta per me!
Ieri sera quando sono andato alla Corona 3 ho trovato il Lord inglese che se ne stava 11 tutto
spossato perché è sempre in attesa di Snai.4 Oggi, quando sono
andato da Wetzlar,5 ho visto un paio di buoi aggiogati a un carro, e quando hanno
cominciato a tirare hanno fatto con la testa esattamente come il nostro matto N.N. ... Snai!
Sei hai bisogno di qualcosa, tesoro mio, scrivimelo francamente ed io cercherò con vero
piacere di accontentare in tutto la mia Stanzi Marini6
per sempre tuo Mozart
Vienna 5 luglio 1791
Che Cari7 si comporti bene e allora forse risponderò alla sua lettera. Adjeu
*
1 Non meglio identificato.
2 Probabilmente Sussmayr.
3 Alla locanda «Zur ungarischen Krone» (cfr. lettera del 12 giugno 1791, nota 2).
4 Nella lettera del 2 luglio 1791 Mozart aveva parlato alla moglie di due inglesi che non
volevano lasciare Vienna senza aver fatto la sua conoscenza, aggiungendo poi per scherzo
che in realtà non volevano conoscere lui, Mozart, bensì SuBmayr, al che avrebbe detto loro di
andare alla «Corona ungherese» e di aspettarlo là finché non fosse tornato da Baden. «Snai»
sta per «SuBmayr».
5 II banchiere Raimund Wetzlar, da cui si era recato verosimilmente per un prestito.
6 Vezzeggiativo di Costanza.
7 II figlio Carl Thomas.
ALLA MOGLIE
[Vienna, 7 luglio 1791]
Carissima, amatissima mogliettina!
Mi perdonerai se ora ricevi da me sempre un’unica lettera. La ragione è che devo far la
guardia ad un certo N.N.,1 e non posso lasciarmelo scappare. Tutti i giorni alle sette del
mattino sono già da lui.
Spero tu abbia regolarmente ricevuto la mia lettera di ieri. Non sono stato a vedere il
pallone, perché posso immaginarlo così e inoltre pensavo che anche questa volta non se ne
sarebbe fatto nulla. Ma come esultano adesso i viennesi! Tanto hanno inveito finora, tanto
adesso fanno piovere gli elogi...
Nella tua lettera c’è qualcosa che non riesco a leggere e qualcosa che non riesco a capire.
C’è scritto: «Il mio... maritino oggi sarà sicuramente in grande com... anche lui al Prater»,
ecc. ecc. L’aggettivo che precede «maritino» non riesco a leggerlo e «com» suppongo che sia
compagnia, ma non so a quale «grande compagnia» tu ti riferisca.
Di’ da parte mia a Sussmayr2 che non ho il tempo di correre sempre dietro al suo
Primus3 e che ogniqualvolta sono andato da lui non era mai in casa. Ma dagli i tre fiorini,
perché non pianga...
L’unica cosa che vorrei ora è che le mie faccende fossero già sistemate, solo per essere
nuovamente al tuo fianco. Non puoi immaginare quanto sia stato lungo il tempo in tutti questi
giorni, a causa della tua lontananza. Non so spiegarti le mie sensazioni, è una specie di vuoto
che mi fa proprio male, un desiderio che non viene mai appagato e quindi non si placa mai; è
incessante e cresce anzi di giorno in giorno. Quando penso a quanto siamo stati allegri
insieme a Baden, proprio come dei bambini, e come sono tristi e noiose le ore che sto
passando qui... Nemmeno il mio lavoro mi dà gioia, perché ero abituato a interrompermi ogni
tanto e a scambiare qualche parola con te, e ora purtroppo questo piacere è diventato
impossibile. Se vado al pianoforte e canto qualche brano dell’opera,4 devo smettere
immediatamente. L’emozione è troppo forte. Basta! Se sistemo le mie cose in quest’ora che
viene, nell’ora che seguirà già non sarò più qui. Non so cosa scriverti di nuovo. La luminaria
a Baden era forse un po’ prematura, perché la notizia vera è precisamente il contrario.5
Chiederò alla farmacia di corte, forse potranno procurarmi l’elettuario, e allora te lo manderò
subito. Nel frattempo (se dovesse essere necessario) piuttosto che l’acqua carminativa 6 ti
consiglierei il cremortartaro. Adjeu, carissima mogliettina,
Vienna 7 luglio 1791
per sempre tuo Mozart
*
1 Non meglio identificato.
2 Sussmayr, sostituendo siifi (dolce) con sauer (aspro).
3 Soprannome del cameriere Joseph Deiner, della locanda «Zur goldenen Schlange».
4 Dal primo atto del Flauto magico.
5 Non è molto chiaro a cosa si riferisca. Forse Costanza aveva fatto fare una luminaria
per festeggiare la notizia, che doveva poi rivelarsi infondata, della felice conclusione della
faccenda finanziaria di cui si stava occupando il marito.
6 Soluzione di acqua e distillati di menta, camomilla, finocchio, coriandolo, cumino e
bucce di arancia, impiegata come rimedio contro il meteorismo.
ALLA MOGLIE
[Vienna, 9 luglio 1791]
Carissima, amatissima mogliettina!
Ho ricevuto regolarmente la tua lettera del 7, con regolare ricevuta dell’avvenuto
pagamento1; avrei solo preferito per il tuo bene che tu l’avessi fatta firmare anche da un
testimone, perché se N.N.2 non volesse comportarsi onestamente, in qualsiasi momento
potrebbe procurarti delle noie sull’autenticità e sul peso; essendoci scritto solo schiaffo,
quando meno te l’aspetti ti può mandare una citazione in giudizio per uno schiaffo potente
oppure vigoroso, o addirittura per uno schiaffo con aggio, e allora che fai? In questi casi
bisogna pagare all’istante, e spesso non si è in grado di farlo! Io ti consiglierei di venire ad un
accomodamento amichevole con il tuo avversario e di dargli piuttosto un paio di schiaffi
potenti, tre schiaffi vigorosi e uno schiaffo con aggio, e anche di più, nel caso non fosse
soddisfatto; perché, dico, con le buone si sistema tutto: una condotta generosa e mite è valsa
spesso a riconciliare i più acerrimi nemici; e se poi ora non fossi in grado di pagare tutto il
tuo debito, hai pur sempre qualche amicizia. Sono certo che la N.,3 se glielo chiedessi, si
accollerebbe, se non tutto, almeno una parte del pagamento in contanti.
Carissima mogliettina, spero avrai ricevuto regolarmente la mia lettera di ieri; ora si
avvicina sempre più il momento, il felice momento in cui ci rivedremo; abbi pazienza, cerca
solo di essere serena per quanto ti è possibile. Con la lettera di ieri mi hai proprio
demoralizzato e avevo quasi deciso di partire senza aver concluso nulla; e che cosa avremmo
ottenuto? Che sarei dovuto ripartire subito, oppure che, lungi dall’essere soddisfatto, avrei
dovuto vivere nell’ansia. Fra qualche giorno questa storia dovrà pur finire. Z.4 me l’ha
promesso con troppa serietà e solennità. E allora verrò subito da te. Ma se preferisci t’invio il
denaro necessario, paghi tutto e mi raggiungi! Per me va benissimo. Solo penso che Baden in
questa bella stagione possa essere ancora molto piacevole per te e giovevole alla tua salute,
con le splendide passeggiate. Questo devi sentirlo tu meglio di chiunque altro. Se trovi che
l’aria e il movimento ti fanno bene, rimani ancora e io poi verrò a prenderti oppure, a tuo
piacimento, a passare ancora qualche giorno con te. O se preferisci, come t’ho detto, torna
domani stesso; scrivi con tutta franchezza quello che desideri fare. Ed ora addio, carissima
Stanzi Marie. Ti bacio milioni di volte e rimango per sempre il tuo
Mozart
P.S. A N.N.5 trasmetti quanto segue:
= - - ---
Che ne dice? Gli piacerà? Non molto, credo, sono parole di assai difficile comprensione.
Adieu.
Affmo Signore
Vorrei seguire il vostro consiglio, ma come riuscirvi? ho il capo frastornato, conto a
forza, e non posso levarmi dagli occhi l’immagine di questo incognito} Lo vedo di continuo,
esso mi prega, mi sollecita, ed impaziente mi chiede il lavoro. Continuo, perchè il comporre
mi stanca meno del riposo. Altronde non ho più da tremare? Lo sento a quel che provo, che
l’ora suona; sono in procinto di spirare; ho finito prima di aver goduto del mio talento. La vita
era pur si bella, la carriera s’apriva sotto auspici tanto fortunati, ma non si può cangiar il
proprio destino. Nessuno misura i propri giorni, bisogna rassegnarsi, sarà quel che piacerà
alla providenza, termino, ecco il mio canto funebre, non devo lasciarlo imperfetto.
*
1 II «pagamento» consisteva nello schiaffo che Costanza doveva dare a Franz Xaver
Sussmayr, su ordine di Mozart.
2 Franz Xaver Sussmayr.
3 Forse Sophie, la sorella minore di Costanza. Sappiamo che è con lei a Baden nel mese
di ottobre, ma poteva esserci già da prima.
4 Forse il banchiere Raimund Wetzlar.
5 Probabilmente Franz Xaver Sussmayr.
ALLA MOGLIE
[Vienna, 7 c 8 ottobre 1791] venerdì alle dieci e mezza di notte
Carissima, amatissima mogliettina!
Torno ora dall’opera era affollato come sempre. Il duetto «Donna ed uom ecc.»2 e il
carillon 3 del primo atto sono stati come sempre ripetuti, e cosi il terzetto dei fanciulli nel
secondo atto.4 Ma quello che mi fa più piacere è l’approvazione muta! Si vede bene quanto
quest’opera stia crescendo sempre più nella stima del pubblico. E passiamo ora alle mie
occupazioni quotidiane! Subito dopo la tua partenza ho giocato due partite a biliardo 5 con il
signor von Mozart (autore dell’opera che sta dando ora Schikaneder). Poi ho venduto il mio
ronzino per 14 ducati.6 Poi ho detto a Joseph 7 di chiamarmi Primus 8 e di farmi portare un
caffè nero, fumando nel frattempo una deliziosa pipa di tabacco; poi ho strumentato quasi
tutto il Rondò di Stadler.9 In questo frattempo mi è giunta una lettera di Stadler da Praga. I
Duschek stanno tutti bene, mi sembra però che la signora non abbia ricevuto nessuna tua
lettera. Eppure stento a crederlo! Basta. Tutti già sanno quale magnifica accoglienza abbia
ricevuto la mia opera tedesca.10
La cosa più straordinaria è che la stessa sera in cui la mia nuova opera è stata
rappresentata per la prima volta 11 con tanto successo, a Praga hanno dato l’ultima
rappresentazione del Tito,'2 che ha riscosso ugualmente uno straordinario successo. Bedini13
ha cantato meglio che mai. Il piccolo duetto in la delle due fanciulle 14 è stato bissato, e se
non si fosse voluta risparmiare la Marchetti15 si sarebbe dovuto bissare anche il Ronde5.16 A
Stodla 17 («O miracolo boemo!», scrive) hanno gridato bravo dalla platea e perfino
dall’orchestra. «Ma ho fatto davvero del mio meglio», scrive. Ha poi scritto (Stodla) che...
gli... e ora vedo bene che è un asino. Non Stodla, si capisce, lui lo è solo un pochettino, non
molto, ma...18 Sì, lui è un vero asino.
Alle cinque e mezza sono uscito per la Stubenthor e ho fatto la mia passeggiata preferita
per i Glacis 19 fino al teatro.20 Che vedo? Che profumo è questo? È Don Primus con le
cotolette! Che gusto1. Ora mangio alla tua salute. Proprio ora suonano le undici, ma tu dormi
già? St! st! st! Non ti voglio svegliare!
Sabato 8 - Avresti dovuto vedermi ieri a cena! Non ho trovato le vecchie stoviglie e
allora ne ho usate di bianche con fiorellini di elleboro. E davanti a me il candelabro a due
bracci con le candele. Stando alla lettera di...21 gli italiani22 devono essere già passati di qui.
La Duschek poi ha sicuramente ricevuto una tua lettera, perché scrive: «La signora è stata
molto contenta del post-scriptum di Mathies; ha detto: BASINO - o ASINO - mi piace così
com’è. Sollecita... di scrivere per... perché mi ha pregato molto23». Ora, mentre scrivo,
probabilmente starai facendo il bagno. Il barbiere è arrivato alle sei precise. Primus ha acceso
il fuoco alle cinque e mezza e mi ha svegliato alle cinque e tre quarti. Ma perché deve piovere
proprio ora? Spero che lì il tempo sia buono. Tieniti ben calda, non raffreddarti; spero che i
bagni ti facciano passare un buon inverno, perché solo questo desiderio, che tu possa restare
in buona salute, m’ha indotto a lasciarti andare a
Baden. Il tempo senza di te mi pare interminabile, l’avevo ben previsto. Se non avessi
avuto da fare, sarei partito con te per questi otto giorni. Ma laggiù non ho alcuna comodità
per lavorare ed io, per quanto è possibile, vorrei proprio evitare ogni preoccupazione: non c’è
niente di più gradevole che poter vivere un po’ tranquilli, e per questo bisogna lavorare
assiduamente ed io sono contento di farlo.
Da’ a...24 a nome mio un paio di schiaffi vigorosi e prego Sophie (che bacio mille volte)
di dargliene anche lei un paio. Non fategliene mancare, per l’amor di Dio! Non vorrei per
nulla al mondo che un giorno o l’altro mi rimproverasse perché non l’avete servito e trattato
come si conveniva. Di botte dategliene sempre troppe, piuttosto che troppo poche.
Sarebbe bene che gli pizzicaste il naso, gli strappaste un occhio e gli procuraste qualche
altra ferita visibile, in modo che il furfante non possa negare un giorno quello che ha ricevuto
da voi. Adieu, cara mogliettina! La carrozza sta per partire. Spero di poter leggere oggi
qualche cosa di tuo, e in questa dolce speranza ti bacio mille volte e rimango per sempre
tuo marito che ti ama W. A. Mozart
*
1 II flauto magico.
2 Versi finali del duetto del primo atto tra Pamina e Papageno: «Bei Mànnern, welche
Liebe fiihlen».
3 «Das klinget so herrlich, das klinget so schon», cantato da Monostato e dagli schiavi
(atto I, scena XVI).
4 «Seid uns zum zweitenmal willkommen».
5 Tra i beni lasciati da Mozart alla sua morte c’era anche un biliardo.
6 Per combattere gli effetti negativi della vita sedentaria il medico aveva consigliato a
Mozart l’equitazione. Il musicista si era comperato sei cavallini polacchi che però, col
peggiorare della sua situazione economica, non fu più in grado di mantenere.
7 Forse Joseph Preisniger, oste della locanda «Zur goldenen Schlan-ge *. Ma potrebbe
essere anche uno scherzo di Mozart, che si riferirebbe alla stessa persona chiamandola in due
modi diversi (cfr. nota seguente).
8 Soprannome di Joseph Deiner, cameriere della locanda «Zur goldenen Schlange».
9 II terzo tempo del concerto per clarinetto K622.
10 II flauto magico.
11 II 30 settembre 1791.
12 La clemenza di Tito (K621).
13 II sopranista Domenico Bedini, che nella Clemenza di Tito aveva cantato la parte di
Sesto.
14 «Ah perdona al primo affetto».
15 La cantante che aveva la parte di Vitellia.
16 «Deh per questo istante solo».
17 Anton Paul Stadler, per il quale Mozart aveva scritto l’assolo per clarinetto nell’aria
di Sesto («Parto, parto, ma tu, ben mio»), nonché l’assolo per corno di bassetto nel rondò di
Vitellia («Non più di fiori»).
18 Le cancellature impediscono di decifrare il testo.
19 «Glacis» si chiamavano le vaste aree al di là della cinta urbana, in cui era proibito
costruire. Giuseppe II vi aveva fatto piantare degli alberi, trasformandoli in un viale alberato
e facendone così una gradita passeggiata per i viennesi.
20 II Freihaus-Theater auf der Wieden, dove veniva rappresentato II flauto magico.
21 Nome cancellato.
22 Si riferisce probabilmente a una compagnia teatrale.
23 Le cancellature nel testo ne impediscono la piena comprensione.
24 Franz Xaver Sùssmayr.
ALLA MOGLIE
[Vienna, 8 e 9 ottobre 1791] sabato notte alle dieci e mezza
Carissima, amatissima mogliettina!
Con grandissimo piacere e gioia al ritorno dall’opera 1 ho trovato la tua lettera. L’opera,
sebbene il sabato sia sempre un giorno sfavorevole a causa della posta, è stata rappresentata
con il teatro pieno e con gli applausi e i bis abituali. Verrà data ancora domani, ma lunedì si
farà una pausa. Dunque Sullmayr dovrà accompagnare Stoll martedì, giorno in cui verrà data
di nuovo per la prima volta; dico per la prima volta, perché presumibilmente verrà
rappresentata ancora diverse volte conse-
cutivamente. Ho appena finito di mangiare un delizioso pezzo di lepre che mi ha portato
Don Primus, il mio fedele cameriere.2 E poiché oggi il mio Apetit è piuttosto robusto, l’ho
mandato a cercarmi ancora qualcosa, se possibile. Nel frattempo continuo dunque a scriverti.
Stamane ho scritto con tanta lena che mi sono attardato fino all’una e mezza.3 Sono corso
perciò in tutta fretta da Hofer (unicamente per non mangiare da solo), dove ho trovato anche
la mamma.4 Subito dopo pranzo sono tornato a casa e ho scritto fino all’ora dell’opera.
Leutgeb mi ha pregato di accompagnarlo nuovamente e così ho fatto. Domani ci porto la
mamma. Il libretto gliel’ha già dato da leggere Hofer. Della mamma si deve dire che guarda
l’opera, non che sente l’opera. ...5 oggi avevano un palco. ...6 hanno dimostrato il loro vivo
plauso per tutto, ma lui, l’onnisciente, ha fatto a tal punto il bavarese che non mi è stato
possibile rimanere, altrimenti avrei dovuto dargli del somaro. Sfortunatamente, ero là dentro
quando è cominciato il secondo atto, dunque alla scena solenne. Lui ha preso tutto in burla;
all’inizio ho avuto abbastanza pazienza da voler richiamare la sua attenzione su alcune
parole, ma lui rideva di tutto. Allora per me è stato troppo; l’ho chiamato Papageno e me ne
sono andato. Non credo però che queU’imbecille abbia capito. Mi sono dunque trasferito in
un altro palco, dove c’era Flamm con la moglie; mi sono veramente divertito, restando con
loro sino alla fine. Sono solo salito sul palcoscenico al momento dell’aria di Papageno con il
carillon, perché oggi avevo voglia di suonarlo io stesso. E allora ho fatto uno scherzo: nel
punto in cui Schikaneder 7 ha una pausa, ho suonato un Arpegio; lui si è spaventato, ha
guardato sulla scena e mi ha visto. Quando la pausa si è ripetuta per la seconda volta non l’ho
fatto; lui però si è fermato e non voleva più andare avanti. Ho indovinato il suo pensiero e ho
suonato un altro Accord; allora lui ha dato una botta al carillon e ha detto: «Chiudi il becco»,
e tutti hanno riso. Penso che molti solo per questo scherzo si siano accorti per la prima volta
che non è lui a suonare lo strumento. Per il resto non puoi immaginare l’effetto incantevole
prodotto dalla musica in un palco vicino all’orchestra. Molto meglio che in galleria. Appena
torni devi sperimentarlo.
Domenica, alle sette del mattino. Ho dormito benissimo e spero che tu abbia fatto
altrettanto. Ho gustato con grande soddisfazione un mezzo capponano che mi ha portato
l'amico Primus. Alle dieci andrò a messa dai Piaristi,® perché Leutgeb mi ha detto che dopo
potrò parlare con il direttore. Vi resterò anche a pranzo.
Ieri sera Primus mi ha detto che a Baden c’è tanta gente ammalata, è vero? Fai
attenzione, non fidarti del tempo. Ora è appena venuto Primus con la balorda notizia che
stamattina la posta è partita già prima delle sette e che non ne parte nessun’altra fino ad oggi
pomeriggio, e così tutto il mio scrivere la notte e la mattina presto non è servito a nulla;
riceverai la lettera solo stasera, il che mi spiace molto. Domenica prossima partirò
sicuramente e allora andremo insieme al Casino e lunedì ritorneremo a casa insieme.
Lechleitner9 è tornato un’altra volta all’opera. Non sarà un intenditore, ma almeno è un
vero amatore, cosa che non si può dire di...: lui è una vera nullità. Lui preferisce un Dinée.
Addio, cara! Ti bacio un milione di volte e rimango per sempre il tuo
Mozart
P.S. Bacia Sophie10 a nome mio. A Sussmayr mando un paio di buoni buffetti sul naso e
una bella tirata di ciuffo; mille complimenti a Stoll. Adieu, l’ora suonò,11... adieu!... ci
rivedremo!
N.B.: due paia di calzoni gialli che si portano con gli stivali devi averli mandati a lavare,
perché io e Joseph 12 li abbiamo cercati invano. Adieu.
*
1 II flauto magico.
2 Cfr. lettera precedente, nota 8.
3 Sta lavorando al Requiem (K626).
4 Cacilia Weber, madre di Costanza.
5 Cancellature nel testo.
6 Cancellature nel testo.
7 Interprete di Papageno.
8 Cfr. lettera del 25 giugno 1791, nota 6.
9 Non meglio identificato.
10 Sorella di Costanza.
11 Citazione dal Flauto magico (atto II, terzetto Pamina-Sarastro-Tamino: «Die Stunde
schlagt, wir sehn uns wieder»).
12 II cameriere Joseph Deiner, detto anche Primus.
ALLA MOGLIE 1
[Vienna, 14 ottobre 1791]
Carissima, amatissima mogliettina!
Ieri, giovedì 13, Hofer è venuto con me da Carl. Abbiamo mangiato laggiù 2 e poi siamo
rientrati; alle sei sono andato a prendere con la carrozza Salieri e la Cavalieri e li ho condotti
nel palco. Poi sono corso a prendere la mamma 3 e Carl, che avevo lasciato nel frattempo da
Hofer. Non puoi immaginare
quanto siano stati gentili entrambi,4 quanto sia piaciuta loro non solo la mia musica, ma
il libretto e tutto l’insieme.5 Hanno detto che è un’opera degna di essere rappresentata in
occasione delle più solenni festività davanti ai più grandi monarchi, e che certo l’avrebbero
rivista altre volte, non avendo mai assistito a uno spettacolo più bello e più gradevole. Lui ha
ascoltato e guardato con la massima attenzione, e dalla sinfonia 6 fino all’ultimo coro non c’è
stato brano che non gli abbia strappato un bravo o un bello, e non finivano mai di
ringraziarmi per il piacere che avevo procurato loro. Avevano sempre pensato di andare all
’opera, ma avrebbero dovuto entrare e prendere posto già alle quattro. Così invece hanno
potuto vedere e sentire in tutta tranquillità. Dopo il teatro li ho fatti ricondurre a casa ed io ho
cenato con Carl da Hofer. Poi sono tornato con lui a casa, e lì entrambi abbiamo dormito
magnificamente. Per Carl è stata una grande gioia che l’abbia portato all’opera. Ha un aspetto
magnifico. Per la salute non potrebbe vivere in un posto migliore, ma purtroppo il resto è
proprio miserevole. Tutto quello che potrebbe uscire dalla loro scuola è un buon contadino!
Ma basta, poiché gli studi seri (misericordia!) cominciano solo lunedì, ho chiesto il permesso
di tenerlo con me fino a domenica dopo pranzo; ho detto che saresti contenta di vederlo.
Domani domenica vengo da te con lui, così potrai tenerlo oppure, in caso contrario, domenica
dopo pranzo lo riporterò da Heeger.7 Rifletti, per un mese non potrà certo rovinarsi, mi pare.
Nel frattempo può andare in porto la faccenda con i Piaristi, a cui ora si sta lavorando
davvero.® D’altra parte non è peggiorato, ma neppure è migliorato di un’unghia rispetto a
quel che è sempre stato. Ha le solite cattive maniere, si diverte a dare fastidio, come sempre,
e studia forse ancor meno volentieri di un tempo, perché là non fa altro che correre in
giardino cinque ore al mattino e cinque ore dopo pranzo, come mi ha confessato lui stesso; in
una parola, i bambini non fanno che mangiare, bere, dormire e andare a spasso. In questo
momento sono qui da me Leutgeb e Hofer; il primo rimane a pranzo e ho appena mandato il
mio fedele compagno Primus 9 a prendere un pasto al Bùrgerspital. Sono molto contento di
questo giovanotto; una volta sola mi ha fatto aspettare invano, costringendomi a dormire
dagli Hofer, il che mi ha seccato molto,
perché loro dormono troppo per i miei gusti. Io preferisco passar sempre la notte a casa
mia, essendo abituato a un certo sistema di vita. QuelTunica volta mi ha messo proprio di
cattivo umore. Ieri ho consumato l’intera giornata nel viaggio a Perchtoldsdorf, e per questo
non ho potuto scriverti. Ma che tu non mi abbia scritto per due giorni è imperdonabile. Spero
però di ricevere almeno oggi tue notizie. E di parlare con te domani stesso e di baciarti di
cuore.
Addio. Per sempre tuo
Mozart
14 ottobre 791
Bacio mille volte la Sophie,10 con N.N.11 fa quello che vuoi. Adieu.
*
1 È l’ultima lettera di Mozart che ci sia pervenuta.
2 A Perchtoldsdorf, presso Vienna, dove il figlio Carl era in collegio già dal 1787.
3 Cacilia Weber, madre di Costanza.
4 Salieri e la Cavalieri.
5 Si tratta del Flauto magico.
6 L’ouverture.
7 Direttore del collegio di Perchtoldsdorf.
8 Cfr. lettera del 25 giugno 1791, nota 6.
9 Cfr. lettera precedente, nota 12.
10 Sorella di Costanza.
11 Verosimilmente Franz Xaver Sussmayr.