Patrologia
e letteratura cristiana antica
di Emanuela Valeriani
1. Concetto di patrologia e letteratura cristiana antica -
1.1. Origine e significato dei termini - 2. Filologia e testi
cristiani - 2.1. L’eredità di Jacques-Paul Migne - 2.2.
Storia dell’esegesi patristica - 2.3. Le lingue dei Padri e
le traduzioni patristiche - 3. Le scritture cristiane - 3.1. Il
Nuovo Testamento - 3.2. Gli apocrifi cristiani antichi
Bibliografia p. 1228
1.  Concetto di patrologia e letteratura cristia-
na antica
Lo studio della vita, delle opere e del pen-
siero degli autori cristiani e l’attenzione filo-
logico-critica per i loro testi rappresentano i
punti fondamentali di quest’ambito discipli-
nare che dall’inizio del Novecento conquista
una propria autonomia rispetto alle lettera-
ture classiche, divenendo una fonte privile-
giata del complesso di studi che si occupano
dell’età tardo-antica.
1.1.  Origine e significato dei termini
Patrologia e patristica sono vocaboli co-
niati in ambiente protestante nel XVII se-
colo e derivano da Pater che, nel significa-
to di maestro, è un titolo attribuito fino al
IV secolo esclusivamente ai vescovi, ma che
in seguito verrà esteso agli esponenti più au-
torevoli della tradizione ecclesiale. Più preci-
samente, l’espressione «teologia patristica»
risale al luteranesimo seicentesco, mentre il
sostantivo patristica, intesa come l’insieme
delle dottrine dei Padri della Chiesa, compa-
re per la prima volta in un trattato del 1730
di Johann Franz Buddeus, Isagoge historico-
theologica ad theologiam universam. Nono-
stante l’origine protestante di tale termine,
l’utilizzo di patristica circoscritto alle que-
stioni dogmatiche e dottrinali non è limita-
to a questo ambiente, ma è presto condivi-
so anche dai cattolici che pure in un recen-
te documento, dedicato allo studio dei Padri
nella formazione sacerdotale, hanno ribadi-
to lo stretto legame tra la patristica e la sto-
ria del dogma, distinguendola dalla patrolo-
gia: «da una parte la patristica, che si occu-
pa del pensiero teologico dei Padri, e dall’al-
tra la patrologia, che ha per oggetto la vita e
gli scritti dei medesimi. Mentre la prima è di
carattere propriamente dottrinale e ha molti
rapporti con la dogmatica (ma anche con la
teologia morale, e la teologia spirituale, la sa-
cra Scrittura e la liturgia), la seconda si muo-
ve piuttosto al livello dell’indagine storica
e dell’informazione biografica e letteraria,
e ha una naturale connessione con la storia
della Chiesa antica. Per il loro carattere teo-
logico, la patristica e la patrologia si distin-
guono dalla letteratura cristiana antica, di-
sciplina non teologica e, si può dire, lettera-
ria, che studia gli aspetti stilistici e filologi-
ci degli scrittori cristiani antichi». L’intro-
duzione dell’espressione patrologia, distin-
ta dalla patristica per l’approccio storico-let-
terario ai testi dei Padri si deve sempre a un
teologo luterano, Johann Gerhard, che l’ha
utilizzata nel 1653 nel titolo della sua ope-
ra, Patrologia, sive de primitivae Ecclesiae
christianae Doctorum vita ac lucubrationibus
opusculum posthumum.
La questione terminologica assume una
certa rilevanza tra la fine dell’Ottocento
e gli inizi del Novecento, proprio in corri-
spondenza delle numerose edizioni scienti-
fiche di molte opere inedite. Ed è proprio in
un contesto di rinnovamento degli studi pa-
tristici che a metà del XIX secolo vengono
pubblicati numerosi manuali di patrologia,
utili per comprendere la personalità degli
autori e il loro pensiero. In particolare, del
1840 è il primo volume della Patrologie oder
christliche Literärgeschichte di Johann Adam
Möhler, che già nel titolo introduce il termi-
ne «storia letteraria cristiana» spostando
l’attenzione sulle esigenze storiche della di-
sciplina e sul suo valore letterario. Alla fine
del secolo compare la monumentale opera di
Adolf von Harnack, Geschichte der altchrist-
lichen Literatur bis Eusebius, 1: Die Überlie-
ferung und der Bestand [1893], 2: Die Chro-
nologie [1897-1904] e qualche anno dopo
vede la luce un’altra importante pubblica-
1218
zione, la Geschichte der altkirchlichen Litera-
tur di Otto Bardenhewer in cinque volumi,
pubblicata a Friburgo tra il 1902 e il 1932. I
titoli di queste opere evidenziano come, già
a partire dalla metà del XIX secolo sia il ver-
sante protestante, sia quello cattolico abbia-
no spostato il dibattito dai termini patristi-
ca e patrologia, i cui ambiti di competenza
gradatamente sono andati sovrapponendosi
seppure con esiti diversi, a quelli di letteratu-
ra cristiana e letteratura ecclesiastica, ponen-
do in risalto la necessità di allargare la disci-
plina anche a quegli autori dell’antichità cri-
stiana non includibili nella categoria di Pa-
dri. Il titolo dell’opera di Bardenhewer, che
significativamente aveva già pubblicato una
patrologia, rimane quindi un caso isolato e
gli studiosi preferiscono titolare i loro trat-
tati con il termine Patrologia o Storia della
letteratura cristiana, valorizzando rispetti-
vamente l’aspetto contenutistico o lettera-
rio. D’altra parte, nel Novecento il rinato in-
teresse per gli studi sul cristianesimo antico
ha privilegiato l’ambito della storia rispetto
a quello delle forme letterarie, probabilmen-
te anche per la difficoltà di delimitare e defi-
nire la specificità della letteratura cristiana.
A questo proposito, assume una notevole ri-
levanza il dibattito, sviluppatosi soprattutto
in ambiente tedesco agli inizi del XX seco-
lo, sulla storia delle forme letterarie del cri-
stianesimo delle origini. Tale dibattito, sin-
tetizzato da Georg Strecker in Literaturge-
schichte des Neuen Testaments, prese le mosse
dalla distinzione operata da Franz Overbeck
tra Urliteratur e Literatur, ossia tra le forme
pre-letterarie e la letteratura patristica, iden-
tificando solo nella seconda una letteratura
in grado di esprimersi mediante forme lette-
rarie di alto livello, pari a quelle delle lettera-
tura classica. Sulla medesima linea di pensie-
ro, nel 1926 Martin Dibelius afferma, nel-
la sua Geschichte der urchristlichen Literatur,
che chiunque voglia comprendere le origi-
ni del cristianesimo deve analizzare in quali
forme esso abbia diffuso il proprio messag-
gio. Ancora, nel 1975 Philipp Vielhauer, pur
facendo propria la distinzione di Overbeck
e la sua definizione di christliche Urliteratur
E. Valeriani
che comprende i vangeli, gli atti, le apocalissi
e le lettere in quanto forme letterarie elabo-
rate all’interno delle comunità cristiane per
diffondere il messaggio di Cristo, estende
la letteratura protocristiana anche ai Padri
apostolici e ai vari vangeli, atti degli apostoli
e apocalissi cosiddetti apocrifi, ampliando-
ne di conseguenza i limiti cronologici. Il sor-
gere di un’idea di letteratura cristiana diver-
sa dalla patrologia, scarsamente interessata
all’aspetto letterario dei testi dei Padri, è sta-
to a lungo accompagnato dall’applicazione
di parametri di tipo rigidamente classicista
che ha prodotto due effetti diametralmente
opposti: in molti casi i critici hanno esclu-
so i testi cristiani dai maggiori trattati di let-
teratura antica, in altri li hanno assorbiti in
quest’ultima privandoli completamente del-
la loro particolare identità.
Il dibattito sul significato da attribuire ai
termini patristica, patrologia e letteratura
cristiana antica è tutt’altro che concluso, ma
al di là delle singole posizioni, ciò che mag-
giormente importa rilevare è il mutamento
di prospettive che ha interessato l’ambito de-
gli studi del tardo antico nel corso del No-
vecento, mutamento che ha coinvolto diret-
tamente anche le fonti letterarie cristiane. In
modo particolare, lo sviluppo della teologia
storica, in grado di interrogare i testi anti-
chi tenendo conto dell’ambito culturale, ge-
ografico e storico che li ha generati e in cui si
sono diffusi, ha legittimato l’utilizzo dei do-
cumenti letterari cristiani per l’interpreta-
zione storiografica dell’epoca tardo-antica.
Un quadro completo di queste novità meto-
dologiche si trova nel contributo di Jean Le-
clercq, Un demi-siècle de synthèse entre histoi-
re et théologie [1977].
Negli stessi anni diviene sempre più for-
te tra gli studiosi la convinzione che le opere
degli autori cristiani siano innanzitutto ope-
re letterarie, secondo l’affermazione di Jac-
ques Fontaine che, nell’introduzione al suo
lavoro dedicato alla letteratura cristiana in
lingua latina pubblicato a Parigi nel 1970, af-
ferma la necessità di un’analisi dei testi di or-
dine propriamente letterario. In questa dire-
zione, nel XX secolo si sviluppa un approccio
Patrologia e letteratura cristiana antica
ai testi cristiani di tipo interdisciplinare che,
mettendo in campo le diverse competenze
linguistiche, archeologiche, epigrafiche e ico-
nografiche, consente di allargare e arricchire
la ricerca relativa ai primi secoli del cristia-
nesimo. In definitiva, la graduale affermazio-
ne della letteratura cristiana antica quale di-
sciplina autonoma ha spostato la distinzione
degli ambiti di interesse dal piano terminolo-
gico a quello delle prospettive, consentendo,
tra l’altro, una visione più completa dell’an-
tichità cristiana.
Gli studiosi non sono stati concordi
nell’individuare l’inizio della produzione
letteraria cristiana. L’idea di dover conside-
rare distintamente gli scritti neotestamen-
tari, stabilizzati attraverso il canone, e i suc-
cessivi testi patristici è prevalsa a lungo, ma
da un punto di vista storico non vi è ragio-
ne di sostenere tale differenziazione. Inol-
tre, sebbene gli esiti del dibattito relativo alla
Urliteratur siano stati in buona parte supe-
rati, la grande rilevanza che esso ha attribui-
to all’aspetto letterario ha consentito di ol-
trepassare la linea di confine tracciata tra i
testi canonici e quelli non canonici ed è or-
mai opinione comune che la letteratura cri-
stiana inizi con i più antichi scritti conserva-
ti: le lettere dell’apostolo Paolo. Si tratta di
un corpus raccolto probabilmente già intor-
no agli anni 80 e, se si considera che la lettera
più antica è del 50 o 51, si comprende come
da subito esso sia stato considerato in modo
unitario. A ben vedere, già Girolamo nel De
viris inlustribus aveva incluso gli autori neo-
testamentari, fatto questo che non deve es-
sere sfuggito ad alcuni dei fautori di una
storia della letteratura cristiana, quali Krü-
ger, Harnack, Jordan che pure hanno com-
preso la letteratura neotestamentaria nelle
loro trattazioni. La fine del periodo patristi-
co è convenzionalmente fatta coincidere con
Giovanni Damasceno per l’Oriente greco
(m. 749) e con Beda per l’Occidente latino
(m. 735), secondo una periodizzazione frut-
to degli studi del Novecento, che ha ristretto
notevolmente i limiti temporali che fino ad
allora includevano nell’epoca patristica tutti
gli autori cristiani antichi e medievali.
1219
2.  Filologia e testi cristiani
2.1.  L’eredità di Jacques-Paul Migne
La rivoluzionaria impresa di Jacques-Paul
Migne, che in poco più di un ventennio rese
disponibili un numero imponente di opere
patristiche in lingua greca e latina, ha inau-
gurato una stagione nuova per lo studio e le
edizioni dei testi cristiani. Nel 1866, infat-
ti, inizia la pubblicazione del Corpus Scripto-
rum Ecclesiasticorum Latinorum (CSEL), a
cura dell’Accademia delle scienze di Vienna
che, secondo il progetto originario, avrebbe
dovuto sostituire le edizioni della Patrologia
Latina con altre rispondenti alle nuove esi-
genze della critica testuale.
Per quanto riguarda gli autori di lingua
greca, nel 1897 è stato pubblicato, sotto la di-
rezione dell’Accademia delle scienze di Berli-
no, il primo volume della collana Die griechi-
schen christlichen Schriftsteller (GCS), fonda-
ta da Harnack e inizialmente limitata ai pri-
mi tre secoli cristiani, ma che successivamente
ha allargato le sue pubblicazioni anche a scrit-
tori successivi, privilegiando gli storici. Già
qualche anno prima, sempre Harnack ave-
va dato inizio a un’importante collezione di
testi e studi dedicati ai risultati della ricerca,
Texte und Untersuchungen zur Geschichte der
altchristlichen Literatur (TU), che sarebbe di-
venuta di supporto ai GCS e di cui, in partico-
lare, va ricordata la serie Studia patristica, dove
sono raccolti i contributi presentati ai con-
gressi patristici quadriennali che si tengono
a Oxford dal 1951. Da un punto di vista del-
la ricerca, l’applicazione ai testi cristiani del-
le norme della filologia moderna ha dato un
forte impulso sia al reperimento di testi nuo-
vi in numerose biblioteche non soltanto euro-
pee, sia allo studio delle letterature orientali
che hanno trovato, in tal modo, un loro par-
ticolare ambito di pubblicazione. Dal 1897 al
1926, infatti, viene edita a Parigi la Patrologia
Syriaca (PS) e nel 1903 hanno preso avvio la
Patrologia Orientalis (PO) e il Corpus Scrip-
torum Christianorum Orientalium (CSCO)
che forniscono, oltre ai testi originali, la tra-
duzione in latino o in lingue moderne.
1220
Tra gli studiosi, la componente tedesca è
certamente predominante fino ai primi de-
cenni del Novecento, proprio per la maggio-
re competenza in ambito filologico, ma non
sono certo mancati studiosi di altre naziona-
lità. Si tratta per lo più di ecclesiastici catto-
lici la cui produzione scientifica ha indubbia-
mente risentito degli effetti della reazione an-
timodernista che con poca obiettività ha col-
pito anche figure assolutamente lontane dal-
le posizioni più radicali. L’Enciclica Pascendi
Dominici gregis, promulgata da Pio X l’8 set-
tembre 1907, contribuì non poco a far consi-
derare una minaccia per la dottrina della fede
ogni tentativo di applicare il metodo storico-
critico nell’interpretazione della sacra Scrit-
tura e a far condannare persone e pubblica-
zioni. Si pensi, ad esempio, all’Histoire an-
cienne de l’Église di Louis Duchesne pub-
blicata a Parigi, in tre volumi, tra il 1906 e
il 1910. L’azione del pontefice, da una parte,
cercava di fornire strumenti nuovi che per-
mettessero di confrontarsi con le varie novità
scientifiche, dall’altra toglieva dalla circola-
zione quei testi che venivano giudicati parti-
colarmente pericolosi. La stagione di repres-
sione che si era aperta con la condanna nel
1903 di alcune opere di un eminente esege-
ta e storico francese, Alfred Loisy, si inasprì
tra il 1910 e il 1914 colpendo soprattutto gli
studi incentrati sulla storia della Chiesa. In
misura minore furono colpiti quanti si con-
centrarono sulla ricerca filologica che trovò il
suo terreno privilegiato nei testi agiografici,
in parte pubblicati già dalla fine dell’Otto-
cento nella rivista «Analecta Bollandiana»
e nella collana Hagiographica. In questo am-
bito va ricordato Hippolyte Delehaye, un ge-
suita belga entrato tra i bollandisti nel 1891,
la cui attività di editore di testi e di autore di
studi relativi alla letteratura sul culto e sul-
la memoria dei martiri fu intensa e proficua,
nonostante le vicende della crisi modernista
che lo videro coinvolto.
Anche in Italia, in quegli anni, alcuni stu-
diosi cattolici si distinsero nelle ricerche agio-
grafiche, fra questi il prete Francesco Lanzo-
ni che dedicò due volumi alle origini delle
diocesi cristiane, con particolare riferimento
E. Valeriani
all’aspetto agiografico, e che fu autore di ol-
tre settecento pubblicazioni a dispetto delle
pressioni che tentarono di restringere e sof-
focare la sua opera di storico. In questo cli-
ma di sospetti e provvedimenti disciplinari,
Giovanni Mercati rappresenta una fortunata
eccezione dal momento che egli poté lavora-
re per oltre un sessantennio nella Biblioteca
Apostolica Vaticana spaziando in numerosi
campi di ricerca e raggiungendo esiti impor-
tanti per la storia dei testi cristiani nell’ambi-
to della filologia biblica e patristica. Nel cor-
so del secolo l’interesse per gli scritti agio-
grafici si è allargato sempre di più, proprio in
concomitanza allo sviluppo di tutto un set-
tore della ricerca relativo alla vita religiosa e
sociale delle prime comunità cristiane, fon-
dato principalmente su un approccio socio-
logico alle espressioni letterarie e storiche del
tardo antico. Le narrazioni agiografiche, in-
fatti, essendo finalizzate all’edificazione dei
credenti mediante la promozione del culto
di un santo e la conservazione della memoria
della sua vita, hanno dato origine a un gene-
re letterario popolare in grado di aprire uno
spaccato sulla società del tempo dell’agiogra-
fo. La loro composizione, estesa in un arco di
tempo che va dal IV all’VIII secolo, ha gene-
rato testi che oscillano tra scrittura e orali-
tà essendo oggetto di continue rielaborazioni
che li rendono espressione viva e diretta della
religiosità popolare.
La tendenza a porre l’accento sui diver-
si aspetti della mentalità religiosa dà segui-
to alla proposta avanzata nel 1931 da Gabriel
Le Bras di provare a comprendere la religione
cristiana a partire dal popolo dei fedeli, met-
tendo in secondo piano la storia delle dottri-
ne e degli eventi istituzionali. In tale dire-
zione si colloca Jean Delumeau che nel 1979
pubblica l’Histoire vécue du peuple chrétien il
cui primo volume è dedicato quasi per intero
alla vita quotidiana dei cristiani dei primi se-
coli. Tra le diverse tematiche che si inserisco-
no in questo filone, un’importanza partico-
lare lo studio delle fonti «al femminile» teso
a porre in risalto il ruolo della donna all’in-
terno delle antiche comunità cristiane, aspet-
to della ricerca storica che però più degli altri
Patrologia e letteratura cristiana antica
soffre della mancanza di documentazione,
soprattutto se si tiene conto che le fonti lette-
rarie cosiddette alte non forniscono elementi
in questo senso. Infatti, la maggior parte del
materiale utile allo studioso proviene quasi
esclusivamente dalla letteratura agiografica e
da una serie di fonti non propriamente lette-
rarie, quali iscrizioni, canoni sinodali o mo-
numenti funerari.
Durante il ventennio che separa le due
guerre, gli studi patristici procedono con
maggiore difficoltà, pur continuando sul-
la linea metodologica tracciata fino ad allo-
ra. L’edizione critica di testi subisce un cer-
to rallentamento, ma non mancano pubbli-
cazioni di notevole valore scientifico.
Pur continuando una prevalente presenza
tedesca, cominciano ad affacciarsi sulla sce-
na anche studiosi di nazionalità francese e
inglese, segno questo di un primo passo ver-
so l’internazionalizzazione dello studio della
letteratura cristiana antica. In questo senso,
un forte impulso arriva anche dalla graduale
ricomposizione delle divisioni tra gli studiosi
cattolici e protestanti che per anni hanno ca-
ratterizzato l’approccio ai testi in modo stret-
tamente apologetico, a discapito dell’am-
bito dottrinale. Nel 1921 Harnack pubbli-
ca una monografia su Marcionen (la 2a edi-
zione, riveduta e ampliata, è del 1924), ope-
ra che rimane insostituibile per la ricostru-
zione del testo biblico utilizzato dall’eretico
e che costituisce anche l’ultima fatica scien-
tifica di questo critico. Sempre in Germa-
nia si distingue l’attività di Eduard Schwartz
che, dopo aver pubblicato nei GCS l’Historia
ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, dal 1914 al
1938, cura l’edizione degli Acta Conciliorum
oecumenicorum e negli anni Quaranta quella
della Collectio Sabbaitica.
A cavallo tra le due guerre e soprattut-
to nei decenni immediatamente successivi
la fine dell’ultima, in Francia lo studio del-
la letteratura cristiana antica riceve un for-
te slancio grazie alla pubblicazione di testi.
Nel 1937 Germain Morin cura l’edizione
dei sermoni di Cesario di Arles e nello stes-
so anno viene fondato a Parigi l’Institut de
Recherche et d’Histoire des Textes che pos-
1221
siede una vasta raccolta di riproduzioni foto-
grafiche di manoscritti greci, latini e orien-
tali. Ancora in pieno conflitto mondiale,
un gruppo di gesuiti avvia a Lione la collana
Sources Chrétiennes (SCh), inizialmente solo
in traduzione francese, ma presto corredata
dei testi in lingua originale. I suoi iniziato-
ri, nel 1942, furono Henri de Lubac e Jean
Daniélou insieme con Victor Fontoynont e
Claude Mondésert. Sebbene la traduzione
del testo critico in una lingua moderna non
sia stata subito accolta positivamente perché
considerata espressione di un decadimento
della conoscenza delle lingue classiche, essa
invece ha risposto all’esigenza di proporre i
testi cristiani a un pubblico più ampio e que-
sto spiega come mai, nei decenni successivi,
siano nate altre collezioni di testi con tradu-
zioni a fronte in italiano, inglese, spagnolo e
tedesco.
Tra le grandi iniziative editoriali del se-
condo dopoguerra non si può non menzio-
nare l’inizio nel 1954, nell’abbazia belga di
Steenbrugge, del Corpus Christianorum con
una Series Latina (CCL), ben presto affian-
cata da una continuazione medievale, poi da
una Series Graeca (CCG) e infine da una ri-
servata ai testi apocrifi. Lo studio sistemati-
co della tradizione manoscritta è stato sup-
portato dalla pubblicazione della Clavis Pa-
trum Latinorum a cura di Eligius Dekkers
nel 1951 e della Clavis Patrum Graecorum
a cura di Maurice Geerard in cinque volumi
dal 1947 al 1987 con un supplemento edito
nel 1998. Tra questi nuovi strumenti di lavo-
ro Adalbert-Gauthier Hamman, dal 1958 al
1974, cura quattro volumi, più uno di indi-
ci, del Patrologiae Latinae Supplemementum
(PLS).
Gli anni Quaranta segnano anche una
nuova stagione di scoperte di testi davve-
ro importanti. Nel 1941 viene rinvenuto a
Tura, nell’alto Egitto, un gruppo di papiri
del VI o VII secolo che ha permesso di com-
pletare l’edizione dei commentari esegetici
di Didimo il Cieco, oltre a restituire il tratta-
to Sulla Pasqua di Origene. Nel 1945 a Nag
Hammadi, nell’Egitto meridionale, è la vol-
ta di un cospicuo numero di testi gnostici in
1222
copto, trascritti tra IV e V secolo, che han-
no confermato la struttura fondamentale del
pensiero gnostico, conosciuto fino a quel mo-
mento soltanto grazie a fonti indirette per lo
più riferibili alla polemica portata avanti da
coloro che lo avversavano come Ireneo, Cle-
mente e Origene. Infine, tra il 1947 e il 1960
vengono rinvenuti numerosi manoscrit-
ti sulle rive del Mar Morto, in particolare a
Qumran, contenenti documenti in ebraico,
aramaico e greco trascritti in un arco di tem-
po compreso tra il III secolo prima di Cristo
e il I secolo dopo Cristo. Molti di questi te-
sti sono biblici e le ripercussioni sugli studi
del cristianesimo antico e della tradizione te-
stuale biblica sono state notevoli. In partico-
lare, queste nuove acquisizioni hanno forni-
to ulteriori elementi per comprendere lo svi-
luppo dottrinale e l’evoluzione culturale del
cristianesimo delle origini, tenendo conto
non solo dell’influsso ellenistico e orientale,
ma anche delle correnti eretiche e giudeocri-
stiane, favorendo una visione unitaria della
cultura cristiana dei primi secoli.
L’ambito in lingua latina non ha potuto
usufruire di scoperte di così ampia portata,
ma grazie alle accurate ricerche condotte sui
materiali posseduti dalle biblioteche, ha co-
munque potuto acquisire nuovi testi, come
nel caso delle 31 lettere di Agostino inedi-
te fino al 1981, o ricostruire con maggiore
esattezza l’eredità letteraria di alcuni autori,
come ad esempio Pelagio e i suoi seguaci.
2.2.  Storia dell’esegesi patristica
Tra le scoperte di testi occupano un posto
particolare le edizioni delle catene esegeti-
che greche, commentari biblici di origine bi-
zantina che riportano, in successione, estrat-
ti di opere esegetiche anteriori relative a uno
stesso libro della Bibbia. Sebbene alcune ca-
tene siano state stampate già nel Cinquecen-
to, solo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio
del Novecento, in Germania, si comincia a
studiare questo immenso materiale con cri-
terio scientifico, così come dimostra la pub-
blicazione nel 1902 di uno strumento fonda-
mentale, il Catenarum Graecarum catalogus,
E. Valeriani
curato da Hans Lietzmann e Georg Karo,
che classifica tutte le catene conosciute rela-
tive all’antico e al nuovo testamento. Qual-
che anno prima, Michael von Faulhaber ave-
va analizzato quelle relative ai libri profetici,
pubblicando nel 1899 il volume Die Prophe-
ten-Catenen nach römischen Handschriften.
Si ritiene che l’inventore del genere cate-
nario sia Procopio di Gaza, un letterato di
spicco dell’ambiente palestinese che, intor-
no alla metà del VI secolo, compose nume-
rosi commentari in forma di catene sull’Ot-
tateuco, sui libri dei Re, sui Proverbi, sull’Ec-
clesiaste e sul Cantico dei Cantici. Non è un
caso, dunque, che a mettere in evidenza l’im-
portanza di queste opere compilative per la
trasmissione dei testi cristiani e per lo svi-
luppo della filologia sia stato Paul Wendland
durante i suoi studi proprio su Procopio di
Gaza, per la preparazione dell’edizione del-
le opere di Filone di Alessandria, curata in-
sieme con Leopold Cohn e Siegfried Rei-
ter e pubblicata a Berlino in sei volumi tra
il 1896 e il 1915. Per quanto riguarda le ca-
tene esegetiche neotestamentarie si deve at-
tendere il 1933, anno della pubblicazione del
Pauluskommentare aus der griechischen Kir-
che aus Katenenhandschriften gesammelt di
Karl Staab.
Si tratta, dunque, di materiale frammen-
tario che ha permesso di conoscere, seppure
in maniera incompleta, opere altrimenti sco-
nosciute di autori noti e apprezzati nel loro
tempo, aggiungendo tasselli importanti alla
storia dell’esegesi patristica che, senza dub-
bio, ha svolto un ruolo centrale per lo svilup-
po teologico e per la diffusione della religio-
ne cristiana nei primi secoli.
La storia dell’esegesi è un ambito di ricer-
ca che risale all’età della Riforma, ma che ha
avuto poco spazio nell’indagine sulle origini
cristiane almeno fino alla metà del Novecen-
to, soprattutto a causa del contrasto tra cat-
tolici e protestanti che ha fatto concentrare
l’interesse di buona parte degli studiosi sul-
le questioni dottrinali e politiche della Chie-
sa degli inizi.
I primi a dare risultati di grande interes-
se nell’ambito della storia dell’esegesi sono
Patrologia e letteratura cristiana antica
stati alcuni studiosi francesi la cui sede pri-
vilegiata di pubblicazione è stata la collana
di Sources Chrétiennes e non è certo un caso
che i primi testi pubblicati siano stati alcu-
ne raccolte di omelie esegetiche di Orige-
ne, con l’intenzione evidente di porre l’ac-
cento sull’importanza dell’interpretazione
della sacra Scrittura nel pensiero teologico
dell’alessandrino. Tra il 1948 e il 1950 ven-
gono pubblicati due importanti studi dedi-
cati all’esegesi origeniana a cura di Daniélou
e de Lubac, che hanno il merito non solo di
aver determinato il recupero della figura di
Origene, ma anche di inaugurare una nuova
stagione per gli studi esegetici che da questo
momento ricevono la giusta attenzione an-
che in relazione al ruolo fondamentale che
proprio l’esegesi ha svolto nella formazione
della cultura patristica. Già nel 1931 Wal-
ther Völker si era occupato di Origene, sot-
tolineando l’importanza della sua esegesi per
la spiritualità cristiana, senza però riuscire a
rompere il fronte di studiosi che continua-
va a considerare la sua produzione letteraria
marginale a causa delle posizioni dottrinali
da lui sostenute. In questo quadro si inseri-
sce il grande interesse per l’ambiente alessan-
drino, come dimostra il volume su Clemen-
te curato da Claude Mondésert [1944] in cui
viene ben evidenziato il legame tra riflessio-
ne teologica e commento della sacra Scrittu-
ra. Non potendo citare qui l’estesa bibliogra-
fia in lingua francese dedicata all’esegesi, si
deve almeno ricordare l’elaborazione di uno
strumento che raccoglie le citazioni bibliche
nella letteratura patristica pubblicato a Pari-
gi dal 1975, Biblia patristica. Index des cita-
tions et allusions bibliques dans la littératu-
re patristique. A margine di questa iniziati-
va è nata nel 1987 la collana Cahiers de Bi-
blia patristica, interamente dedicata alla sto-
ria dell’esegesi patristica.
In Italia, un apporto significativo alla let-
teratura esegetica è dato da un gruppo di ri-
cerca costituitosi nel 1983 e al quale afferi-
scono studiosi di diverse università, per lo più
statali, che cura la pubblicazione della rivista
«Annali di storia dell’esegesi», dal 1990 con
cadenza semestrale e con una Bibliografia ge-
1223
nerale di storia dell’interpretazione biblica.
Esegesi, ermeneutica, usi della Bibbia.
Nel 1985 un grande filologo e storico ita-
liano, Manlio Simonetti, pubblica il volume
Lettera e/o Allegoria. Un contributo alla sto-
ria dell’esegesi patristica, uno studio fonda-
mentale incentrato sulla dialettica tra alle-
gorismo alessandrino e letteralismo antio-
cheno all’interno della produzione lette-
raria cristiana tra I e V secolo. Si tratta di
un’opera d’insieme, la prima nel suo gene-
re rispetto ai numerosi contributi pubblicati
dagli anni Sessanta in poi da diversi autori,
non solo italiani, dedicati alle tecniche ese-
getiche di singoli scrittori. Un aspetto pe-
culiare della ricerca di Simonetti riguarda
la terminologia esegetica, in relazione ai di-
versi filoni interpretativi. Ciò ha contribui-
to da un lato a liberare il campo da pregiudi-
zi di tipo apologetico nei confronti dell’al-
legoria, dall’altro ad aprire la strada a una
ricomprensione della letteratura esegetica,
in stretto legame con la riflessione dottrina-
le, conferendole lo statuto di disciplina sto-
riografica. La produzione scientifica di Si-
monetti, dedicata alla storia dell’esegesi pa-
tristica e non solo, è stata decisiva, sia per
quanto riguarda l’ermeneutica di singoli au-
tori, sia per quanto riguarda gli studi di ca-
rattere generale, portando l’Italia ad occu-
pare un posto di primo piano nel panorama
internazionale degli studi.
L’estendersi dell’analisi esegetica alla pre-
dicazione, genere peculiare della produzione
cristiana, ha influito in modo decisivo sullo
studio della dottrina consentendo in molti
casi di rivalutare l’importanza e l’originali-
tà di alcuni scrittori. Le pubblicazioni cura-
te da Völker, Daniélou, de Lubac, Crouzel e
von Balthasar su Origene hanno infatti avu-
to indubbie ripercussioni sulla storia dell’ese-
gesi in generale, rinnovando problematiche
e metodologie di ricerca. Su questa linea si
pongono alcuni studiosi italiani che da vari
anni si occupano di questo esegeta median-
te l’organizzazione di convegni e la pubbli-
cazione di un periodico completamente de-
dicato all’alessandrino, «Adamantius. Noti-
ziario del Gruppo Italiano di ricerca su Ori-
1224
gene e la tradizione alessandrina». Nel con-
testo della ricca attività di ciascuno dei mem-
bri di questo gruppo, è stato pubblicato nel
2000 un dizionario origeniano.
La rinnovata fioritura degli studi esegetici
in Italia è tanto più rilevante se si considera-
no gli effetti che ebbe su di essi il dibattito re-
lativo all’esegesi biblica nella prima metà del
Novecento quando, nel clima della crisi mo-
dernista, fu di fatto vietato il ricorso ai Padri.
In una pubblicazione del 1908, La Genesi con
discussioni e critiche, Salvatore Minocchi te-
stimonia infatti come in quel periodo l’ese-
gesi patristica fosse considerata un ambito di
ricerca ormai praticamente concluso.
In Spagna, l’Introducción a la teología de
los siglos II y III di Antonio Orbe [1988] se-
gna un notevole passo in avanti nell’analisi
della riflessione teologica dei diversi autori,
compresi gnostici e marcioniti, fondando-
la sull’esame della loro linea ermeneutica,
proprio partendo dal presupposto che le ar-
gomentazioni dottrinali sono state alla base
di un certo tipo di interpretazione del testo
biblico. La vastissima e fondamentale biblio-
grafia di Orbe è stata pubblicata dal suo al-
lievo Eugenio Romero Pose, di cui bisogna
ricordare gli studi sulla figura e sull’esegesi
di Ticonio e l’innovativa edizione del Com-
mento all’Apocalisse di Beato di Liébana.
Nei paesi di lingua inglese e tedesca lo stu-
dio dell’esegesi patristica ha mantenuto una
posizione secondaria rispetto a quello stori-
co-dottrinale, ma non sono mancati lavori
apprezzabili di singoli studiosi su temi parti-
colari, come dimostrano alcuni volumi pub-
blicati nella seconda metà del Novecento.
Una recente opera dedicata all’esegesi bibli-
ca in età patristica è l’Handbook of Patristic
Exegesis [2004] di Charles Kannengiesser,
completo di una ricchissima bibliografia.
L’importanza dell’esegesi patristica si
estende, inoltre, all’ambito della recezione
dei Padri nei secoli a loro successivi. Si tratta
di un filone di grande attualità soprattutto
per il suo carattere interdisciplinare che con-
sente di comprendere quanto e come il pen-
siero dei Padri abbia influito nella cultura
umanistica attraverso i secoli.
E. Valeriani
2.3.  Le lingue dei Padri e le traduzioni pa-
tristiche
Un notevole contributo alla qualità della
pubblicazione dei testi arriva anche da alcu-
ni studi sulla lingua utilizzata dai primi cri-
stiani. Nel 1932 il linguista olandese Joseph
Schrijnen imposta lo studio del latino cristia-
no antico su basi moderne e scrive un saggio,
Charakteristik des altchristlichen Latein che
può essere considerato il manifesto della co-
siddetta scuola di Nimega, rappresentata in
particolar modo dalla sua allieva Christine
Mohrmann, che ha dato un impulso notevo-
lissimo allo studio della disciplina. Tra le at-
tività della scuola di Nimega va ricordata la
pubblicazione della rivista «Vigiliae Christia-
nae» e della collana Latinitas Christianorum
Primaeva seguita solo negli anni Sessanta dal-
la serie analoga Graecitas Christianorum Pri-
maeva. L’idea che la lingua parlata dai primi
cristiani avesse dei caratteri propri fu intuita
da Frédéric Ozanam che ne tracciò gli aspet-
ti peculiari nel suo Comment la langue latine
devint chrétienne alla fine dell’Ottocento con
il limite, però, di rimanere all’ambito dello
stile. Nell’analisi dell’origine e delle caratteri-
stiche della latinità cristiana ha conseguito ri-
sultati di rilievo la scuola svedese il cui capofi-
la, Einar Löfstedt, ha prodotto lavori davvero
significativi sul latino tardo.
Il greco non ha certo ricevuto le stesse at-
tenzioni, nonostante sia stata senza dubbio la
lingua dominante dell’antica letteratura cri-
stiana. La maggior parte degli studi che ha
avuto per oggetto le questioni legate alla lin-
gua greca ha preferito infatti approfondire
l’aspetto stilistico, tralasciando le caratteri-
stiche linguistiche, probabilmente partendo
dal presupposto che il greco letterario, dal II
secolo dopo Cristo, non abbia subito trasfor-
mazioni di rilievo rispetto a quello classico.
L’Oriente cristiano antico, però, non si
esprimeva solo in greco o in latino, ma an-
che in siriaco, in copto, in armeno, in geor-
giano, in arabo, in etiopico e in nubiano, ge-
nerando altrettante letterature che si svilup-
pano fra i secoli IV e X, caratterizzatesi come
letterature di traduzione, innanzitutto del-
Patrologia e letteratura cristiana antica
le sacre Scritture. L’importanza delle tradu-
zioni patristiche da un punto di vista filolo-
gico è indiscutibile, dal momento che esse
restituiscono opere altrimenti perdute, op-
pure forniscono recensioni migliori rispetto
alla tradizione diretta. Interessante è anche il
caso della letteratura in lingua irlandese che,
malgrado la mancanza di una traduzione
della scrittura, dal VII secolo in poi riscrive
molti apocrifi neotestamentari. Non meno
importante è il ruolo culturale dei processi
di traduzione che, in alcuni casi, coincidono
con l’inizio della produzione letteraria scrit-
ta propria di una lingua. Si pensi, ad esem-
pio, alla versione gotica che risale alla metà
del IV secolo, e a quella in paleoslavo, inizia-
ta nel IX secolo, per le quali sono stati creati
i relativi alfabeti. Nel complesso, dunque, si
tratta di una produzione letteraria che testi-
monia la pluralità culturale del cristianesimo
e la progressiva crescita delle Chiese cristia-
ne e che evidenzia il ruolo fondamentale del-
la letteratura nella costruzione dell’identità
cristiana nei primi secoli e nella sua ricostru-
zione da un punto di vista storico.
3.  Le scritture cristiane
3.1.  Il Nuovo Testamento
Tra la metà del I secolo e i primi decenni
del II vengono composti tutti i testi del Nuo-
vo Testamento poi dichiarati canonici, ma se
si prendono in considerazione anche i cosid-
detti apocrifi il periodo di composizione si
estende fino al Medioevo.
L’indagine scientifica sul problema neo-
testamentario e sulla genesi della scrittu-
ra cristiana ha avuto largo spazio nel cor-
so del Novecento secolo, ma ha visto i suoi
inizi già nella seconda metà dell’Ottocen-
to, grazie alla scoperta di un cospicuo nume-
ro di manoscritti biblici. Il primo a compila-
re un elenco di codici greci neotestamentari
è stato Johannes M. A. Scholz che, tra l’al-
tro, ha distinto due grandi famiglie di testi-
moni, l’alessandrina e la costantinopolitana.
In quegli stessi anni, precisamente nel 1831,
1225
Karl Lachmann manda in stampa un’edizio-
ne del nuovo testamento basata principal-
mente su antichi codici in maiuscola, con
l’intenzione di ricostruire il testo in uso alla
fine del IV secolo. Tra il 1841 e il 1872, Con-
stantin von Tischendorf, in seguito alla sco-
perta di diciotto manoscritti maiuscoli (tra
cui il Sinaitico) e di sei minuscoli, pubblica
otto edizioni del nuovo testamento, l’ulti-
ma delle quali contiene in apparato tutte le
varianti conosciute.
Sempre alla fine dell’Ottocento un gran-
de passo in avanti nella critica testuale neo-
testamentaria è rappresentato dal testo edi-
to da Brooke Foss Westcott e Fenton J.A.
Hort [1881] e dalla prima edizione, nel 1898,
del Novum Testamentum Graece a cura di
Eberhard Nestle. Tra il 1902 e 1913 vengo-
no pubblicati a Berlino e Göttingen i quattro
volumi dell’edizione di Hermann Freiherr
von Soden il quale, nonostante la collazione
di un gran numero di manoscritti per la pre-
parazione di un imponente apparato critico,
non ha eguagliato il rigore scientifico di Ne-
stle, il cui testo critico ha continuato a essere
revisionato, prima dal figlio Erwin e poi an-
che da Kurt Aland, fino a raggiungere la ven-
tisettesima edizione nel 1993.
Un’altra importante iniziativa è l’edizio-
ne bilingue, curata dal gesuita Augustinus
Merk, in greco con il testo latino della Vul-
gata a fronte. A lui si devono le prime quat-
tro edizioni, dal 1933 al 1945, anno della sua
morte, ma il suo lavoro è stato continuato da
altri gesuiti fino alla nona edizione del 1964
a cura di Carlo Maria Martini. A questa sono
seguite alcune ristampe e nel 1990 un’edizio-
ne con testo italiano a fronte (si tratta della
versione italiana della CEI) a cura di Giusep-
pe Barbaglio. L’undicesima e ultima edizio-
ne è del 1992, Novum Testamentum graece et
latine, apparatu critico instructum, con la ver-
sione Sisto-Clementina (1592) a fronte.
Per quanto riguarda altre edizioni bilin-
gui, vanno menzionate quella greco-ingle-
se del 1981, quella greco-tedesco del 1986 e
quella greco-latino (con la Neovulgata) del
1983; il testo greco in questo caso è quel-
lo della ventiseiesima edizione del Nestle -
1226
Aland curata, oltre che da Kurt Aland, an-
che da un gruppo di studiosi di grosso cali-
bro come Matthew Black, Carlo M. Martini,
Bruce M. Metzger e Allen Wikgren e pubbli-
cata a Stoccarda nel 1979. Il medesimo grup-
po di lavoro provvederà in seguito all’edizio-
ne del The Greek New Testament, per la Uni-
ted Bible Societies, provvista di un apparato
critico appositamente strutturato per veni-
re incontro alle esigenze dei traduttori e de-
gli studenti; questo testo è giunto alla quarta
edizione nel 1993.
Nell’ambito della ricerca attuale sul testo
neotestamentario, va segnalato il lavoro por-
tato avanti a Münster dall’Institut für neu-
testamentliche Textforschung sorto intorno
agli anni Quaranta e impegnato in un pro-
getto che intende pubblicare il testo del Nuo-
vo testamento restituito dai papiri. Un’altra
iniziativa vede coinvolti studiosi americani e
inglesi (American and British Committees
of the International Greek New Testament
Project) la cui attività prevede l’edizione dei
singoli libri neotestamentari corredati di ap-
parato critico. Esiste anche un progetto, an-
cora in fase di avvio, finalizzato alla produ-
zione di un’edizione online del nuovo testa-
mento corredata di riproduzioni fotografiche
dei manoscritti. L’ideatore di questo «para-
diso dei filologi neotestamentari» è uno stu-
dioso australiano, David Harley.
Una delle prime questioni oggetto dell’in-
dagine storico-critica dei testi neotestamen-
tari è quella relativa alla composizione lette-
raria dei vangeli e delle loro fonti. Nel 1838
Christian H. Weisse e Christian G. Wilke
hanno proposto separatamente la teoria delle
due fonti secondo la quale Matteo e Luca tra
loro indipendenti avrebbero utilizzato come
fonti sia il Vangelo di Marco, sia la cosiddet-
ta fonte Q (da Quelle che in tedesco significa
fonte), una raccolta di detti del Signore sco-
nosciuta a Marco. Nel 1901 William Wrede,
partendo dalla lettura del vangelo di Marco,
ha posto l’accento sulla prospettiva teologi-
ca di ciascun evangelista, evidenziando come
la presentazione della persona di Gesù non si
possa far risalire direttamente a Gesù stesso.
Questo approccio al testo, noto come critica
E. Valeriani
delle fonti (Quellengeschichte), si è incentrato
sul problema sinottico. Un ventennio più tar-
di compaiono gli studi di Karl Ludwig Sch-
midt, Martin Dibelius e Rudolf Bultmann,
rappresentanti della cosiddetta scuola stori-
co-morfologica (Formgeschichte Schule), re-
lativi ai diversi materiali confluiti nei van-
geli sinottici. Il metodo della storia delle for-
me mette in discussione l’unità del raccon-
to evangelico, separando il materiale tradi-
zionale da quello redazionale. Al contrario,
il metodo della storia della redazione (re-
daktionsgeschichtliche Schule), esamina gli in-
terventi redazionali dell’evangelista, focaliz-
zando l’attenzione sulla redazione finale dei
testi. Uno studio fondamentale su questo in-
dirizzo metodologico rimane quello di Willy
Marxsen che per primo ha utilizzato l’espres-
sione «critica della redazione» per indicare
l’opera del redattore definitivo, in particola-
re degli autori dei sinottici.
3.2.  Gli apocrifi cristiani antichi
La crescente attenzione della ricerca per la
critica neotestamentaria ha dato un notevo-
le impulso anche allo studio della letteratura
apocrifa cristiana.
Negli ultimi trent’anni l’approccio inter-
disciplinare, applicato a questi scritti da im-
portanti équipes internazionali, ha finalmen-
te restituito loro la giusta collocazione all’in-
terno della letteratura cristiana antica di cui
vanno considerati parte integrante e non pro-
dotti letterari di second’ordine. Un segna-
le indicativo di questo cambiamento di pro-
spettive è il fatto che si parli di apocrifi cri-
stiani antichi e non più di apocrifi del nuovo
testamento. Quest’ultima definizione risale
all’edizione del 1703 di una raccolta di testi
a cura di Johann A. Fabricius, Codex Apocry-
phus Novi Testamenti collectus, ripubblicata
con lo stesso titolo nel 1719. La pubblicazio-
ne del Codex apocryphus Novi Testamenti a
cura di Johann-Karl Thilo nel 1832 ripropo-
ne la medesima organizzazione della materia.
Continuano su questa linea metodologica le
successive edizioni eseguite da critici come
Tischendorf, Lipsius, Bonnet fino ad arrivare
Patrologia e letteratura cristiana antica
alle traduzioni nelle lingue moderne. La pri-
ma di queste è stata la raccolta Neutestamen-
tliche Apokryphen di cui sono state pubblica-
te ben cinque edizioni, due dirette da Edgar
Hennecke nel 1904 e nel 1924, e le ultime tre
da Wilhelm Schneemelcher nell’arco di un
trentennio [1959-1989]. Mantengono il tito-
lo dato dal Fabricius anche la traduzione in-
glese curata da Montague Rhodes James nel
1924, The Apocryphal New Testament, e le
raccolte in italiano a cura di Luigi Moraldi
[1971] e di Mario Erbetta [1966-1981] che,
tra l’altro, accolgono la definizione di «apo-
crifi» fornita da Schneemelcher nell’intro-
duzione al volume del 1959. Tale definizio-
ne, criticata da Éric Junod in un dettagliato
articolo del 1983 e poi in un altro del 1992,
parte dal presupposto che questi testi siano
da considerare solo in relazione agli scritti,
più o meno coevi, del nuovo testamento.
Gli studi più recenti hanno però comple-
tamente ribaltato questo punto di vista, dan-
do agli scritti apocrifi lo statuto di tradizio-
ni memoriali che si riferiscono a eventi con-
tenuti nella Bibbia, ovvero a figure apparte-
nenti al cristianesimo o alla tradizione giu-
daica. La peculiarità di questi testi non deri-
va, dunque, dal fatto che non siano stati in-
clusi nel canone neotestamentario, ma dal
contesto che li ha generati e dall’aver accolto
al proprio interno tradizioni locali e antiche
tradizioni orali. Proprio per questo, sebbene
siano stati suddivisi in vangeli, atti, lettere e
apocalissi, gli studiosi non ritengono legitti-
mo far rientrare tutti gli apocrifi in queste
categorie così da creare un corpus apocrifo da
contrapporre a quello del nuovo testamento.
Si tratta, infatti, di un’operazione moderna
che prescinde completamente dal contesto
storico e geografico in cui sono stati prodot-
ti i singoli testi non comprendendone la pe-
culiarità. Inoltre, se si tiene conto dell’utiliz-
zo di queste opere da parte di scrittori eccle-
siastici come Giustino, Clemente, Origene
appare evidente come sin dall’origine non ci
siano differenze reali tra canonici e apocrifi,
dal momento che entrambi sono ugualmen-
te espressione e veicolo della fede delle diver-
se comunità cristiane.
1227
In tal senso, la ricostruzione storico-filo-
logica dei testi è stata fondamentale e in que-
sto campo si distingue il lavoro scientifico
dell’Association pour l’Étude de la Littératu-
re Apocryphe Chrétienne (AELAC), fonda-
ta nel 1981 con l’obiettivo di pubblicare edi-
zioni critiche degli apocrifi cristiani antichi,
corredate di traduzione e commento. I testi
critici sono pubblicati nel Corpus Christia-
norum. Series apocryphorum, di cui sono ap-
parsi quindici volumi dal 1983 al 2003. Nel
1992 Maurice Geerard pubblica anche la
Clavis Apocryphorum Novi Testamenti, uno
strumento di lavoro analogo ai repertori de-
dicati ai testi dei Padri greci e latini.
L’edizione degli scritti apocrifi presen-
ta parecchie difficoltà perché il fatto stesso
che non siano stati cristallizzati in un cano-
ne li ha resi oggetto di frequenti operazio-
ni di riscrittura e di attualizzazione. Questo
fenomeno non permette di fissare una vera
e propria forma testuale, anche in conside-
razione della grande varietà di lingue in cui
tali testi sono stati diffusi; proprio per que-
sto i volumi della Series apocryphorum rac-
colgono e presentano anche tutte quelle fon-
ti che contribuiscono, direttamente o indi-
rettamente, alla conoscenza di uno scritto
apocrifo. Di particolare interesse è dunque
la collezione degli Instrumenta, indirizzata a
un pubblico di specialisti, che raccoglie tut-
ti i materiali analizzati nella fase prelimina-
re dei lavori di preparazione dei volumi del-
la Series apocryphorum e che abbraccia cam-
pi differenti come la filologia, la linguistica,
la teologia e la storia. Un’altra collana curata
dall’AELAC è quella degli Apocryphes che
propone la traduzione francese dei testi del-
la Series apocryphorum accompagnata da in-
troduzioni e annotazioni pensate per agevo-
lare la lettura e la compresione da parte di
un pubblico più vasto. Nel 1990 viene pub-
blicato il primo volume della rivista «Apo-
crypha» che ospita contributi di studiosi di
diverse nazionalità e di diverse competen-
ze, pubblicata, con cadenza annuale, con il
concorso scientifico dell’AELAC e della So-
ciété pour l’Étude de la Littérature Apocry-
phe Chrétienne (SELAC). Un’altra raccol-
1228
ta in traduzione francese è quella ospitata in
due volumi della Bibliothèque de la Pléiade
frutto della collaborazione dell’AELAC e
delle edizioni Gallimard. La scelta dei testi
e l’organizzazione dei volumi riflette perfet-
tamente i nuovi orientamenti della ricerca,
tesi a valorizzare l’estensione temporale e la
diversità dei generi letterari della produzio-
ne degli apocrifi.
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