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Dante

– Inferno
Canto I


Il Canto I funge da proemio dell’opera intera. Nel canto I l’inferno non si vede ancora.
Dante si è smarrito e tre belve gli sbarrano il cammino. Questi elementi hanno valore
simbolico (tipico della cultura medievale), non sono inventati ex novo da Dante ma traggono
fondamento dai testi sacri: dalla Bibbia e dai Padri della Chiesa.
Sant’Agostino aveva paragonato la vita a una selva immensa, piena d’insidie.
Dante, nel Convivio, parla di “selva erronea di questa vita”.
“ Nel mezzo del cammin di nostra vita” significa “a metà della vita”, è una ripresa scritturale
tratta dal profeta Isaia “Nel mezzo dei miei giorni me ne andrò, alle porte della sceòl (in
ebraico equivale a Inferi)”. Lo stesso tema lo troviamo nella Vulgata di San Girolamo (testo
in uso per secoli dalla Chiesa Cattolica e usato anche da Dante) e nella Bibbia, quando Isaia va
a trovare Ezechia, re di Giudea, malato preannunciandogli la morte, Ezechia invoca Dio che,
parlandogli per bocca di Isaia, gli concede altri quindici anni di vita. Isaia a seguito di questa
vicenda, riporta un salmo composto da Ezechia contenente lo stesso incipit della Commedia di
Dante. Il salmo di Isaia termina con un ringraziamento per la salvezza. La Commedia,
rappresenta essa stessa un percorso di salvezza dal peccato, un percorso verso la liberazione
e la beatitudine.

Allegorie – Nel Medioevo la vita terrena è considerata solo un segno, simbolo del volere
divino e dev’essere interpretata in modo trascendentale e religioso per cogliere i disegni della
divina Provvidenza.
In questo caso, la figura retorica dell’allegoria non è altro che una catena di metafore: Dante
pellegrino rappresenta un’umanità traviata, la selva rappresenta l’errore e il peccato, il
sonno, il torpore dell’anima e della ragione, il colle, la difficoltà del percorso di
redenzione, il pianeta Sole, la grazia divina che illumina.
Non è da escludere che per Dante la lupa (cupidigia) rappresenti l’insaziabile avidità di
ricchezze dei Fiorentini o della Curia romana (nella Sala di Giustizia del palazzo Lateranense
troneggia una lupa, allora senza i due gemelli).

Le tre fiere hanno un valore simbolico:
La lupa: rappresenta la cupidigia,
La lonza: l’invidia o lussuria
Il leone: la superbia
Anch’esse discendono dalla Bibbia. Le tre belve (il leone, il pardo e il lupo) si trovano
identiche in un componimento poetico di Geremia (V, 6) dove si lamentano i peccati degli
uomini di Gerusalemme.
A Gerusalemme, la città di Dio, non vi è più nessuno che pratichi la giustizia, anzi si giura il
falso, si rinnega il Signore. Le punizioni inflitte non hanno sortito nessun effetto, e per questo
sono poste tre belve che sono pronte a sbranare chiunque esca dalla città.
Un testo minaccioso che sicuramente Dante aveva letto con ammirazione e il cui tema userà
per il proemio dedicato agli Inferi e ai peccati.
La cultura religiosa è il fondamento della grande costruzione dantesca.
Dante usa riferimenti biblici degli antichi profeti collegandosi così alla letteratura profetica.
L’anno scelto per il viaggio nell’Oltretomba è il 1300, l’anno del primo Giubileo, occasione
di riscatto per l’intera cristianità, importante per Dante in quanto anno del suo priorato che lo
condurrà in esilio nel 1302. Con questo Dante pone la Commedia come percorso morale di
salvezza collettiva.
Nel I canto compaiono due personaggi fondamentali del poema: Dante, narratore e
protagonista (io narrante e profeta) e Virgilio, suo accompagnatore nell’Inferno e nel
Purgatorio (nel Paradiso sarà sostituito da Beatrice).
Virgilio è il grande poeta dell’antichità, si presenta con un breve discorso facendo
implicitamente riferimento al proprio poema, l’Eneide (che narra le vicende di Enea giunto da
Troia al Lazio). Egli è una guida perfetta alla creazione letteraria, Dante lo ammira oltremisura
tanto che lo riconosce prima che egli abbia pronunciato il proprio nome.
Per gli uomini del Medioevo Virgilio era più di un poeta, era un anticipatore del
cristianesimo, un mago, quasi un profeta, una figura reinterpretata dalla cultura medievale.
Virgilio, infatti, in una famosa poesia delle Bucoliche, 4, scritta circa quarant’anni prima della
nascita di Cristo, aveva previsto la nascita di un bambino miracoloso che avrebbe segnato una
nuova era, un’età dell’oro corrispondente ai primi inizi idillici, nella quale non ci sarebbe più
stato spargimento di sangue, asprezza e sofferenza. Un bambino che cresciuto, sarebbe
diventato un dio e avrebbe governato il mondo in perfetta pace e armonia.
Ciò che distingue Virgilio dagli altri poeti è il senso della transitorietà e irrealtà della vita e il
suo concentrarsi sull’eterno. Inoltre Virgilio era nunzio dell’Impero romano e per Dante i due
fatti più importanti di questo mondo erano la Chiesa cristiana e il Sacro Romano Impero.
Virgilio aveva annunciato la chiesa con la sua rivelazione profetica e aveva cantato l’impero
meglio di qualunque altro. Per questo Dante lo scelse per la sua Commedia.
In De Monarchia, uno dei libri in latino scritti da Dante, l’impero era una diretta volontà di Dio.
Virgilio appare “cristianizzato” quando dichiara di essere vissuto al tempo degli Dèi
falsi e buguardi.
Virgilio annuncia a Dante il viaggio che dovrà fare per uscire dalla selva del peccato ed evitare
le fiere.
La funzione di premessa generale al canto I sarebbe conclusa ma bisogna fare riferimento alla
profezia del Veltro formulata da Virgilio dove descrive gli effetti della bestia, in questo caso
la lupa.
Come tutte le profezie appaiono oscure, anche questa di Dante è indecifrabile e vaga. Essa
esprime una speranza, non una certezza, quindi è presentata in maniera sibillina. Tuttavia è
chiaro che il Veltro che letteralmente significa cane, sarà in grado di cacciare la lupa.
Dietro a quest’animale allegorico potrebbe celarsi un personaggio politico in cui Dante
riponeva le sue speranze, l’imperatore Arrigo VII.
Il Veltro, chiunque esso sia, dovrà riportare sulla terra la pace e la giustizia che mancano.

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