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Il libro

«“S
ei una frignona!” “Che
fifona!” “Non fare i
capricci!” Se siete simili a
me, avrete sentito tante volte frasi come
queste, e avrete forse pensato che in voi
c’era qualcosa di diverso. Anch’io mi ero
convinta di avere un difetto di fondo, che
dovevo nascondere e che mi condannava a
una vita di secondo piano. Pensavo di essere
sbagliata.
In realtà non è così: c’è qualcosa di molto
giusto in voi e in me. Se risponderete
“vero” a dodici o più delle domande del test
che troverete nel libro, allora siete esseri
umani molto speciali, Persone Altamente
Sensibili. E questo libro fa per voi.»
Questo libro è rivolto alle Persone
Altamente Sensibili (HS P ), una definizione
coniata dalla dottoressa Elaine Aron per
esprimere una maggiore ricettività nei
confronti della stimolazione, fatto di per sé
non negativo né positivo.
Avere un sistema nervoso molto sensibile
è, infatti, del tutto normale. È una
caratteristica che contraddistingue circa il
15-20 per cento della popolazione. Questo
significa semplicemente che siete in grado di
percepire moltissimi dettagli del vostro
ambiente: un grande vantaggio in molte
situazioni. Ma significa anche subire uno
stress maggiore se rimanete troppo a lungo
in un ambiente stimolante, bombardati da
immagini e da suoni che vi stordiscono.
Essere altamente sensibili quindi ha in sé
vantaggi e svantaggi.
Nella nostra cultura, però, questo tratto
di personalità non è considerato ideale,
anzi: genitori e insegnanti, pur con le
migliori intenzioni, hanno probabilmente
cercato di aiutarvi a “vincere” il vostro
modo di comportarvi e reagire, come se
fosse un difetto.
Questo libro, che per la prima volta
fornisce informazioni dettagliate e
fondamentali su questo specifico tratto della
vostra personalità, è frutto di anni di
ricerche, di interviste, di esperienze cliniche,
di corsi e di consulti individuali con
centinaia di HS P .
Un libro divenuto un classico della
psicologia, capace di cambiare le vostre vite.
L’autrice

ELAINE ARON «Sono una ricercatrice in


psicologia, professoressa universitaria,
psicoterapeuta e scrittrice. Ciò che conta di
più, comunque, è che sono una HS P come
voi. Non scrivo affatto dall’alto di un
pulpito per aiutare voi, anime tormentate, a
vincere la vostra “sindrome”. Conosco
personalmente il nostro tratto di
personalità, le sue risorse e le sue sfide.»
Elaine Aron

PERSONE ALTAMENTE
SENSIBILI
Come stare in equilibrio quando il mondo ti
travolge

Traduzione di Claudio Lamparelli


Introduzione all’edizione italiana
di Elena Lupo a

La traduzione italiana di questo testo, pietra


miliare per tutti gli studi successivi sul tratto
dell’Alta Sensibilità, rappresenta un
fondamentale punto di svolta per la sua
diffusione anche nel nostro paese.
Per questa ragione, consapevoli della
particolare accuratezza necessaria, abbiamo
ritenuto utile fare alcune precisazioni
terminologiche a favore del lettore.
La prima e più importante riguarda la
traduzione del sintagma stesso “High
Sensitivity”, che in italiano è spesso reso con
“ipersensibilità”. Secondo diretta indicazione
della dott.ssa Aron “ipersensibilità” sarebbe
in realtà corrispondente a “Hyper Sensitivity”,
che rimanderebbe a una condizione
anormale, o addirittura patologica. La
traduzione corretta, avallata dall’autrice
stessa, è quindi il letterale “alta sensibilità”, e
si riferisce a un elevato grado di sensibilità,
che non è assolutamente da intendersi come
patologico ma che rientra nel concetto di
“normalità” comunemente intesa, in
riferimento alle possibili caratteristiche
generali della personalità. Di conseguenza
anche l’acronimo HS P , ossia Highly Sensitive
Person (o People), è da tradursi con
“Persona/e Altamente Sensibile/i” (o PAS ),
piuttosto che con “ipersensibile/i”.

Nel testo, inoltre, ci sono altri termini che


sono stati conservati in inglese, in modo da
mantenere l’esatta corrispondenza con i
concetti originali, difficili da esprimere con
singole parole in lingua italiana. Eccone un
breve elenco:

Arousal: traducibile generalmente in


italiano con
“eccitazione/eccitamento/risveglio”, fa
riferimento alla condizione del sistema
nervoso in risposta a uno stimolo
significativo, cui consegue una
situazione di eccitazione psicofisiologica
caratterizzata da un maggiore stato
attentivo-cognitivo di vigilanza e di
pronta reazione agli stimoli esterni. È
quindi inteso in questo particolare
contesto soprattutto come
“stimolazione/stato di
attivazione/sollecitazione” rispetto agli
stimoli.

Overarousal: termine che indica


l’eccessivo stato di arousal, inteso in
questo specifico contesto come
“sovrastimolazione/sovraccarico”, ovvero
come reazione psicofisiologica di
eccessiva eccitazione o attivazione del
sistema nervoso, con conseguente stato
di allerta, in reazione a stimoli esterni
percepiti in modo particolarmente
intenso.

Caretaker: letteralmente
“custode/guardiano”, in realtà si riferisce
più genericamente a “chi si prende
cura”, ed è utilizzato in lingua inglese
per indicare le figure, genitoriali e no,
che prendono parte all’educazione dei
bambini. È quindi utilizzato al posto di
“parent” (ovvero genitore) proprio perché
omnicomprensivo delle molteplici figure
che possono giocare un ruolo importante
nell’educazione e nella crescita dei
bambini, come per esempio nonni, zii,
figure adottive, e anche educatori o
babysitter, se si trovano in rapporto
continuativo con il bambino.

Holding: il significato che più


comunemente viene associato in italiano
sarebbe
“possedimento/custodia/azienda”; in
termini psicologici è invece riferito a una
tipica funzione materna, che trae spunto
dal verbo “to hold”, ovvero
“mantenere/tenere/conservare”. In
questo particolare contesto indica il
ruolo di contenimento inteso come
funzione genitoriale di protezione del
bambino altamente sensibile dalla
sovrastimolazione.

Feelings: frequentemente tradotto in


italiano con il termine “sentimenti”, fa in
realtà riferimento al verbo “to feel”
(sentire), e quindi significa “ciò che
sentiamo o proviamo” in termini di
sensazioni ed emozioni. In italiano,
infatti, la parola “sentimento” si
distingue nettamente da “stato emotivo”
o “sensazione” per stabilità e durata.

a. Advanced Training HSP Consultant Persone


Altamente Sensibili – HSP Italia™
www.personealtamentesensibili.it.
Persone altamente sensibili

A Irene Bernadicou Pettit, Ph.D., che, essendo


poetessa e contadina, sapeva com e piantare
questo sem e e com e occuparsene fino a farlo
sbocciare.

Ad Art, che adora i fiori – un altro am ore che


condividiam o.
Credo comunque nell’aristocrazia, se questa è la
parola giusta e se un democratico la può utilizzare.
Non un’aristocrazia del potere ma ... delle persone
sensibili, premurose ... I suoi membri si trovano in
tutte le nazioni e in tutte le classi sociali, senza
distinzione di età, e quando si incontrano si
comprendono intuitivamente. Essi rappresentano la
vera tradizione umana, la vittoria permanente della
nostra strana specie sulla crudeltà e sul caos. Molti di
loro muoiono nell’oscurità, pochi hanno raggiunto la
fama. Sono sensibili verso gli altri quanto verso se
stessi, sono premurosi senza essere assillanti; il loro
coraggio non è boria, bensì il potere di resistere.

E.M . FOS TER, “What I Believe”, in Two cheers for


democracy
Nota dell’autrice, 2012

Nel 1998, tre anni dopo la prima


pubblicazione di questo libro, ne scrissi una
nuova prefazione intitolata Una celebrazione.
Era un invito per tutti noi ad apprezzare il
fatto che molti, leggendolo, avessero scoperto
di essere altamente sensibili e che l’idea si
stesse diffondendo nel mondo scientifico.
Ora abbiamo numerosissime altre ragioni per
celebrare quell’evento. Persone altamente
sensibili è stato tradotto in quattordici lingue:
dallo svedese allo spagnolo, dal coreano
all’ebraico al francese e all’ungherese.
In molti importanti media di tutto il
mondo sono apparsi articoli sull’alta
sensibilità. Fra gli altri, negli Stati Uniti sono
usciti un servizio sulla rivista «Psychology
Today», 1 una breve discussione su «Time» 2 e
molti articoli su periodici femminili e
pubblicazioni interessate alla salute, come «O
Magazine», nonché su numerosi siti dedicati.
Si organizzano “riunioni di Persone
Altamente Sensibili” e corsi sull’argomento
negli Stati Uniti e in Europa; esistono video
su Youtube, libri, riviste, newsletter e siti
web; e sono nati numerosi servizi per le
persone altamente sensibili, molti buoni e
alcuni, purtroppo, meno buoni. La mia
newsletter Comfort Zone (hsperson.com) conta
decine di migliaia di lettori e ormai è
possibile trovare centinaia di articoli
riguardanti ogni aspetto di questa
condizione. Abbiamo fatto davvero molta
strada.

Le tre revisioni di questo libro


Poiché questo libro fu scritto all’inizio di una
piccola rivoluzione, ho pensato che fosse il
caso di rivederlo. Ma nel farlo non ho trovato
molto da cambiare. Funziona bene, salvo tre
eccezioni.
La prima, e più importante, è che nel
frattempo ho fatto nuove ricerche
scientifiche, necessarie a capire che il nostro
tratto di personalità è reale, e quindi che ciò
che troviamo in questo libro è vero. La
prefazione parla appunto di questo.
La seconda è che ora esiste una semplice,
ma completa, descrizione di questo tratto,
riassunta nell’acronimo DOES , che ne esprime
bene i vari aspetti. D indica la profondità
(depth) dell’elaborazione; infatti la nostra
caratteristica fondamentale è che osserviamo
e riflettiamo prima di agire ed elaboriamo
maggiormente ogni elemento, in modo più o
meno consapevole. O sta per la
sovrastimolazione (overstimulation) in cui
incorriamo facilmente: se prestate maggiore
attenzione a ogni cosa, vi stancate prima. E
sta per l’enfasi (emphasis) delle nostre
reazioni emotive e per la forte empatia
(empathy) che, tra l’altro, ci aiuta a osservare e
a capire. S significa essere sensibili ai dettagli
(subtleties). Dirò di più su questo argomento
quando parlerò delle ricerche.
La terza questione che doveva essere
aggiornata è la discussione sugli
antidepressivi, che all’inizio si era focalizzata
solo sulla fluoxetina. Dal 1996 i farmaci per
trattare la depressione si sono moltiplicati,
così come i vantaggi e gli svantaggi legati al
loro utilizzo. Sono dannosi per il fisico? Sono
per lo più semplici placebo, che ci farebbero
sentir bene anche se li sostituissimo con
pillole di zucchero? Ma quanti suicidi hanno
sicuramente evitato? E non hanno forse
migliorato la vita delle persone vicine a
coloro che ora non sono più depressi?
Esporremo gli argomenti di chi sostiene
punti di vista opposti, entrambi degni di
considerazione. Fortunatamente oggi tutto è
reperibile su internet (ma leggete soltanto le
ricerche scientifiche e saltate le storie horror,
sia dei detrattori, sia dei difensori dei
farmaci). Il mio consiglio basilare è:
informatevi bene e poi decidete da soli. È
preferibile formarsi un’opinione prima di
cadere in depressione, perché in certe
circostanze le persone altamente sensibili
sono geneticamente più soggette a tale
malattia, ed è difficile prendere decisioni
quando ormai si è già nel pieno di una crisi.
Arrivati a questo punto, se non siete
interessati alle ricerche scientifiche sulla
sensibilità potete saltare o limitarvi a scorrere
velocemente le prossime pagine. Forse siete
persone che comprendono intuitivamente,
“con il cuore”, senza bisogno di ragionare,
questo tratto di personalità. Ma immagino
che talvolta dovrete controbattere lo
scetticismo altrui o perfino l’ostilità suscitata
dall’idea che siate soggetti altamente
sensibili. Le ricerche scientifiche possono
darvi gli strumenti utili a farlo.
Le ricerche a partire dal 1996
La scienza non solo ha verificato parecchie
delle idee contenute in questa opera (basate
talvolta soltanto sulle mie osservazioni), ma è
andata anche molto oltre ciò che
conoscevamo quando scrissi questo libro. Ho
cercato di non dilungarmi troppo sugli
argomenti trattati di seguito, ma senza
tralasciare i dettagli che saranno utili a coloro
che vogliono approfondire. Potrete
controllare la metodologia e i risultati
leggendo gli articoli stessi.
Nel 2012 ho pubblicato un buon riepilogo 3
delle teorie e delle ricerche, e un elenco di
studi si trova sul sito www.hsperson.com.
Sensory Processing Sensitivity (sensibilità di
elaborazione sensoriale) è il nome che ho
dato al tratto di personalità in oggetto (da
non confondere con definizioni simili, come
Sensory Processing Disorder, disordine di
elaborazione sensoriale, o Sensory Integration
Disorder, disordine di integrazione
sensoriale). Devo aggiungere che l’argomento
dell’ipersensibilità è stato studiato da altri
ricercatori. Se siete interessati a queste opere,
potete approfondire temi come Biological
Sensitivity to Context, Sensibilità biologica al
contesto (Thomas Boyce, Bruce Ellis e altri),
Differential Susceptibility, Suscettibilità
differenziale (Jay Belsky, Michael Pluess e
altri) e Orienting Sensitivity, OS (D. Evans,
Mary Rothbart e altri); e potete trovare anche
altre ricerche, tutte svolte dopo che fu scritto
questo libro.

La prima ricerca
I primi studi pubblicati da noi 4 (da me e mio
marito, il quale è davvero bravo a organizzare
ricerche) portarono alla formulazione del test
per la Persona Altamente Sensibile (Higly
Sensitive Person o HS P, PAS in italiano),
presente in questo libro. La nostra ricerca
voleva anche dimostrare che l’alta sensibilità
non equivale all’introversione o al
“nevroticismo” (definizione con cui in gergo
si indica la tendenza a essere depresso o
eccessivamente ansioso). Avevamo ragione: il
tratto di personalità non era lo stesso. Ma era
fortemente associato al nevroticismo. Avevo
intuito – e la nostra seconda serie di studi, 5
pubblicati nel 2005, lo confermò – che le HS P
con un’infanzia problematica rischiano di più
di diventare depresse, ansiose e timide
rispetto alle persone meno sensibili con
un’infanzia similare; mentre le HS P che
hanno avuto un’infanzia abbastanza positiva
non sono più a rischio delle altre. C’erano
anche indicazioni – moltiplicatesi negli anni –
del fatto che esse stessero meglio delle
persone non altamente sensibili con una
buona infanzia, come se fossero influenzate
dall’ambiente molto più degli altri. Uno
studio successivo di Miriam Liss e
collaboratori 6 arrivò alla stessa conclusione,
principalmente per quanto riguarda la
depressione. Ricordatevi comunque che
stiamo parlando della media dei dati. Alcune
persone altamente sensibili con una buona
infanzia possono essere depresse, mentre
altre con un’infanzia problematica possono
non esserlo. Inoltre ci sono molti altri fattori,
non solo un’infanzia difficile, che possono
influenzarci. Il livello di stress in cui viviamo
è sicuramente molto importante.
L’interazione fra il tratto di personalità e
l’ambiente dell’infanzia spiega l’associazione
relativamente forte tra nevroticismo, o
sentimenti negativi, e alta sensibilità che
avevamo trovato nel primo studio. Circa metà
delle domande nel nostro test per le HS P
riguarda sentimenti negativi: «mi sento a
disagio...», «mi sento in crisi...», «sono
infastidito...» e così via. Dal momento che
molte HS P hanno avuto un’infanzia difficile,
spesso perché nessuno ha compreso il loro
temperamento, i persistenti sentimenti
negativi dovuti al tratto di personalità
possono portarli a sentirsi ancora più a
disagio, in crisi e infastiditi in situazioni che
disturbano in qualche modo ogni persona
sensibile. Tutto ciò si somma
all’ipersensibilità e al nevroticismo per una
ragione che non ha niente a che fare con il
tratto di personalità. Quando ora utilizziamo
il test, abbiamo vari metodi per interrogare le
persone su quante emozioni negative
provano di solito e per tenerne conto
statisticamente.
Sfortunatamente, alcuni studi clinici 7 sul
rapporto tra l’essere altamente sensibili e
l’essere, per esempio, ansiosi, stressati o
fobici non ne hanno tenuto conto, dando
l’impressione che tutte le HS P abbiano questi
problemi. Quindi non li prenderò in
considerazione.

La serotonina e le HSP
La scoperta dell’impatto addizionale
dell’infanzia, felice o infelice che sia, sulle
HS P aggiunge qualcosa di importante ad
alcune cose che ho scritto nel capitolo sui
medici e sui farmaci. Ho citato uno studio di
Stephen Suomi su una minoranza di scimmie
rhesus nate con un tratto di personalità in
origine chiamato up tight (ansioso, nervoso),
poiché erano più condizionate dall’essere
state allevate in situazioni stressanti. Non
solo apparivano più depresse e ansiose, ma,
come gli esseri umani depressi, avevano
meno disponibilità di serotonina nel cervello,
un disturbo corretto dagli antidepressivi. La
serotonina è un neurotrasmettitore utilizzato
in almeno 17 aree del cervello per trasmettere
informazioni. Si scoprì che queste scimmie
avevano una variante genetica che provocava
generalmente un basso livello di serotonina,
e questo livello era ulteriormente diminuito
dallo stress. Anche gli esseri umani
ipersensibili sembrano condividere la stessa
variante genetica. È interessante notare che
essa si trova soltanto in due specie di primati,
gli esseri umani e le scimmie rhesus,
entrambe altamente sociali e capaci di
adattarsi a un’ampia gamma di ambienti.
Come spiegarlo? Forse i membri altamente
sensibili di un gruppo sono più capaci di
notare i piccoli dettagli, come i cibi che si
possono mangiare senza danni e i pericoli da
evitare, il che permette loro di sopravvivere
meglio in un luogo nuovo.
In tutti noi sono presenti molte altre
varianti genetiche riguardanti, per esempio,
capelli, occhi e colore della pelle, oppure
speciali capacità o determinate fobie. Alcune
di queste varianti non hanno alcuno scopo;
altre sono utili o inutili (o persino dannose) a
seconda dell’ambiente. Se vivete in un paese
in cui si trovano molti serpenti velenosi,
averne una paura innata può essere un
vantaggio, ma forse diventa un problema se
volete fare l’insegnante di scienze naturali.
Comunque dopo che scrissi il libro e
illustrai il problema delle scimmie, una
ricerca svolta in Danimarca da Cecilie Licht e
collaboratori 8 ha suggerito che le HS P
abbiano la stessa variante genetica. Per anni,
la ricerca ha indagato soltanto il rapporto fra
un basso livello di serotonina e la
depressione, e i risultati sono stati
inconcludenti, probabilmente perché in
alcuni studi erano state inavvertitamente
incluse troppe persone ipersensibili con
un’infanzia troppo positiva per sviluppare
depressione.
Dovevano esserci alcune valide motivazioni
perché così tante persone avessero uno
svantaggio evolutivo come la “tendenza alla
depressione”. Oggi un nuovo studio 9
dimostra che questa variante genetica, che
provoca un basso livello di serotonina nel
cervello, produce anche benefici, per esempio
un rafforzamento della memoria, migliori
capacità decisionali e un migliore
funzionamento cerebrale, oltre a una salute
mentale più salda rispetto a quanto
riscontrato in altre persone che avevano
goduto di esperienze di vita positive. Uguali
benefici mentali sono presenti anche nelle
scimmie rhesus con la stessa variante
genetica. 10 Forse la migliore confutazione
dell’immagine di debolezza e di malattia
associata alle HS P è uno studio di Suomi 11 da
cui risulta che è più probabile che le scimmie
rhesus con questo tratto di personalità, se
allevate da madri esperte, mostrino
“precocità di sviluppo”, resilienza allo stress
e capacità di diventare leader del loro gruppo
sociale.
Seguendo lo stesso filone d’analisi, un
crescente numero di ricerche di altri
studiosi 12 suggerisce che esistano alcuni
individui particolarmente sensibili (e quindi
più suscettibili all’influenza dell’ambiente),
per esempio i bambini che sono stati più
influenzati dai genitori, dagli insegnanti o da
interventi positivi. Qual è il tratto di
personalità che provoca tutto questo “nel
bene e nel male”?
Che cosa ci rende così diversi?
Come ho scritto in questo libro, in molte
specie – ormai più di cento, 13 compresi i
moscerini della frutta e alcuni pesci – esiste
una minoranza di individui altamente
sensibili. Benché ovviamente questa
caratteristica della personalità porti a
differenti comportamenti a seconda che si
tratti di moscerini della frutta, di pesci, di
uccelli, di cani, di cervi, di scimmie o di esseri
umani, in generale la minoranza che l’ha
ereditata ha adottato una strategia di
sopravvivenza che consiste nel prendersi del
tempo per controllare, per osservare, per
riflettere e per elaborare più profondamente
ciò che sta osservando, prima di decidere cosa
fare. Una certa lentezza nell’azione, però, non
è la caratteristica distintiva di questo tratto di
personalità. Quando gli individui
ipersensibili vedono che la situazione
corrente è simile a una passata, grazie a ciò
che hanno imparato riflettendo su di essa,
sono in grado di reagire a un pericolo o a una
opportunità più velocemente degli altri. Per
questo motivo è stato difficile comprendere
l’aspetto più basilare del nostro tratto di
personalità: la profondità dell’elaborazione.
Gli altri individui, non conoscendo la ragione
per cui qualcuno si fermava prima di agire,
non potevano capire che cosa stesse
avvenendo. E quindi molto spesso le HS P
venivano considerate inibite, timide, timorose
o introverse (in realtà, il 30 per cento di
loro 14 è estroverso, e molti introversi non
sono HS P ). Alcune HS P accettavano tali
etichette, non riuscendo a spiegare in altro
modo le loro esitazioni. Inoltre, molti di noi –
così come spiegherò nel capitolo 5 –
sentendosi diversi e difettosi, trovavano
calzante la definizione “timido o impaurito
dal giudizio sociale”. Altri riconoscevano di
essere diversi, ma lo nascondevano e si
adattavano, comportandosi come la
maggioranza degli individui non sensibili.
Capire perché ci siamo evoluti in tal modo
può dirci molto di più su noi stessi di quanto
sapessi quando ho scritto questo libro. A quel
tempo pensavo che la nostra sensibilità si
fosse evoluta così perché il tratto di
personalità era utile al gruppo più ampio, in
quanto gli individui sensibili sono in grado di
percepire un pericolo o un’opportunità che
gli altri non vedono, e questi ultimi, una volta
allertati, possono intervenire. Questa
interpretazione è ancora parzialmente vera,
ma potrebbe anche trattarsi solo di un effetto
collaterale del tratto di personalità. L’attuale
spiegazione deriva da un modello informatico
messo a punto da alcuni biologi dei Paesi
Bassi. Max Wolf e i suoi colleghi 15 erano
curiosi di scoprire come la sensibilità potesse
evolversi, e quindi impostarono un test
usando un programma che escludesse tutti
gli altri fattori. Poi modificarono solo pochi
elementi per volta e verificarono che cosa
succedeva nelle varie situazioni e con varie
strategie. Volevano capire se l’alta sensibilità
poteva essere un tratto di personalità
abbastanza vantaggioso da conservarsi
evolutivamente in una popolazione, dato che
un tratto che ci crea problemi nella vita non
può riprodursi a lungo.
La strategia della sensibilità fu testata
impostando uno scenario in cui un individuo,
immerso in una situazione A ed essendo più
sensibile a tutto ciò che vi accadeva, aveva più
successo in una situazione B grazie alle
informazioni che aveva raccolto (gli studiosi
dovettero anche variare l’ammontare dei
benefici associati alla buona riuscita nella
situazione B). Lo scenario opposto prevedeva
che l’apprendimento avvenuto nella
situazione A non fornisse alcun aiuto nella
situazione B, perché i due tipi di situazione
non avevano niente in comune. La domanda
era: quali condizioni avrebbero potuto
mostrare l’evoluzione più vantaggiosa fra i
due tipi di individui, quello che utilizzava la
strategia dell’apprendimento dall’esperienza
e quello che non lo faceva? Risultò che le due
strategie portavano solo benefici poco
significativi, il che spiega perché i due tipi
continuino a coesistere tra le persone.
Penserete forse che essere sensibili sia
sempre positivo; spesso invece non lo è.
Inoltre la sensibilità è utile all’individuo solo
se è una dote di pochi. Se tutti fossero
sensibili, non ci sarebbe alcun vantaggio; in
effetti, se tutti conoscessero una scorciatoia, e
usassero quella informazione, nessuno
sarebbe più avvantaggiato. In sostanza,
l’ipersensibilità (o “responsività”, come
l’hanno definita questi biologi) consiste nel
prestare più attenzione degli altri ai dettagli e
poi nell’utilizzare questa conoscenza per
prevedere meglio il futuro. Talvolta tale
comportamento dà buoni risultati, ma altre
volte non comporta alcun vantaggio.
Come sapete bene, la sensibilità ha il suo
prezzo. Può essere uno spreco di energia se
ciò che sta accadendo ora non ha nulla a che
fare con le esperienze passate. Inoltre, se
un’esperienza passata era stata molto
negativa, le HS P possono generalizzarla e
cercare di evitarla o sentirsi ansiose in troppe
situazioni, proprio perché le nuove
esperienze assomigliano in parte a quelle
vecchie. Ma il costo più elevato dell’essere
sensibili è la possibilità che il nostro sistema
nervoso si sovraccarichi. Ognuno ha un limite
nella quantità di informazioni o di stimoli che
può ricevere prima di sentirsi oberato,
sovreccitato, sfinito o sopraffatto! Noi HS P lo
raggiungiamo semplicemente prima degli
altri. Fortunatamente, non appena possiamo
riposarci, ci riprendiamo bene.

È proprio nei nostri geni!


Quando scrissi il libro, affermai che l’alta
sensibilità è innata. Sapevo che era stata
individuata nei bambini fin dalla nascita;
inoltre alcuni animali, di cui è stato
identificato il corredo genetico, possono
essere allevati in modo da renderli più
sensibili. Però, per sostenere questa
affermazione, non disponevo di ricerche
genetiche che utilizzassero statistiche sulle
HS P . Ora esistono. Ho già menzionato uno
studio secondo il quale i risultati del test
erano collegati alla variazione di un gene che
agiva sui livelli di serotonina nel cervello.
Chen e i suoi colleghi, 16 in Cina, utilizzarono
un approccio diverso. Invece di cercare un
gene specifico dalle proprietà note, cercarono
tutte le varianti genetiche (98 in tutto) che
riguardavano il livello di dopamina, un altro
neurotrasmettitore necessario alla
trasmissione delle informazioni in certe aree
del cervello. Essi scoprirono che il test sulle
HS P era associato a 10 varianti in 7 differenti
geni che controllano la dopamina. Benché
tutti concordino sul fatto che gran parte della
nostra personalità sia ereditaria, nessun
ricercatore aveva trovato correlazioni
genetiche così forti nello studio dei tratti
standard della personalità, quali
l’introversione, la coscienziosità o l’amabilità.
Invece questi ricercatori cinesi si dedicarono
all’alta sensibilità, credendo che fosse più
«profondamente radicata nel sistema
nervoso».
È interessante notare che furono le
combinazioni delle varianti genetiche a
predire questo tratto, e poiché la funzione di
queste variazioni è per lo più sconosciuta,
sarà molto complicato stabilire una sorta di
genetica della personalità. Inoltre, per diversi
motivi, negli studi genetici è notoriamente
difficile ottenere di nuovo gli stessi risultati
usando gli stessi metodi. Per essere sicuri
avremmo bisogno di un numero maggiore di
ricerche. Tuttavia, questo mi porta ancora più
fortemente a credere che il nostro sia un
tratto ereditario.

Una distinta categoria di persone


Benché abbia detto in questo libro che di
solito si è o non si è altamente sensibili, non
ho alcuna prova diretta di questa
affermazione. Presumo che sia vera, perché
Jerome Kagan di Harvard fece considerazioni
simili per il tratto dell’inibizione nei
bambini, e questo tratto mi sembrò un
comprensibile fraintendimento dell’alta
sensibilità, dato che si basava
sull’osservazione di bambini che non si
precipitavano subito in una stanza piena di
complicati e strani giocattoli, ma che
innanzitutto si fermavano a guardare.
Tuttavia molti scienziati pensavano che l’alta
sensibilità fosse una caratteristica simile
all’altezza, rispetto alla quale la maggior
parte delle persone occupa una posizione
mediana. Franziska Borries 17 intraprese, per
una tesi di dottorato all’Università di
Bielefeld in Germania, una particolare analisi
statistica che distingueva fra categorie e
dimensioni utilizzando un campione di oltre
900 persone sottoposte al test per le HS P .
Scoprì così che essere altamente sensibili è in
realtà una categoria, non una dimensione.
Dunque, o lo siete o non lo siete.
È difficile conoscere l’esatta percentuale di
HS P in una certa popolazione, poiché ci
saranno sempre buone ragioni per motivare
la presenza di più o meno persone altamente
sensibili rispetto alla media, che va dal 15 al
20 per cento. Inoltre, diversi fattori
influiscono sui punteggi del test, cosicché
alcune persone si troveranno in una
posizione mediana per altre ragioni. Forse
alcune ottengono sempre punteggi inferiori
alle altre, oppure si distraggono il giorno del
test, o intervengono altri motivi. Succede
pure che gli uomini tendano ad avere
punteggi più bassi, benché si sappia che
molti di loro nascono con quel tratto di
personalità. In qualche modo, sembra che il
test funzioni diversamente per i maschi.
Comunque, la maggior parte degli individui
non si trova in una posizione intermedia, ma
o ha la caratteristica o non ce l’ha.

“DOES ” descrive il tratto


Quando nel 2011 scrissi Psychotherapy and the
Highly Sensitive Person 18 (per aiutare gli
psicoterapeuti a capirci meglio e
specialmente a comprendere che il nostro
tratto di personalità non è una malattia né un
difetto), creai l’acronimo DOES , già
menzionato, in modo che gli specialisti
potessero meglio individuare questa
caratteristica. È un sistema per descrivere sia
noi sia la ricerca che ci riguarda.

D COM E PROFONDITÀ (DEPTH)


DELL’ELABORAZIONE

Alla base del tratto dell’alta sensibilità c’è la


tendenza a elaborare più profondamente le
informazioni. Quando si comunica un
numero di telefono a qualcuno che non può
scriverlo, lui cercherà di processarlo per
ricordarselo, per esempio ripetendoselo più
volte, pensando a qualche particolare
disposizione o significato dei numeri, oppure
notando una loro somiglianza con
qualcos’altro. Se non lo si elabora con una
strategia, è facile dimenticarselo. Le HS P
semplicemente sottopongono ogni cosa a una
maggiore elaborazione, collegando e
paragonando ciò che notano a esperienze
passate, con altri oggetti o situazioni simili.
Lo fanno sia consapevolmente sia
inconsapevolmente. Quando prendiamo
decisioni senza sapere come vi siamo giunti
parliamo di intuito, e le HS P hanno un buon
intuito (ma non infallibile!). Quando
prendete una decisione in modo cosciente,
potreste notare di farlo più lentamente di
altri, perché pensate con attenzione a tutte le
opzioni. Anche questa è profondità
dell’elaborazione.
Alcuni studi sulla profondità
dell’elaborazione tipica del tratto hanno
messo a confronto l’attività cerebrale
dell’individuo sensibile con quella del non-
sensibile, facendo svolgere loro vari compiti
di tipo percettivo. Altre ricerche di Jadzia
Jagiellowicz 19 scoprirono che l’individuo
altamente sensibile utilizza maggiormente le
parti del cervello associate a una “più
profonda” elaborazione dell’informazione,
specialmente nei compiti che comportano
l’osservazione dei dettagli. In un altro
studio, 20 svolto da noi e da altri, a persone
sensibili e non-sensibili furono assegnati
compiti percettivi che sapevamo difficili
(richiedevano infatti una maggiore attività o
un maggior sforzo cerebrale), tenendo conto
della cultura di provenienza dei soggetti. Le
persone non-sensibili incontrarono le solite
difficoltà, ma i cervelli delle persone
altamente sensibili non incontrarono questi
inconvenienti, indipendentemente dalla loro
cultura. Era come se trovassero naturale
guardare, al di là delle loro categorie
culturali, le cose come “sono realmente”.
Una ricerca di Bianca Acevedo 21 e dei suoi
colleghi ha mostrato nelle HS P una maggior
attivazione cerebrale di un’area chiamata
insula, una parte del cervello che integra
momento per momento la conoscenza delle
emozioni, degli stati interiori, della posizione
del corpo e di altri eventi esterni. Alcuni
l’hanno chiamata la sede della coscienza. 22
Se noi siamo più consapevoli di ciò che
succede dentro e fuori, questo è esattamente
il tipo di risultato che ci si dovrebbe
aspettare.

O COM E S OVRAS TIM OLAZIONE


(OVERSTIMULATION)

Se in una situazione tendete a notare ogni


piccola cosa, e se la situazione è complicata
(molte cose da ricordare), intensa (rumorosa,
confusa ecc.), o se dura troppo (un viaggio da
pendolare di due ore ecc.), è ovvio che
tenderete anche – dovendo elaborare troppi
dettagli – a stancarvi prima. Altri, che non
notano gli stessi particolari (o addirittura
nessuno), non si stancano così presto.
Trovano perfino strano che voi consideriate
spossante un giro turistico di un’intera
giornata che si conclude con una serata in un
nightclub. Magari parlano rumorosamente
quando voi avete bisogno di un momento di
quiete e di un po’ di tempo per pensare,
oppure si divertono in un chiassoso
ristorante o a una festa quando voi riuscite a
malapena a sopportarne il frastuono. In
effetti, questo è il comportamento che in tanti
abbiamo riscontrato nelle HS P : si stressano
facilmente a causa della sovrastimolazione
(compresa la sovrastimolazione sociale),
oppure, avendo imparato la lezione, tendono
a evitare più di altri situazioni snervanti.
Un recente studio tedesco di Friederike
Gerstenberg 23 ha messo a confronto persone
sensibili e non-sensibili che avevano il
compito di capire se una T, ruotata in vari
modi sullo schermo di un computer, fosse
nascosta tra molte grandi L ruotate anch’esse.
Le HS P risultarono più veloci e più accurate,
ma anche più stressate delle altre. La causa
stava forse nello sforzo percettivo o nello
stress emotivo di compiere l’esperimento?
Qualunque fosse la ragione, queste persone
alla fine si sentirono esauste, esattamente
come un animale che deve sopportare un
carico troppo pesante.
Tuttavia essere altamente sensibili non va
identificato solo con l’essere stressati da alti
livelli di stimolazione, come qualcuno ha
suggerito, benché questo succeda
naturalmente quando siamo bombardati da
troppe cose. Stiamo attenti, inoltre, a non
confondere il fatto di essere una persona
altamente sensibile con alcune condizioni
patologiche: il disagio sensoriale può
segnalare un disordine dovuto a problemi di
elaborazione sensoriale e non al fatto di avere
un’elaborazione insolitamente sensibile. Per
esempio, persone con un disturbo autistico
talvolta dimostrano un sovraccarico
sensoriale, ma altre volte non reagiscono
affatto. Il loro problema sembra dipendere
dalla difficoltà di riconoscere dove focalizzare
l’attenzione e dove no. Quando parlano con
qualcuno, forse trovano che il volto di quella
persona sia meno interessante dei disegni sul
pavimento o del tipo di luci presenti nella
stanza. È naturale, quindi, che si lamentino
pesantemente di essere sovrastimolate.
Possono anche essere più consapevoli dei
dettagli ma, specialmente in situazioni
sociali, notano con maggior frequenza aspetti
irrilevanti, mentre le HS P presterebbero più
attenzione a sottili espressioni facciali,
almeno quando non sovrastimolate.

E COM E REATTIVITÀ EM OTIVA


Una serie di studi condotti da Jadzia
Jagiellowicz 24 ha constatato che le HS P
reagiscono più delle non-HS P a immagini con
una particolare “valenza positiva”. (Dati
provenienti da altri sondaggi ed
esperimenti 25 avevano già trovato alcune
prove che le HS P rispondono maggiormente
sia alle esperienze positive sia a quelle
negative.) Questo fenomeno si accentuava se
avevano vissuto una buona infanzia. Negli
studi della Jagiellowicz sul cervello, questa
reazione alle immagini positive era presente
non solo nelle aree associate all’esperienza
iniziale delle emozioni forti, ma anche nelle
aree più “elevate” del pensiero e della
percezione, ossia in alcune delle stesse zone
interessate dagli studi sull’elaborazione
profonda. L’incremento della reazione legato
a un’infanzia felice collima con un nuovo
concetto suggerito da Michael Pluess e Jay
Belsky, 26 ossia l’idea di un “vantaggio della
sensibilità”, con la quale gli autori volevano
sottolineare la specifica potenzialità delle
persone sensibili di beneficiare di circostanze
e di interventi positivi.
E, oltre che per enfasi (emphasis), sta anche
per empatia (empathy). In un altro studio, di
Bianca Acevedo, 27 a persone sensibili e non-
sensibili furono mostrate foto sia di estranei
sia di persone care che esprimevano felicità,
tristezza o sentimenti neutrali. In tutte le
situazioni in cui le foto rappresentavano
un’emozione, le persone sensibili mostrarono
un’accresciuta attivazione dell’insula, ma
anche una maggior attività nel sistema dei
neuroni specchio, specialmente quando
guardavano i visi felici di persone care. I
neuroni specchio sono stati scoperti soltanto
negli ultimi vent’anni. 28 Quando guardiamo
qualcuno che compie un’azione o prova
un’emozione, questo sistema di neuroni si
attiva nello stesso modo in cui è attivo quello
della persona che stiamo guardando. Per
esempio, gli stessi neuroni si attivano, a livelli
diversi, sia quando diamo un calcio a un
pallone, sia quando guardiamo qualcuno che
dà un calcio al pallone, sia quando ascoltiamo
il suono di un pallone colpito da un calcio
oppure quando ascoltiamo o diciamo la
parola “calcio”.
Questi strabilianti neuroni non solo ci
aiutano ad apprendere per imitazione, ma, in
associazione con altre aree del cervello
particolarmente attive nelle HS P , ci aiutano a
capire le intenzioni degli altri e ciò che
provano. Quindi sono largamente
responsabili dell’universale capacità umana
di esprimere empatia. Noi non abbiamo
semplicemente un’idea di come gli altri
sentono, ma in una certa misura lo sentiamo
proprio. Tutto ciò è molto familiare alle HS P . In
loro, osservare una faccia triste tende a
generare una più intensa attività dei neuroni
specchio. Le persone sensibili, guardando
fotografie di persone care che sono infelici,
mostrano una maggiore attivazione in aree
che indicano che vorrebbero fare qualcosa
(ossia agire) piuttosto che in aree che
coinvolgono l’empatia (forse, proprio per
agire, apprendiamo a raffreddare la nostra
intensa empatia). Ma, comunque, l’attivazione
del cervello indica che, guardando fotografie
di visi che mostrano forti emozioni di vario
genere, l’empatia è più forte nelle HS P che
nelle non-HS P .
Secondo un fraintendimento comune, le
emozioni portano a pensare in maniera
illogica. Ma recenti studi scientifici, condotti
dallo psicologo Roy Baumeister e altri, 29
hanno posto le emozioni al centro della
saggezza. Una motivazione può essere che si
prova l’emozione maggiore dopo che l’evento
è accaduto, il che evidentemente serve a
ricordarlo meglio e a trarne un
insegnamento. Più siamo toccati da un errore,
più ci pensiamo e siamo in grado di evitarlo
la prossima volta. Allo stesso modo, più
siamo compiaciuti di un successo, più ci
pensiamo, ne parliamo e ricordiamo come lo
abbiamo raggiunto, così da essere capaci di
ripeterlo.
Altri studi condotti da Baumeister, che
esplorano il contributo delle emozioni alla
chiarezza di pensiero, hanno scoperto che se
le persone non hanno una ragione emotiva
per apprendere qualcosa, non la imparano
bene o non la imparano affatto. Ecco perché è
più facile imparare una lingua straniera nel
paese dove la si parla: in tal caso, in effetti
siamo fortemente motivati a cercare una
strada per rispondere quando siamo
interpellati e in genere per non sembrare
stupidi. Da questo punto di vista, sembra
quasi impossibile che una persona altamente
sensibile possa elaborare profondamente
qualcosa senza essere motivata da forti
reazioni emotive. E ricordate inoltre che una
persona altamente sensibile reagisce
maggiormente rispetto alle altre quando
prova emozioni positive, come la curiosità, la
speranza di ottenere un successo (utilizzando
magari una “scorciatoia” che gli altri non
conoscono), un piacevole desiderio di
qualcosa, soddisfazione, gioia o contentezza.
Forse tutti hanno una reazione importante di
fronte alle situazioni negative, ma sembra
che le HS P invece si siano evolute in modo da
assaporare in particolare un buon esito e da
immaginare più degli altri come farlo
accadere. Per esempio, se immaginano di
pianificare una bella festa di compleanno,
avvertono in anticipo la felicità che
proveranno.

S COM E S ENS IBILITÀ AI DETTAGLI (SUBTLETIES)

La maggior parte degli studi già citati verteva


sulla percezione dei dettagli. È questo un
dato che noi stessi notiamo: la nostra capacità
di vedere i piccoli particolari che agli altri
sfuggono. Stando così le cose, e poiché ho
chiamato questo tratto di personalità “alta
sensibilità”, molti pensano che la funzione
percettiva ne sia il cuore. (Per chiarire questa
confusione e per sottolineare il ruolo
dell’elaborazione, ho utilizzato come nome
scientifico l’espressione “sensibilità di
elaborazione sensoriale”.) Comunque questa
caratteristica non comporta sensi più acuti:
dopotutto esistono persone altamente
sensibili che hanno una vista e un udito
scarsi. È vero che alcune HS P riferiscono di
avere uno o più sensi molto sviluppati, ma
anche in tal caso può darsi che esse
processino l’informazione sensoriale più
attentamente, anziché possedere occhi, naso,
pelle, gusto o orecchie particolarmente
sensibili. Di nuovo, le aree cerebrali più attive
quando le persone sensibili percepiscono
sono quelle che elaborano in modo più
complesso l’informazione sensoriale: non
tanto le aree che riconoscono le lettere
dell’alfabeto dalla loro forma o che leggono le
parole, quanto le aree che colgono il sottile
significato delle parole.
Da una parte, la nostra consapevolezza dei
dettagli è utile in un’infinità di modi, dal
semplice godimento dell’esistenza alla
formulazione di risposte basate sulla
percezione di indizi non verbali che sfuggono
persino a chi li trasmette e che riguardano
l’umore e l’affidabilità di chi abbiamo di
fronte. D’altra parte, però, quando siamo
stressati, non riusciamo a essere molto
consapevoli di niente, che sia sottile o
grossolano, se non della nostra necessità di
una pausa. Questo ci porta a un importante
argomento.

Ogni persona altamente sensibile è


differente, e ha reazioni diverse a seconda
del momento
L’acronimo DOES è un’utile guida generale
per comprendere l’ipersensibilità, ma non è
infallibile. In base al modo in cui sentiamo, ci
può capitare che non riflettiamo sul nostro
comportamento o non notiamo i particolari,
proprio come succede alle non-HS P attorno a
noi. Inoltre siamo differenti l’uno dall’altro.
Ogni individuo possiede caratteristiche
singolari, storie differenti: insomma, siamo
tutti diversi. 30 Nel nostro entusiasmo di
identificarci come gruppo – seppure come
una minoranza fraintesa – non dobbiamo
dimenticarci che non siamo affatto identici.
In particolare, non siamo tutti, o non sempre,
persone consapevoli, coscienziose e
meravigliose!
Prendiamo la O che indica la tendenza a
essere facilmente sovrastimolati
(overstimulated). Due persone sensibili
possono reagire in modi molto diversi
quando sono infastidite da un forte rumore o
da un atteggiamento brusco e irritante. C’è
chi non si lamenta o non mostra di essere
contrariato, perché evita simili situazioni o se
ne sottrae silenziosamente. Per esempio, non
rimarrà in un posto di lavoro in cui ci siano
rumore, maleducazione o altre fonti di
disturbo. E se proprio non potrà fuggire il
problema, lo sopporterà quietamente finché
non potrà cambiarlo. Ma altre HS P , di solito
con un passato molto stressante alle spalle, si
sentiranno più vittimizzate e sconvolte, e
nello stesso tempo saranno meno capaci di
trovare circostanze adatte a loro e di evitare
quelle sbagliate. Forse penseranno di dover
compiacere gli altri o di dover dimostrare
qualcosa. Sul posto di lavoro, potrebbero non
riuscire a lasciare un certo incarico finché una
crisi non farà capire ai colleghi quanto siano
“eccessivamente” sensibili.
Da uno studio condotto da Bhavini
Shrivastava 31 sulle HS P di un’azienda
informatica in India emerse che esse
subivano maggiormente lo stress
dell’ambiente lavorativo, ma che erano
considerate più produttive dai loro manager.
Supponendo che le HS P le cui prestazioni
avevano sofferto per lo stress se ne fossero
già andate, le rimanenti HS P (che erano più
anziane e più esperte) evidentemente si
erano silenziosamente adattate, e magari
venivano giudicate particolarmente bene dai
loro superiori e davano un contributo
all’azienda con la loro profondità di
elaborazione e con la loro capacità di cogliere
i dettagli. Quindi possiamo osservare due o
più tipi di HS P , capaci o incapaci di
controllare il tratto, in base ad altri aspetti
della loro personalità. Oppure, in altri
esempi, possiamo assistere a diverse
situazioni: una, con un basso grado di stress,
in cui le HS P appaiono persone forti che
trovano mezzi di adattamento che mancano
agli altri; e una assolutamente stressante, in
cui non riescono ad adattarsi e mostrano la
loro debolezza.

Considerazioni finali
Studiare l’alta sensibilità è stato per me uno
straordinario viaggio. Tutto iniziò con una
semplice curiosità su qualcosa che una
persona aveva detto di me. Feci alcune
interviste a individui che pensavano di essere
altamente sensibili, ma non avevo nessuna
intenzione di compiere altre ricerche e
sicuramente non di scrivere un libro. Poi,
come mi piace dire, mi resi conto che avevo
imboccato una nuova strada e che dietro di
me si stava formando un corteo di persone
che erano “altamente sensibili”, pur non
avendo mai sentito questa espressione.
Molto spesso mi sono domandata: “Come
hai fatto a scoprire un nuovo tratto di
personalità?”. La risposta è che la sensibilità
non è un fenomeno nuovo, ma che è difficile
da notare osservando semplicemente il
comportamento degli individui, ossia con il
metodo applicato di solito dalla psicologia.
Gli psicologi e la gente comune utilizzavano
definizioni che non erano precise, come
timidezza e introversione. Noi HS P abbiamo
reso particolarmente difficile agli altri notare
il nostro tratto di personalità perché siamo
così sensibili all’ambiente che ci
comportiamo come i camaleonti: ci
adattiamo, facendo tutto quello che occorre
per mimetizzarci. Io mi sono trovata in una
duplice posizione, quella di una scienziata
curiosa e al contempo di una persona
altamente sensibile, in grado di conoscere
questa esperienza dall’interno. Inoltre, come
scrissi nella prefazione originale, focalizzarmi
sulla mia stessa sensibilità richiese un aiuto
esterno, dopo che avevo avuto una “iper ”
reazione a una procedura medica.
Quando veniamo osservati, la prima cosa
che si nota in noi è che “iper ” reagiamo
rispetto agli altri – una caratteristica che
corrisponde alla O della sovrastimolazione
(overstimulation) e alla E di una più forte
reazione emotiva (emphasis). Ma siamo una
minoranza, quindi ovviamente non siamo più
nella media e non ci comportiamo come la
maggior parte delle persone. Sono queste
evidenti O ed E che fanno credere a noi e agli
altri che abbiamo un difetto. In più, poiché le
HS P con un passato tormentato hanno un
minor controllo sulle loro reazioni, il tratto
viene associato a persone con gravi difficoltà
psicologiche. Le poche manifestazioni visibili
di ciò che indichiamo con le iniziali D e S (la
profondità, depth, dell’elaborazione e la
consapevolezza dei dettagli, subtleties)
possono facilmente passare inosservate o non
venire comprese. Per esempio, se ci occorre
troppo tempo per “entrare in una situazione”
o prendere una decisione, può sembrare di
nuovo qualcosa di anomalo, un problema
potenziale e quindi un difetto. Risulta perciò
trascurabile il fatto che alla fine prendiamo
buone decisioni. Questa sorta di lentezza
potrebbe essere causata da molti altri fattori
oltre alla sensibilità, per esempio dalla paura
o perfino dalla scarsa intelligenza. Ma è
quello che avviene all’interno – fuori dalla
vista – che porta a distinguere la nostra
minoranza altamente sensibile dagli altri.
Sono lieta allora di avere a disposizione
nuove metodologie di osservazione del
cervello, che mostrano queste differenze, e
ringrazio tutti voi che vi siete fatti avanti per
dire «sì, succede anche a me».
Perciò festeggiamo! Magari con un corteo!
Prefazione

«Sei una frignona!»


«Che fifona!»
«Non fare i capricci!»
Voci dal passato? E che dire di questa frase
pronunciata con le migliori intenzioni: «Sei
troppo sensibile per essere felice»?
Se siete simili a me, avrete sentito tante
volte frasi come queste, e avrete forse pensato
che in voi c’era qualcosa di diverso. Anch’io
mi ero convinta di avere un difetto di fondo,
che dovevo nascondere e che mi condannava
a una vita di secondo piano. Pensavo di essere
sbagliata.
In realtà non è così: c’è qualcosa di molto
giusto in voi e in me. Se risponderete “vero” a
dodici o più delle domande del test che
troverete più avanti nel libro, o se vi sembrerà
che la dettagliata descrizione del capitolo 1 si
adatti a voi (in realtà è la miglior prova),
allora siete esseri umani molto speciali,
Persone Altamente Sensibili – che d’ora in
poi chiamerò HS P (Highly Sensitive Person). E
questo libro fa per voi.
Avere un sistema nervoso particolarmente
sensibile è normale, è un tratto
fondamentalmente neutro. Con ogni probabilità
lo avete ereditato: è presente in circa il 15-20
per cento della popolazione, e significa che
siete in grado di percepire i dettagli del
vostro ambiente, un gran vantaggio in molte
situazioni. Ma significa anche che vi stressate
più facilmente quando restate troppo a lungo
in un ambiente altamente stimolante,
bombardati da immagini e suoni. Perciò l’alta
sensibilità porta vantaggi e svantaggi.
Nella nostra cultura, però, questo tratto di
personalità non è considerato ideale e forse
avete avuto modo di constatarlo. Genitori e
insegnanti, con tutte le migliori intenzioni,
hanno forse cercato di aiutarvi a “vincere”
questo problema, come se fosse un difetto.
Alcuni bambini, probabilmente, non saranno
stati altrettanto gentili con voi. Da adulti, poi,
vi sarà stato forse difficile trovare il lavoro
giusto e le giuste relazioni, oltre al giusto
grado di autostima e di sicurezza.

Che cosa vi offre questo libro


Questo libro fornisce dettagliate e
fondamentali informazioni sul vostro tratto
di personalità: si tratta di dati che non
esistono da nessun’altra parte, frutto di
cinque anni di ricerche, interviste, esperienze
cliniche, corsi e consulti individuali con
centinaia di HS P , nonché di letture accurate –
spesso sforzandomi di leggere tra le righe –
di tutto quanto la psicologia sa già su questa
caratteristica ma che ancora non si è accorta
di conoscere. Nei primi tre capitoli
apprenderete i dati fondamentali sul vostro
tratto e come gestire la sovrastimolazione e la
sovreccitazione del vostro sistema nervoso.
Successivamente prenderò in
considerazione l’impatto della vostra
sensibilità sulla vostra storia personale, la
vostra carriera, le vostre relazioni e la vostra
vita interiore. Mi focalizzerò su alcuni
vantaggi, a cui forse non avete ancora
pensato, e vi darò consigli su problemi che
alcune HS P devono spesso affrontare, come,
per esempio, la timidezza o la difficoltà di
trovare un lavoro adatto.
È un bel viaggio quello che faremo
insieme. Molte fra le HS P che ho aiutato mi
hanno detto che questo libro ha nettamente
cambiato loro la vita, e mi hanno incaricato di
riferirvelo.

Qualche parola per i moderatamente


sensibili
In primo luogo, se avete scelto questo libro
perché siete i genitori, i coniugi o gli amici di
una persona altamente sensibile, siete i
benvenuti. La vostra relazione ne trarrà un
gran vantaggio.
In secondo luogo, da un’indagine
telefonica su un campione di trecento
individui di ogni età selezionati casualmente
risultò che mentre un 20 per cento era
estremamente o molto sensibile, un altro 22
per cento lo era moderatamente. Chi, fra di
voi, ricade in questa seconda categoria trarrà
comunque beneficio da questo libro.
Un 42 per cento degli intervistati dichiarò
invece di non essere per niente sensibile: il
che spiega perché chi è altamente sensibile si
senta così a disagio con la maggior parte della
gente. Ovviamente si tratta delle persone che
alzano sempre il volume della radio o
pestano sul clacson.
Inoltre è necessario specificare che tutti
possono diventare altamente sensibili in
certe situazioni, per esempio dopo un mese
di solitudine in una capanna in montagna. E
tutti diventano più sensibili invecchiando. In
effetti la maggior parte delle persone, che lo
ammetta o no, ha un lato altamente sensibile
che solo in certi casi risulta evidente.

E qualche altra per le non-HSP


Talvolta le non-HS P si sentono escluse e ferite
dall’idea che siamo differenti da loro, come
se pensassimo di essere, in qualche modo,
migliori. Domandano: “Vuoi dire che io non
sono sensibile?”. Il problema è che la parola
“sensibile” indica anche una persona
intelligente e consapevole. Sia le HS P che le
non-HS P possono avere queste qualità, che in
noi si mostrano al meglio quando siamo a
nostro agio e attente ai dettagli. Quando sono
molto calme, le HS P riescono a cogliere le più
sottili sfumature. Ma quando sono
sovrastimolate – uno stato frequente – non
sono né intelligenti né consapevoli. Si
sentono in realtà sopraffatte, esauste e hanno
bisogno di starsene da sole. Al contrario,
nelle situazioni caotiche, i vostri amici non-
HS P sono più intelligenti di voi.
Ho pensato a lungo e ho avuto difficoltà
nel decidere come chiamare questo tratto di
personalità. Non volevo ripetere l’errore di
confonderlo con l’introversione, la timidezza,
l’inibizione e una schiera di altre etichette
sbagliate che gli psicologi ci hanno attribuito.
Nessuna di queste definizioni coglie gli
aspetti neutri, e ancor meno quelli positivi,
del nostro tratto. Invece il sintagma “alta
sensibilità” esprime una maggior ricettività
alla stimolazione, una dote di per se stessa
neutra. Mi sembrava fosse giunta l’ora di
vincere i pregiudizi nei confronti degli
individui altamente sensibili usando
un’espressione che fosse loro più favorevole.
D’altra parte, essere “altamente sensibile”
per qualcuno non è una caratteristica
positiva. Mentre sto tranquillamente seduta a
casa mia e scrivo queste pagine, in un
momento in cui nessuno si occupa di questo
tratto di personalità, mi sento di poter
dichiarare che da questo libro non
deriveranno soltanto scherzi e commenti
sgradevoli sulle HS P . Enormi energie
collettive si stanno concentrando sull’idea di
sensibilità, quasi quanto quelle spese nella
riflessione sulle specificità di genere, con cui
il nostro dibattito viene spesso confuso. (Ci
sono tanti bambini quante bambine
altamente sensibili, ma si presuppone che i
maschi, contrariamente alle femmine, non
debbano possedere questo tratto. Così
entrambi i generi pagano a caro prezzo tale
confusione.) Preparatevi dunque a tutta
questa attenzione. E proteggete sia la vostra
sensibilità sia il vostro nuovo orgoglio nei
suoi confronti evitando di parlarne quando
non sia prudente farlo.
Ma soprattutto gioite, sapendo che là fuori
esistono molte altre persone simili a voi.
Finora non siamo stati in contatto, però ora lo
siamo, e così facendo miglioreremo noi stessi
e la società. Nei capitoli 1, 6 e 10 commenterò
l’importanza del ruolo sociale delle HS P .

Cosa vi serve
Ho scoperto che ci sono quattro approcci in
grado di aiutare le HS P ; li spiegherò a poco a
poco nei capitoli successivi.

1. La conoscenza di sé. Dovete comprendere,


a fondo, che cosa significhi essere una
persona altamente sensibile, come
questo tratto si collega agli altri della
vostra personalità e come
l’atteggiamento negativo della società vi
abbia influenzato. Dovete poi conoscere
anche la sensibilità del vostro corpo. Non
ignoratelo più, solo perché vi sembra
poco collaborativo o debole.
2. La ricontestualizzazione. Dovete
attivamente ricontestualizzare molte
situazioni del vostro passato alla luce
della nuova consapevolezza di essere
venuti al mondo altamente sensibili.
Molti dei vostri “fallimenti” erano
inevitabili, dato che nessuno era in grado
di capirvi: né voi, né i vostri genitori, né
gli insegnanti, gli amici o i colleghi.
Riconsiderare il modo in cui avete
affrontato il passato può portare a un
senso di solida autostima, e l’autostima è
particolarmente importante per le HS P ,
perché diminuisce la sovreccitazione (e
quindi la sovrastimolazione) nelle nuove
situazioni. Tuttavia la
ricontestualizzazione non è automatica.
Per questo al termine di ogni capitolo ho
posto delle attività che possono aiutarvi a
farlo.
3. La guarigione. Se non lo avete già fatto,
dovete incominciare a guarire le ferite
più profonde. Poiché siete stati molto
sensibili da bambini, i problemi
famigliari e scolastici, i disturbi infantili
e così via, vi hanno toccato
maggiormente. Inoltre l’essere diversi
dagli altri bambini quasi sicuramente vi
ha fatto soffrire.
Le persone altamente sensibili,
prevedendo l’intensità di emozioni che
questo lavoro comporta, possono
opporre resistenza al processo interiore
necessario a guarire le ferite del passato.
Prudenza e lentezza nell’approccio
appaiono in qualche modo giustificate.
Ma rimandare significa ingannare voi
stessi.
4. Capire come sentirvi bene nel mondo e
quando è necessario prendere una pausa. Voi
potete, dovete e avete bisogno di essere
coinvolti nel mondo; vi è davvero
necessario. Ma è necessario anche che
impariate a evitare un coinvolgimento
eccessivo o troppo scarso. Questo libro,
libero dai messaggi confusi che
provengono da una cultura meno
sensibile, vi aiuterà a scoprire come fare.
Vi insegnerò inoltre a capire le conseguenze
che questo tratto di personalità può avere
sulle vostre relazioni più strette. E discuterò
l’uso della psicoterapia: quali HS P dovrebbero
farla e perché, di quale genere, con chi e
specialmente come la terapia funzioni
differentemente per le varie HS P . Poi mi
occuperò dei trattamenti medici, includendo
molte informazioni su farmaci antidepressivi
contenenti principi come la fluoxetina, molto
diffusi tra le HS P . Al termine di questo libro,
potremo finalmente assaporare la nostra ricca
vita interiore.

Chi sono io
Sono una ricercatrice in psicologia,
professoressa universitaria, psicoterapeuta e
scrittrice. Ciò che conta di più, comunque, è
che sono una HS P come voi. Non scrivo
affatto dall’alto di un pulpito per aiutare voi,
anime tormentate, a vincere la vostra
“sindrome”. Conosco personalmente il nostro
tratto di personalità, le sue risorse e le sue
sfide.
Da piccola, a casa, mi nascondevo dal caos
della mia famiglia. A scuola evitavo gli sport,
i giochi e gli altri bambini in generale. Che
miscuglio di sollievo e di umiliazione provai
quando la mia strategia ebbe successo e io fui
totalmente ignorata!
Durante la scuola media una persona
estroversa mi prese sotto la sua ala. Al liceo
quella relazione continuò, e in più io studiavo
per la maggior parte del tempo.
All’università, invece, la mia vita divenne
molto più difficile. Dopo molte soste e
ripartenze, compreso un matrimonio durato
quattro anni quando ero troppo giovane,
finalmente fui ammessa alla confraternita Phi
Beta Kappa dell’Università della California, a
Berkeley. Eppure trascorrevo la maggior parte
del tempo a piangere in camera, credendo di
impazzire. (Le mie ricerche hanno scoperto
che ritirarsi in solitudine, spesso per
piangere, è un comportamento tipico delle
HS P .)
Poiché studiavo per una specializzazione,
mi fu fornito un ufficio, in cui spesso mi
rinchiudevo, cercando di ritrovare la calma. A
causa di queste reazioni interruppi gli studi,
anche se venivo fortemente incoraggiata a
continuare fino al dottorato. Ma mi ci vollero
venticinque anni per ottenere le informazioni
sul mio tratto di personalità che mi
permisero di capire il mio comportamento e
così completare gli studi per il dottorato.
A ventitré anni incontrai il mio attuale
marito e intrapresi una vita molto tranquilla,
scrivendo e allevando mio figlio. Ero allo
stesso tempo felice e piena di vergogna per
non essere “là fuori”. Ero vagamente
consapevole di aver perso alcune opportunità
di studio, di riconoscimento delle mie
capacità e di relazione, in modo più vasto, con
tutti i tipi di persone. Ma vista la mia amara
esperienza, pensai di non aver avuto scelta.
In ogni caso riuscii a evitare alcuni eventi
traumatizzanti. Dovetti sottopormi a un
trattamento medico da cui credevo di
riprendermi in poche settimane. Invece per
mesi il mio corpo fu preda di incontrollabili
reazioni fisiche ed emotive. Così dovetti di
nuovo fronteggiare quel misterioso “difetto”
che mi rendeva tanto diversa. Tentai con la
psicoterapia. E fui fortunata. Dopo avermi
ascoltato per alcune sessioni, la mia terapeuta
disse: «Ma certo che eri sconvolta: sei una
persona altamente sensibile».
“Di cosa si tratta?” pensai. “Di una scusa?”
Lei mi spiegò che, pur non avendo riflettuto
molto su questo problema, dalla sua
esperienza le risultava che la tolleranza agli
stimoli variava radicalmente da persona a
persona, così come la loro propensione a
trovare un significato profondo in certe
esperienze, buone o cattive che fossero.
Secondo lei, una tale sensibilità non era
affatto sintomo di un difetto o di un disturbo.
O almeno sperava di no, dato che era anche
lei altamente sensibile. Ricordo il suo sorriso:
«...come lo sono la maggior parte delle
persone che mi sembra valga la pena di
conoscere».
Trascorsi parecchi anni in terapia, e furono
ben spesi, poiché lavorai su varie questioni
relative alla mia infanzia. Tuttavia
l’argomento centrale divenne l’impatto di
questo tratto di personalità. Ero convinta di
avere un grave difetto. Da una parte c’era la
disponibilità degli altri a proteggermi in
cambio della mia immaginazione, della mia
empatia, della mia creatività e della mia
intuizione, doti che io apprezzavo poco di me
stessa. E dall’altra c’era il mio inevitabile
isolamento dal mondo. Ma, a mano a mano
che sviluppavo questa intuizione, fui in grado
di rientrarci. Ora provo un grande piacere a
essere parte delle cose, a essere una
professionista e a condividere i doni speciali
della mia sensibilità.

Le prime ricerche
Quando la conoscenza del mio tratto
cominciò a cambiare la mia vita, decisi di
leggere di più in proposito, ma c’era
pochissimo materiale disponibile. Pensai che
l’argomento più vicino potesse essere
l’introversione. Lo psichiatra Carl Jung aveva
scritto molte cose intelligenti a riguardo,
definendola come la tendenza a volgersi
all’interno. Il lavoro di Jung, egli stesso una
HS P , mi fu di grande aiuto, ma le ricerche
scientifiche sul tema si focalizzavano
sull’idea che gli introversi non fossero
socievoli, e questo mi fece pensare che
l’introversione e l’alta sensibilità fossero state
erroneamente equiparate.
Disponendo di un così scarso materiale,
decisi di inviare una newsletter allo staff
dell’università dove a quel tempo insegnavo.
Chiesi di poter intervistare chiunque si
sentisse altamente sensibile alle stimolazioni,
introverso o predisposto a reagire
emotivamente. Ben presto ebbi più volontari
del necessario.
In seguito, il giornale locale scrisse un
articolo su questa ricerca, e anche se il
quotidiano non aveva pubblicato il mio
indirizzo, circa un centinaio di persone mi
telefonò o mi scrisse, per ringraziarmi,
chiedere aiuto o semplicemente per dirmi:
«Anch’io!». Due anni dopo, c’era ancora
gente che mi contattava. (Talvolta le HS P ci
mettono un po’ a muoversi!)
Basandomi sulle interviste (quaranta, della
durata di due o tre ore ciascuna), concepii un
questionario che distribuii in migliaia di
copie in tutto il Nord America. Inoltre diressi
un’indagine telefonica casuale su un
campione di trecento persone. La cosa
importante è che tutto il materiale di questo
libro si basa su solide ricerche, mie o di altri:
scrivo a partire dalle mie numerose
osservazioni delle HS P , dai miei corsi,
conversazioni, consulti individuali e dalla
psicoterapia svolta con queste persone. Ho
avuto migliaia di opportunità di esplorare le
vite private delle HS P . Nonostante questo,
scriverò ancora “probabilmente” e “forse”
molto più spesso di quanto avvenga nei libri
rivolti a un vasto pubblico, ma credo che le
HS P lo apprezzeranno parecchio.
Svolgendo tutte queste ricerche, scrivendo
e insegnando sono diventata una specie di
pioniera. Anche questo fa parte del
curriculum di una HS P . Spesso siamo i primi a
vedere che cosa sia necessario fare. Man
mano che la fiducia nelle nostre facoltà
crescerà, forse sempre più numerose HS P si
decideranno a parlare apertamente,
ovviamente sempre nel nostro stile
“sensibile”.

Istruzioni per il lettore


1. Anche se mi rivolgo alle HS P , ho scritto
questo libro per chiunque voglia capire
queste persone: amici, parenti,
confidenti, datori di lavoro, educatori o
professionisti della salute.
2. Lo scopo del libro è farvi capire che siete
individui con un tratto in comune a molti
altri. Tale tratto vi definisce. Avrete il
vantaggio di sentirvi normali e di
beneficiare dell’esperienza e delle
ricerche altrui. Ma nessuna etichetta può
spiegare la vostra unicità. Le HS P sono tra
loro differenti, anche con questo tratto in
comune. Vi prego di ricordarlo mentre
proseguite la lettura.
3. Andando avanti probabilmente vedrete
ogni cosa alla luce del vostro stato di
persona altamente sensibile. Mi aspetto
esattamente questo. L’immersione totale
aiuta a imparare qualsiasi nuovo
linguaggio, compreso un nuovo modo di
parlare di voi stessi. Se le altre persone vi
sembrano poco interessate, escluse o
infastidite, chiedete loro un po’ di
pazienza. Verrà un giorno in cui avrete
talmente assorbito il concetto da non
aver bisogno di parlarne.
4. Il libro include alcune attività che ritengo
utili per le HS P . Ma non voglio dire che
dovete svolgerle a ogni costo, pena non
trarre alcun profitto dalla lettura.
Fidatevi della vostra intuizione e fate ciò
che vi sembra giusto.
5. Alcune di queste attività potrebbero
suscitare intense emozioni. Se vi
capiterà, vi invito a chiedere l’aiuto di un
professionista. Se siete già in terapia,
questo libro dovrebbe risultare utile al
vostro lavoro. Potrebbe aiutarvi ad
abbreviare la durata del trattamento,
consentendovi di delineare un vostro
nuovo io ideale: non un ideale culturale,
ma il vostro ideale individuale, qualcosa
che potreste essere e che forse siete già.
Però ricordatevi che questo libro non
sostituisce un buon terapeuta quando le
cose si fanno troppo pesanti o confuse.

È un momento emozionante per me: vi


immagino voltare pagina ed entrare in un
nuovo mondo – mio, vostro, nostro. Dopo aver
pensato così a lungo di essere soli, è bello
avere compagnia, non è vero?
TEST DI AUTOVALUTAZIONE
Sei una persona altamente sensibile?

Considerate ogni affermazione in base a ciò che


sentite. Rispondete “vero” se è anche solo
parzialmente vera, e “falso” se non è vera del tutto
o assolutamente non vera per voi.

Mi sembra di essere consapevole dei dettagli


nel mio ambiente.

L’umore degli altri mi influenza.

Tendo a essere molto sensibile al dolore.


Nei giorni più difficili provo il bisogno di
ritirarmi a letto, in una stanza in penombra o
in qualunque altro posto dove possa avere un
po’ di privacy e trovare sollievo agli stimoli.

Sono particolarmente sensibile alla caffeina.

Vengo facilmente sopraffatto da cose come


luci intense, odori forti, tessuti grezzi o sirene
nelle vicinanze.

Ho una vita interiore ricca e complessa.

Mi danno fastidio i rumori forti.

Sono profondamente toccato dalle arti o dalla


musica.

Sono coscienzioso.

Mi sorprendo facilmente.

Mi sento in crisi se devo fare molte cose in


breve tempo.

Quando qualcuno si trova a disagio in un


ambiente, tendenzialmente capisco di che cosa
abbia bisogno per sentirsi meglio (come
cambiare l’illuminazione o il posto a sedere).

Mi infastidisco quando mi si chiede di fare


troppe cose nello stesso tempo.

Mi sforzo molto per evitare di fare errori o di


dimenticare le cose.

Cerco di evitare film o spettacoli televisivi


violenti.

Divento spiacevolmente nervoso quando


accadono molte cose intorno a me.

Avere fame mi causa una forte reazione che


influisce negativamente sulla mia
concentrazione e sul mio umore.

I cambiamenti nella vita mi confondono.

Noto e apprezzo profumi, sapori, suoni e


opere d’arte delicate e raffinate.

Organizzare la vita in modo da evitare


situazioni sconvolgenti o stressanti è una delle
mie priorità.

Quando devo competere con qualcuno o mi


sento osservato mentre svolgo un compito,
divento così nervoso o incerto che ottengo
risultati inferiori ai miei standard.

Da bambino, i genitori o gli insegnanti mi


consideravano timido o sensibile.

Datevi un punteggio

Se avete risposto “vero” a dodici o più domande,


probabilmente siete altamente sensibili.
Ma in realtà nessun test psicologico è così
accurato da costituire una base su cui poggiare la
vostra intera esistenza. Se soltanto una o due
affermazioni risultano vere, ma lo sono fortemente,
potreste comunque essere una HSP.
Proseguite la lettura e, se vi riconoscete nella
descrizione approfondita della Persona Altamente
Sensibile nel capitolo 1, consideratevi una di loro. Il
resto di questo libro vi aiuterà a comprendere
meglio voi stessi e a imparare a rimanere in
equilibrio nel mondo odierno, che non è così
sensibile.
1
Le caratteristiche delle persone
altamente sensibili
La sensazione (sbagliata) di avere un difetto

In questo capitolo impareremo a conoscere le


caratteristiche fondamentali del vostro tratto
di personalità e come esso vi renda diversi
dagli altri. Scoprirete anche le altre
componenti della vostra personalità e
aprirete gli occhi sul modo in cui la vostra
cultura vi considera. Ma prima dovete
incontrare Kristen.

Sono pazza?
Kristen fu la ventitreesima intervista della
mia ricerca sulle HS P . Era un’intelligente
studentessa del college dagli occhi chiari. Ma
ben presto, durante la conversazione, la sua
voce incominciò a tremare.
«Mi dispiace» sussurrò «ma in realtà ho
chiesto di vederla perché lei è una psicologa e
io devo parlare con qualcuno che possa dirmi
se...» la sua voce si spezzò «se sono pazza.» La
studiai con simpatia. Si sentiva chiaramente
disperata, ma niente di ciò che mi aveva detto
mi dava la sensazione che soffrisse di una
malattia mentale. Tuttavia, a quel tempo,
ascoltavo già con un atteggiamento diverso le
persone come lei.
Riprese subito a parlare, come se avesse
paura che avessi il tempo di rispondere. «Mi
sento così diversa, da sempre. Non intendo
dire... voglio dire, la mia famiglia era
meravigliosa. La mia infanzia fu quasi
idilliaca, finché non iniziai ad andare a
scuola. Anche se mia madre mi dice che sono
sempre stata una bambina scontrosa.»
Riprese fiato. Io dissi qualcosa per
rassicurarla, e lei continuò. «Alla scuola
materna avevo paura di tutto. Anche della
musica. Quando mi passavano vicino
sbattendo pentole o padelle, mi mettevo le
mani sulle orecchie e piangevo.»
Distolse lo sguardo, con gli occhi pieni di
lacrime. «Alle elementari ero la beniamina
dell’insegnante. Però dicevano che ero
“disorientata”.»
Il suo “disorientamento” la portò a
sottoporsi a stressanti test medici e
psicologici. Prima di tutto, per cercare un
eventuale ritardo mentale. Ma, alla fine degli
esami, fu inserita in un programma per
bambini “dotati”, il che non mi sorprese.
Il giudizio però era ancora lì: “C’è qualcosa
di sbagliato in questa bambina”. Fu testato
l’udito. Normale. In quarta elementare, le
venne fatta una scansione del cervello, con
l’idea che la sua introversione fosse dovuta a
piccole crisi epilettiche. Ma il cervello era
normale.
La diagnosi finale? Aveva «problemi a
selezionare gli stimoli». Ma il risultato fu una
bambina convinta di essere difettosa.
Speciale, ma profondamente fraintesa
La diagnosi era giusta, per quello che valeva.
Le HS P devono sopportare molte cose – tutti i
dettagli che gli altri trascurano. Ma ciò che
sembra normale agli altri, come la musica ad
alto volume o una folla, può essere per le HS P
fortemente stimolante e quindi stressante.
La maggior parte delle persone ignora le
sirene, le luci abbaglianti, gli odori strani, la
confusione e il caos. Ma le HS P ne sono
turbate.
La maggior parte delle persone può
sentirsi stanca alla fine di una giornata
passata in un centro commerciale o in un
museo, ma è comunque pronta ad andare a
una festa in serata. Invece le HS P dopo una
giornata simile hanno bisogno di solitudine,
poiché si sentono frastornate e
sovrastimolate.
La maggior parte delle persone entra in
una stanza e nota tutt’al più i mobili e la
gente e nient’altro. Ma le HS P possono
percepire immediatamente, che lo vogliano o
no, l’atmosfera, le amicizie e le inimicizie fra
le persone, l’aria fresca o stantia, la
personalità di chi ha disposto i fiori e così via.
Se siete una HS P , però, difficilmente siete
consapevoli di possedere queste notevoli
doti. Come fare a mettere a confronto
esperienze interiori? Non è facile. Per lo più
vi rendete conto di essere incapaci di tollerare
molte cose, contrariamente agli altri. Vi
dimenticate di appartenere a un gruppo che
ha spesso dimostrato grande creatività,
intuito, passione e premura verso il prossimo:
tutte qualità apprezzate dalla società.
Noi siamo individui complessi con cui
avere a che fare. Il nostro tratto di sensibilità
inoltre comporta che siamo cauti, introversi e
bisognosi di più tempo per stare soli. Poiché
le persone prive di questo tratto (la
maggioranza) non lo capiscono, ci vedono
timidi, deboli o – peccato gravissimo –
asociali. Temendo simili etichette, cerchiamo
di essere come loro, con il risultato di sentirci
sovrastimolati e stressati. E allora questo ci fa
bollare come nevrotici o pazzi, prima dagli
altri e poi da noi stessi.

L’anno pericoloso di Kristen


Prima o poi tutti s’imbattono in esperienze
stressanti, ma le HS P reagiscono più
intensamente a tali stimoli. Se considerate
questa reazione come una conseguenza di
qualche difetto di fondo, aumentate lo stress
già presente in ogni crisi esistenziale. Quindi
si fanno strada in voi sentimenti di
disperazione e inutilità.
Kristen, per esempio, ebbe una simile crisi
l’anno in cui iniziò il college. Aveva sempre
frequentato modeste scuole private e non si
era mai allontanata da casa. All’improvviso si
trovò a vivere tra estranei, lottando tra folle di
studenti per i corsi e i libri, ed era sempre in
tensione. Poi si innamorò, di colpo e
appassionatamente (così come può capitare
alle HS P ). Poco dopo si recò in Giappone per
incontrare la famiglia del suo ragazzo, un
evento che offriva già buone ragioni per aver
paura. E mentre si trovava là le successe,
secondo le sue parole, di “perdere il
controllo”.
Kristen non si era mai considerata una
persona ansiosa ma improvvisamente, in
Giappone, fu sopraffatta da mille timori e
non riusciva a dormire, così cadde in
depressione. Atterrita dalle sue stesse
sensazioni, perse ogni sicurezza in se stessa.
Il suo giovane fidanzato non riuscì ad
affrontare la sua “follia” e la lasciò. A quel
punto lei dovette tornare a scuola, ma era
terrorizzata dal pensiero di poter fallire
anche lì. Era arrivata al limite.
Alla fine della sua storia mi guardò
singhiozzando.
«Sono venuta a sapere di questa ricerca
sulle persone altamente sensibili e ho
pensato: “Potrei esserlo anch’io? Ma so che
non è così. O forse sì?”»
Le risposi che ovviamente non potevo
saperlo dopo una conversazione così breve,
ma che credevo che la sua sensibilità,
combinata con tutti quegli stress, poteva
spiegare il suo stato mentale. E così ebbi il
privilegio di spiegare Kristen a se stessa, una
spiegazione che avrebbe dovuto ricevere già
da tempo.

Definire l’alta sensibilità: due punti da


ricordare

PUNTO 1
Tutte le persone, HS P o non HS P , si
sentono meglio quando non sono né troppo
annoiate né troppo stimolate.

Un individuo svolgerà meglio qualsiasi


compito, che stia conversando o giocando al
Super Bowl, se il suo sistema nervoso è
moderatamente attivo e vigile. Se la tensione
è troppo scarsa, sarà opaco e inefficace. Per
modificare un simile stato psichico beviamo
un caffè, accendiamo la radio, chiamiamo un
amico, attacchiamo discorso con un estraneo,
cambiamo lavoro... qualsiasi cosa!
All’altro estremo, troppa eccitazione del
sistema nervoso provocherà stress,
goffaggine e confusione. Non riusciamo a
pensare, il corpo è scoordinato, siamo fuori
controllo. Anche in questo caso abbiamo
molti metodi per cambiare la situazione.
Talvolta ci riposiamo. O spegniamo il
cervello. Qualcuno assume alcol o prende un
farmaco.
Il miglior livello di tensione sta nel mezzo.
L’esigenza (e il desiderio) di un “livello
ottimale di eccitazione” è, in effetti, una delle
più solide scoperte della psicologia. È vero
per tutti, anche per i bambini, che odiano
sentirsi annoiati o sovrastimolati.

PUNTO 2
Le persone sono molto diverse fra loro,
nella medesima situazione e a parità di
stimolazione nel sovraccarico del loro sistema
nervoso. 1

La differenza è in larga parte ereditaria, ed


è reale e del tutto normale. In effetti la si può
osservare in tutti gli animali dotati di
intelligenza superiore: topi, gatti, cani, cavalli,
scimmie, uomini. In ogni specie la
percentuale di individui molto sensibili agli
stimoli si aggira sul 15-20 per cento. Proprio
come alcuni individui sono un po’ più alti
degli altri, alcuni sono più sensibili. E infatti
se nell’allevamento degli animali si
accoppiano fra di loro i più sensibili, si potrà
avere, nel giro di poche generazioni, una forte
tendenza all’ipersensibilità. In breve, tra tutti
i tratti di personalità innati, questo crea le
differenze più critiche e facili da osservare. 2

Una notizia buona e una meno buona


Questo significa che voi HS P siete sensibili a
livelli di stimolazione che gli altri non notano
neppure. 3 Vale nel caso di particolari sonori,
visivi o di sensazioni fisiche, come per
esempio il dolore, ma non perché il vostro
udito, la vostra vista o gli altri sensi siano più
acuti (molte HS P portano gli occhiali). La
differenza sembra stare piuttosto nel modo
in cui il cervello processa le informazioni. 4
Noi riflettiamo più intensamente su ogni
cosa, e facciamo più sottili distinzioni. Come
quelle macchine che dividono i frutti in base
alla grandezza: solo che le nostre maglie sono
fino a due o tre volte più strette della media.
La maggior consapevolezza dei dettagli vi
rende più intuitivi; il che significa che
selezionate ed elaborate le informazioni in
modo inconscio o semiconscio. Il risultato è
che spesso “sapete”, ma senza capire come
avete fatto. Inoltre questa più profonda
elaborazione dei dettagli vi fa sviluppare una
maggior consapevolezza del passato o del
futuro. Voi “sapete” come sono andate le
cose, e come andranno. È il famoso “sesto
senso”, di cui tanto si parla. Può sbagliarsi,
ovviamente, così come gli occhi e le orecchie
possono sbagliarsi, ma è nel giusto
abbastanza spesso da poter dire che le HS P
tendono a essere individui visionari, artisti
altamente intuitivi o inventori, oltre a essere
più coscienziosi, più cauti e più saggi.
Il lato negativo del tratto si mostra ai livelli
più alti di stimolazione. Ciò che è
moderatamente provocante per la maggior
parte delle persone è altamente stressante
per le HS P . Ciò che è altamente provocante per
la maggior parte delle persone logora
fortemente le HS P , fino a far loro raggiungere
un punto di rottura chiamato “inibizione
transmarginale”. Questo concetto fu studiato
per la prima volta agli inizi del Novecento dal
fisiologo russo Ivan Pavlov, il quale era
convinto che le differenze ereditarie
fondamentali tra le persone risiedessero nella
velocità con cui esse raggiungono questo
punto di rottura, e che coloro che lo
raggiungevano più velocemente avessero un
diverso tipo di sistema nervoso.
Nessuno ama essere sovrastimolato, né le
HS P né gli altri. Quando una persona si sente
fuori controllo, l’intero corpo avverte la
difficoltà. La sovrastimolazione implica
spesso non riuscire a fare del proprio meglio.
Ovviamente significa anche pericolo. Il
terrore della sovreccitazione potrebbe anche
essere stato instillato programmaticamente
in tutti noi: poiché un neonato non può
scappare o combattere e nemmeno
riconoscere un pericolo, il meglio che può
fare è mettersi a gridare a ogni novità, ogni
cosa che sia minimamente stimolante, in
modo che il genitore possa soccorrerlo.
Come i pompieri, noi HS P rispondiamo per
lo più a falsi allarmi. Ma se la nostra
sensibilità ci salva ogni tanto la vita, è un
tratto che ha anche un costo genetico. Quindi,
sì, quando porta al sovraccarico è un bel
fastidio; ma fa parte di un pacchetto che ha
anche molti vantaggi.

Qualcosa in più sulla stimolazione


Stimolazione è ogni cosa che risvegli il
sistema nervoso, richieda attenzione ed ecciti
i nervi con piccoli impulsi elettrici. Di solito
pensiamo che provenga dall’esterno, ma
ovviamente proviene dal nostro corpo (sotto
forma di dolore, di tensione muscolare, di
fame, di sete o di desiderio sessuale) oppure
dai ricordi, dalle fantasie, dai pensieri o dai
progetti.
La stimolazione può variare per intensità
(per esempio un rumore) o per durata. Può
essere qualcosa di imprevisto, come un
clacson o un grido, oppure qualcosa di
complesso, come una festa in cui tutti
parlano insieme e ascoltano musica.
Spesso riusciamo ad abituarci a essa. Ma
talvolta, anche se crediamo di esserci
assuefatti e di non essere infastiditi,
all’improvviso ci sentiamo esausti ed ecco
perché: mentre abbiamo sopportato lo
stimolo a livello conscio, esso ci ha logorato
internamente. Anche una stimolazione
moderata e in una situazione familiare, come
una giornata di lavoro, può portare una HS P a
sentire il bisogno di quiete, a sera. A quel
punto, perfino un “piccolo” stimolo può
diventare la goccia che fa traboccare il vaso.
La situazione è in realtà ancora più
complicata, perché lo stesso stimolo può
avere diversi significati per persone
differenti. Un centro commerciale affollato a
Natale può ricordare a qualcuno un felice
momento di shopping familiare, e dare una
sensazione di calore. Ma un’altra persona, che
forse è stata costretta ad andare a far spese
con altri, ha cercato di comprare un regalo
che costava troppo e non ha saputo bene che
cos’altro fare, a quel punto, ha ricordi infelici
delle festività passate, e quindi ne soffre
intensamente.
RIVALUTARE LA VOSTRA SENSIBILITÀ
Ripensate alle volte in cui la vostra sensibilità
ha salvato voi o qualcun altro dalla
sofferenza, da grandi perdite o perfino dalla
morte. (Nel mio caso, io e tutta la mia
famiglia saremmo morti se non mi fossi
svegliata al bagliore del fuoco che stava
divampando sotto il tetto della vecchia casa
di legno in cui vivevamo.)

Una regola generale è che quando non avete


alcun controllo su una stimolazione,
l’esperienza risulta più sconvolgente, e
ancora di più se vi sentite vittime di qualcun
altro. Mentre una musica suonata da voi può
essere piacevole, quella che esce dallo stereo
di un vicino vi infastidisce parecchio, e se gli
avevate già chiesto di abbassarla, il tutto
diventa un’invasione ostile. Va detto che il
vostro limite di tolleranza può anche
diminuire per via della lettura di questo libro,
dato che comincerete a pensare di far parte di
una minoranza i cui diritti a essere meno
sollecitati sono per lo più ignorati.
Ovviamente sarebbe bello essere come dei
saggi, distaccati da tutti questi fastidi e senza
che niente possa davvero irritarci. Non ci
meraviglia dunque il fatto che molte HS P
siano interessate a vie spirituali.

L’arousal è veramente diverso dall’ansia e


dalla paura?
È importante non confondere l’arousal (stato
di attivazione, di allerta o di stimolazione)
con la paura. La paura crea sì uno stato di
stimolazione, ma lo fanno anche altre
emozioni come la gioia, la curiosità o l’ira.
Però possiamo anche essere sovrastimolati da
pensieri semiconsci, oppure da un basso
livello di attivazione che non crea nessuna
emozione evidente. Spesso non siamo
coscienti di ciò che ci infastidisce: magari una
nuova situazione, il rumore o le molte cose
che i nostri occhi stanno vedendo.
In realtà, esistono parecchi modi per essere
tesi e parecchi modi per sentirsi tali, e tutti
possono variare a seconda dei momenti e
delle persone. L’arousal può manifestarsi
sotto forma di rossore, tremore, battito
martellante, mani agitate, pensieri tetri, mal
di stomaco, tensione muscolare, sudorazione
delle mani o di altre parti del corpo. In tali
situazioni spesso le persone non si rendono
conto di alcune o di tutte le reazioni che
hanno. Oppure dicono di sentirsi tese, ma
non hanno sintomi evidenti. Il termine
arousal descrive quindi qualcosa che tutte
queste esperienze e questi stati fisici
condividono, a prescindere dalle
manifestazioni, proprio come il termine
“stress” comunica uno stato che tutti
conosciamo, ma che varia parecchio da
persona a persona. Ovviamente lo stress è
strettamente connesso all’arousal. La nostra
risposta allo stress è proprio questo stato di
attivazione.
Quando prendiamo coscienza della
situazione, desideriamo trovargli un nome e
conoscerne la causa, in modo da poter
individuare il pericolo. Spesso pensiamo
semplicemente che il nostro arousal sia
dovuto alla paura, e non capiamo che il cuore
può martellare per lo sforzo di elaborare un
ulteriore stimolo. Oppure le altre persone,
notata la nostra tensione, credono che
abbiamo paura, e quindi anche noi siamo
indotti a pensarlo. Una volta stabilito che
siamo spaventati diventiamo però ancora più
tesi, e in futuro eviteremo una tale situazione
senza sapere che, se la accettassimo e ci
abituassimo, potremmo calmarci.
Discuteremo ancora l’importanza di non
confondere la paura con l’arousal nel capitolo
5, quando parleremo della “timidezza”.

Il vostro tratto vi rende speciali


Dall’albero della sensibilità nascono molti
frutti. In voi la mente lavora in modo diverso.
Ricordatevi, per favore, che ciò che segue si
riferisce a una teorica persona media: 5
nessuno ha tutte queste caratteristiche.
Tuttavia, paragonati alle non-HS P , molti di noi
sono:

più abili nel trovare errori e nell’evitarli 6


altamente coscienziosi 7
capaci di concentrarsi profondamente
(ma lavoriamo al meglio senza
distrazioni) 8
particolarmente abili nei compiti che
richiedono attenzione, accuratezza,
velocità e la scoperta di piccole
differenze 9
capaci di elaborare a livelli più profondi
il contenuto di quello che gli psicologi
chiamano “memoria semantica” 10
capaci di pensare più spesso al nostro
stesso pensare 11
capaci di imparare senza esserne
consapevoli 12
profondamente influenzati dagli umori e
dalle emozioni altrui

Ovviamente esistono molte eccezioni,


specialmente riguardo all’essere coscienziosi.
E non voglio essere ipocrita su questo punto:
si può fare molto male anche cercando di fare
del bene. Inoltre tutti questi frutti hanno
delle ammaccature: infatti abbiamo molte
abilità, ma, ahimè, quando veniamo osservati,
cronometrati o valutati, spesso non riusciamo
a dimostrare il nostro valore. All’inizio la
nostra tendenza a una più profonda
elaborazione ci fa spesso sembrare incerti,
ma con il tempo comprendiamo e ricordiamo
più degli altri. Questo è forse il motivo per
cui le HS P imparano meglio le lingue 13
(benché la tensione le renda meno abili a
parlarle).
Il pensare più degli altri ai nostri stessi
pensieri non è egocentrismo. Vuol dire che, se
ci domandano che cosa abbiamo in mente, è
meno probabile che menzioneremo il mondo
esterno ed è più probabile che parleremo
invece delle nostre riflessioni o meditazioni.
E non è improbabile che diremo di pensare
ad altre persone.
Anche i nostri corpi sono diversi. La
maggior parte di noi ha un sistema nervoso
che ci rende:

eccezionali nei movimenti precisi 14


bravi a stare fermi 15
persone mattiniere (con molte
eccezioni) 16

più sensibili agli stimolanti come la


caffeina, 17 a meno che non ci siamo già
abituati
maggiori utilizzatori dell’emisfero destro
del cervello 18 (meno lineari, più creativi
in maniera sintetica)
più sensibili a ciò che c’è nell’aria 19 (sì,
questo significa anche più soggetti ad
allergie ed eruzioni cutanee)

Soprattutto, il nostro sistema nervoso sembra


progettato per reagire a esperienze sottili, il
che ci rende più lenti a recuperare quando
dobbiamo reagire a stimoli intensi.
Ma le HS P non si trovano continuamente in
uno stato di tensione. Non siamo
“cronicamente sovraccarichi” 20 nella vita
quotidiana, o quando dormiamo. Siamo
invece più tesi di fronte a stimolazioni nuove
o prolungate. (Essere HS P non significa essere
“nevrotici”, ossia essere costantemente
ansiosi senza una ragione evidente).

Come valutare le vostre differenze


Arrivati a questo punto, spero che ormai
vediate il vostro tratto in termini positivi. Ma
vi suggerisco di cercare di valutarlo invece in
modo neutrale. Esso diventa un vantaggio o
uno svantaggio soltanto quando vi trovate in
una situazione specifica. Poiché il tratto è
presente in tutti gli animali superiori, deve
avere un suo valore intrinseco in molte
circostanze. La mia impressione è che esso
sopravviva in una certa percentuale e in
queste specie proprio perché è utile avere
vicino qualcuno che sia sempre attento ai
dettagli. E una percentuale del 15-20 per
cento sembra essere quella ottimale perché in
un gruppo sociale sia sempre presente
qualcuno che avverta i compagni dei pericoli,
dei nuovi cibi, delle necessità dei giovani e
dei malati e delle abitudini degli altri animali.
Naturalmente, è necessaria in un gruppo
la presenza anche di altri elementi, che non
siano così attenti a tutti i pericoli e alle
conseguenze di ogni azione. Essi si faranno
avanti senza tanti pensieri, pronti a esplorare
ogni novità oppure a combattere per
difendere il gruppo e il territorio. Ogni
società ha bisogno di entrambi i tipi. E forse
mi spingo a dire che occorre un numero
maggiore di individui meno sensibili, perché
molti di loro hanno la tendenza a finire
uccisi! Ma questa, ovviamente, è solo una mia
idea.
Un’altra mia impressione è che la specie
umana tragga vantaggio – più delle altre –
dalle HS P . Sono le loro caratteristiche a
rendere gli esseri umani diversi dagli altri
animali: siamo noi più sensibili a essere in
grado di immaginare gli sviluppi delle
situazioni. Gli esseri umani in generale, e le
HS P in particolare, sono acutamente
consapevoli del passato e del futuro. E, se la
necessità è la madre delle invenzioni, le HS P
passano molto più tempo a escogitare
soluzioni ai problemi umani proprio perché
sono più sensibili alla fame, al freddo,
all’insicurezza, alla stanchezza e alla malattia.
Talvolta si dice che le persone con il nostro
tratto di personalità siano meno felici o meno
capaci di essere felici. 21 Ovviamente
possiamo apparire infelici e umorali, almeno
alle non-HS P , perché ci concentriamo molto
più spesso sul significato della vita e della
morte o su quanto tutto sia complicato:
pensieri sfumati e complessi. Poiché molte
non-HS P non trovano piacevole l’oggetto dei
nostri pensieri, presumono che concentrarci
su di essi ci renda infelici. E noi non siamo
certo più felici se gli altri ci dicono che siamo
infelici (secondo la loro definizione di felicità)
o che abbiamo un problema (sempre secondo
loro) perché sembriamo infelici. Simili accuse
renderebbero infelice chiunque.
Aristotele ha delineato il problema meglio
di tutti, con la domanda: «Preferiresti essere
un maiale felice o un uomo infelice?». Le HS P
preferiscono essere molto consapevoli, molto
umane, anche se ciò di cui siamo consapevoli
non ci dà sempre motivo di rallegrarci.
Questo non significa che le non-HS P siano
dei maiali! So che qualcuno contesterà le mie
affermazioni, sostenendo che sto cercando di
fare di noi un’élite. Un’idea del genere non
durerebbe che cinque minuti nella mente
della maggior parte delle HS P . Ben presto
infatti ci sentiremmo colpevoli per aver
provato simili sentimenti di superiorità. Io
vorrei solo incoraggiarle a sentirsi uguali agli
altri.

Eredità e ambiente
Alcuni lettori si domanderanno se il tratto sia
veramente ereditario, specialmente se si
ricordano il momento in cui tale sensibilità
sembrò avere inizio o accrescersi in modo
significativo.
Nella maggior parte dei casi, la sensibilità
è ereditaria. 22 Ne esistono prove evidenti,
che provengono soprattutto da studi sui
gemelli monozigoti: pur essendo stati allevati
separatamente, essi hanno sviluppato
comportamenti simili, il che suggerisce l’idea
che il comportamento sia almeno in parte
geneticamente determinato.
D’altra parte non sempre i gemelli che
crescono separatamente, anche se identici,
possiedono entrambi lo stesso tratto. Per
esempio, ciascun gemello tenderà a
sviluppare una personalità simile a quella
della madre che lo ha allevato, anche se non è
la madre biologica. Il fatto è che
probabilmente non esistono tratti ereditari
che non possano essere potenziati, attenuati,
creati o eliminati da certi tipi di esperienza.
Per esempio, un bambino che vive una
situazione di stress a casa o a scuola, e che
abbia anche soltanto una lieve tendenza
ereditaria a essere altamente sensibile, finirà
per ripiegarsi su se stesso. Il che spiega
perché i bambini con fratelli e sorelle
maggiori hanno più probabilità di essere
HS P, 23 e questo non ha niente a che fare con i
geni. Analogamente, alcuni studi sui cuccioli
di scimmia traumatizzati dalla separazione
dalla madre hanno scoperto che nell’età
adulta queste scimmie si comportano molto
spesso come quelle dotate di un’alta
sensibilità innata. 24
Alcune circostanze possono invece
attenuare questo tratto. Per esempio, parecchi
bambini altamente sensibili alla nascita
vengono trattati duramente dai genitori, dagli
insegnanti o dagli amici proprio perché
diventino più forti. Vivendo in un ambiente
rumoroso o affollato, in famiglie molto
numerose o spinti a una più intensa attività
fisica, possono perdere un po’ di
sensibilità, 25 proprio come gli animali
sensibili molto coccolati possono perdere un
po’ della loro cautela, almeno con
determinate persone o in situazioni
specifiche. Comunque sembra improbabile
che il tratto scompaia del tutto.

E voi?
Se siete adulti, è difficile appurare se avete
ereditato il tratto o se lo avete sviluppato nel
corso della vita. La miglior prova, benché
molto imperfetta, è chiedere ai vostri genitori
se ricordano che siate stati molto sensibili fin
dalla nascita. Possibilmente, chiedete loro – o
a chi vi ha allevato – di raccontarvi come
eravate nei primi sei mesi di vita.
È più probabile che riceviate maggiori
informazioni se non domandate loro per
prima cosa se eravate sensibili. Chiedete
semplicemente come vi comportavate. Le
storie che vi racconteranno vi spiegheranno
tante cose. Solo allora potrete investigare sui
segni tipici dei bambini altamente sensibili.
Incontravate difficoltà nei cambiamenti, per
esempio quando vi svestivano per farvi il
bagno, quando sentivate rumori o quando
provavate nuovi cibi? Soffrivate spesso di
coliche? Facevate fatica a addormentarvi o
dormivate poco, specialmente quando eravate
molto stanchi?
Ricordatevi che, se i vostri genitori non
avevano cresciuto altri bambini prima di voi,
forse non potevano notare nulla di strano a
quell’età, non avendo alcun termine di
paragone. Inoltre, nonostante le classiche
lamentele per i problemi dei figli, i vostri
genitori potrebbero voler convincere voi e se
stessi del fatto che tutto fosse perfetto nella
vostra infanzia. Potete dire loro, per
rassicurarli, che sapete che hanno fatto del
loro meglio e che tutti i bambini pongono dei
problemi, ma che desiderate conoscere che
tipo di problemi avevate voi.
Magari fategli leggere il test all’inizio di
questo libro. Domandate se loro o qualcun
altro in famiglia aveva quel tratto. Se trovate
parenti sia paterni che materni con questa
caratteristica, ci sono molte probabilità che
voi l’abbiate ereditata.
Ma se invece non trovate nulla, o non siete
sicuri? Forse non è così importante. Ciò che
conta è che l’avete ora. Perciò non
arrovellatevi troppo su questo problema. Il
prossimo argomento è molto più importante.
Indagate i valori della vostra cultura: ciò
che non capite vi nuocerà
Voi e io stiamo imparando a vedere il nostro
tratto come qualcosa di neutrale – utile in
alcune situazioni, non in altre – ma la nostra
cultura non considera in modo neutro
nessuna caratteristica della personalità.
L’antropologa Margaret Mead lo ha spiegato
bene: benché in una determinata società i
neonati mostrino un’ampia gamma di
temperamenti ereditari, solo pochi di essi
vengono considerati ideali. La personalità
ideale per una cultura prende corpo, secondo
le parole di Margaret Mead, «in ogni filo della
trama sociale: nella cura dei bambini, nei
giochi infantili, nei canti popolari, nella
struttura dell’organizzazione politica,
nell’osservanza religiosa, nell’arte, nella
filosofia». 26 Gli altri tratti sono ignorati,
scoraggiati o, se resistono, ridicolizzati. 27
Qual è l’ideale della nostra cultura? I film,
le pubblicità, la configurazione degli spazi
pubblici, tutto ci dice che dovremmo essere
forti come Terminator, stoici come Clint
Eastwood o estroversi come Goldie Hawn.
Dovrebbero piacerci le luci brillanti, il
rumore, le comitive di allegri amici al bar. E,
se ci sentissimo invece sensibili e stressati,
dovremmo prendere un tranquillante.

SMENTIRE LE IDEE DELLA


MAGGIORANZA

1. Qual era l’atteggiamento dei genitori


verso la vostra sensibilità? La
accettavano o la rifiutavano? La
consideravano un inconveniente, come
la timidezza, la scarsa virilità, la
codardia, oppure un segno di capacità
artistiche, qualcosa di carino? E i vostri
parenti, gli amici, gli insegnanti?
2. Pensate ai media, specialmente
nell’infanzia. Quali erano i vostri
modelli e i vostri idoli? Assomigliavano
a HSP? O erano persone cui non avreste
mai potuto assomigliare?
3. Considerate il vostro conseguente
atteggiamento. Come ha influenzato la
vostra carriera, le relazioni sentimentali,
le attività ricreative e le amicizie?
4. Come vi sentite di fronte all’immagine
delle HSP veicolata dai media? Pensate
alle immagini positive e negative delle
HSP. Quali sono predominanti? (Notate
che quando in un film o in un libro un
personaggio è una vittima, gli viene
spesso attribuita una natura sensibile,
vulnerabile e nevrotica. Questo crea un
buon effetto drammatico, perché la
vittima è visibilmente scossa e stravolta,
ma è dannoso per le HSP, perché essere
“vittima” viene equiparato a essere
sensibile.)
5. Pensate a come le HSP abbiano dato un
contributo alla società. Esaminate gli
esempi che conoscete personalmente e
di cui avete letto. Potreste iniziare da
Abramo Lincoln.
6. Pensate al vostro contributo personale
alla società. In qualunque cosa facciate
– scolpire statue, accudire bambini,
studiare fisica, votare – voi tendete a
riflettere profondamente, osservare i
dettagli, avere una visione precisa del
futuro e vi sforzate di essere
coscienziosi.

Se doveste ricordarvi una sola cosa di questo


libro, vorrei che fosse la seguente ricerca:
Xinyin Chen e Kenneth Rubin dell’Università
di Waterloo, in Ontario, Canada, e Yuerong
Sun 28 della Shanghai Teachers University
hanno messo a confronto 480 scolari di
Shanghai con 296 canadesi per vedere quali
tratti li rendessero più popolari. In Cina i
bambini “timidi” e “sensibili” erano quelli
scelti più spesso dagli altri come amici e
compagni. (In mandarino, la parola che
indica timido o quieto significa “buono” o
“beneducato”; e la parola sensibile può essere
tradotta come “persona che comprende”, un
termine positivo.) In Canada, i bambini
timidi e sensibili erano tra i meno scelti.
Molto probabilmente questo è il tipo di
atteggiamento con cui vi siete confrontati
crescendo.
Pensate a che impatto ha avuto su di voi il
fatto di non incarnare il tipo ideale per la
società in cui vivete. Deve avervi influenzato,
non solo per il modo in cui siete stati trattati
dagli altri, ma anche per come voi avete
imparato a trattare voi stessi.

I pregiudizi della psicologia


Le ricerche psicologiche stanno attirando
l’attenzione generale, e molte parti di questo
libro sono basate su di esse. Ma la psicologia
non è una scienza esatta. In realtà non può
che riflettere i pregiudizi della cultura da cui
proviene. Potrei citare molti esempi di studi
che riflettono il pregiudizio secondo cui gli
individui che io chiamo HS P sono meno felici,
hanno una salute mentale più labile 29 e sono
perfino meno creativi e meno intelligenti (le
prime due affermazioni sono definitivamente
state smentite). Cito questi esempi solo per
rieducare i miei colleghi. Voi state ben attenti
a non accettare per voi etichette come
“inibiti”, “introversi” o “timidi”.
Proseguendo la lettura capirete perché queste
definizioni sono sbagliate. In genere, tali
etichette non colgono l’essenza del tratto e gli
danno un significato negativo. Per esempio,
le ricerche hanno scoperto che la maggior
parte delle persone associano, del tutto
erroneamente, l’introversione a una scarsa
salute mentale. Quando le HS P si identificano
con queste definizioni, la loro sicurezza
diminuisce, e il loro stato di attivazione
cresce in situazioni in cui ci si aspetta che
siano maldestre.
È utile sapere che nelle culture in cui il
tratto è maggiormente apprezzato, come il
Giappone, la Svezia e la Cina, le ricerche
assumono significati diversi. Per esempio, gli
psicologi giapponesi si aspettano dai soggetti
sensibili prestazioni migliori, 30 e succede
proprio così. Nei loro studi sullo stress hanno
scoperto che gli individui non-sensibili hanno
maggiori problemi nel fronteggiare situazioni
ricche di stimolazioni. 31 E tuttavia non
dobbiamo biasimare la psicologia della
nostra cultura o i suoi benintenzionati
ricercatori. Fanno del loro meglio.

Consiglieri reali e re guerrieri


Nel bene e nel male, il mondo è sempre più
controllato da culture aggressive, basate
sull’esteriorità, sull’espansione, sulla
competizione e sul desiderio di vincere. E
questo perché, quando diverse culture
entrano in contatto, le più aggressive tendono
naturalmente ad avere il sopravvento sulle
altre.
Come siamo finiti in questa situazione?
Per gran parte della storia del mondo, tutto
cominciò nelle steppe dell’Asia, la culla della
cultura indoeuropea. Quei cavalieri nomadi
vivevano allevando mandrie di cavalli e di
altri animali, per lo più rubando agli altri
popoli greggi e terre. Entrarono in Europa
circa settemila anni fa, raggiungendo il Medio
Oriente e l’Asia meridionale poco dopo.
Prima del loro arrivo c’erano poche guerre o
nessuna, e non esistevano né schiavitù, né
monarchia, né dominio di una classe
sull’altra. I nuovi venuti trasformarono i
popoli conquistati (quelli senza cavalli) in
servi o schiavi, costruirono città fortificate là
dove c’erano pacifici insediamenti, e
iniziarono a espandersi attraverso le guerre o
i commerci creando regni sempre più estesi o
imperi.
Le società indoeuropee più durevoli e felici
organizzarono il potere dividendolo fra due
gruppi di persone: i re guerrieri e i loro
consiglieri, laici o religiosi. E questo ebbe
successo. Metà del mondo parla una lingua
indoeuropea, il che significa anche che non
pensa secondo gli schemi della cultura
indoeuropea. La conquista, la libertà e la
fama sono cose buone: questi sono i valori dei
re guerrieri.
Ma per sopravvivere, le società aggressive
hanno da sempre avuto bisogno di una classe
di preti, giudici o consiglieri. Questa classe
controbilancia quella dei re e dei guerrieri
(così come la Suprema Corte negli US A
controbilancia il presidente e le sue forze
armate). Si tratta di una classe di individui
più riflessivi, che spesso lavora per
controllare gli impulsi dei re guerrieri. Poiché
il loro consiglio è spesso riconosciuto e
provato valido, essi ricoprono una serie di
ruoli rispettati: consulenti, storici, insegnanti,
studiosi, magistrati. Per esempio, capiscono
l’importanza di favorire il benessere delle
persone comuni, da cui dipende la società,
come chi lavora nel settore primario o alleva i
bambini. Inoltre mettono in guardia contro le
guerre sconsiderate e il cattivo uso della
terra.
In breve, esiste una solida classe di
consiglieri reali che si preoccupa di
controllare e di pensare. E si sforza – credo
con crescente successo nei nostri tempi
moderni – di dirigere la meravigliosa ed
espansiva energia delle loro società,
impedendo aggressioni e soprusi. È di gran
lunga meglio che questa energia venga
impiegata per le invenzioni creative, le
esplorazioni e la protezione del pianeta e dei
deboli. 32
Le HS P tendono a occupare questo ruolo di
consiglieri. Siamo scrittori, storici, filosofi,
giudici, ricercatori, teologi, terapeuti,
insegnanti, genitori e cittadini coscienziosi.
Ciò che ci porta a scegliere uno di questi ruoli
è la tendenza a pensare alle possibili
conseguenze di un’idea. Spesso dobbiamo
renderci impopolari proprio per difendere la
maggioranza dai propri colpi di testa. Ma per
svolgere questo ruolo dobbiamo imparare a
valutarci in modo positivo e dobbiamo
ignorare i messaggi dei guerrieri, che non ci
considerano alla loro altezza. Questi ultimi
hanno un loro modo di fare ardito, che ha un
suo valore. Ma anche noi abbiamo un nostro
modo di fare, e un importante contributo da
dare alla società.

Il caso di Charles
Charles era una delle rare HS P da me
intervistate che aveva sempre saputo di
essere un individuo altamente sensibile, e lo
aveva sempre ritenuto positivo. La sua
infanzia fuori del comune, e i conseguenti
risultati, sono una bella dimostrazione
dell’importanza dell’autostima e degli effetti
della cultura personale.
Charles si è felicemente sposato per la
seconda volta, e svolge un ammirevole lavoro
di insegnamento accademico ben retribuito.
Nel tempo libero è un pianista di eccezionale
talento. Ed è consapevole che questi doni
sono più che sufficienti per dare un senso alla
sua vita. Dopo aver appreso tutto ciò
all’interno del nostro colloquio, io ero
naturalmente curiosa di conoscere il resto
della sua storia.
Ecco il suo primo ricordo. (Lo chiedo
sempre nelle mie interviste. Anche se non
sempre è preciso, quel che viene ricordato è
spesso ciò che ha dato una specie di tono o
tema alla vita intera.) Charles è in piedi su un
marciapiede, alle spalle di una piccola folla
che sta ammirando una vetrina piena di
decorazioni natalizie. Grida: «Andate via,
voglio vedere!». Tutti ridono, e lasciano che si
metta davanti.
Che sicurezza! Il coraggio di parlare così
semplicemente doveva aver avuto origine in
famiglia.
I suoi genitori infatti erano compiaciuti
della sua sensibilità. Nella loro cerchia di
amici – un ambiente artistico e intellettuale –
la sensibilità era associata a una particolare
intelligenza, a buona educazione e gusti
raffinati. I suoi genitori, non sorprendendosi
che studiasse tanto anziché andare a giocare
con gli altri ragazzi, lo incoraggiarono a
leggere ancora di più. Per loro, Charles era il
figlio ideale.
Con questo background, Charles credeva in
se stesso. Sapeva di aver assorbito eccellenti
gusti estetici e buoni valori morali fin dalla
prima infanzia. Non riteneva di avere difetti.
E, alla fine, comprese di essere un individuo
non comune, parte di una minoranza. La sua
intera cultura non era cosa comune, e lui
aveva imparato a considerarla superiore, non
inferiore. Si era sempre sentito sicuro in
presenza di estranei, anche quando era
entrato prima nella migliore scuola
preparatoria per il college, poi in
un’università della Ivy League, e infine
quando era diventato professore.
Quando gli chiesi se trovava vantaggi nel
suo tratto di personalità, lui non ebbe
problemi a elencarne molti. Per esempio, era
sicuro che da esso dipendesse gran parte
della sua abilità musicale. Lo aveva anche
aiutato ad approfondire la consapevolezza di
sé nel corso di vari anni di psicoanalisi.
Quanto agli svantaggi e al suo modo di
venire a patti con loro, disse che lo
infastidivano parecchio i rumori, tanto che
aveva scelto di vivere in un quartiere
tranquillo e circondato da suoni piacevoli, per
esempio quelli prodotti da una fontana nel
cortile o dalla buona musica. Provava
profonde emozioni, che potevano portarlo
ogni tanto a sentirsi depresso, però aveva
l’abitudine di esplorare e cercare di
migliorare i suoi sentimenti. Sapeva di
prendere la vita troppo seriamente, ma si
sforza di rilassarsi.
La sua esperienza di overarousal
(sovrastimolazione, sovraccarico) consiste
principalmente in un’intensa reazione fisica,
in conseguenza della quale fatica a dormire.
Ma di solito supera questi momenti grazie a
un deciso autocontrollo, «comportandomi in
un certo modo». Quando è stressato dal
lavoro o la sua presenza non è necessaria, si
allontana per “calmarsi camminando”o
suona il piano. Conoscendo la propria
sensibilità, ha evitato deliberatamente di
intraprendere una carriera nel campo degli
affari. Quando fu promosso in un ruolo
accademico che lo stressò molto, fece in
modo di cambiare posizione non appena
possibile.
Charles ha organizzato l’intera esistenza
intorno al suo tratto di personalità,
mantenendo un livello ottimale di attivazione
senza sentirsi, per questo, in difetto. Quando
gli domandai – come sono solita fare – che
consiglio avrebbe dato alle altre HS P , rispose:
«Prenditi il tempo sufficiente a trovare la tua
posizione nel mondo: l’ipersensibilità non è
qualcosa da temere».

Un motivo per essere molto orgogliosi


Questo primo capitolo è stato probabilmente
molto stimolante! Forse ha suscitato in voi
sentimenti intensi e confusi. So per
esperienza, comunque, che man mano che
leggerete il libro e vi impegnerete negli
esercizi, questi sentimenti diventeranno
sempre più chiari e positivi.
Per riassumere, voi HS P siete in grado di
notare dettagli che sfuggono agli altri, e
quindi arrivate rapidamente a livelli di
stimolazione che vi fanno sentire a disagio.
Questo primo elemento non potrebbe essere
vero se non fosse vero anche il secondo. È un
pacchetto completo, e è un buon pacchetto.
È anche importante tenere a mente che
questo libro riguarda sia il vostro innato e
personale tratto di personalità sia il vostro
non essere apprezzati dalla società. Ma siete
nati per essere annoverati tra i consiglieri e i
pensatori, i leader spirituali e morali del
vostro tempo. Ecco un buon motivo per
essere orgogliosi.
LAVORARE CON CIÒ CHE AVETE
IMPARATO
Ricontestualizzare le vostre reazioni al cambiamento

Alla fine di alcuni capitoli vi chiederò di


“ricontestualizzare” le vostre esperienze alla luce di
ciò che ora conoscete. “Ricontestualizzazione” è un
termine utilizzato dalla psicologia cognitiva per
indicare semplicemente il vedere qualcosa in una
nuova maniera, in un nuovo contesto, in una nuova
cornice.
Il vostro primo compito di ricontestualizzazione
consiste nel pensare ai tre cambiamenti significativi
della vostra esistenza che ricordate meglio. Di solito
noi HSP opponiamo resistenza ai cambiamenti.
Oppure cerchiamo di affrontarli, ma ne soffriamo.
In realtà non vorremmo cambiare, anche se si tratta
di modifiche positive. Questa è la cosa più
fastidiosa. Quando pubblicai il mio romanzo, dovetti
andare in Inghilterra per promuoverlo. Stavo
finalmente vivendo il sogno che avevo a lungo
accarezzato. Ovviamente mi ammalai e non mi
godetti un solo minuto. A quel tempo pensavo che
la mia nevrosi non facesse altro che rovinarmi i
migliori momenti della vita, ma ora che ho
compreso il mio tratto di personalità, capisco che
quel viaggio era semplicemente troppo stimolante.
La mia nuova comprensione di quell’esperienza è
esattamente ciò che intendo per
ricontestualizzazione. Ora tocca a voi. Pensate a tre
cambiamenti o sorprese della vostra esistenza.
Sceglietene uno – magari una perdita o la fine di
qualcosa – che al momento vi sembrò negativo. Poi
sceglietene un altro che vi sembrò neutro. E infine
uno che vi sembrò positivo, qualcosa da celebrare o
qualcosa fatto per voi con gentilezza. Ora per
ciascun avvenimento seguite questi tre passi:

1. Pensate alla vostra reazione al cambiamento e


a come l’avete sempre considerata. Pensate di
avere reagito in un modo sbagliato o diverso
da come avrebbero fatto gli altri? O troppo a
lungo? Avete deciso che in qualche modo non
eravate all’altezza? Avete cercato di
nascondere il vostro turbamento? Oppure gli
altri lo hanno scoperto e vi hanno detto che
era “eccessivo”? Faccio un esempio di
cambiamento negativo. Josh oggi ha
trent’anni, ma per più di vent’anni ha nutrito
un senso di vergogna per quando, al terzo
anno della scuola elementare, dovette
cambiare scuola. Nell’istituto precedente era
noto per l’abilità nel disegno, per il suo
umorismo, per i suoi abiti divertenti e così via.
Ma nella nuova scuola queste stesse qualità lo
trasformarono nella vittima di un gruppo di
bulli. Lui reagì con distacco, ma dentro di sé si
sentiva terrorizzato. Ora, a trent’anni, si
domanda ancora se non abbia meritato in
qualche modo quell’impopolarità. Forse era
davvero anormale e debole. Altrimenti perché
non si era difeso meglio? Forse era tutto vero.

2. Riflettete sulla vostra reazione alla luce di ciò


che ora sapete sul modo in cui il vostro corpo
agisce automaticamente. Josh deve aver subito
un’elevata stimolazione nelle prime settimane
alla nuova scuola. È difficile entrare nella testa
dei bambini e capire che cosa bisogna fare per
aver successo nei giochi e nei compiti
scolastici: tutte cose in base alle quali i
compagni giudicano i nuovi arrivati. I bulli lo
considerarono un facile bersaglio, che poteva
farli apparire più tosti. Gli altri avevano paura
di difenderlo. Così Josh perse sicurezza e si
sentì in difetto, non gradito. Questo
intensificava il suo stato di attivazione e allerta
quando provava a comportarsi in modo
diverso in mezzo agli altri. Non riusciva mai a
sentirsi rilassato e normale. Fu un periodo
penoso, ma non c’era niente di cui
vergognarsi.

3. Pensate se c’è qualcosa che potete fare ora. Vi


raccomando in particolare di condividere la
vostra nuova visione della situazione con
qualcun altro, purché sia una persona
disponibile. Magari può essere qualcuno che a
quel tempo era presente, e che potrebbe
aggiungere altri particolari ai vostri ricordi. Vi
consiglio anche di mettere per iscritto le
vecchie e le nuove impressioni di
quell’esperienza e di conservarle per un po’,
come un promemoria.
2
Scavare a fondo

Comprendere appieno il vostro tratto di


personalità
Ora dovete riorganizzare il vostro mondo
interiore in modo da non dubitare più della
realtà del vostro tratto. Questo è
particolarmente importante, perché l’alta
sensibilità è poco studiata in psicologia.
Esamineremo ora sia uno specifico caso di
studio che prove scientifiche, la maggior
parte provenienti dall’osservazione dei
comportamenti infantili. A maggior ragione,
il caso che segue è proprio la storia di due
bambini.
OS S ERVANDO ROB E REBECCA

Nel periodo in cui incominciai a studiare


l’alta sensibilità, una cara amica partorì due
gemelli: un maschio, Rob, e una femmina,
Rebecca. Fin dal primo giorno si poteva
notare una differenza tra i due, e io capii di
cosa si trattava. La scienziata che era in me ne
fu felice. Non solo potevo osservare un
bambino altamente sensibile mentre
cresceva, ma Rob poteva essere confrontato
con la sorella, cresciuta nello stesso identico
ambiente.
Conoscere Rob fin dalla nascita mi
permise di eliminare ogni dubbio sul fatto
che il tratto fosse ereditario. È vero che i due
fratelli furono trattati in modo differente fin
dall’inizio, ma il motivo era che il maschio
era un soggetto altamente sensibile, una
caratteristica con cui era nato. (Pur essendo
gemelli, Rob e Rebecca non erano
monozigoti, il che significa che i loro geni
non erano più simili di quanto lo siano quelli
tra normali fratelli e sorelle.)
Per di più, a rendere il caso ancora più
interessante, i generi sessuali associati all’alta
sensibilità qui erano scambiati: la persona
sensibile era il maschio, mentre la sorella non
lo era. Tutti gli stereotipi erano invertiti,
anche per il fatto che Rob era più piccolo di
Rebecca.
Leggendo la storia di Rob, non vi
meravigliate se proverete intense emozioni.
Poiché alcune delle mie descrizioni
potrebbero adattarsi anche a voi, potrebbero
affiorare vaghi ricordi o sentimenti legati ad
avvenimenti che avete dimenticato. Siate
aperti a queste sensazioni. Osservatele.
Magari mettetele per iscritto. Quando
leggerete i prossimi capitoli e lavorerete su
voi stessi, potreste ricavarne preziose
informazioni.

PROBLEM I DI S ONNO

Nei primi giorni dopo la nascita di Rob e


Rebecca, le differenze di temperamento si
manifestavano chiaramente quando i due
bambini erano stanchi. 1 Rebecca si
addormentava facilmente e non si svegliava.
Invece Rob, specialmente in seguito a
determinati cambiamenti – visitatori, viaggi
ecc. – stava sveglio e piangeva. Questo
significava che la mamma o il papà dovevano
camminare, cantare, cullare o accarezzare il
bambino, cercando di acquietarlo.
Di solito, quando il bambino sensibile è un
po’ più grande, si consiglia di metterlo a letto
e di lasciare che la quiete e il buio calmino
gradualmente la sovrastimolazione, che è la
vera causa del pianto. 2 Le HS P sanno bene
che cosa significhi essere “troppo stanche per
dormire”. In effetti, sono troppo esauste per
addormentarsi.
Però, lasciare che un neonato pianga per
un’ora va oltre la sopportazione della maggior
parte dei genitori, probabilmente anche
perché tale comportamento non è molto
saggio. Abitualmente si calma un neonato
cullandolo: nel caso di Rob, i genitori
scoprirono alla fine che un movimento di
oscillazione lo induceva al sonno.
Poi bisognava farlo rimanere
addormentato. Nel ciclo del sonno ci sono
sempre momenti in cui è più facile o più
difficile essere svegliati, ma i bambini
sensibili sembrano avere periodi più brevi di
sonno profondo e imperturbabile. E, una
volta svegli, hanno una grande difficoltà a
ritornare a dormire. (Tenete presente che
probabilmente una cosa del genere sarà
successa anche a voi, che lo ricordiate o no.)
La mia soluzione, con bambini altamente
sensibili, consiste nel coprire la culla con
delle coperte. Sotto quella piccola tenda tutto
è quieto e accogliente, soprattutto se il
bambino si trova in un posto nuovo. Talvolta i
bambini sensibili costringono davvero i
genitori a essere empatici e creativi.
UNA NOTTE, DUE BAM BINI

Quando Rob e Rebecca avevano quasi tre


anni, nacque un fratellino. Mio marito e io
quella notte andammo a dormire a casa loro,
perché i genitori erano in ospedale. Ci
avevano avvertiti che Rob si sarebbe svegliato
almeno una volta, magari spaventato da
qualche brutto sogno. (Sognava molto più
della sorella, come succede spesso alle HS P .)
Infatti alle cinque del mattino Rob si
svegliò, piangendo piano. Quando vide che
nel letto dei genitori c’erano due estranei, si
mise a gridare.
Non avevo idea di che cosa gli passasse per
la testa. Forse: «Aiuto! Mia madre se ne è
andata! Due esseri orribili hanno preso il suo
posto!».
La maggior parte dei genitori concorda sul
fatto che tutto diventa più facile quando il
bambino comincia a capire le parole. Questo
è anche più vero per un bambino altamente
sensibile, vittima della sua stessa
immaginazione. Il mio trucco quindi stette
nel far scivolare alcune brevi parole
tranquillizzanti fra un singhiozzo e l’altro.
Fortunatamente Rob aveva un grande
senso dell’umorismo. Così gli ricordai di una
sera recente in cui gli avevo fatto da
babysitter e avevo servito dei dolci come
“antipasto”, prima della cena.
Rob deglutì, mi fissò e poi sorrise. E
qualcosa scattò nella sua mente, facendomi
passare da “mostro che ha rapito mamma” a
“quella sciocca di Elaine”.
Gli domandai se volesse dormire con noi,
ma sapevo che avrebbe preferito stare nel suo
letto. Ben presto si rilassò e riprese a dormire.
La mattina successiva Rebecca entrò in
camera. Quando vide che i suoi genitori
erano assenti, sorrise e disse: «Ciao, Elaine.
Ciao, Art», e se andò. Questa è la differenza
rispetto alle HS P .
Non oso immaginare cosa sarebbe
successo se avessi sgridato Rob e gli avessi
detto di tornare a dormire. Probabilmente lo
avrebbe fatto, ma si sarebbe sentito
abbandonato in un mondo minaccioso. E non
avrebbe dormito. La sua mente intuitiva
avrebbe elaborato l’esperienza per ore,
compresa l’idea che si meritava di essere
sgridato. Ai bambini sensibili non occorrono
le maniere forti per avere paura del buio.

COM PLETIAM O IL RITRATTO DI ROB

Di giorno, durante il loro primo anno di età,


quando i gemelli andavano a spasso con i
genitori, l’orchestrina del ristorante
messicano affascinò Rebecca, ma fece
piangere Rob. Durante il loro secondo anno,
Rebecca fu incantata dalle onde dell’oceano,
dalle diverse acconciature delle persone e
dalle giostre; ma Rob ne fu spaventato,
almeno all’inizio. E così successe il giorno in
cui entrò all’asilo e tutte le volte in cui c’erano
compleanni e feste. Inoltre sviluppò altre
paure, come quella per le pigne, per le figure
stampate sul suo copriletto e per le ombre sul
muro. A noi sembravano paure strane e
fittizie, ma per lui erano certamente reali.
In sostanza, la sua infanzia fu più difficile
per lui e per i suoi attenti, equilibrati e
competenti genitori. In realtà, anche se
sembra assurdo, gli aspetti difficili di ogni
temperamento si mostrano meglio quando
l’ambiente famigliare è sano. Altrimenti il
bambino, pur di sopravvivere, farà qualunque
cosa per adattarsi ai genitori, 3 e il suo tratto
di personalità si nasconderà per riaffacciarsi
più avanti in qualche altro modo, per esempio
sotto forma di sintomi fisici collegati allo
stress. Ma poiché Rob fu lasciato libero di
essere quello che era, la sua particolare
sensibilità non venne repressa. Così egli
poteva esprimere i suoi sentimenti e, di
conseguenza, imparare che cosa era bene per
lui e che cosa non funzionava.
Nei suoi primi quattro anni di vita, quando
era stressato spesso scoppiava a piangere
rabbiosamente. In quei momenti, i genitori lo
aiutavano pazientemente a calmarsi. E, con il
passare dei mesi, fu sempre più in grado di
non farsi sopraffare da quelle reazioni. Per
esempio, quando guardava un film con scene
paurose o tristi, aveva imparato a ripetere ciò
che i genitori gli avevano insegnato: «È
soltanto un film» oppure «Sì, ma io so che
finisce bene». Altre volte chiudeva gli occhi,
si copriva le orecchie e usciva per un po’ dalla
stanza.
Essendo molto prudente, è stato
probabilmente più lento a imparare alcuni
esercizi fisici. Si sentiva a disagio con gli altri
bambini quando facevano giochi incontrollati
o violenti. Ma voleva essere come loro, e ci
provava, quindi è stato accettato. E, grazie a
una premurosa attenzione al suo
adattamento, ora ama molto la scuola.
Dato il suo tratto di personalità, possiede
anche altre caratteristiche che non ci
stupiscono. Ha una straordinaria
immaginazione. È attirato dall’arte,
soprattutto dalla musica (il che è vero per
molte HS P ). È divertente ed è un grande
istrione, quando si sente a suo agio con “il
pubblico”. Fin da quando aveva tre anni si è
comportato come un “abile avvocato”, pronto
a fare sottili distinzioni e a notare certi
particolari. Di solito è interessato alla
sofferenza altrui ed è gentile, educato e
premuroso – tranne, forse, quando è
sopraffatto da troppi stimoli. Quanto alla
sorella, ha numerose qualità, non ultima
quella di essere un punto fermo, un’ancora,
per il fratello.
Che cosa rende Rob e Rebecca così diversi
l’uno dall’altra? Che cosa vi fa rispondere
“vero” al test che si trova all’inizio del libro
quando la maggior parte delle persone
risponde “falso”?

Siamo davvero una specie differente


Jerome Kagan, 4 uno psicologo di Harvard, ha
dedicato gran parte della sua carriera allo
studio di questo tratto. Per lui la differenza è
osservabile così come lo è il colore dei capelli
o degli occhi. Ovviamente le dà altri nomi –
inibizione, insicurezza o timidezza – e io non
posso essere d’accordo. Ma capisco che,
esternamente, e specialmente in un
laboratorio, i bambini che egli studia
sembrino inibiti, insicuri e timidi. Ricordate
solo, per quanto riguarda il ragionamento di
Kagan, che la sensibilità è un tratto reale, e
che un bambino che sta fermo osservando gli
altri può essere del tutto disinibito dentro di
sé, mentre elabora le sfumature di ciò che sta
vedendo.
Kagan ha seguito lo sviluppo di ventidue
bambini con questo tratto. Ne ha anche
studiati diciannove che sembravano molto
“disinibiti”. Secondo i genitori, i bambini
“inibiti” da piccoli avevano sofferto più della
media di allergie, insonnia, coliche e
costipazioni. Esaminati per la prima volta,
risultava che il loro battito cardiaco era più
elevato e, sotto stress, mostrava meno
cambiamenti. (Il battito cardiaco non può
cambiare molto se è già alto.) Inoltre, sotto
stress, le loro pupille si dilatavano più
velocemente e le loro corde vocali erano più
tese, rendendo più acuto il tono della voce.
(Molte HS P sono sollevate quando scoprono
perché la loro voce può diventare così strana
quando sono tese.)
Nei bambini sensibili i fluidi corporei
(sangue, urina e saliva) mostrano che nel loro
cervello ci sono alti livelli di norepinefrina,
specialmente dopo essere stati esposti a varie
forme di stress in laboratorio. Infatti la
norepinefrina, che è la versione cerebrale
dell’adrenalina, è associata alla stimolazione
e al sovraccarico. Inoltre gli stessi fluidi
corporei, sia quando i bambini sono sotto
stress che in una situazione di tranquillità,
contengono più cortisolo, l’ormone tipico
degli stati più o meno costanti di
scovraccarico o di allerta. Ricordatevi del
cortisolo: ci torneremo.
Kagan ha poi studiato i neonati, per vedere
quali di loro sarebbero diventati bambini
“inibiti”. Ha trovato che circa il 20 per cento
di tutti i bambini è “altamente reattivo”
quando esposto a vari stimoli: contrae e flette
vigorosamente le membra, inarca la schiena
come se fosse irritato o cercasse di andar via,
piange spesso. Un anno dopo, due terzi dei
bambini che risultavano reattivi nello studio
si dimostrarono “inibiti”, manifestando in
situazioni nuove alti livelli di timore. Solo nel
10 per cento dei casi i livelli erano bassi. 5
Dunque, come nel caso di Rob, il tratto è
grossolanamente osservabile fin dalla nascita.
Tutto ciò suggerisce ciò che ho già detto,
che i bambini sensibili nascono con una
tendenza a reagire più intensamente agli
stimoli esterni. Ma Kagan e altri hanno
scoperto i dettagli del processo. Per esempio
hanno notato che i bambini che più tardi
avrebbero mostrato questo tratto avevano la
fronte più fresca dal lato destro, il che indica
una maggior attività sullo stesso lato del
cervello. (Infatti il sangue si sposta dalla
superficie verso il punto attivo.) Altri studi
hanno scoperto che in molte HS P l’attività
nell’emisfero destro del cervello è maggiore,
specialmente in quelle che sono sensibili fin
dalla nascita, il che indica che sono già nate
così. 6
Kagan arrivò alla conclusione che le
persone con il tratto della sensibilità o
dell’inibizione sono individui particolari. Essi
sono geneticamente diversi, benché del tutto
umani, così come i segugi e i border collie,
pur essendo entrambi cani, appartengono a
razze differenti.
Anche le mie ricerche puntano all’idea di
una distinta “varietà” genetica. Nelle mie
interviste telefoniche su un campione di
trecento persone, ho trovato sia un gruppo
distinto sia un continuum. Su una scala da uno
a cinque, circa il 20 per cento si sentiva
“estremamente” o “parecchio” sensibile. Un
altro 27 per cento si diceva “moderatamente”
sensibile. Insieme, queste tre categorie
formavano un continuum. Ma poi c’era una
brusca interruzione. Uno scarso 8 per cento
diceva che “non” lo era. E un enorme 42 per
cento diceva di “non essere assolutamente
sensibile”, come se stessimo ponendo
domande sulle noci di cocco a un lappone.
La mia sensazione è che le HS P siano
davvero un gruppo distinto, ben separate
dalle non-sensibili. Tuttavia al loro interno
esiste anche un’ampia gamma di distinzioni.
Ciò può dipendere dal fatto che il tratto può
avere cause differenti, che portano a diversi
tipi, o sfumature, di sensibilità, alcune più
intense di altre; oppure poiché esistono
alcune persone che nascono con due
sfumature, tre sfumature e così via. Ed
esistono molti modi in cui gli esseri umani
possono accrescere o diminuire la loro
sensibilità, attraverso l’esperienza o le scelte
consapevoli. Tutte queste eventualità possono
sfumare i confini di quello che è
fondamentalmente un gruppo separato.
Affermo insomma che Rob e Rebecca sono
esseri umani di due tipi diversi. E anche voi.
Le vostre differenze sono assolutamente
reali.

I due sistemi del cervello


Alcuni ricercatori pensano che nel cervello
esistano due sistemi e che sia l’equilibrio tra i
due a creare la sensibilità. 7 Un sistema,
l’“attivazione comportamentale” (detto anche
sistema di approccio o di facilitazione), è
collegato alle parti del cervello che ricevono i
messaggi dai sensi e inviano ordini agli arti.
Questo sistema ci porta a muoverci verso le
cose, specialmente verso quelle nuove.
Probabilmente è costruito per mantenerci
attivi nei confronti degli aspetti positivi per la
vita, come il cibo fresco e la compagnia, tutti
elementi necessari alla sopravvivenza.
Quando questo sistema è attivo siamo
curiosi, audaci e impulsivi.
L’altro sistema si chiama “inibizione
comportamentale”, o di ritirata, di evasione.
(Già dai nomi si può distinguere quale sia,
per la nostra cultura, quello “buono”.) Si dice
che tale sistema ci allontani dalle cose,
rendendoci attenti ai pericoli. Ci mette in
guardia, ci rende cauti e ci spinge a osservare
ogni dettaglio. Non sorprende dunque che
tale sistema sia connesso alle parti del
cervello che, secondo Kagan, sono più attive
nei bambini “inibiti”.
Ma come agisce realmente questo sistema?
Entra in azione in ogni situazione, e
confronta automaticamente il presente con
ciò che è stato normale e abituale in passato,
nonché con ciò che dovremmo aspettarci in
futuro. Se non c’è alcuna corrispondenza, il
sistema ci ferma e ci fa aspettare finché non
comprendiamo le nuove circostanze. Secondo
me, questa è una parte fondamentale
dell’intelligenza. Perciò preferisco dargli un
nome più positivo: sistema automatico
“pause-to-check”, cioè che ci porta a “fermarci
per controllare”.
Ma ora provate a pensare a cosa succede se
questo sistema è molto attivo. Immaginate
Rob e Rebecca che vanno a scuola. Rebecca
vede la classe, l’insegnante e i bambini
esattamente come erano il giorno prima. E si
siede. Ma Rob nota per esempio che
l’insegnante è di cattivo umore, che uno dei
bambini è arrabbiato e che alcuni zaini si
trovano in un angolo diverso dal solito. Così
esita, e trova motivi per essere cauto.
Dunque, l’alta sensibilità – l’elaborazione
sottile dell’informazione sensoriale – fa di
nuovo la differenza. Notate che la psicologia
ha descritto i due sistemi come se avessero
scopi opposti. Qualcosa di simile alla
contrapposizione fra la classe dei re guerrieri
e la classe dei consiglieri reali che ho
descritto in precedenza.
Questa spiegazione dei due sistemi di
sensibilità ci suggerisce anche che esistano
due differenti tipi di HS P . Alcune possono
avere un sistema pause-to-check mediamente
attivo ma un sistema di attivazione ancora
più debole. Queste persone possono essere
molto calme, tranquille e soddisfatte di una
vita semplice. È come se i consiglieri reali
fossero monaci che regolano l’intero paese-
persona. Un altro tipo di HS P potrebbe avere
un sistema pause-to-check molto attivo e un
sistema di attivazione anch’esso molto forte,
però non allo stesso livello. Questo tipo di
HS P sarà allo stesso tempo molto curioso e
molto cauto, audace ma anche ansioso, si
annoierà facilmente, però potrà facilmente
finire in uno stato di sovrastimolazione. Il
livello ottimale di attivazione si situa dunque
in un piccolo intervallo. Si potrebbe dire che
c’è nella stessa persona una costante lotta di
potere tra il consigliere e l’impulsivo ed
espansivo guerriero.
Penso che Rob sia una HS P di questo tipo.
Altri bambini, però, appaiono così quieti e
privi di curiosità che corrono il pericolo di
venire ignorati o trascurati. 8
Voi che tipo siete? Forse il vostro sistema
pause-to-check (il consigliere) domina
indisturbato, grazie a un quieto sistema di
attivazione (il re guerriero)? E, quindi, per voi
è più facile accontentarvi di una vita
tranquilla? Oppure siete fra quelli che si
trovano in costante conflitto? Vorreste cercare
nuove esperienze anche se sapete che dopo vi
sentireste esausti?

Siete qualcosa di più di un insieme di geni


e sistemi
Non dimenticate che siete esseri complicati.
Alcuni ricercatori, come Mary Rothbart
dell’università dell’Oregon, 9 sono categorici:
l’osservazione del temperamento è qualcosa
di completamente diverso se si studiano
persone adulte, in grado di ragionare,
compiere scelte ed esercitare la volontà nel
prendere decisioni. La Rothbart crede che
quando gli psicologi studiano troppo i
bambini e gli animali trascurano il ruolo del
pensiero umano e dell’esperienza.
Osservate il vostro sviluppo, e quello di
Rob, e vedrete, come ha detto la Rothbart, che
la sensibilità cambia a ogni stadio.
Alla nascita, la reazione del neonato è solo
negativa: irritabilità e disagio. I bambini
sensibili, come siete stati voi e Rob, sono
ancora più irritabili e a disagio: un
atteggiamento che Kagan chiama “alta
reattività”.
Verso i due mesi, il sistema di attivazione
comportamentale entra in funzione. Ora
mostrate un interesse per le cose nuove che
possono soddisfare i vostri bisogni. Allo
stesso modo sorge un nuovo sentimento di
ira e frustrazione quando non ottenete quel
che vorreste. La forza del vostro sistema di
attivazione determina sia le emozioni positive
sia l’ira, che sono per le HS P del tutto
possibili, nonché il modo in cui le sentite.
Rob, in cui entrambi i sistemi erano forti,
divenne un bambino facilmente irritabile.
Invece i bambini ipersensibili con un basso
sistema di attivazione sarebbero a questa età
placidi e “buoni”.
Verso i sei mesi entra in azione il sistema
automatico pause-to-check. Potete confrontare
le esperienze presenti con quelle del passato,
e, se quelle presenti fossero negative come
alcune nel passato, provereste paura. Ma siete
anche in grado di vedere le sottili differenze
tra loro. Quindi ci sono ancora più cose
sconosciute e spaventose. A questo punto,
verso i sei mesi, per le HS P ogni esperienza
diventa molto importante. Si può notare
come alcune brutte esperienze nell’affrontare
eventi nuovi possono trasformare il sistema
“fermarsi per controllare” nel sistema
“fermarsi per non fare nulla”, un vero sistema
di inibizione. Il miglior modo per evitare
brutte esperienze sembra evitare ogni
esperienza. E, ovviamente, più si evita il
mondo più le cose sembrano sconosciute.
Immaginate quanto il mondo deve esservi
apparso terribile.
Infine, verso i dieci mesi, acquisite la
capacità di spostare l’attenzione per decidere
come sperimentare qualcosa o se fermare un
comportamento. Solo a questo punto potreste
incominciare a risolvere il conflitto tra i due
sistemi. Un conflitto potrebbe essere: Vorrei
provare questa cosa, ma sembra molto strana. (A
dieci mesi forse non useremmo le stesse
parole, ma il senso è questo.) Tuttavia ora
potete compiere alcune scelte riguardo alle
emozioni da seguire. Perciò potreste
immaginare Rob che dice: “Okay, questa cosa
è insolita, ma la faccio comunque”.
Probabilmente ciascuno di voi avrà i suoi
metodi preferiti per scavalcare il sistema
pause-to-check quando vi rallenta troppo a
lungo o troppo spesso. Per esempio, imitare
coloro che hanno un sistema simile meno
forte. Potreste andare avanti e comportarvi,
nonostante la vostra cautela, proprio come
loro. Un altro metodo potrebbe essere ri-
categorizzare gli stimoli per renderli
familiari. Così il lupo che ringhia nel film
diventa «soltanto un grosso cane». Ma per lo
più l’aiuto verrebbe probabilmente dagli altri,
da coloro che desiderano che vi sentiate al
sicuro e che non abbiate paura.
Tuttavia l’aiuto contro le paure che
proviene dagli altri coinvolge un altro
sistema, che la Rothbart ritiene altamente
sviluppato fra gli umani adulti. Compare
anch’esso verso i dieci mesi. Grazie a esso, il
bambino incomincia a connettersi con gli
altri e a goderne. Se queste esperienze sociali
sono positive e incoraggianti, si sviluppa un
altro sistema cui gli esseri umani sono
biologicamente predisposti. Potremmo
chiamarlo il sistema “affettivo”, quello che
crea le endorfine, le sostanze neurochimiche
collegate ai “sentimenti piacevoli”.
Fino a che punto potete vincere le vostre
paure utilizzando l’aiuto altrui? Su chi potete
contare? Riuscite ad agire come se pensaste:
“La mamma è qui, posso provare”? Riuscite a
rievocare le sue parole calme e i suoi gesti,
applicandoli alla situazione? «Non aver
paura, va tutto bene.» Ho visto Rob usare
tutti questi metodi.
Provate ora a pensare per un momento a
voi stessi e alla vostra infanzia, cosa di cui ci
occuperemo, tra l’altro, nei due prossimi
capitoli. So che non vi ricordate bene, ma
scegliendo tra il materiale che vi è rimasto
domandatevi come è stato probabilmente il
vostro primo anno di vita. In che modo i
vostri pensieri e il vostro autocontrollo vi
influenzano attualmente? Ci sono momenti
in cui riuscite a controllare il vostro stato di
sovraccarico? Chi ve lo ha insegnato? Quali
erano i vostri modelli? Credete di aver
imparato a controllare la vostra cautela in
modo da azzardare più di quanto il corpo
possa sopportare? O vi sembra di essere stati
convinti che il mondo sia un luogo insicuro e
che il vostro sovraccarico sia incontrollabile?

Come la fiducia diventa sfiducia e ciò che è


sconosciuto diventa pericoloso
La maggior parte degli studiosi di
temperamento ha esaminato l’arousal a breve
termine. È facile studiarlo, perché si
manifesta chiaramente sotto forma di
aumento del battito cardiaco, della
respirazione, della sudorazione, della
dilatazione delle pupille e dell’adrenalina.
Esiste però un altro tipo di arousal, che è
maggiormente associato agli ormoni. Entra in
azione rapidamente, ma l’effetto del suo
prodotto principale, il cortisolo, inizia a
essere visibile solo dopo dieci-venti minuti. È
importante notare che quando è presente il
cortisolo siamo probabilmente di fronte a
una reazione simile a quella dell’arousal a
breve termine, ma ancora più forte. Questo
significa che un prolungato stato di
attivazione ci rende più eccitabili e più
sensibili di prima.
Molti degli effetti del cortisolo, comunque,
si manifestano dopo ore o anche dopo giorni.
Poiché si misurano soprattutto nel sangue,
nella saliva o nell’urina, studiare l’arousal a
lungo termine è meno facile. Ma la psicologa
Megan Gunnar dell’Università del Minnesota
pensò che la funzione del sistema pause-to-
check fosse proprio quella di proteggere
l’individuo da questo insano e spiacevole
arousal a lungo termine.
Le ricerche mostrano che, quando
incontriamo per la prima volta qualcosa di
nuovo e di potenzialmente minaccioso, la
prima reazione è quella a breve termine. Nel
frattempo iniziamo a considerare le nostre
risorse. Quali sono le nostre capacità? Che
cosa abbiamo imparato su questa situazione
dalle esperienze passate? Chi può aiutarci? Se
pensiamo che noi o qualcuno che ci è vicino
possa affrontare la situazione, smettiamo di
vederla come una minaccia. Mentre però
l’allarme a breve termine sparisce, quello a
lungo termine permane.
Megan Gunnar dimostrò questo processo
in un interessante esperimento. 10 Preparò
una situazione minacciosa molto simile a
quelle usate da Kagan per identificare i
bambini “inibiti”. Ma, prima, i bambini di
nove mesi venivano separati dalla madre per
mezz’ora. Metà fu affidata a una babysitter
molto attenta al loro umore. L’altra metà a
una babysitter disattenta, che non interveniva
a meno che i bambini non si agitassero o
piangessero. Poi, ogni piccolo venne esposto
a un’esperienza completamente nuova.
Soltanto i bambini altamente sensibili
accuditi dalla babysitter poco attenta
mostrarono un più alto tasso di cortisolo
nella saliva. Era come se i piccoli seguiti dalla
babysitter attenta sentissero che potevano
contare su una protezione, e quindi non
svilupparono una risposta allo stress a lungo
termine.
Supponete di essere accuditi da vostra
madre. 11 Osservando i bambini insieme alle
loro madri, gli psicologi hanno scoperto certi
segnali, che mostrano se un bambino si sente
protetto da “un attaccamento sicuro”. Un
bambino del genere si sente in grado di
esplorare e di solito non percepisce le nuove
esperienze come una minaccia. Altri segni
indicano invece “un attaccamento insicuro”.
In questo caso le madri potrebbero essere
state o troppo protettive o troppo negligenti,
e perfino pericolose. (Discuteremo più a
lungo dell’“attaccamento” nei capitoli 3 e 4.)
Ricerche sui bambini sensibili che affrontano
una nuova situazione stressante in
compagnia delle loro madri hanno scoperto
che essi mostrano l’abituale forte reazione a
breve termine. Ma se un bambino è legato da
un attaccamento sicuro alla mamma, non si
verifica in lui, di fronte allo stress, l’effetto a
lungo termine del cortisolo. Invece nel caso
contrario un’esperienza stressante produrrà
uno stato di iper-attivazione a lungo termine.
È evidente l’importanza che ha, per le
giovani HS P (e anche per quelle meno
giovani), il muoversi nel mondo, tentando
nuove esperienze, anziché ritrarsi. Ma i loro
sentimenti verso chi si prende cura di loro
devono essere “sicuri” e le loro esperienze
devono avere successo; altrimenti le loro
ragioni per non osare saranno solo
confermate. E tutto ciò incomincia prima
ancora che si inizi a parlare!
Molti genitori intelligenti e sensibili
forniscono quasi automaticamente tutte le
rassicurazioni necessarie. I genitori di Rob
elogiavano costantemente i suoi successi e,
dandogli tutto l’aiuto necessario, lo
incoraggiavano a verificare le sue paure in
modo che ne potesse valutare il grado di
realtà. Quindi, a poco a poco, smentivano la
sua idea che il mondo fosse un luogo
terrificante, così come il suo sistema nervoso
gli aveva suggerito nel primo o secondo anno
di vita. In tal modo i suoi tratti creativi
fiorirono, così come le sue capacità intuitive –
tutti vantaggi della sensibilità – e le difficoltà
svanirono.
Quando i genitori non intervengono per
aiutare un bambino sensibile a sentirsi
sicuro, la possibilità che diventi veramente
“inibito” dipenderà probabilmente dalla
forza dei due sistemi di attivazione e di
inibizione. Ma ricordatevi che alcuni genitori
e ambienti negativi possono peggiorare le
cose. Ripetute esperienze terrificanti
rafforzeranno fortemente la cautela del
bambino, che farà l’esperienza
dell’impossibilità di essere calmato o aiutato,
di venire punito perché ha cercato di
esplorare attivamente o di accorgersi che le
persone che dovrebbero aiutarlo diventano
invece pericolose.
Un altro aspetto importante è che più
cortisolo è presente nel corpo di un bambino,
meno lui dormirà; e meno dormirà, più
aumenterà il cortisolo. Di giorno, più
cortisolo produrrà più paura, e più paura
produrrà più cortisolo. 12 Nei bambini
quest’ultimo può essere ridotto solo da un
sonno ininterrotto di notte e da pisolini di
giorno. Inoltre un livello più basso di
cortisolo significa anche minori allarmi a
breve termine. Fu facile capire che questo era
stato il problema di Rob. E potrebbe essere
anche il vostro.
Inoltre, se i problemi infantili del sonno
non vengono corretti possono perdurare
anche da adulti, e rendere una persona
altamente sensibile una persona quasi
insopportabilmente sensibile. 13 Perciò,
dormite!

Nel profondo
Esiste un altro aspetto del vostro tratto che è
difficile cogliere negli studi o nelle
osservazioni, eccetto quando strane paure e
incubi visitano il bambino (o l’adulto)
altamente sensibile. Per comprendere questo
aspetto, del tutto reale, del tratto, bisogna
uscire dal laboratorio ed entrare nello studio
di uno psicologo del profondo.
Gli psicologi del profondo danno grande
importanza all’inconscio e alle esperienze che
sono state lì accumulate, represse o
semplicemente non espresse verbalmente, e
che da lì continuano a governare la vita
adulta. Non sorprende apprendere che i
bambini altamente sensibili, e anche gli
adulti, abbiano problemi di sonno e
raccontino sogni “archetipici” vividi e
allarmanti. 14 Con l’arrivo delle tenebre, suoni
e forme sottili iniziano a dominare
l’immaginazione, e le HS P le avvertono più
intensamente. Ci sono anche le esperienze
negative del giorno, alcune semi-notate e
altre totalmente represse: tutte turbinano
nella mente proprio quando vorremmo
rilassarla per addormentarci.
Addormentarsi, rimanere addormentati e
tornare a dormire dopo essersi svegliati sono
azioni che richiedono la capacità di calmarsi e
di sentirsi sicuri nel mondo.
L’unico psicologo a occuparsi
esplicitamente dell’alta sensibilità fu uno dei
fondatori della psicologia del profondo, Carl
Jung, e ciò che egli affermò fu importante –
ed eccezionalmente positivo – per ottenere
un cambiamento in questo campo.
Ai tempi in cui Sigmund Freud diede
inizio alla psicoanalisi, un motivo di
controversia fu quanto il temperamento
innato influenzasse la personalità e i
problemi emotivi. Prima di Freud,
l’establishment medico aveva messo in rilievo
le differenze costituzionali innate. Freud
cercò di dimostrare che la “nevrosi” (il suo
tema preferito) era causata da traumi,
soprattutto da sconvolgenti esperienze
sessuali. Carl Jung, allievo di Freud per lungo
tempo, alla fine si allontanò da lui proprio
riguardo alla centralità della sessualità.
Pensava infatti che la differenza
fondamentale si basasse su una maggiore
sensibilità innata. Credeva che quando i
pazienti altamente sensibili subivano un
trauma di tipo sessuale o di altro tipo ne
rimanevano fortemente influenzati, in
maniera non comune, e quindi sviluppavano
una nevrosi. 15 Va notato che Jung sosteneva
che le persone sensibili non traumatizzate
nell’infanzia non sono necessariamente
nevrotiche. In effetti la Gunnar scoprì che il
bambino sensibile con un sicuro
attaccamento alla madre non si sente
minacciato dalle nuove esperienze. Jung
aveva un’alta considerazione delle persone
sensibili, anche perché lo era lui stesso.
Che Jung abbia scritto delle HS P è un fatto
poco noto. (Io stessa lo ignoravo quando
iniziai questo lavoro.) Per esempio, egli disse
che «una certa innata sensibilità produce una
speciale “preistoria”, un modo particolare di
sperimentare gli avvenimenti infantili» e che
«gli eventi legati a impressioni profonde non
possono passare senza lasciare qualche
traccia sulle persone sensibili». 16 Più tardi,
incominciò a descrivere le persone introverse
e intuitive in un modo ancora più positivo.
Pensava che avessero una maggiore necessità
di proteggersi – il che le portava a chiudersi
in se stesse. Ma aggiunse che tali individui
erano «educatori e promotori di cultura ... la
loro vita sta lì ad indicare l’esistenza di
quell’alternativa di cui la nostra civiltà
lamenta dolorosamente la mancanza». 17
Queste persone, disse Jung, sono
naturalmente più influenzate dall’inconscio,
il quale dà loro informazioni «della massima
importanza», nonché «una lungimiranza
profetica». 18 Per lui, l’inconscio contiene una
profonda saggezza che deve essere studiata.
Un’esistenza vissuta in profonda
comunicazione con l’inconscio è più
importante e più soddisfacente sul piano
personale.
Ma una vita del genere è anche
potenzialmente più difficile, specialmente se
nell’infanzia si sono vissute molte esperienze
traumatizzanti, senza un attaccamento
sicuro. Come si è visto nelle ricerche della
Gunnar e come vedrete nel capitolo 8, Jung
aveva ragione.
Il vostro tratto di personalità è reale ed è
positivo
Rob, Jerome Kagan, Megan Gunnar e Carl
Jung dovrebbero avervi convinti che il vostro
tratto è del tutto reale. Voi siete differenti. Nel
prossimo capitolo, leggerete di come avete
bisogno di vivere in modo diverso dagli altri
se volete restare in armonia con il vostro
corpo, anch’esso differente e altamente
sensibile.
Forse vi sarete anche fatti un’idea oscura,
fatta di paura, di timidezza e di uno
stressante livello di attivazione e allerta.
Soltanto Jung parlò dei vantaggi di questo
tratto, ma sempre in termini di connessione
con le profondità e con l’oscurità della psiche.
Tuttavia ricordatevi che la negatività di
questo giudizio, una volta ancora, è
fondamentalmente un segno di un
pregiudizio della nostra cultura. Preferendo
la durezza, la nostra società vede il tratto
come qualcosa con cui è difficile convivere,
qualcosa da curare. Ma voi non dimenticatevi
che le HS P si distinguono soprattutto per la
loro elaborazione degli stimoli sottili: questa
è la loro qualità fondamentale. Il che è un
modo positivo e accurato di definire il tratto.
LAVORARE CON CIÒ CHE AVETE
IMPARATO
La vostra reazione più profonda

Ecco una cosa da fare subito, dopo aver finito di


leggere questo capitolo. Il vostro intelletto ha
appreso delle idee, ma le vostre emozioni possono
avere reazioni più profonde rispetto a ciò che avete
appena letto.
Per cogliere tali reazioni, dovete raggiungere le
parti più profonde del corpo, delle emozioni e di
quella fondamentale e istintiva coscienza che Jung
chiamava inconscio. Si tratta del luogo dove
giacciono le parti ignorate o dimenticate di voi
stessi, aree che possono sentirsi minacciate,
sollevate, eccitate o intristite da ciò che avete
imparato.
Leggete bene tutto e poi procedete. Incominciate
respirando molto consapevolmente dal centro del
corpo, l’addome. Fate in modo di utilizzare il
diaframma, dapprima espirate forte dalla bocca,
come per gonfiare un pallone. La pancia si indurirà.
Poi, quando inspirerete, il respiro scenderà al livello
dello stomaco in modo automatico. La vostra
inspirazione deve essere automatica e naturale.
Dovete prolungare solo le espirazioni. Una volta che
avrete imparato a respirare dal centro e dalla
pancia, anziché dalla parte alta del petto, tutto ciò
può diventare meno forzato, senza passare per la
bocca.
Fatto questo, dovete creare uno spazio sicuro
nella vostra immaginazione dove possiate dare il
benvenuto a tutto. Invitate ogni sensazione a
entrare nel fuoco della vostra consapevolezza. Può
essere una percezione corporea: un dolore alla
schiena, una tensione alla gola o un problema allo
stomaco. Lasciate che la sensazione cresca e vi riveli
ciò che ha da dire. Può anche essere un’immagine
fugace, un suono o un’emozione. Oppure un
insieme di tutto ciò: una sensazione fisica che
diventa un’immagine. Può anche essere una voce
che esprima un’emozione che incominciate a
provare.
In questo stato di quiete prendete nota di ogni
cosa. Se emergono sensazioni che volete esprimere,
se sentite il bisogno di ridere, di piangere o di
arrabbiarvi, fatelo pure, per un po’.
Poi, quando uscirete da questo stato, riflettete su
ciò che è successo. Notate che cosa ha suscitato
sensazioni o sentimenti: qualcosa che avete letto,
qualcosa che avete pensato o ricordato durante la
lettura di questo libro? Come si collegano queste
emozioni alla vostra sensibilità?
Infine esprimete a parole ciò che avete imparato
– pensatelo, ditelo a qualcuno o mettetelo per
iscritto. Sarebbe davvero molto utile tenere un
diario di ciò che avete provato leggendo queste
pagine.
3
La salute e lo stile di vita delle HSP
Amare il vostro corpo-bambino e imparare da
lui

In questo capitolo scoprirete come


apprezzare i bisogni del vostro corpo
altamente sensibile. Poiché tutto ciò spesso è
sorprendentemente difficile per le HS P , ho
imparato a utilizzare una metafora: trattare il
corpo come se fosse un bambino piccolo. È
una metafora talmente indovinata che, come
vedrete, potrebbe non essere affatto così
inverosimile.

A sei settimane: come potrebbe essere stato

Una tempesta minacciosa. La luce prende un


bagliore metallico. Il corteo delle nubi nel
cielo si spacca. Pezzi di cielo volano in tutte le
direzioni. Il vento rinforza, silenzioso ... Il
mondo sembra disintegrarsi. Sta per
succedere qualcosa. Il disagio aumenta. Si
espande dal centro e si trasforma in dolore. 1

Questa descrizione corrisponde a un


momento di fame crescente, così come
verrebbe sperimentata da un ipotetico
bambino di sei settimane, Joey; lo ha
immaginato uno psicologo dello sviluppo,
Daniel Stern, nel suo affascinante libro Diario
di un bambino. Il diario di Joey si basa su un
gran numero di recenti ricerche sull’infanzia.
Per esempio, oggi si pensa che i neonati non
riescano a separare gli stimoli esterni da
quelli interni, né che riescano a distinguere
fra i vari sensi, o fra il presente e
un’esperienza solo ricordata e da poco
accaduta. Non hanno neppure coscienza di se
stessi in quanto persone che sperimentano
qualcosa, soggetti a cui qualcosa stia
accadendo.
Stando così le cose, Stern pensò che il
temporale fosse una buona analogia per
descrivere l’esperienza di un neonato. Gli
eventi si succedono variando soprattutto di
intensità. L’intensità è l’elemento di disturbo,
che crea una tempesta di sovrastimolazione.
Le HS P ne prendano nota: la
sovrastimolazione o sovraccarico è la prima e
più basilare esperienza stressante della vita.
La nostra prima lezione in proposito
incomincia alla nascita.
Ecco come Stern immagina i sentimenti di
Joey dopo essere stato allattato e sfamato:

Tutto è nuovo. Un mondo diverso si sveglia.


La tempesta è passata. I venti si sono
acquietati. Il cielo è sereno. Appaiono linee in
movimento e volumi fluidi. Tracciano
un’armonia e, come luce incantata, riportano
in vita ogni cosa. 2

Stern pensa che i bambini abbiano la stessa


necessità degli adulti di avere un livello
moderato di stimolazione:

Il sistema nervoso di un neonato è


perfettamente in grado di valutare l’intensità
di ... tutto quanto si offre ai suoi sensi.
L’intensità delle sue reazioni a una
determinata cosa è l’indicazione più
importante che possiede per capire se
avvicinarsi o starle lontano ... Se ha
un’intensità moderata ... allora rimane
assolutamente incantato. Quella intensità,
facilmente tollerabile, ... aumenta la sua
vivacità e galvanizza tutto il suo intero
essere. 3

In altri termini, non è divertente essere


annoiati. Tuttavia il sé corporeo bambino
nasce con un istinto ad allontanarsi da tutto
ciò che è eccessivamente intenso, a evitare lo
stato di sovraccarico e sovrastimolazione. Per
alcuni, però, è più difficile.
I bambini altamente sensibili a sei
settimane
Ora cercherò anch’io di applicarmi in questo
nuovo genere letterario, il diario di un
bambino, descrivendo l’esperienza di un
immaginario neonato altamente sensibile,
Jesse.

Il vento ha soffiato incessantemente, talvolta


con raffiche ululanti, talvolta emettendo un
tagliente ed esasperante gemito. Per un
tempo che sembra un’eternità, le nuvole
hanno roteato in forme casuali di luci
accecanti e di oscurità luminescenti. Ora
scende una tetra polvere, e per un momento
il vento sembra calare insieme alla luce.
Ma l’oscurità è disorientante. e il vento che
ulula inizia a cambiare direzione senza uno
schema preciso, come succede nei tornado.
Da questo caos crescente emergono folate
sferzanti, che prendono energia l’una
dall’altra, finché non appare un ciclone. Nella
notte più profonda nasce un infernale
uragano.
Ci sono alcuni posti o momenti in cui
questi movimenti terribili si fermano, ma
non c’è modo di vedere il cielo, perché
l’uragano non ha né alto né basso, né est né
ovest: ruota soltanto intorno al suo
spaventoso centro.

Ho immaginato che questa tempesta


accadesse dopo che Jesse sia andato con la
madre e due sorelle maggiori al centro
commerciale, trasportato prima sul
seggiolino dell’auto, poi sul passeggino e
quindi di nuovo sul seggiolino. Era un sabato,
e il centro commerciale era affollato. Sulla
strada di ritorno, le due sorelle litigarono
sulla stazione radio da ascoltare, ed entrambe
alzarono il volume. C’era molto traffico, con
fermate e ripartenze. La famiglia tornò a casa
tardi, ben oltre l’orario del solito pisolino di
Jesse. Quando fu il momento di nutrirsi,
Jesse pianse e si agitò, troppo stressato per
occuparsi della sua vaga sensazione di fame.
Perciò la madre cercò di metterlo a dormire. E
qui scoppiò l’uragano.
Non dobbiamo dimenticare che Jesse
aveva fame. E la fame è un altro stimolo,
interno. Quando lo stato di attivazione cresce,
produce una diminuzione delle sostanze
biochimiche necessarie a calmare il sistema
nervoso. Le mie ricerche indicano che la fame
ha un effetto particolarmente forte sulle HS P .
Come mi dissero una volta, «talvolta, quando
sono stanco, è come se regredissi all’età in cui
posso quasi sentirmi dire: “Voglio il mio latte
e biscotti, e lo voglio adesso”». Tuttavia quando
vi trovate nello stato di sovrastimolazione
non riuscite nemmeno a notare la fame. Sì,
prendersi cura di un corpo altamente
sensibile è come prendersi cura di un
bambino.

La natura del corpo-bambino


Pensate a che cosa hanno in comune un
bambino e il corpo. In primo luogo, entrambi
sono meravigliosamente contenti e
collaborativi quando non sono sovrastimolati,
stanchi e affamati. In secondo luogo, quando
i bambini e i corpi sensibili sono davvero
esausti, sono assolutamente incapaci di
affrontare i problemi. Un tempo, il vostro
sébambino si affidava ai genitori per porsi dei
limiti e soddisfare i propri semplici e basilari
bisogni, ma ora il vostro corpo si affida solo a
voi.
Poiché entrambi non possono spiegare a
parole i loro problemi, possono soltanto
lanciare segnali sempre più forti per chiedere
aiuto oppure sviluppare un sintomo così
serio che non può essere ignorato. Il caretaker
(chi accudisce, si prende cura) esperto sa che
i guai peggiori si evitano intervenendo al
primo segno di disagio del corpo-bambino.
Infine, come abbiamo mostrato nel
capitolo precedente, chi pensa che i neonati o
i corpi possano essere trascurati o “lasciati
piangere” si sbaglia. Le ricerche dimostrano
che se si risponde subito al pianto del
bambino (tranne nei casi in cui la risposta
stessa accresca la sovrastimolazione) quel
bambino, quando crescerà, piangerà meno. 4
Il vostro corpo-bambino è un esperto di
sensibilità. È stato sensibile fin dal giorno in
cui è nato. Sa che cosa era difficile allora e che
cosa è difficile ora. Sa che cosa vi mancava. Sa
che cosa avete imparato dai genitori e da altri
caretaker sul modo di trattarlo, su ciò di cui ha
bisogno ora e su come potrete accudirlo in
futuro. Partendo da qui, potete utilizzare
l’antico proverbio «chi ben comincia è a metà
dell’opera».

Voi e il vostro caretaker


Circa la metà, o anche più, dei bambini sono
allevati da genitori adeguati; così diventano
quelli che chiamiamo bambini “con un
attaccamento sicuro”. 5 Il termine è preso
dalla biologia. Tutti i neonati dei primati si
attaccano alla mamma, e quasi tutte le
mamme vogliono che i loro bambini si
attacchino strettamente, in sicurezza.
Quando il bambino cresce, e si sente
sicuro, incomincia a esplorare e a cercare di
agire in modo indipendente. La madre ne
sarà compiaciuta, premurosa e pronta a
intervenire se ci fossero problemi, ma
comunque felice che il suo piccolo cresca. In
caso di pericolo, i loro corpi si
riavvicineranno e saranno di nuovo legati
strettamente. Sicuri.
Di tanto in tanto, per varie ragioni che
hanno di solito a che fare con il modo in cui
la madre o il padre sono stati cresciuti, il
caretaker può lanciare uno dei seguenti due
messaggi, che creano un attaccamento
insicuro. Il primo è che il mondo è così
spaventoso o che il caretaker è così
preoccupato o vulnerabile che il bambino
deve attaccarsi molto, molto strettamente.
Così il bambino non osa esplorare. Forse il
caretaker stesso non vuole che lui esplori, o
trascurerebbe il bambino, se lui non si
attaccasse. Questi bambini vengono definiti
ansiosi o preoccupati nei confronti del loro
attaccamento al caretaker.
Il secondo messaggio che il bambino può
ricevere è che il caretaker è pericoloso e
andrebbe evitato, oppure che desideri un
bambino che dia pochi problemi e sia molto
indipendente. Forse il caretaker è troppo
stressato per occuparsi del piccolo. E ci sono
anche genitori che talvolta, disperati o
arrabbiati, vorrebbero che il figlio sparisse o
morisse. In questi casi il bambino farà del
suo meglio per non attaccarsi affatto. Questi
bambini sono definiti “evitanti”. Quando
vengono separati dalla madre o dal padre,
sembrano del tutto indifferenti. (Tenendo
conto che certe volte, ovviamente, un
bambino ha un attaccamento sicuro verso un
genitore, ma non verso l’altro.)
In base alle nostre prime esperienze di
attaccamento, tendiamo a sviluppare un’idea
piuttosto durevole di che cosa dobbiamo
aspettarci dalle persone cui siamo vicini o da
cui dipendiamo. Sebbene questo
atteggiamento possa causare rigidità o
occasioni perdute, è importante per la nostra
sopravvivenza capire che tipo di
attaccamento il nostro primo caretaker
desideri da noi. Anche quando cessa di essere
una questione di sopravvivenza, tale linea di
condotta continua a essere attiva ed è molto
conservativa. Attenersi a un piano di lavoro
funzionante, qualunque esso sia – sicuro,
ansioso o evitante – ci protegge dal compiere
pericolosi errori.

L’attaccamento e il corpo altamente


sensibile
Vi ricordate dei bambini altamente sensibili
descritti nel capitolo precedente, che non
incorrevano in uno stato di iper-attivazione a
lungo termine in situazioni insolite? Erano
quelli che avevano caretaker sensibili alle loro
reazioni oppure quelli che avevano una
relazione sicura con le loro madri. Questo ci
suggerisce che, se siete HS P cresciute con un
attaccamento sicuro, sapevate di disporre di
buone risorse e di essere in grado di
affrontare molto bene la sovrastimolazione.
Alla fine avete imparato a fare per voi stessi
ciò che il vostro buon caretaker faceva per voi.
Nel frattempo, il vostro corpo ha imparato
a non reagire come se ogni nuova esperienza
fosse una minaccia. E, in assenza di una
reazione, il corpo non sperimenta un livello
di attivazione doloroso a lungo termine.
Avete capito che il vostro corpo è un amico
affidabile. Allo stesso tempo avete compreso
che avete un corpo speciale, un sistema
nervoso sensibile. Ma potete anche imparare
quando sia possibile spingervi un po’ più in
là, quando prendervi del tempo, quando
retrocedere del tutto o quando riposarvi per
poi tentare di nuovo.
Come il resto della popolazione,
comunque, almeno metà di voi ha avuto
genitori non proprio ideali. È una
considerazione dolorosa, ma ormai lo avrete a
poco a poco compreso, riflettendoci sopra
varie volte. Tuttavia è necessario fare i conti
con ciò che vi è mancato. Aver avuto un
genitore inadeguato deve aver avuto un forte
impatto proprio a causa della vostra
sensibilità. Dovete capirlo, non farvi altri
problemi.
Coloro fra voi che hanno avuto un’infanzia
insicura devono affrontare anche questa
realtà, così da poter essere più pazienti con se
stessi. E più importante ancora, dovete capire
che cosa vi è mancato, in modo da essere un
tipo di genitore diverso per il vostro corpo-
bambino. È probabile che non vi prendiate
cura di voi stessi – trascurando il vostro corpo
o comportandovi in modo troppo protettivo
ed esigente. È quasi sicuro che trattiate il
vostro corpo così come il vostro primo non
eccezionale caretaker ha trattato voi
(compresa un’eccessiva e contraria reazione a
quell’esperienza).
Perciò vediamo esattamente in che modo
agiscano su un corpo-bambino un buon
caretaker e uno “non all’altezza”. Partiamo
dall’accudimento del neonato (o del vostro
corpo nei momenti in cui si sente così debole
e bisognoso di aiuto come quello di un
neonato). Una buona descrizione di ciò che è
necessario ce la fornisce la psicologa
Ruthellen Josselson:

Abbracciati dai genitori, abbiamo una


barriera tra noi e tutto ciò che può essere
dannoso o sconvolgente nel mondo. Tra le
loro braccia, abbiamo uno strato di
protezione in più nei confronti del mondo.
Sentiamo quella protezione anche se non è
chiaro quale parte di essa venga da noi stessi
e quale dall’esterno.
Una madre all’altezza, nella sua funzione
di holding (contenimento), fa in modo che il
bambino non sia sovrastimolato. Percepisce
quanta stimolazione sia ben accetta e possa
essere tollerata. Un contenimento adeguato
lascia il bambino libero di svilupparsi; il
bambino non deve sempre reagire. In uno
stato di holding ottimale, il sé entra
nell’esistenza libero da intrusioni esterne. 6

Quando la funzione di contenimento non è


svolta in maniera adeguata, ovvero quando il
corpo-bambino è eccessivamente accudito o
trascurato o, peggio, abusato, la stimolazione
è troppo intensa. La sua sola difesa è
interrompere lo stato di consapevolezza e di
presenza, sviluppando una modalità di
“dissociazione”. A questa età la
sovrastimolazione interrompe anche lo
sviluppo personale. Tutta l’energia deve
essere diretta a impedire l’intrusione del
mondo. Il mondo intero è pericoloso.
Esaminiamo ora un’età appena più
avanzata, quando siete pronti a esplorare il
mondo, se vi sentite sicuri. Ciò equivale alla
situazione attuale in cui il vostro corpo è
pronto a esplorare e a uscire nel mondo, se si
sente sicuro. A questo stadio un caretaker
ultraprotettivo diventa probabilmente un
problema maggiore per un corpo-bambino
sensibile rispetto a un caretaker negligente.
Durante l’infanzia o quando ci sentiamo
indifesi, una costante intrusione e un
eccessivo controllo del corpo-bambino sono
fonti di sovrastimolazione e di
preoccupazione. A questo stadio un’ansiosa
ultraprotezione inibisce l’esplorazione e
l’indipendenza. Un corpo-bambino
costantemente sorvegliato non può agire in
modo libero e fiducioso.
Per esempio, se lasciamo per breve tempo
che provi fame e pianga, o che senta freddo e
si agiti, questo aiuta il corpo-bambino a
conoscere le proprie necessità. Ma se il
caretaker nutre il bambino prima che senta un
po’ di fame, quest’ultimo perde il contatto
con i propri istinti. Se impediamo che esplori
l’ambiente, non si abituerà al mondo. Voi o il
caretaker rafforzerete la sua impressione che
il mondo sia un luogo minaccioso e che non
si possa sopravvivere là fuori. E il bambino
sentirà che non c’è modo di evitare, gestire o
sopportare il sovraccarico. Ogni cosa rimarrà
estranea e troppo stressante. Come detto nel
precedente capitolo, il corpo-bambino non ha
approcci sufficientemente positivi per
bilanciare il forte sistema ereditario di
inibizione che può prevalere e diventare
troppo limitante.
Se questo è il vostro comportamento con il
corpo-bambino, riesaminatelo a fondo. Forse
avete avuto un caretaker iperprotettivo ed
esigente, che desiderava un bambino molto
dipendente e incapace di staccarsi. Forse il
senso di energia o la fiducia in sé del caretaker
stesso si accrescevano nel sentirsi più forte e
quindi necessario. Se il vostro caretaker aveva
altri bambini, il fatto che voi foste il più
sensibile vi rendeva il soggetto ideale per
questo suo atteggiamento. Probabilmente, in
vari casi, questo tipo di caretaker non era in
realtà disponibile, indipendentemente da ciò
che diceva, perché era preoccupato di
soddisfare più i suoi bisogni che i vostri.
In sintesi, il modo in cui gli altri hanno
trattato il vostro corpo-bambino ha
fortemente influenzato il modo in cui voi ora
trattate il vostro corpo-bambino. Il loro
atteggiamento verso la vostra sensibilità ha
modellato il vostro atteggiamento verso di
essa. Pensateci. Chi altri vi ha impartito una
lezione così profonda? Il modo in cui vi
hanno accudito e il loro atteggiamento verso
il vostro corpo hanno influenzato
direttamente la vostra salute, la vostra
felicità, la vostra longevità e i vostri contributi
al mondo. Perciò, se questa parte del libro
non vi ha angosciati, fermatevi e prendetevi
un po’ di tempo per pensare al primo
caretaker del vostro corpo-bambino e alle
analogie tra quel lontano comportamento e il
modo in cui oggi accudite voi stessi.
Se vi sentite stanchi, prendetevi una pausa.
Se pensate che potreste aver bisogno di
compagnia o di qualche sostegno
professionale (o anche non professionale) per
riesaminare il vostro attaccamento insicuro e
i suoi effetti su di voi, cercate quell’aiuto.

IL PRIMO CARETAKER DEL VOSTRO


CORPO-BAMBINO E QUELLO CHE LO
ACCUDISCE OGGI
Ripensando a ciò che conoscete dei vostri
primi due anni di vita, fate un elenco delle
parole e delle frasi che i vostri genitori hanno
usato per descrivervi. Oppure chiedeteglielo.
Qualche esempio:

Una gioia. Schizzinoso. Difficile. Non dava


problemi. Non dormiva mai. Malaticcio.
Iroso. Si stancava facilmente. Sorrideva
molto. Difficile farlo mangiare. Meraviglioso.
Non riesco a ricordare niente della sua
infanzia. Ha camminato presto. Accudito da
vari caretaker. Lasciato raramente a
babysitter o in un asilo nido. Pauroso.
Timido. Più felice da solo. Sempre presente
nelle cose.

Prestate attenzione alle frasi che sembrano


esprimere meglio ciò che siete, quelle che
vorreste incidere sulla vostra lapide se fosse
possibile. (La mia è: “Non creò mai alcun
problema a nessuno”.) Notate le frasi che vi
suscitano emozioni, confusione o conflitti.
Oppure le frasi che vi sembrano troppo
enfatiche, al punto che potrebbe essere vero
l’esatto contrario. Un esempio può essere un
bambino asmatico che venga descritto con
l’espressione “non dava problemi”.
Ora pensate alle analogie tra il modo in cui i
vostri caretaker vi vedevano e come voi vi
vedete ora. Quali delle loro descrizioni vi
sembrano più vere? Quali problemi o
conflitti che mettono in evidenza vi
tormentano ancora oggi? Per esempio,
“malaticcio”. Vi vedete ancora come
“malaticci”? Eravate davvero o siete davvero
più malati di altri? (Se è così, cercate di
apprendere i particolari delle vostre malattie
infantili. Il vostro corpo ricorda e merita la
vostra simpatia.)
Oppure, che cosa ne pensate
dell’espressione “ha camminato presto”? In
che modo nella vostra famiglia si otteneva
attenzione? Se il vostro corpo non riesce a
soddisfarvi, potete comunque amarlo?

Troppo fuori o troppo dentro


Proprio come esistono due tipi di caretaker
problematici – iperprotettivi e ipoprotettivi –,
esistono in genere due modi in cui le HS P non
riescono a prendersi adeguatamente cura del
loro corpo. Potreste spingervi troppo fuori –
sovraccaricandovi con troppo lavoro, troppi
rischi o troppe esplorazioni. Oppure potreste
tenervi troppo dentro – iperproteggendovi
quando vorreste in realtà essere là fuori nel
mondo come gli altri.
Con l’avverbio “troppo” intendo più di
quanto vorreste, più di quanto sentite che è
bene, più di quanto il vostro corpo possa
sopportare. Non importa che cosa gli altri vi
abbiano detto su quel “troppo”. Alcuni di voi
possono essere persone che, almeno per un
periodo della vita, sono state veramente
“troppo fuori” o “troppo dentro” per la
maggior parte del tempo. Allora sembrava
giusto così. Ma io mi riferisco a una
situazione in cui avete sentito che stavate
esagerando in un modo o nell’altro e che vi
sarebbe piaciuto cambiare, senza poterlo
fare.
Non voglio dire che coloro che sono
cresciuti con un attaccamento ansioso, con
caretaker iperprotettivi o incoerenti, siano
sempre iperprotettivi nei confronti del
proprio corpo-bambino. Neppure voglio dire
che coloro che avevano caretaker negligenti o
violenti finiscano sempre con l’essere
negligenti o violenti verso il proprio corpo-
bambino. Non è così semplice. Primo, le
nostre menti sono fatte in modo da
consentirci facilmente di reagire con forza o
di compensare comportandoci all’opposto.
Oppure, più probabilmente, passeremo da un
estremo all’altro, o applicheremo entrambi i
comportamenti in campi differenti della
nostra esistenza (per esempio strafare sul
lavoro, proteggerci troppo nelle relazioni
intime, trascurare la salute mentale ma
occuparci troppo della salute fisica). Oppure
potremmo, infine, superare tutti questi
squilibri e trattare bene il nostro corpo.
D’altra parte, se avete avuto un
attaccamento sicuro potreste riflettere sul
perché tendete comunque a passare da un
estremo all’altro. In realtà le circostanze, la
cultura generale, la sottocultura, la cultura
del lavoro, gli amici e gli altri nostri tratti di
personalità, possono contribuire a tali
squilibri.
Se non sapete bene che cosa fare, leggete il
riquadro “Siete troppo fuori o troppo
dentro?”.
Il problema di essere “troppo dentro”
Alcune HS P , o forse tutte in qualche momento
della loro vita, si emarginano perché pensano
che non ci sia un modo per star “là fuori” nel
mondo e sopravvivere. Si sentono troppo
diverse, troppo vulnerabili, forse troppo
difettose.
Sono completamente d’accordo sul fatto
che non potete vivere nel mondo allo stesso
modo delle persone non-sensibili, di quei
baldanzosi individui a cui probabilmente vi
paragonate. Ma esistono molte HS P che hanno
trovato un modo per avere successo alle loro
condizioni, facendo cose utili e piacevoli,
salvaguardandosi tempo da trascorrere a casa
e mantenendo una ricca e pacifica vita
interiore.
Può essere utile considerare il vostro
comportamento dal punto di vista del vostro
corpo-bambino. Se vuole tentare esperienze
nuove ma ha paura, dovete aiutarlo, non
rinfocolare la paura. Altrimenti gli
comunicherete che tutti i suoi desideri sono
sbagliati, il che non aiuta a sopravvivere nel
mondo: sarebbe un messaggio paralizzante
per un bambino. Dovete pensare a lungo su
chi vi abbia creato questa sensazione
nell’infanzia, e perché. Come mai non vi ha
aiutato a uscir fuori e a sperimentare a modo
vostro?
Per risanare il vostro corpo, per prima cosa
dovete sapere che più esso cerca di evitare la
stimolazione, più questa diventa intensa. Un
maestro di meditazione raccontò una volta la
storia di un uomo che, volendo evitare lo
stress dell’esistenza, si ritirò in una caverna a
meditare giorno e notte. Ma ben presto ne
uscì, oppresso dal suono di una goccia. La
morale è che, almeno in qualche misura, lo
stress sarà sempre presente, perché la nostra
sensibilità è sempre con noi. Ciò di cui
abbiamo bisogno è un nuovo modo di
convivere con i fattori di stress.
In secondo luogo, più il vostro corpo
agisce – guarda fuori dalla finestra, gioca al
bowling, viaggia, parla in pubblico – meno
queste attività diventano problematiche e
sovrastimolanti. È un processo di
adattamento e, dal momento che si tratta di
abilità acquisibili, potete lavorarci su. Per
esempio, viaggiare da soli in un paese
straniero può sembrare troppo difficile per
una HS P e, quindi, potreste scegliere di non
farlo. Ma più spesso lo farete, più diventerà
facile e più voi imparerete a capire che cosa vi
piace e che cosa no.
L’unico modo per arrivare a tollerare il
coinvolgimento nel mondo e poi a gioirne, è
stare nel mondo.
Non dico, però, che sia un compito facile.
Io stessa sono stata una persona che ha
evitato il mondo fino alla mezza età, quando
fui più o meno costretta a cambiare da
potenti eventi interiori. Da allora ho dovuto
affrontare quasi ogni giorno paure,
sovrastimolazione e disagi. Si tratta di un
problema serio e non è divertente. Ma può
essere superato. Ed è meraviglioso essere “là
fuori”, aver successo e gridare al mondo:
«Guardatemi! Posso farlo anch’io!».

SIETE TROPPO FUORI O TROPPO


DENTRO?
Assegnate un punteggio a ogni
affermazione: 3 per molto vero, 2 per vero in
parte o per ugualmente vero o non vero, a
seconda della situazione, e 1 per raramente
vero.

1. Spesso sperimento gli effetti a breve


termine della sovrastimolazione o dello
stress: rossore, aumento del battito
cardiaco, respiro più rapido o più
superficiale, tensione allo stomaco,
sudore o tremito alle mani, improvvise
sensazioni di panico o di pianto.
2. Sono disturbato dagli effetti a lungo
termine di alti livelli di stimolazione:
senso di angoscia o di ansia, problemi
digestivi o perdita dell’appetito, oppure
incapacità di addormentarsi o di
rimanere addormentato.
3. Cerco di fronteggiare le situazioni che
mi provocano sovraccarico.
4. Durante la mia settimana tipo trascorro
più tempo a casa che fuori. (Calcolate
bene i tempi, sommando solo le ore
effettivamente spendibili ed
escludendo il sonno e un paio di ore
per lavarvi, vestirvi, svestirvi ecc.)
5. Durante la mia settimana tipo passo
più tempo da solo che con gli altri.
(Calcolate come sopra.)
6. Mi costringo a fare cose che temo.
7. Esco anche quando non me la sento.
8. La gente mi dice che lavoro troppo.
9. Quando mi accorgo di sforzarmi
troppo fisicamente, mentalmente o
emotivamente, subito mi fermo e mi
riposo o faccio qualsiasi altra cosa
necessaria al mio benessere.
10. Assumo alcune sostanze – caffè, alcol,
medicinali e così via – per mantenere il
giusto livello di stimolazione.
11. Mi addormento nel buio di un teatro
e/o durante una conferenza se
l’argomento non mi interessa.
12. Mi sveglio nel mezzo della notte o
molto presto la mattina e non riesco
più a riaddormentarmi.
13. Non mi prendo abbastanza tempo per
nutrirmi bene o per fare ginnastica
regolarmente.

Ora sommate tutti i punteggi, escludendo le


affermazioni 4, 5 e 9. Poi sommate fra loro i
punteggi di queste ultime e sottraeteli dal
totale precedente. Più vi avvicinate al
punteggio di 27 e più sarete “troppo fuori”;
al contrario, più il vostro punteggio sarà
basso (fino a scendere a 1) e più sarete
“troppo dentro”. Un punteggio moderato
corrisponde a 14. Se avete totalizzato 10 o
meno, dovete riflettere su ciò che ho scritto
in “Il problema di essere troppo dentro”. Se
avete totalizzato più di 20, leggete ciò che
ho scritto nel prossimo paragrafo, “Essere
troppo fuori nel mondo”.

Essere “troppo fuori” nel mondo


Se la causa dell’essere “troppo dentro” è
credere che il corpo-bambino sia carente,
anche la causa dell’essere “troppo fuori” è
ugualmente negativa. È come se amaste così
poco il bambino da desiderare di trascurarlo
o abusarne. Da dove viene questo
atteggiamento?
Non è detto che tutto provenga dai
genitori. La nostra cultura ha un’idea della
competizione, e del raggiungimento
dell’eccellenza, che può far sentire chiunque
non arrivi al successo uno spettatore inutile e
improduttivo. Questo si applica non solo alla
carriera lavorativa, ma anche al nostro tempo
libero. Siamo abbastanza in forma, stiamo
facendo progressi nel nostro hobby, siamo
bravi cuochi o giardinieri? Lo stesso nella vita
famigliare: il nostro matrimonio è riuscito, la
nostra vita sessuale ottima e abbiamo fatto
tutto ciò che potevamo per allevare bambini
eccezionali?
Il corpo-bambino si ribella a tutta questa
pressione, segnalando la sua angoscia. Come
tutta risposta, troviamo modi per temprarlo o
per ridurlo al silenzio. Così crescono i
sintomi correlati allo stress, come disturbi
digestivi, tensioni muscolari, stanchezza
cronica, insonnia o mal di testa; oppure un
sistema immunitario debole, che rende più
suscettibili ai raffreddori e alle influenze.
Per fermare gli abusi dovete ammettere la
situazione. E questo vi aiuterà anche a capire
quale parte di voi li commette. La parte che
ha sposato ideali sociali di perfezione? Quella
che ha bisogno di “superare” un fratello o
una sorella? Quella che deve dimostrare che
non siete né difettosi né “troppo sensibili”?
Quella che vuole conquistare l’amore dei
genitori o ricevere almeno per una volta lo
sguardo che desiderate? Quella che vuole
dimostrare che siete dotati come loro
desidererebbero? Oppure quella che pensa
che il mondo non possa sopravvivere senza di
voi? Quella che vorrebbe controllare ogni
cosa per essere perfetti e immortali? In
questa situazione emerge sempre una
qualche forma di arroganza, anche se da
parte di qualcun altro e a vostre spese.
Esiste un’altra ragione per cui le HS P
trattano così duramente il loro corpo:
l’intuizione dona loro un flusso di idee
creative, e loro vorrebbero esprimerle tutte,
ma devono scegliere. Pretendere di fare tutto
è di nuovo una forma di arroganza e un
crudele abuso ai danni del vostro corpo.
Una volta sognai che alcuni esseri senza
testa, luminosi e inarrestabili, erano venuti
per portarmi via. La mattina seguente, il
sogno mi riportò alla mente il cartone
animato della Disney, L’apprendista stregone.
Topolino è l’apprendista stregone che usa la
magia per dar vita a una scopa affinché faccia
il lavoro che il padrone gli ha assegnato:
riempire d’acqua una cisterna. Non si tratta
solo di pigrizia: in realtà Topolino è troppo
arrogante per svolgere un compito così umile,
per lavorare lentamente nei limiti imposti dal
proprio corpo. Ma facendo così dà inizio a
qualcosa che non può più fermare. Quando
l’acqua allaga la stanza e la scopa ancora non
si ferma, Topolino la taglia in tanti pezzi, e
subito centinaia di scope senza testa si
mettono a versare altra acqua, sommergendo
Topolino e le sue brillanti idee.
Questa è la vendetta che potete aspettarvi
dal corpo quando lo trattate come una scopa
senza vita, al servizio di idee troppo brillanti.
La scelta di Topolino di essere un
apprendista stregone era buona, ottimista ed
energica (Topolino è un personaggio molto
rappresentativo dell’uomo medio nella nostra
cultura). Quell’energia ha un lato positivo:
esprime l’idea che sia un individuo sia un
popolo possono raggiungere qualunque
obiettivo se lavorano abbastanza e si
comportano in modo intelligente. Chiunque
può diventare presidente degli Stati Uniti o
ricco e famoso. Ma l’“ombra” o il lato
pericoloso di quella virtù (tutte le virtù ne
hanno uno) è il rischio di trasformare la vita
in una competizione disumana.

Il bilanciamento
Fino a che punto vi impegnerete nel mondo
oppure lo eviterete è una questione
individuale, la cui risposta, oltretutto, cambia
nel tempo. Tuttavia per la maggior parte delle
persone la mancanza di tempo o di denaro
rende il bilanciamento fra questi due poli
molto difficile. Siamo costretti a compiere
scelte e a stabilire priorità, ma le HS P ,
essendo molto coscienziose, si mettono
spesso all’ultimo posto. O, al limite, non si
concedono più tempo né più opportunità
degli altri per imparare nuove cose. Invece ne
abbiamo più bisogno.
Se siete “troppo dentro”, è evidente che il
mondo ha bisogno di voi e della vostra
sensibilità. Se siete “troppo fuori”, è
altrettanto evidente che svolgerete molto
meglio ogni compito solo trovando riposo e
distrazioni adeguate.
Ecco il saggio consiglio di una HS P che ho
intervistato:

Dovete imparare tutto sulla vostra sensibilità.


Sarà un ostacolo o una scusa solo se le
permetterete di esserlo. Quanto a me,
quando sono troppo ritirato in me stesso,
vorrei stare a casa per sempre. Ma sarebbe
autodistruttivo. Quindi esco, per incontrare il
resto del mondo, e poi ritorno a casa per
assimilarlo. Le persone creative hanno
bisogno di tempo per stare sole. Ma non
possono farlo a lungo. Quando vi ritirate,
perdete il senso della realtà, la vostra capacità
di adattamento.
Invecchiando può succedere che perdiate il
contatto con la realtà, e quindi la vostra
flessibilità. Avrete dunque più bisogno di
stare fuori. Ma mentre voi invecchiate, si
sviluppa anche una certa eleganza. I vostri
tratti basilari diventano più forti,
specialmente se lavorate su ogni aspetto di
voi stessi, e non solo sulla sensibilità.
Rimanete in contatto con il corpo. Avete un
grande dono: questa sensibilità verso il corpo
può guidarvi e, se vi aprite a essa, vi renderà
migliori. Ovviamente le persone sensibili
vogliono chiudere la porta al mondo e al loro
corpo. Diventano paurose. Ma voi potete
evitarlo, ed esprimere se stessi è il modo
migliore per farlo.

Il riposo
I neonati hanno bisogno di molto riposo, non
è vero? Lo stesso i corpi altamente sensibili:
abbiamo bisogno di riposo di ogni genere.
Prima di tutto, ci è necessario il sonno. Se
avete problemi a dormire, considerateli una
priorità. Ricerche sulla mancanza cronica di
sonno hanno scoperto che, quando le persone
riescono a dormire a sufficienza, raggiungono
in due settimane il punto in cui non
mostrano più segni di deprivazione (come
addormentarsi in modo più veloce del
normale o in qualsiasi stanza buia). 7 Se
mostrate segni di un “debito di sonno”,
dovete pianificare periodicamente una
vacanza che vi permetta di dormire quanto vi
pare. Vi meraviglierete nello scoprire quanto
bisogno ne avete.
Le HS P si comportano peggio degli altri nei
turni di notte o misti, e recuperano più
lentamente il jet lag. Spiacente, ma questo
inconveniente fa parte del pacchetto. Meglio
non pianificare (o almeno non per divertirvi)
viaggi brevi fra vari fusi orari.
Se il problema è l’insonnia, potete trovare
molti consigli in altri testi. Esistono anche
centri per curarla. Ma ecco alcuni
suggerimenti che possono utilizzare
soprattutto le HS P . Primo, rispettate i vostri
ritmi naturali e andate a dormire non appena
vi viene sonno. Per i mattinieri, questo
significa andare a letto presto la sera. Per i
nottambuli, che hanno il problema più grave,
questo significa andare a dormire il più tardi
possibile.
Studi sul sonno consigliano di associare il
letto solo con il sonno e di alzarsi se non si
riesce a dormire. Ma io penso che talvolta le
HS P facciano meglio a stare a letto nove ore
con gli occhi chiusi senza porsi il problema se
stiano effettivamente dormendo. Poiché l’80
per cento delle stimolazioni sensoriali viene
dagli occhi, restare con gli occhi chiusi
fornisce comunque una tregua.
Tuttavia stare svegli a letto può causare
vari problemi. Alcune persone, per esempio,
incominciano a preoccuparsi o a tormentarsi
con pensieri e immagini. In questo caso, la
cosa migliore è mettersi a leggere. Oppure
alzatevi, riflettete lucidamente sui vostri
problemi, mettete per iscritto idee e
soluzioni, e poi tornate a letto. I problemi del
sonno sono del tutto individuali e ognuno
deve trovare da solo le soluzioni adatte.
Abbiamo bisogno anche di altri tipi di
riposo. Le HS P tendono a essere molto
coscienziose e perfezioniste. Non riusciamo a
“svagarci” finché non abbiamo esaurito il
nostro lavoro in ogni dettaglio. I dettagli sono
come piccoli aghi di arousal che ci pungono e
ci rendono difficile rilassarci e divertirci. Il
corpo-bambino vuole giocare, perché il gioco
crea endorfine e tutti quei piacevoli
cambiamenti che combattono lo stress. Se
siete depressi, se siete eccessivamente
emotivi, se non dormite o se percepite altri
segnali di mancanza di equilibrio, sforzatevi
di divertirvi di più.
Ma che cos’è il divertimento? State attenti
che non siano le non-HS P a deciderlo per voi.
Per molte HS P , il divertimento è leggere un
buon libro, fare un po’ di giardinaggio
tranquillo o gustarsi a casa una pietanza
preparata e consumata lentamente. Invece
impegnarvi in una dozzina di attività prima
ancora della pausa pranzo può non
corrispondere alla vostra idea di
divertimento. Oppure la cosa può andar bene
alla mattina, ma non al pomeriggio. Perciò
pianificate sempre un modo per chiamarvi
fuori. Se siete con qualcuno, assicuratevi di
informarlo per tempo, affinché non si senta
offeso o ferito quando ve ne andrete.
Infine, quando pianificate una vacanza
calcolate il costo in termini di biglietti aerei o
di caparre perdute se deciderete di tornare a
casa prima o di interrompere il viaggio e
fermarvi in un posto. Preparatevi in anticipo
a pagare quel prezzo.
Oltre al sonno e allo svago, le HS P hanno
anche bisogno di molte pause di inattività,
proprio per rilassarsi e ripensare alla
giornata. Talvolta riusciamo a prendercele
mentre svolgiamo i compiti quotidiani:
guidare, lavare i piatti o fare giardinaggio. Ma
anche se avete trovato il modo di eliminare
alcune di queste incombenze, avrete ancora
bisogno di queste pause: prendetevele.
Un’altra forma di riposo, forse la più
essenziale, è raggiungere uno stato di
“trascendenza”, qualcosa che vi permetta di
stare al di sopra di tutto, di solito mediante la
meditazione, la contemplazione o la
preghiera. Potreste impiegare un po’ di
questo tempo dedicato alla “trascendenza”
per tenervi al di fuori dei soliti pensieri, nella
pura consapevolezza, nel puro essere, nella
pura unità o nell’unione con Dio. Anche se
otterrete risultati minimi, quando finirete
avrete una più ampia e fresca prospettiva
sulla vita.
Anche il sonno, ovviamente, vi permette di
uscire dalla vostra ristretta dimensione
mentale; ma il cervello, quando dormite, si
trova in uno stato particolare. In realtà, ogni
genere di attività – sonno, gioco, meditazione,
preghiera, yoga – corrisponde a un differente
stato mentale, ed è bene mescolarli. Ma
premuratevi di aggiungere anche un tipo di
meditazione che abbia lo scopo di
sperimentare la pura consapevolezza e non
comporti né attività fisica né concentrazione,
né sforzo. Si tratta della condizione che più vi
fornisce – a mente attiva – un riposo
profondo. Ricerche condotte sulla
Meditazione Trascendentale, che crea proprio
questo stato, hanno rilevato in modo
convincente che chi la pratica mostra un
minor arousal a lungo termine del tipo
descritto nel capitolo precedente. (Nel loro
sangue diminuisce il livello di cortisolo. 8) È
come se le loro meditazioni fornissero loro
un po’ della sicurezza e delle risorse interiori
necessarie.
Ovviamente dovrete anche stare attenti a
ciò che mangiate e all’esercizio fisico. Ma si
tratta di questioni personali, e molti altri libri
possono consigliarvi in proposito.
Informatevi su quali cibi tendono a calmare il
corpo o ad allentare la tensione, aiutandovi a
dormire. E assumete anche vitamine e
minerali – per esempio il magnesio – che
influiscono positivamente sullo stress e sul
sovraccarico.
Se siete abituati alla caffeina,
probabilmente essa non peggiora la
situazione, a meno che non eccediate. Si
tratta comunque, per le HS P , di una droga
potente. 9 State attenti se ne fate un uso
occasionale, nella convinzione che migliori le
vostre prestazioni, così come accade per gli
altri. Per esempio, se siete mattinieri e di
solito non assumete caffeina, ma poi la
prendete prima di un esame importante o di
un incontro, potrebbe peggiorare la vostra
prestazione accrescendo l’arousal.

Strategie per la sovrastimolazione


Un buon caretaker sviluppa varie strategie per
calmare il suo bambino. Alcune sono di tipo
psicologico, altre di tipo fisico. Ogni
approccio ha delle ricadute sull’altro:
scegliete quello che fa per voi basandovi sul
vostro intuito. E ciascun metodo richiede
un’azione: alzarsi, andare dal bambino, o
comunque fare qualcosa.
Per esempio, se mentre camminate
nell’enorme Pennsylvania Station di New
York, vi sentite sopraffatti e iniziate a provare
paura, dovete far qualcosa, psicologicamente
o fisicamente, per impedire che il corpo-
bambino venga sconvolto. Potrebbe essere
una buona idea lavorare psicologicamente su
questa paura. Pensate, per esempio: “questo
non è un rumoroso inferno pieno di pericolosi
estranei. È solo una versione più grande di
molte stazioni che ho già frequentato, piena
di persone normali che cercano di arrivare là
dove vogliono andare e che potrebbero
aiutarmi in caso di necessità”.
Ecco altri metodi psicologici utili nel
contrastare l’overarousal:

ricontestualizzate la situazione
ripetete una frase, una preghiera o un
mantra che, grazie a una pratica
quotidiana, avete associato a una
profonda calma interiore
siate testimoni del vostro stato di
overarousal
cercate di amare la situazione
cercate di amare il vostro overarousal

Per ricontestualizzare la situazione, notate ciò


che è familiare o amichevole, ciò che avete già
affrontato con successo, ciò che è simile al
passato. Quando ripetete un mantra o una
preghiera, se la vostra mente ritorna a ciò che
vi ossessiona, è importante non scoraggiarvi e
non fermarvi. Sarete comunque più calmi di
come sareste stati se non aveste fatto niente.
Per essere testimoni, immaginate di stare in
disparte e di osservarvi, magari parlando di
voi con una figura immaginaria che vi
conforti. «Ecco di nuovo la povera Ann, tanto
sconvolta che sta cadendo a pezzi. Mi
dispiace così tanto. Ma quando è in queste
condizioni lei non può vedersi bene. Domani,
quando si sarà riposata, sarà di nuovo
soddisfatta del suo lavoro. Ma ora ha solo
bisogno di riposo, indipendentemente da ciò
che può sembrare necessario. Poi tutto filerà
liscio.»
Cercare di amare la situazione sembra
paradossale, ma è importante. Una mente più
ampia e più amorevole, una mente che sia
aperta all’intero universo, è l’opposto di una
mente ristretta, chiusa e sovrastimolata. E se
non riuscite ad amare la situazione, è molto
importante ed essenziale che per lo meno
amiate voi stessi in questa situazione.
Infine, non dimenticatevi che la musica ha
il potere di cambiare lo stato d’animo.
(Secondo voi, perché gli eserciti hanno bande
e trombe?) Ma fate attenzione: la maggior
parte delle HS P ne è fortemente influenzata, e
quindi bisogna saper scegliere bene. Quando
siete già sovrastimolati, non dovete agitarvi
ulteriormente ascoltando brani fortemente
emotivi o legati a ricordi importanti (brani
che la maggior parte delle persone, quando
sono giù di corda o ipoattivi non
smetterebbero mai di ascoltare). Sono vietati,
in quei momenti, i lamenti dei violini. E,
ovviamente, poiché qualsiasi musica può
accrescere la stimolazione, usatela solo
quando vi sembra possa calmarvi: il suo
scopo è quello di distrarvi. Talvolta il vostro
bisogno può essere una semplice distrazione,
ma altre volte è invece necessario che stiate
ben attenti.
Poiché ci stiamo occupando del corpo, è
una buona idea anche tentare un approccio
fisico.
Ecco un elenco di strategie puramente
fisiche:

uscite dalla situazione!


chiudete gli occhi per diminuire le
stimolazioni
prendetevi pause frequenti
uscite
usate l’acqua per allontanare lo stress
fate una passeggiata
calmate il ritmo del respiro
aggiustate la postura per essere più
rilassati e sicuri
muovetevi!
sorridete

È sorprendente quante volte ci


dimentichiamo che possiamo semplicemente
andarcene via da una situazione. O fare una
pausa. O lasciare il lavoro, le discussioni o i
problemi fuori dalla porta. Molte HS P trovano
che la natura sia molto rilassante. L’acqua ci
aiuta in molti modi. Quando siete
sovrastimolati, bevete un bicchiere d’acqua
ogni ora. Andate a camminare vicino
all’acqua, guardatela, ascoltatela. Entrateci
dentro, se possibile, per fare un bagno o
nuotare. Le vasche idromassaggio e le
sorgenti termali sono, non a caso, molto
popolari. Anche camminare è un aiuto
fondamentale. Un ritmo familiare riesce a
calmare. E lo stesso fa il ritmo di un respiro
lento, soprattutto concentrato a livello dello
stomaco. Espirate lentamente e con un po’
più di forza, come se spegneste una candela.
Oppure, seguite con attenzione la vostra
respirazione, e la familiarità del respiro vi
calmerà.
Spesso la mente imita il corpo. Perciò
quando notate che state camminando
sporgendovi in avanti, come se steste
correndo verso il futuro, riequilibratevi al
centro. Oppure, quando tenete le spalle
abbassate e la testa china, come se portaste
un peso, raddrizzatevi e sbarazzatevi del
fardello.
Forse la vostra posizione preferita è quella
con la testa incassata fra le spalle, sia nel
sonno sia da svegli: un inconscio tentativo di
proteggervi dai colpi della stimolazione e
dalle ondate di sovrastimolazione.
Stiracchiatevi! Stando in piedi, sollevate la
testa, portate indietro le spalle e centrate la
parte superiore del corpo sul busto e sui
piedi, in modo da bilanciare meglio il peso.
Sentite la solidità del terreno sotto i piedi.
Piegate leggermente le ginocchia e respirate
profondamente dallo stomaco. Percepite il
centro stabile del vostro corpo.
Cercate di ricreare i movimenti e la
postura di una persona calma, padrona di sé.
Appoggiatevi bene, rilassatevi. Oppure
alzatevi e muovetevi verso ciò che vi attira.
Rimettete in linea il vostro “sistema di
approccio”. O muovetevi come qualcuno che
sia arrabbiato o sdegnato. Scuotete un pugno.
Adottate uno sguardo minaccioso.
Raccogliete le vostre cose e preparatevi a
uscire. La vostra mente imiterà il corpo.
È cruciale essere padroni di se stessi e
muoversi liberamente. Le HS P in stato di
stimolazione e sovraccarico tendono a
bloccarsi anziché assumere la reazione fight
or flight (attacco o fuga). La postura rilassata
e la scioltezza dei movimenti possono
contrastare la tensione che vi intorpidisce.
Oppure, se siete già frenetici o nervosi,
fermate ogni movimento.
Sorridere? Potrebbe essere un sorriso
rivolto a voi stessi. Non ha importanza il
motivo per cui lo fate, ma fatelo.

I contenitori della vostra vita


Un altro modo per comprendere questi
consigli è ricordare come abbiamo
incominciato questo capitolo: riconoscendo
che la prima necessità del vostro corpo-
bambino è quella di essere abbracciato e
protetto dalla sovrastimolazione. Con queste
solide basi potete uscire ed esplorare, certi
del porto sicuro costituito dalle braccia del
vostro buon caretaker.
Se ci pensate, la vostra vita è piena di
simili “contenitori sicuri”. Alcuni sono
concreti, come la casa, l’automobile, l’ufficio,
i vicini, un cottage o una casetta, una valle o
una montagna, una foresta o una spiaggia,
certi vestiti o certi luoghi pubblici che amate,
per esempio una chiesa o una biblioteca.
Alcuni dei più importanti contenitori sono
le persone care della vostra vita: coniugi,
genitori, figli, fratelli o sorelle, nonni, gli
amici più stretti, una guida spirituale o un
terapeuta. Poi esistono contenitori meno
tangibili: il lavoro, i ricordi di momenti felici,
certe persone che non ci sono più ma che
vivono nella vostra memoria, le vostre
credenze più profonde, la vostra filosofia di
vita e i mondi interiori della preghiera o della
meditazione.
I contenitori fisici possono sembrare più
validi e affidabili, specialmente al corpo-
bambino. Ma i più attendibili sono quelli
intangibili. In molte situazioni persone
minacciate da un grande stress o da un
pericolo estremo hanno conservato il proprio
equilibrio ritirandosi in tali contenitori. Nelle
situazioni più drammatiche, niente e nessuno
poteva toglier loro l’amore, la fede, il pensiero
creativo, l’esercizio psicologico e quello
spirituale. Buona parte della strada verso la
saggezza consiste nel trasferire il senso di
sicurezza dai contenitori tangibili a quelli
intangibili.
Forse la vera maturità consiste nella
capacità di concepire l’intero universo come il
nostro contenitore e il nostro corpo come un
microcosmo di quello stesso universo, senza
confini. Questa è, più o meno,
l’illuminazione. Ma la maggior parte di noi ha
bisogno di affidarsi per un po’ a contenitori
più limitati, anche avendo già cominciato a
lavorare su quelli intangibili. In effetti finché
viviamo nei nostri corpi, illuminati o no,
abbiamo bisogno di un po’ di sicurezza
tangibile o almeno di un senso di familiarità.
Ma soprattutto, se perdete un contenitore
(o, peggio, più di uno), accettate il fatto di
sentirvi vulnerabili e sopraffatti finché non
riuscirete a superarlo.
I confini
L’idea dei confini è ovviamente legata a
quella dei contenitori. I confini dovrebbero
essere porosi, ossia dovrebbero lasciar
entrare ciò che volete e tener fuori ciò che
non volete. Certamente vorreste evitare di
chiuder fuori tutti, indiscriminatamente. E
vorreste controllare ogni impulso a
confondervi con gli altri. Sarebbe bello, ma
non funziona a lungo. Perdereste ogni
autonomia.
Numerose HS P mi hanno raccontato che il
loro più grande problema è la debolezza dei
confini: si fanno coinvolgere in situazioni che
non le riguardano, lasciano che troppe
persone le stressino, dicono più di quanto
vogliono, si impantanano nei problemi altrui
o stabiliscono troppo in fretta un rapporto di
intimità con le persone sbagliate.
Qui c’è una sola regola basilare: per
stabilire i confini occorre pratica! Costruire
buoni confini deve diventare la vostra meta.
Sono un vostro diritto, una vostra
responsabilità, la vostra più grande fonte di
dignità. Ma non vi angosciate troppo quando
sbagliate. Prendete semplicemente nota di
quanto stiate migliorando.
Potrete usare questi confini anche per
impedire la stimolazione quando non ci sono
altre soluzioni. Conosco molte HS P (fra cui
una, in particolare, cresciuta in una casa
popolare sovraffollata) che riescono a
chiudere fuori, a comando, quasi tutti gli
stimoli ambientali. Un’abilità davvero utile.
“A comando” non significa comunque
un’involontaria dissociazione psicologica, ma
la capacità di scegliere fra tutte le voci e gli
altri suoni intorno a voi, e di diminuirne
l’impatto.
Come riuscire a far pratica? Sedetevi vicino
a una radio. Immaginate una qualche forma
di confine intorno a voi – la luce, un’energia o
la presenza di un protettore di fiducia – che
tenga fuori ciò che non volete. Poi accendete
la radio, ma non ascoltate ciò che dice.
Probabilmente sentirete ancora le parole, ma
rifiutatevi di accoglierle. Dopo un po’,
spegnete la radio e ripensate a ciò che avete
sperimentato. Siete riusciti a chiudere fuori le
parole trasmesse? Potete sentire quel
confine? Se non è così, continuate a fare
pratica; migliorerete.

Un messaggio dal corpo-bambino


1. Per favore, non costringermi a
sopportare più di quanto io possa. Sono
indifeso contro questo comportamento, e
mi sento male. Per favore, per favore,
proteggimi.
2. Sono nato così e non posso cambiare. So
che talvolta pensi che qualcosa di
terribile mi abbia reso quello che sono o
che mi abbia “peggiorato”, ma questo
dovrebbe suscitare in te una maggiore
simpatia nei miei confronti. Perché, in
entrambi i casi, non posso farci niente.
Non biasimarmi se sono come sono.
3. Ciò che sono è meraviglioso: ti permetto
di percepire e di sentire tutto così
profondamente. Sono davvero una delle
tue migliori risorse.
4. Controllami spesso e prenditi cura di me
in ogni momento possibile. Così, quando
non potrai, potrò credere che almeno ci
stai provando, e che non dovrò aspettare
molto.
5. Se devi farmi aspettare per farmi
riposare, domandami se mi va bene.
Divento solo più infelice e tormentato se
ti arrabbi e se cerchi di forzarmi.
6. Non ascoltare tutte le persone che
dicono che mi vizi. Tu mi conosci. Tu
decidi. Sì, talvolta sarebbe meglio che mi
lasciassi solo a piangere finché mi
addormento. Ma fidati del tuo intuito.
Talvolta sai che sono troppo sconvolto
per essere lasciato solo. Ho bisogno di
un’attenta e regolare routine, e non è
facile viziarmi.
7. Quando sono esausto, ho bisogno di
dormire, anche se sembro
completamente sveglio. Per me, è
importante mantenere abitudini regolari
e una routine tranquilla prima di andare
a letto. Altrimenti resterò sveglio,
agitandomi per ore. Ho bisogno di stare
a lungo a letto, anche da sveglio. Potrei
averne bisogno anche a metà giornata.
Per piacere, lascia che lo faccia.
8. Cerca di conoscermi meglio. Per
esempio, i ristoranti rumorosi mi
sembrano insopportabili, come ci si può
mangiare? Ho molte sensazioni del
genere.
9. Dammi giocattoli semplici e non
complicarmi la vita. Non portarmi a più
di una festa alla settimana.
10. Con il tempo, potrei abituarmi a ogni
cosa, ma non sopporto i cambiamenti
improvvisi. Organizzati in questo senso,
anche se gli altri si comportano così e tu
non vuoi essere un peso per loro. Lascia
che io vada piano.
11. Non voglio essere coccolato. In
particolare non voglio che pensi che sono
debole o malato. A modo mio, sono
meravigliosamente intelligente e forte.
Non voglio certo che tu mi assilli e che
sia preoccupato per me tutto il giorno. O
che tu chieda troppo spesso scusa a
causa mia. Non voglio essere un fastidio,
per te e per gli altri. Soprattutto conto su
di te, la persona adulta, per capire come
comportarmi.
12. Per favore, non ignorarmi. Amami!
13. Accettami, così come sono.
LAVORARE CON CIÒ CHE AVETE
IMPARATO
Instaurare un dialogo con il vostro corpo-bambino

Scegliete un momento in cui non avete fretta, in cui


sapete che non sarete interrotti e in cui vi sentite
stabili e portati all’autoesplorazione. Poiché ciò che
segue può suscitare forti emozioni, se iniziate a
sentirvi sovrastimolati, rallentate o fermatevi.
Potrebbe essere difficile portare a termine l’attività a
causa di alcune resistenze che faranno divagare la
vostra mente, soffrire il corpo o vi indurranno al
sonno. È normale che succeda. Cercate di esercitarvi
in diverse occasioni e apprezzate qualunque cosa
succeda.

PARTE I
Leggete prima tutte le istruzioni, in modo da non
dover tornare indietro.

1. Rannicchiatevi come un bambino oppure


sdraiatevi a pancia in giù o supini, nella
posizione che preferite.
2. Smettete di pensare e cercate di percepire
emotivamente attraverso il corpo, così come fa
un bambino. Per aiutarvi, respirate per tre
minuti molto consapevolmente dal centro del
corpo, lo stomaco.
3. Dopo la respirazione, provate a diventare come
un neonato. Forse pensate di non ricordare,
ma il vostro corpo può farlo. Partite da
un’immagine atmosferica, come all’inizio di
questo capitolo. Il tempo è bello o c’è un
temporale?
Oppure incominciate dal vostro primo ricordo
conscio, anche se risale a un po’ di tempo
dopo. È utile essere un neonato con la
comprensione di un bambino un po’ più
adulto. Per esempio, forse questo bambino più
maturo può sapere che è meglio non piangere
per chiedere aiuto. Da soli è meglio.
4. Siate consapevoli soprattutto di essere un
neonato altamente sensibile.
5. Siate consapevoli di ciò che vi è più necessario.
PARTE II
Ora o più tardi... Di nuovo leggete prima tutte le
istruzioni, in modo da non dover tornare indietro,
cosa che vi distrarrebbe.

1. Immaginate un bel bambino di circa sei


settimane. Molto piccolo. Ammirate la
dolcezza, la delicatezza. Notate che fareste
qualsiasi cosa per proteggerlo.
2. Ora rendetevi conto che questo bel bambino è
il vostro stesso corpo-bambino. Anche se è
simile a tanti altri che avete visto di recente,
questo è il vostro bambino, quello che avete
immaginato.
3. Ora guardatevi agitarvi e piangere. Ci
dev’essere un problema. Domandategli: «Che
cosa posso fare per te?». E ascoltate bene. È il
vostro corpo-bambino a rispondere.
Non vi preoccupate che si tratti di una
finzione. Ovviamente state immaginando, ma il
vostro corpo-bambino è in qualche modo
coinvolto nell’atto dell’invenzione.
4. Rispondetegli, iniziate un dialogo. Se
incontrate difficoltà a soddisfare i bisogni di
questo bambino, parlate con lui. Se vi sentite
in colpa, chiedetegli scusa. Se vi sentite
arrabbiati o tristi, è utile conoscere anche
questo aspetto del vostro rapporto con il
bambino.
5. Non abbiate paura di ripetere solo una parte
dell’esercizio o di eseguirlo in modo diverso.
Per esempio, la prossima volta aprite la mente
al vostro corpo-bambino, a qualunque età e in
qualsiasi forma voglia apparire.
4
Ricontestualizzare l’infanzia e
l’adolescenza
Imparate a essere i genitori di voi stessi

In questo capitolo inizieremo a ripensare la


vostra infanzia. Leggendo delle tipiche
esperienze dei bambini sensibili, vi
torneranno alla mente ricordi della vostra
infanzia, ma ora li vedrete in modo diverso,
attraverso la lente della vostra nuova
conoscenza del tratto. Queste esperienze
sono importanti. Come per le piante, il tipo di
seme che affonda nel terreno – il vostro
temperamento innato – è solo uno dei fattori
di sviluppo. Anche la qualità del suolo,
l’acqua e il sole influenzeranno
profondamente la pianta in crescita che ora
siete voi. Se le condizioni di sviluppo sono
misere, le foglie, i fiori e i semi stenteranno
ad apparire. Analogamente anche voi da
bambini non avrete mostrato la vostra grande
sensibilità se la semplice sopravvivenza
richiedeva un comportamento diverso.
Quando incominciai le mie ricerche,
scoprii “due tipi” di HS P . Alcune avevano
problemi di depressione e di ansia, altre non
avevano quasi nessun problema del genere.
La differenza tra i due gruppi era molto
chiara. Più tardi scoprii che quasi tutte le HS P
depresse e ansiose avevano avuto un’infanzia
difficile. Invece le non-HS P con un’infanzia
difficile non soffrivano neanche
lontanamente di tali depressioni o ansie. Ma
questo succedeva anche alle HS P con
un’infanzia felice. È importante che noi e i
lettori non confondiamo l’alta sensibilità con
il “nevroticismo”, che comprende certi tipi di
ansia profonda, depressione,
iperattaccamento o fuga dall’intimità, e che è
causato solitamente da infanzie tormentate. È
vero che alcune persone soffrono nello stesso
tempo di una alta sensibilità e di
nevroticismo, ma le due cose non coincidono.
Questa confusione tra sensibilità,
nevroticismo ed effetti dei traumi infantili è
una delle ragioni alla base di alcuni degli
stereotipi negativi sulle HS P (saremmo per
natura sempre ansiosi, depressi e così via).
Perciò lasciamo perdere ogni luogo comune e
andiamo avanti.
È facile capire perché un’infanzia
tormentata possa influenzare più le HS P che
le non-HS P .
Le HS P sono inclini a vedere ogni dettaglio
e ogni implicazione di un’esperienza
negativa. Ma è facile sottovalutare l’impatto
dell’infanzia, perché molti eventi importanti
accadono prima che li si possa ricordare. In
più, alcuni di questi eventi sono così
angosciosi che vengono deliberatamente
dimenticati. Se il genitore si mostra
arrabbiato o pericoloso, la mente conscia
seppellisce questa informazione perché
troppo spaventosa, ma l’inconscio sviluppa
un atteggiamento profondamente diffidente.
La buona notizia è che possiamo lavorare
su qualsiasi effetto negativo. Ho visto HS P
che, agendo in questo modo, si sono liberate
di buona parte della loro depressione e della
loro ansia. Ma ci vuole tempo.
Comunque, anche se la vostra infanzia è
stata meravigliosa, essere altamente sensibili
è sempre difficile. Mentre voi vi sentivate
diversi, genitori e insegnanti, anche se validi
sotto numerosi aspetti, non sapevano come
trattare un bambino così sensibile. Non ci
sono mai state molte informazioni su questo
tratto di personalità, ma anzi sempre la
tendenza a cercare di rendervi “normali”,
simili al modello ideale.
Ultimo punto da ricordare. L’adolescenza
dei ragazzi sensibili è molto diversa da quella
delle ragazze ugualmente sensibili. In questo
capitolo, pertanto, mi soffermerò spesso a
descrivere le diverse esperienze.
Marsha, una bambina saggiamente
evitante
Marsha, una HS P sessantenne, è stata mia
paziente per parecchi anni, perché sperava di
capire, venendo in terapia, alcuni dei suoi
comportamenti “compulsivi”. Verso i
quarant’anni era diventata poetessa e
fotografa, e, arrivata a sessanta, era molto
stimata per il suo lavoro.
Nonostante la sua storia in parte
angosciosa, i suoi genitori avevano fatto del
loro meglio. Inoltre lei ha un buon rapporto
con il suo passato e continua a imparare da
esso, sia lavorando su se stessa sia
elaborandolo attraverso la sua arte. Credo
che, se le domandaste se è felice,
risponderebbe di sì. Ma la cosa più
importante è che continua a crescere in
saggezza.
Marsha era la minore di sei fratelli, nati da
una famiglia di immigrati che lottavano per
far quadrare i conti in una cittadina del
Midwest. Le sorelle maggiori ricordano i
singhiozzi della madre alla notizia di ogni
nuova gravidanza. Le zie affermano che la
sorella era fortemente depressa. Ma Marsha
non ricorda di averla mai vista fermarsi per il
dolore, per la depressione, per la fatica o per
la disperazione. Quella donna era
un’impeccabile casalinga tedesca e una fedele
devota. Allo stesso modo, il marito «lavorava,
mangiava e dormiva».
I bambini non si sentivano poco amati,
non era questo. Semplicemente i loro genitori
non avevano né tempo né energia né denaro
per essere affettuosi, per affrontare i loro
problemi parlandone, per andare in vacanza,
per aiutarli a fare i compiti, per trasmettere
loro la saggezza dell’esperienza e nemmeno
per far loro regali. Era una nidiata di sei
«polli», come talvolta li definiva Marsha, che
crebbero per lo più da soli.
Fra i tre stili di attaccamento descritti nel
capitolo precedente – sicuro, insicuro/ansioso
ed evitante – l’infanzia di Marsha aveva
richiesto il terzo. Era una bambina che non
aveva bisogno di nessuno e che causava il
minor numero possibile di problemi.

LA PICCOLA M ARS HA, HS P, A LETTO CON I


M OS TRI

Durante i primi due anni, la bambina fu


messa a dormire nello stesso letto dei tre
fratelli maggiori. Ma, ahimè, essi
sperimentarono i loro primi impulsi sessuali
sulla sorellina, così come succede talvolta ai
bambini che non vengono controllati. Dopo
due anni, fu spostata nella stanza delle
sorelle. Ricordava che finalmente si era
sentita «un po’ al riparo durante la notte». Ma
rimase il bersaglio di crudeli e aperte
molestie sessuali da parte di uno dei fratelli
maggiori fino all’età di dodici anni.
I genitori non avevano mai notato nulla, e
lei temeva che, se avesse raccontato come si
comportavano i fratelli, il padre li avrebbe
uccisi. Uccidere faceva parte della vita, e
poteva accadere. Marsha ricordava di essere
stata colpita dalla regolare decapitazione dei
polli nel cortile e dall’atteggiamento
insensibile e noncurante verso questa
necessità della vita. Quindi c’era un ulteriore
significato nel fatto che vedesse la sua
famiglia come una nidiata di polli.
Oltre alle molestie sessuali, ai fratelli
piaceva stuzzicare e spaventare Marsha, come
se fosse il loro giocattolo personale. Più di
una volta l’avevano fatta svenire per la paura.
(Noi HS P siamo ottimi bersagli, spesso
preferiti proprio perché reagiamo così
intensamente.) Ma non tutto il male viene per
nuocere. In quanto giocattolo prediletto,
anche Masha era coinvolta nel gioco e aveva
una libertà che in quei giorni poche ragazze
potevano permettersi. I fratelli, che godevano
di una rude indipendenza che lei preferiva
alla passività della madre e delle sorelle,
diventarono i suoi modelli, e in qualche modo
rappresentarono una valida esperienza per
una ragazza sensibile.
Per Masha il rapporto migliore fu quello
con una sorella maggiore, che però morì
quando lei aveva tredici anni. Marsha ricorda
di essersi coricata nel letto dei genitori,
fissando il vuoto, in attesa di notizie della
sorella. Le era stato detto che se i genitori
non avessero chiamato entro un’ora, voleva
dire che la sorella era morta. Quando scoccò
l’ora, lei prese un libro e si mise a leggere.
Ecco un’altra lezione imparata: non
affezionarsi.

M ARS HA PICCOLA FATA, M ARS HA NELLA GABBIA


DEI POLLI

Il primo ricordo di Marsha è di giacere nuda


al sole osservando le particelle di polvere in
un raggio di luce, incantata da quella
bellezza: un ricordo della sua sensibilità
come fonte di gioia. Era stato così per tutta la
sua vita, specialmente ora che poteva
esprimerla attraverso la sua arte.
Notate che non c’è nessuna persona nel
suo primo ricordo. Allo stesso modo la sua
poesia e la sua fotografia si occupano delle
cose, non delle persone. Ci sono spesso
immagini di case, con finestre e porte chiuse.
L’ossessionante vuoto di alcuni suoi lavori ci
parla delle esperienze private di tutti noi,
soprattutto di coloro a cui la prima infanzia
insegnò a evitare la tenerezza.
In una fotografia scattata durante la
terapia, in primo piano ci sono alcuni polli,
chiaramente a fuoco. (Ricordatevi del
significato dei polli per Marsha.) Più sfocati
sono la rete e il telaio della porta del pollaio,
simile a una prigione. Più sfumata ancora,
nell’oscurità della soglia del pollaio, è
l’immagine spettrale di un gruppo di
bambini cenciosi. Un’altra immagine
importante per la sua arte fu ispirata da un
sogno su una piccola fata, luminosa e
arrabbiata, che viveva in un giardino segreto
dove non permetteva a nessuno di entrare.
Marsha aveva usato in modo compulsivo, e
in quantità quasi eccessive, cibo, alcol e varie
droghe nella sua vita. Ma era troppo
intelligente per varcare il limite, avendo un
istinto molto pratico e un quoziente
intellettivo che superava 135. In un altro
sogno portava un bambino affamato e
arrabbiato in una sala da banchetto piena di
cibo che lui rifiutava. Scoprimmo che il
bambino era affamato – in modo avido e
disperato – di amore e di attenzione. Come
polli affamati, quando non possiamo
mangiare ciò di cui abbiamo bisogno ci
nutriamo di ciò che troviamo.

Le HSP e l’attaccamento
Nei capitoli precedenti abbiamo visto
l’importanza dell’attaccamento al caretaker, di
solito la madre. Uno stile di attaccamento
insicuro persisterà per tutta la vita, a meno
che non si trovi in età adulta, com’è raro, un
attaccamento sicuro verso qualcuno, come un
compagno o una psicoterapia a lungo
termine. Purtroppo le relazioni abituali non
riescono sempre, tranne che in terapia, a
compensare l’insicurezza infantile (che porta
a evitare l’intimità oppure alla tendenza
compulsiva a unirsi profondamente a
qualcuno e alla paura di venirne
abbandonati). E mentre nel mondo, cercando
inconsciamente quella sicurezza così a lungo
agognata senza averne alcuna esperienza,
ripetete di continuo i vecchi errori, scegliete
di nuovo quel tipo di persona che vi farà
sentire insicuri.
Anche se ho trovato una maggiore (ma
leggera) tendenza delle HS P a mostrare da
adulte stili di attaccamento insicuri, ciò non
significa che la situazione sia creata dal tratto
di personalità. 1 Probabilmente questo riflette
il fatto che un bambino sensibile è più
consapevole dei minimi dettagli di una
relazione.
Nelle HS P alcune delle più importanti
lezioni sul rapporto con gli altri riguardano
se aspettarsi di essere aiutate da loro a
combattere la sovrastimolazione o di
riceverne un’ulteriore dose. Ogni giorno è
una nuova lezione.
Nel suo Diario di un bambino (di cui
abbiamo parlato nel capitolo 3), Stern fa
l’esempio di un “faccia a faccia” tra la madre
e l’immaginario Joey. La madre fa dei versetti,
avvicina il viso e poi si ritrae. Joey sorride,
ride e incoraggia il gioco. Ma alla fine il gioco
diventa troppo intenso. In quei momenti di
sovraccarico, l’immaginario Joey di Stern
interrompe il contatto visivo e guarda altrove,
ponendo termine, in effetti, alla
sovrastimolazione. Per descrivere questo
faccia a faccia, Stern usa di nuovo l’analogia
del tempo atmosferico, poiché la madre
diventa il vento che soffia sopra il bambino.
Stern immagina questa pagina del diario nel
momento in cui Joey è sopraffatto:

Ma già il turbine ritorna impetuoso, in un


crescendo di spazi e suoni. Mi è addosso.
Colpisce. Cerco di sostenere la sua violenza,
di assecondarlo, ma mi ritrovo sballottato
qua e là. Tremo. Tutto il mio essere si ferma,
sospeso. Esito. Poi mi ritiro. Volto le spalle al
vento. E torno a cullarmi in acque placide, da
solo. 2

Questo dovrebbe suonarvi familiare, perché


anche voi siete come Joey mentre cerca il
livello ottimale di arousal descritto nel
capitolo 1. Le persone che si prendono cura
dei neonati lo sanno. Quando un bambino è
irrequieto e annoiato, loro inventano giochi
come questo “faccia a faccia” o qualcosa di
più stimolante, per esempio fare strane
smorfie o avvicinarsi lentamente al bambino
dicendo: «Ora ti prendo!». Gli strilli di
piacere sono una ricompensa per gli adulti,
indotti a pensare che essere spinto al limite
favorisca la fiducia e la flessibilità del
bambino. Quando però questi mostra
fastidio, la maggior parte degli adulti si
ferma.
Ora prendiamo in considerazione il nostro
immaginario Jesse, altamente sensibile. Il
“faccia a faccia” è probabilmente non molto
diverso, tranne per il fatto che è un po’ più
quieto e più breve. Sua madre avrà adattato il
gioco in modo da non oltrepassare i limiti di
Jesse.
Ma che cosa succede quando gli altri
esagerano? Supponiamo che sua sorella
maggiore o il nonno eseguano il “faccia a
faccia” in modo più intenso. Che cosa
succede se, quando Jesse distoglie lo sguardo
– il suo segnale per indicare che il gioco è
finito – la sorella si avvicina ancora di più?
Oppure se gira la faccia di Jesse?
Forse Jesse chiude gli occhi.
Forse la sorella gli avvicina la bocca
all’orecchio e grida.
Forse il nonno gli fa il solletico o lo solleva
in aria più volte.
In tal modo Jesse perde il controllo sul
proprio livello di stimolazione. E ogni suo
grido causa una nuova razionalizzazione da
parte dell’adulto: «Gli piace, certo che gli
piace, è solo un po’ spaventato».

La domanda che confonde: «Ti piace?».


Riuscite a immaginarvi al posto di Jesse? Che
situazione confusa! La fonte del vostro livello
di attivazione è del tutto fuori controllo.
L’intuito vi dice che l’altro, di solito
amichevole, ora non vi sta aiutando. Tuttavia
sta ridendo, si diverte, e si aspetta lo stesso
da voi.
In questa condizione c’è una delle ragioni
per cui ancora oggi forse vi è difficile capire
che cosa vi piace e che cosa non vi piace, e a
separarlo da quello che agli altri piace fare
con voi o pensano che vi debba piacere.
Ricordo una situazione in cui due proprietari
di cani mettevano i loro cuccioli nell’acqua e
poi li spingevano dove era più profonda. I
cuccioli nuotavano disperatamente verso le
braccia dei padroni, anche se sapevano che
sarebbero stati di nuovo riportati nell’acqua
profonda. Non solo quella era l’unica
alternativa che avevano ad affogare, ma le
braccia dei padroni erano l’unica cosa che
avesse mai fornito loro sicurezza e cibo.
Quindi i cuccioli scodinzolavano
selvaggiamente e i loro padroni avranno
creduto che i cagnolini amassero quel
“gioco”. Ma forse, dopo un po’, anche i
cuccioli si saranno sentiti insicuri.
Ci fu una HS P il cui primo ricordo era di
essere trattata come una “bambola” nelle
riunioni di famiglia. Malgrado piangesse e
supplicasse, questa bambina di due anni
veniva passata di mano in mano fra persone
che le erano del tutto estranee. Rievocando
questi sentimenti a lungo repressi, lei capì
che quella situazione (e altre che aveva
completamente rimosso) le aveva lasciato un
senso di terrore e di disperazione riguardo
alla possibilità di essere manipolata e
controllata fisicamente, in qualsiasi modo, e
di non essere protetta dai suoi genitori.
Il concetto fondamentale è che nei primi
anni di vita o avete imparato a fidarvi degli
altri, e in generale del mondo esterno, oppure
no. Se l’avete fatto, la vostra ipersensibilità è
rimasta, e di rado vi ha portato a un
devastante sovraccarico a lungo termine.
Sapevate come gestirla, come tenerla sotto
controllo. Se chiedevate a qualcuno di
smettere di farvi qualcosa, quello smetteva.
Sapevate che potevate confidare nel fatto che
lui vi avrebbe aiutato anziché peggiorare la
situazione. D’altra parte, se non siete riusciti
a costruire una simile fiducia, si sarà aperta
per voi la via della timidezza cronica,
dell’ansia o dell’evitamento sociale. Non si
tratta di qualcosa di innato, ma di appreso.
Questo condizionamento non è rigido:
probabilmente avete imparato a fidarvi in
certe situazioni più che in altre. Ma è anche
vero che nei primi due anni il bambino mette
a punto una strategia o una rappresentazione
mentale del mondo che può essere
duratura. 3

Le HSP con un’infanzia felice


In ogni caso, ci sono molte ragioni per
aspettarsi che diverse HS P abbiano avuto
un’infanzia estremamente felice. Gwynn
Mettetal, una psicologa dell’Università
dell’Indiana che studia il modo di aiutare i
genitori delle «persone con temperamento a
rischio», ha notato che la maggior parte dei
genitori si sforza di capire i propri bambini e
di allevarli correttamente. E se il bambino
sensibile comprende queste buone
intenzioni, riesce a provare la forte
sensazione di essere amato. 4
I genitori di un bambino altamente
sensibile sviluppano spesso uno speciale
legame con il figlio. La comunicazione è più
sottile, e i suoi successi nel mondo sono più
significativi. L’esclamazione: «Guarda,
mamma, ho fatto un gol!» assume un nuovo
significato per i genitori e per gli allenatori
quando il giocatore è una HS P . E poiché il
tratto è innato, ci sono buone probabilità che
uno dei vostri genitori, o entrambi, vi
capiscano molto bene.
Alcune ricerche effettuate presso la
Medical School dell’Università di California, a
San Francisco, hanno scoperto che i bambini
«altamente sensibili allo stress» erano vittime
di più numerose ferite e malattie se erano
sottoposti a stress, ma di molte meno se non
lo erano. Poiché lo stress è fortemente
influenzato dall’attaccamento sicuro del
bambino e dallo stile di vita famigliare, credo
che sia giusto presumere che i bambini
altamente sensibili dotati di un attaccamento
sicuro godano anche di un’eccezionale buona
salute. Non è un’osservazione interessante?
Infine, se anche i vostri genitori vi hanno
trascurato, ma in modo positivo,
probabilmente avete ricevuto abbastanza
amore per poter crescere bene da soli. Forse
figure immaginarie, personaggi di libri o la
natura stessa vi hanno calmati e sostenuti a
sufficienza, cosicché il vostro tratto può
avervi resi più felici degli altri bambini
solitari. Oppure il vostro intuito e le vostre
buone qualità possono avervi portato a una
relazione più sana con un parente o con un
insegnante. Anche poco tempo passato con la
persona giusta può aver fatto la differenza.
Se la vostra famiglia è stata insolitamente
difficile, dovreste comunque essere
consapevoli che il vostro tratto può avervi
protetto dall’essere trascinati nel caos, come
invece sarebbe potuto accadere a un altro
bambino. E, quando incominciate a guarire, il
vostro intuito vi aiuterà in quel processo. Gli
studi sull’attaccamento trovano che per lo più
noi impartiamo ai bambini lo stesso
trattamento che abbiamo ricevuto; ma ci sono
delle eccezioni: gli adulti che sono riusciti a
guarire dalle loro peggiori ferite infantili. Se
compirete in tal senso uno sforzo, uno sforzo
inevitabilmente doloroso, potrete essere uno
di loro. Ritorneremo su questo argomento nel
capitolo 8.

Le nuove paure là fuori, nel mondo


Avvicinandovi all’età scolare, vi attendevano
nuovi compiti e nuove circostanze in cui
l’ipersensibilità poteva aiutarvi o ostacolarvi.
Come Rob nel capitolo 2, la vostra
esposizione al vasto mondo può aver
stimolato ulteriormente la vostra
immaginazione, rafforzato la consapevolezza
di dettagli che sfuggivano ad altri e può
avervi dato una gioia intensa nell’apprezzare
le bellezze più nascoste della vita. Ma quando
la vostra sensibilità ha incontrato un mondo
più vasto è anche probabile che siano nate
nuove paure e fobie “irragionevoli”.
A quest’età le paure possono crescere per
molte ragioni. Per prima cosa, c’è il semplice
condizionamento: tutto ciò che vi circondava
quando eravate sovrastimolati si associava
all’esperienza del sovraccarico e quindi
diventava qualcosa di cui avere paura. In
secondo luogo, potreste aver capito quanto ci
si aspettava da voi e quanto poco le vostre
esitazioni sarebbero state comprese. Terzo, la
vostra mente molto sensibile potrebbe aver
colto, proprio come un’antenna, tutti i
sentimenti degli altri, anche quelle emozioni
che volevano nascondere a voi o a se stessi.
Poiché alcuni di questi sentimenti erano
spaventosi (la vostra sopravvivenza
dipendeva da quelle persone), potreste aver
represso ciò che avevate capito di loro. Ma il
vostro terrore è rimasto e si è manifestato
come una paura “irrazionale”.
Quarto, essendo sensibili al disagio, alla
disapprovazione o all’irritazione degli altri,
probabilmente avete fatto in modo di seguire
perfettamente ogni regola, timorosi di
commettere errori. Però, essere sempre così
“buoni” ha significato ignorare molti dei
vostri normali sentimenti umani, come
l’irritazione, la frustrazione, l’egoismo o la
rabbia. Poiché siete stati così desiderosi di
compiacere gli altri, è probabile che gli altri
abbiano ignorato i vostri bisogni anche
quando, in effetti, erano più grandi dei loro. E
tutto questo ha solo alimentato la vostra
rabbia. Ma forse i sentimenti provati erano
stati così spaventosi che li avete sepolti. E la
paura che potessero venir fuori è diventata
un’altra fonte di paure “irrazionali” e di
incubi. 5
Da ultimo, per molti di voi, la pazienza che
i vostri genitori hanno mostrato nei primi tre
anni verso la vostra sensibilità può essere
diminuita. Speravano che la superaste. Ma
quando è arrivato il momento di andare a
scuola, hanno capito che il mondo non vi
avrebbe trattati così gentilmente. Forse si
sono rimproverati per avervi protetto troppo
e hanno cercato di spingervi con più forza.
Forse hanno persino cercato un aiuto
professionale, trasmettendovi il messaggio
che qualcosa in voi era sbagliato. E tutto ciò
può aver aumentato la vostra ansia.
Il problema dei bambini sensibili
Esistono tanti maschi quante femmine nati
con il tratto dell’alta sensibilità. 6 Ma la
cultura ha una sua influenza, e la vostra
cultura ha idee precise su come debbano
comportarsi maschi e femmine.
Il problema è così importante che diventa
in certi casi quasi divertente. Un collega mi
informò di un esperimento sociale informale
in cui un neonato venne lasciato in un parco
cittadino in compagnia di un assistente il
quale, interpellato dai passanti, diceva che gli
era stato chiesto di stare per pochi minuti con
il neonato e di non sapere se era maschio o
femmina. Tutti coloro che si fermarono a
guardare il bambino venivano messi in crisi
dal fatto di non essere in grado di
distinguerne il sesso. E alcuni si offrirono di
spogliarlo per scoprire il mistero. Altri studi
hanno spiegato perché il problema del sesso
sia così importante: la gente tende a trattare
in modo diverso maschi e femmine. 7
È affascinante scoprire come il genere
venga collegato alla sensibilità. Mentre i
maschi non dovrebbero essere sensibili, le
femmine invece dovrebbero esserlo. E tutto
inizia a casa. Le ricerche mostrano che le
madri non gradiscono che i figli maschi siano
timidi, il che, secondo i ricercatori, «può
essere interpretato come una conseguenza
del sistema di valori della madre». 8 Bel modo
di iniziare la vita! I bambini timidi sono
giudicati male anche dagli altri, specialmente
se sono di indole mite anche a casa.

Le bambine sensibili e le loro madri


A differenza dei bambini, le bambine timide
vanno d’accordo con le madri e sono le loro
preferite. 9 In questo caso il problema è
l’eccesso di protezione. In una bambina
sensibile, la madre può trovare la figlia che
sognava, quella che non vuole, non deve e
non può lasciare la sua casa, e ciò blocca la
sua spinta naturale a esplorare e a vincere le
proprie paure.
In genere le ragazze, di ogni età, mostrano
effetti più negativi (compreso il ritiro sociale)
per ogni atteggiamento negativo delle loro
madri: critica, rifiuto o freddezza. 10 Questo è
probabilmente più vero per le ragazze
sensibili. Quanto ai padri, spesso si
dimenticano di aiutare le figlie a superare le
paure. Insomma le bambine sono più
influenzate da entrambi i genitori, nel meglio
e nel peggio. 11
Dopo aver letto tutto ciò, è tempo di
pensare a come essere un genitore diverso
per voi stessi. Tanto per cominciare, fate il
questionario “Come affrontare le minacce di
sovrastimolazione”.

COME AFFRONTARE LE MINACCE DI


SOVRASTIMOLAZIONE
Non esitate a contrassegnare molte delle
affermazioni sottostanti, anche se vi
sembrano incoerenti: segnate tutte le voci
che si applicano a voi, considerando ogni
frase indipendentemente dalle altre.
Quando ho paura di provare cose nuove o
sono sull’orlo di una crisi di
sovrastimolazione, di solito:

Cerco di scappare dalla situazione.


Cerco modi per controllare la
stimolazione.
Mi aspetto di saper resistere, in qualche
modo.
Provo un crescente senso di paura che
tutto possa andare male.
Cerco qualcuno che mi possa aiutare o
almeno lo richiamo alla mente.
Mi tengo lontano da tutti, in modo da
non peggiorare la situazione.
Cerco di stare con gli altri – amici,
famiglia, un gruppo che conosco bene,
vado in chiesa, vado a lezione o
comunque esco.
Mi impegno più duramente a evitare
quella situazione e ogni situazione
simile, non importa quanto mi manchi.
Protesto, mi arrabbio, faccio tutto il
necessario per far cessare ciò che mi
angoscia.
Mi concentro sullo sforzo di calmarmi e
cerco di fare una cosa alla volta.

I vari metodi:
tutti questi metodi hanno una loro ragione,
anche la paura, che può spingere ad agire.
Ma alcuni funzionano meglio e sono più
adatti a certe situazioni, e quindi la chiave di
volta è la flessibilità. Se ne usate meno di tre,
esaminate di nuovo l’elenco e valutate di
adottarne altri.
Chi vi ha insegnato questi metodi? Che cosa
vi ha impedito di usarne di più? Riconoscere
le cause infantili delle vostre reazioni vi può
aiutare a capire che cosa è ancora utile e
cosa invece non è più necessario.
Essere un genitore diverso per voi stessi
Alcune situazioni sono sovrastimolanti
perché sono troppo intense o durano troppo
a lungo. Il bambino in voi non può più
sopportare, per esempio, i fuochi d’artificio,
né un’altra ora al luna park. Il capitolo
precedente dovrebbe avervi aiutato a
prendere sul serio il vostro corpo-bambino
quando ne ha abbastanza. Talvolta, anche se
tutto va bene, avete paura di ciò che può
accadere, dell’idea di vedere di nuovo i fuochi
d’artificio o di salire sulla ruota panoramica.
Quando nuove situazioni producono
sovrastimolazione perché non sono familiari,
e le cose poco familiari in passato sono state
sconvolgenti, è naturale che rifiutiate ogni
novità senza neppure provarla; e dunque
rinunciate a tante esperienze.
Per essere disponibili nei confronti delle
novità, avete bisogno di vivere numerose
situazioni nuove che si rivelino positive. Per
una HS P , non è automatico saper gestire le
nuove situazioni. I genitori che comprendono
i loro bambini altamente sensibili sviluppano
una strategia “passo per passo”. Alla fine i
bambini stessi imparano ad applicarla da
soli. Se i vostri genitori non vi hanno
insegnato tale strategia, è tempo che
insegniate a voi stessi questo modo di
affrontare le cose.
Ho rielaborato qui sotto alcuni consigli per
i “bambini timidi” tratti dal libro Bambini e
violenza in famiglia di Alicia Lieberman, 12
che possono utilizzare anche gli adulti
quando hanno paura di affrontare nuove
situazioni:

1. Proprio come un genitore non lascia che


un bambino piccolo affronti da solo una
nuova situazione, agite nello stesso
modo nei confronti di voi stessi. Fatevi
accompagnare da qualcuno.
2. Proprio come un genitore inizia parlando
della situazione con il bambino, parlate
alla parte di voi stessi che ha paura.
Focalizzatevi su ciò che è familiare e
sicuro.
3. Proprio come un genitore promette al
bambino che potrà abbandonare una
certa situazione se si agita troppo,
permettete a voi stessi di tornare a casa
se necessario.
4. Proprio come un genitore ha fiducia che
il bambino si riprenderà, dopo un po’,
aspettatevi che la parte di voi che ha
paura si sentirà bene dopo qualche
tempo e supererà la situazione nuova.
5. Proprio come un genitore sta attento a
non aumentare la paura del bambino con
un’apprensione eccessiva e ingiustificata,
se la parte di voi che ha paura ha bisogno
di aiuto, non rispondete con un’ansia
eccessiva che la vostra parte coraggiosa
ritiene ingiustificata.

Ricordatevi anche che l’eccesso di


stimolazione può essere confuso con l’ansia.
Un buon genitore per voi stesso è anche
quello che dice: «Ci sono sicuramente molti
problemi. La cosa ti crea ansia, non è vero?».

Confrontate i vostri “bisogni speciali” con


il rischio di uno scoraggiamento duraturo
Forse il compito più difficile è decidere
quanto proteggere voi stessi e quanto imporvi
gentilmente di andare avanti; è il problema a
cui si trovano di fronte tutti i genitori di
bambini sensibili. Probabilmente sapete già
come mettervi sotto pressione; e lo fate come
lo hanno fatto con voi i vostri genitori, gli
insegnanti e gli amici. Poche HS P sfuggono
all’esigenza sociale di essere una persona di
spirito, di comportarsi normalmente o di
compiacere gli altri; e anche quando gli altri
sono lontani continuano a cercare di
compiacerli. Se vi comportate così, imitate la
loro incapacità di accettare i vostri bisogni.
Come ho spiegato nell’ultimo capitolo,
tendete a essere “troppo fuori”.
O forse imitate la loro iperprotezione, che
si è già dimostrata un fallimento quando
avevate paura pur essendo disposti a tentare
qualcosa alla vostra portata. In tal caso, siete
“troppo dentro”.
Quanto è scoraggiante vedere i vostri amici
godere di qualcosa che voi avete paura di
provare. Non sottostimate questo
scoraggiamento. Può essere presente anche
nell’età adulta, quando vedete gli amici
intraprendere carriere, viaggi, traslochi e
relazioni che vi spaventano. Tuttavia dentro
di voi sapete che avete gli stessi loro talenti,
gli stessi desideri e le stesse potenzialità, o
anche di più.
L’invidia può risvegliarci a una di queste
due verità: vogliamo qualcosa (o vogliamo
fare qualcosa) ed è meglio agire quando ne
abbiamo ancora la possibilità, oppure
vogliamo qualcosa quando non possiamo più
averlo. Come abbiamo visto nel capitolo 2,
nella descrizione di Mary Rothbart sul modo
in cui ci sviluppiamo, le persone adulte sono
capaci di dirigere l’attenzione, di usare la
forza di volontà e di decidere di vincere una
paura. Se la vostra invidia è forte e decidete
che volete fare qualcosa, probabilmente ci
riuscirete.
Un altro importante aspetto della crescita è
smettere di illudersi che siamo capaci di fare
qualunque cosa. La vita è breve e piena di
limiti e di responsabilità. Da una parte
godiamo di un po’ di cose buone e dall’altra le
rendiamo al mondo. Ma nessuno può avere
tutto il bene per sé o fare solo il bene degli
altri.
Ho notato che non tutte le HS P si sentono
scoraggiate perché non riescono a fare tutto
quello che fanno i loro simili. Spesso sono
poco invidiose. Molte apprezzano il proprio
tratto e sanno che dà loro tante cose che agli
altri mancano. Credo che lo scoraggiamento,
come l’incapacità di proteggere se stessi,
venga da atteggiamenti appresi nella prima
infanzia.
Non è mai troppo tardi per vincere lo
scoraggiamento
Mentre è saggio accettare ciò che non
possiamo cambiare di noi stessi, è anche
bene ricordare che non siamo mai troppo
vecchi per sostituire allo scoraggiamento un
po’ di fiducia e di speranza.
Da bambina avevo una speciale
propensione a cadere, il che mi portava a uno
stato di sovrastimolazione e alla perdita di
coordinamento quando mi trovavo in un
posto alto o dovevo confidare nel mio
equilibrio. Quindi non ho mai imparato, per
esempio, ad andare in bicicletta oppure a
usare i pattini a rotelle o da ghiaccio – il che
era un sollievo solo per mia madre. Perciò
sono sempre stata più una spettatrice
invidiosa che una partecipante nelle attività
fisiche. Ma ci sono state splendide eccezioni,
come ciò che accadde un’estate alla fine di
una festa del solstizio, in un ranch ai piedi
delle Sierras, in California.
C’erano donne di tutte le età. Ma a sera,
trovarono un’altalena, e ritornarono tutte
ragazzine. L’altalena era legata a lunghe corde
e dondolava sopra un pendio. Al crepuscolo
era come volare tra le stelle. O, almeno, così
dissero. Tutte avevano provato, tranne me.
Quando le altre rientrarono, io rimasi a
guardare l’altalena, provando la vecchia
vergogna di essere la solita fifona, anche se
probabilmente nessuna lo aveva notato.
Poi arrivò una ragazza più giovane, che si
offrì di mostrarmi come usare l’altalena. Io
dissi di no. Non volevo farlo. Ma lei ignorò la
mia risposta e mi promise di non spingermi
più forte di quanto volessi. Così mi tenne
ferma l’altalena perché ci salissi.
Mi ci volle un po’ di tempo. Ma in qualche
modo mi sentivo sicura con lei, e trovai il
coraggio di dondolarmi come le altre verso le
stelle.
Non rividi più quella ragazza, ma le sarò
sempre grata sia per l’esperienza sia per il
rispetto e la comprensione che dimostrò
nell’insegnarmi, un gentile dondolio dopo
l’altro.

Gli anni di scuola


I ricordi di Marsha sui suoi anni di scuola
erano quelli tipici delle HS P . Eccelleva negli
studi e, quando si trattava di pianificare o di
trovare nuove idee, era una specie di leader.
Si annoiava spesso. La sua vivace
immaginazione la spingeva a leggere libri
durante le lezioni. Era «sempre quella più
intelligente».
Così come si annoiava, la
sovrastimolazione della scuola la infastidiva.
La cosa che ricordava meglio era il chiasso.
Non ne aveva paura, ma il rumore,
specialmente quando l’insegnante lasciava la
classe, era insopportabile. Anche
l’affollamento in famiglia, otto persone in una
casetta, la rendeva infelice. Quando il tempo
era bello, se ne stava tra gli alberi o sotto il
portico a leggere libri. Quando era brutto,
aveva imparato a chiudere tutto fuori da
quello che leggeva.
A scuola, però, era più difficile evitare il
sovraccarico. Un giorno l’insegnante lesse su
un giornale le terribili torture subite da certi
prigionieri di guerra. Marsha svenne.
Quando anche voi, come Marsha, avete
iniziato ad andare a scuola avete incontrato il
vasto mondo. Il primo shock può essere stato
la separazione da casa. Benché non sia stato
del tutto nuovo per chi abbia frequentato la
scuola materna, non potete essere preparati a
una lunga e rumorosa giornata in una
normale classe di prima elementare. Nel
migliore dei casi, gli insegnanti sono riusciti a
stimolare gli allievi con un livello di
attivazione adatto a un bambino medio, ma
quel livello per voi è quasi sempre stato
eccessivo.
Probabilmente, la prima reazione è ritrarsi
e osservare. Ricordo bene il primo giorno di
scuola di mio figlio. Si ritirò in un angolo del
tutto esterrefatto. Ma guardare senza parlare
non è “normale”. L’insegnante disse: «Gli
altri stanno giocando, perché non ti unisci a
loro?». Per non dispiacere all’insegnante o
per non essere considerati strambi,
probabilmente anche voi avrete vinto la
vostra riluttanza. O forse non ci siete riusciti.
In tal caso, probabilmente tutti hanno
iniziato a osservarvi: attenzione di cui non
avevate alcun bisogno.
Jens Asendorpf del Max Plank Institute di
Psicologia, a Monaco, ha osservato quanto sia
normale per alcuni bambini giocare da soli. 13
A casa, di solito i genitori pensano che questo
comportamento sia semplicemente un tratto
della personalità dei figli. Ma a scuola la
situazione è diversa. Se un bambino gioca da
solo, viene rifiutato dagli altri e diventa un
problema per gli insegnanti.
Per alcuni questo eccesso di stimolazione e
il senso di vergogna hanno portato a scarsi
risultati scolastici, anche se la maggior parte
di voi, essendo portati per la lettura e uno
studio tranquillo, ha avuto risultati eccellenti.
Ciò che ostacola lo sviluppo sociale o certe
abilità fisiche è la sovrastimolazione. Per
rimediare a questo problema, forse avete
trovato un amico con cui giocare. E forse
avete acquisito la reputazione di essere quello
che inventa i giochi migliori, che scrive le
migliori storie e che fa i migliori disegni.
In effetti, se siete entrati a scuola con
fiducia in voi stessi e nel vostro tratto di
personalità, come aveva fatto Charles nel
capitolo 1, potreste essere diventati dei veri
leader. Altrimenti, come disse un mio amico
altamente sensibile, un fisico, «riuscite a
pensare a un grande uomo che si sia trovato
bene a scuola?».

Scolari e scolare
Dalle mie ricerche risulta che in età scolare
molti maschi HS P sono introversi. Ed è logico,
perché un bambino sensibile non è
considerato “normale”. Ma il loro problema è
come verranno trattati in un gruppo di
compagni o di estranei.
Le ragazze sensibili, come i maschi, si
appoggiano spesso nei loro anni di scuola, a
una o due amiche. Ma alcune sono
abbastanza estroverse. Diversamente dai
bambini, ci si aspetta che dimostrino talvolta
un po’ di sovraccarico o di emotività. Questo
può anche aiutarle a essere accettate dalle
altre bambine.
Però il lato negativo di tale “permesso” di
essere emotive è che una ragazza sensibile
non è mai costretta a indossare l’armatura
che i ragazzi devono mettersi addosso per
sopravvivere. Quindi le ragazze che non
hanno avuto modo di mettere in pratica alcun
controllo emotivo possono sentirsi indifese di
fronte a una sovrastimolazione emotiva.
Oppure possono usare le loro emozioni per
manipolare gli altri proteggendo se stesse
dall’eccesso di stimolazione: «Se dobbiamo
giocare di nuovo a quel gioco, mi metterò a
piangere». Non ci si aspetta né si vuole da
loro la decisa autonomia psicologica
necessaria in età adulta.

I più talentuosi
Se siete stati considerati particolarmente
talentuosi, l’infanzia può essere stata più
facile. Infatti la vostra sensibilità è stata vista
come parte di un ampio tratto di personalità
più accettato socialmente. Esistevano utili
suggerimenti per gli insegnanti e i genitori di
bambini talentuosi. Per esempio, una
ricercatrice 14 ricorda ai genitori che non ci si
può aspettare che tali bambini si integrino
bene con i loro coetanei e che non
cresceranno viziati se si concederà loro un
trattamento speciale o ulteriori opportunità.
Ai genitori e agli insegnanti viene
raccomandato di permettere ai bambini
talentuosi di essere così come sono. Questo
sarebbe un buon consiglio per tutti i bambini
che non sono nella media e non
corrispondono all’ideale; ma il fatto di essere
più dotati ha un valore tale da permettere una
deviazione dalla norma.
Comunque, in ogni cosa c’è un lato buono
e uno cattivo. Può darsi che i genitori e gli
insegnanti vi abbiano messo pressione; e il
vostro senso di autostima può essere salito o
sceso in base ai successi o agli insuccessi. Nel
frattempo, se non vi siete trovati con altri
bambini talentuosi, sarete stati soli e
probabilmente respinti. Oggi esistono linee
guida migliori sul modo di allevare i bambini
più talentuosi. 15 Ne ho elencate alcune che
potrebbero fare al caso vostro se volete
prendervi cura del vostro sé talentuoso.

Prendervi cura del vostro sé talentuoso


1. Apprezzatevi per ciò che siete, non per
ciò che fate.
2. Elogiatevi perché rischiate e imparate
qualcosa di nuovo, non per i vostri
successi. Questo vi aiuterà ad affrontare i
fallimenti.
3. Evitate di paragonarvi continuamente
agli altri; questo atteggiamento porta a
un’eccessiva competizione.
4. Cercate occasioni per entrare in contatto
con altre persone dotate.
5. Non programmate in modo rigido.
Concedetevi il tempo di pensare e di
sognare a occhi aperti.
6. Nutrite aspettative realistiche.
7. Non nascondete le vostre capacità.
8. Siate gli avvocati di voi stessi. Sostenete
il vostro diritto di essere voi stessi.
9. Accettate il fatto di avere interessi
circoscritti. O vasti.

Quanto a quest’ultimo punto, forse volete


studiare i neutrini e nient’altro. O forse volete
leggere, viaggiare, studiare o parlare fino a
capire il senso della vita umana sulla Terra. In
ogni caso, al mondo, servono entrambi i tipi
di persona. (Inoltre, è probabile che
cambierete in un altro momento della vita.)
Parleremo in modo più esteso degli adulti
talentuosi (un argomento trascurato) nel
capitolo 6.

L’adolescente altamente sensibile


L’adolescenza è un periodo difficile per tutti.
Ma le mie ricerche hanno scoperto che, in
media, gli anni più difficili per le HS P sono
quelli della scuola superiore, in cui si
verificano importanti cambiamenti biologici e
una rapida assunzione delle responsabilità
della vita adulta: guidare, compiere scelte per
il proprio futuro professionale, imparare a
servirsi dell’alcol e di altre sostanze, gestire le
possibili paternità o maternità, intraprendere
lavori di fiducia come la babysitter o
l’istruttore, gestire piccole cose come carte
d’identità, denaro e chiavi. E poi c’è il
risveglio delle sensazioni sessuali e la
dolorosa autoconsapevolezza che ne deriva. I
giovani sensibili si sentono spesso incapaci di
assumere i ruoli sessuali prestabiliti di
vittima o di aggressore che i media si
aspettano da loro.
C’è anche la possibilità che l’ansia venga
trasferita sulla sessualità perché è più
difficile affrontare la reale fonte del disagio.
Pensiamo alla pressione che provoca la
necessità di compiere scelte che
determineranno la vita intera, senza avere
idea del risultato; l’aspettativa di dover
lasciare la casa famigliare e di farlo volentieri
o almeno con decisione; e la paura di avere
un “difetto fatale” che si rivelerà appieno se
non si saprà compiere la necessaria
transizione a una vita indipendente.
Non è sorprendente che molti adolescenti
sensibili entrino in crisi e distruggano il loro
sé in erba, in modo da non dover vedere la
sua incapacità di fiorire nel modo “giusto”.
Ed esistono molti modi per distruggerlo:
sposarsi, avere un bambino che imprigioni il
sé in uno stretto ruolo prestabilito; abusare di
droghe o di alcol; diventare fisicamente o
mentalmente inabili; unirsi a sette o a
organizzazioni che offrono sicurezza e
risposte o suicidarsi. Non è detto che tutti
questi comportamenti siano causati dal fatto
di essere altamente sensibili (o che il sé,
come una pianta resistente, non possa
sopravvivere o fiorire più tardi). Ma queste
vie di fuga, alla portata di tutti gli
adolescenti, vengono utilizzate anche da
alcune HS P .
Ovviamente molti rimandano i doveri
dell’età adulta frequentando il college (e poi il
post-dottorato, l’internato...). Oppure si trova
un altro modo per assumersi molto
gradualmente i doveri della vita. Il metodo
della dilazione, in quanto opposto
all’evitamento, è una tattica sottile, un altro
modo per imparare un passo dopo l’altro. E
non c’è niente di male a utilizzarlo per un po’
di tempo.
Forse anche voi avete rimandato il
momento di andare a vivere da soli. Magari
avete vissuto con i genitori per qualche anno,
avete lavorato per un po’ per loro o vi siete
trasferiti assieme agli amici di liceo della
vostra città. È bello diventare grandi
gradualmente. All’improvviso, un giorno, vi
ritrovate adulti senza nemmeno esservene
accorti.
Talvolta, però, facciamo il passo più lungo
della gamba. Il college ne è un esempio, per
alcune HS P . Ne ho conosciute molte che
hanno rinunciato appena dopo il primo
trimestre (o dopo il loro primo ritorno a casa,
spesso a Natale). Né loro né i genitori né i
loro confidenti capiscono il vero problema: la
sovrastimolazione provocata da una nuova
vita, da nuove persone, idee, programmi, dal
vivere in un dormitorio rumoroso, dallo stare
svegli tutta la notte parlando o festeggiando,
dallo sperimentare probabilmente il sesso, le
droghe e l’alcol (o prendendosi cura degli
amici durante i loro esperimenti).
Uno studente sensibile, anche quando
vorrebbe tirarsi indietro e riposare, sente la
pressione a fare ciò che fanno gli altri, a
essere normale, a tenere il passo, a soddisfare
le aspettative di tutti. Qualunque problema
abbiate avuto al college dovrebbe essere
ricontestualizzato. Non è un fallimento
personale.
Ovviamente una buona vita in famiglia
aiuta molto tutti gli adolescenti, anche
quando viene il momento di lasciare il nido.
La sua influenza duratura è particolarmente
forte nelle HS P . Fin dalla prima adolescenza la
famiglia insegna tante cose su come potete e
dovete comportarvi nel mondo.

Quando i ragazzi e le ragazze sensibili


diventano uomini e donne
Quando un adolescente altamente sensibile
diventa adulto, aumentano le differenze fra i
sessi. Come piccole variazioni all’inizio di un
viaggio, piccole differenze nell’educazione
possono far sì che maschi e femmine arrivino
a destinazioni molto diverse.
In genere, gli uomini hanno un’autostima
più elevata delle donne. Se i genitori hanno
apprezzato il loro figlio sensibile, come nel
caso di Charles nel capitolo 1, allora da adulto
egli avrà molta fiducia in se stesso. Ma ho
anche trovato molti maschi altamente
sensibili pieni di disprezzo nei propri
confronti, e ciò non sorprende, visti i rifiuti
che hanno sperimentato.
Uno studio condotto su uomini che erano
stati timidi fin dall’infanzia (per lo più HS P )
trovò che si erano sposati in media tre anni
più tardi degli altri, avevano avuto il primo
figlio quattro anni più tardi e avevano
incominciato una carriera stabile tre anni più
tardi, il che li aveva portati a ottenere
riconoscimenti professionali inferiori. 16 Tutto
ciò potrebbe anche riflettere pregiudizi
culturali nei confronti degli uomini timidi o
una minore autostima. Potrebbe anche
indicare il tipo di cautela e di dilazione
caratteristico delle HS P , oppure il fatto che
esse hanno dato importanza, oltre che alla
famiglia o alla carriera, a obiettivi spirituali o
artistici. A ogni modo, se siete stati lenti a
intraprendere certi passi, siete in numerosa
compagnia.
Al contrario, lo stesso studio trovò che le
donne timide avevano percorso in tempo le
tappe tradizionali della vita. Si dava infatti
per scontato che una donna timida non
lavorasse o che smettesse di lavorare da
sposata, come se avesse accettato la
tradizione patriarcale di passare dalla casa
del padre alla casa del marito senza imparare
a mantenersi da sola.
Tuttavia, nella scuola superiore, queste
stesse donne avevano mostrato di possedere
una «quieta indipendenza, un interesse per le
cose intellettuali, un alto livello di aspirazioni
e un’autonomia interna». 17 Si può solo
immaginare la tensione creata in queste
donne da quella «quieta indipendenza»: la
necessità di seguire una propria direzione
intima e la sensazione che soltanto un
matrimonio tradizionale fosse per loro
un’oasi di sicurezza e di quiete.
Molte donne da me intervistate pensavano
che il loro primo matrimonio fosse stato un
errore, un tentativo di controllare la loro
sensibilità affidandosi a un uomo o calandosi
in un ruolo “protetto”. Non so se fra loro la
percentuale di divorzi sia più alta, ma le loro
ragioni probabilmente sono diverse da quelle
delle altre donne. Alla fine erano state
costrette ad affrontare il mondo da sole e a
trovare altre vie per il loro intuito, per la loro
creatività e per gli altri talenti. Se il loro
primo matrimonio non aveva lasciato spazio a
una simile crescita, era però diventato un
trampolino di lancio per passare, quando
erano state finalmente pronte, dalla casa di
famiglia a una maggiore indipendenza.
Marsha era certamente una di loro. Si era
sposata giovane e aveva aspettato i
quarant’anni per sviluppare i suoi talenti
creativi e intellettuali così evidenti negli anni
scolastici. Per lei (e per circa un terzo delle
donne da me intervistate) il problema di
entrare nel mondo non era dovuto solo alla
sensibilità. Avevano subito brutte esperienze
sessuali – causate, nel caso di Marsha, dai
suoi fratelli. Ma anche in mancanza di abusi,
tutte le giovani donne sperimentano una
diminuzione del proprio livello di autostima
durante la pubertà, probabilmente perché
scoprono il loro ruolo di oggetti sessuali. Le
ragazze altamente sensibili avvertono ancora
più profondamente tutte le implicazioni di
tale ruolo, e fanno dell’auto-protezione una
loro priorità. Alcune mangiano troppo per
diventare poco attraenti, altre studiano o
lavorano così tanto da non avere tempo
libero, e altre ancora scelgono presto un
ragazzo e si attaccano a lui per avere
protezione.
Marsha riferì che la sua leadership e i suoi
brillanti risultati scolastici finirono alla
scuola superiore non appena il suo seno si
sviluppò (più della media). All’improvviso
aveva l’attenzione costante dei ragazzi. A
scuola, in ogni stagione, indossava un
soprabito, per nascondersi il più possibile.
Inoltre allora, come disse lei, le leader erano
ormai «stupide ochette cacciatrici di ragazzi».
E lei non poteva o non voleva essere una di
loro.
Comunque veniva spesso avvicinata dai
ragazzi. Un giorno due di loro la inseguirono
e le strapparono un bacio. Lei tornò a casa
terrorizzata, entrò di corsa, vide un topo –
vero o immaginario, non lo seppe mai – e
cadde dalle scale. Per anni, dopo questo
avvenimento, quando baciava un ragazzo
vedeva quel topo.
A sedici anni si innamorò per la prima
volta, ma lasciò perdere quando i contatti si
fecero più ravvicinati. Rimase vergine fino a
ventitré anni, quando fu stuprata a un
appuntamento. Dopodiché si diede a
chiunque insistesse, «tranne ai ragazzi che
amavo veramente». Poi venne un matrimonio
con un uomo violento, una lunga attesa per
trovare il coraggio di divorziare e l’inizio
della sua carriera artistica.
Insomma, una volta ancora c’è una
differenza di genere nel modo in cui si
manifesta la sensibilità. Quando i ragazzi
sensibili diventano uomini, non riescono più
a stare al passo con gli altri nei tempi e nei
modi di vivere. Per gli uomini, non è
“normale” essere sensibili. Per le donne,
invece, lo è. Le ragazze sensibili trovano
invece con troppa facilità la via dei valori
tradizionali, senza prima imparare a essere
indipendenti nel mondo.

Crescere in un mondo altamente sociale


Siamo alla fine di un capitolo, ma forse
all’inizio dell’opera di una vita: dobbiamo
imparare a vedere l’infanzia alla luce del
nostro tratto di personalità e, se necessario, a
diventare i genitori di noi stessi.
Guardando indietro, noterete quanto
questo capitolo dedicato alla crescita delle
persone altamente sensibili riguardi voi e le
vostre relazioni con gli altri – genitori,
parenti, coetanei, insegnanti, estranei, amici,
mariti, mogli ecc. Gli esseri umani sono
animali molto sociali, e anche noi HS P ! È
dunque tempo di esaminare la vita sociale
delle HS P e questo aggettivo che continua a
emergere, questo stato psicologico che
definiamo “timido”.
LAVORARE CON CIÒ CHE AVETE
IMPARATO
Ricontestualizzare la vostra infanzia

Il cuore di questo capitolo, e forse dell’intero libro,


è ricontestualizzare la vostra vita alla luce della
vostra sensibilità. Dovrete rivedere i fallimenti, le
ferite, la timidezza, i momenti di imbarazzo e tutto il
resto, e vederli in un modo che da una parte è più
preciso e distante e dall’altra più compassionevole e
affettuoso.
Elencate gli avvenimenti più importanti che
ricordate dell’infanzia e dell’adolescenza, i ricordi
che vi hanno modellato in ciò che siete oggi.
Possono essere singoli momenti, come un gioco a
scuola o il giorno in cui i vostri genitori vi hanno
detto che avrebbero divorziato. Oppure possono
essere intere situazioni, come il primo giorno di
scuola ogni anno o l’essere mandati in campeggio
ogni estate. Alcuni ricordi saranno negativi, perfino
traumatici e tragici, per esempio essere stati vittime
di bulli o presi in giro. Altri saranno positivi, ma
forse ancora sovrastimolanti: la mattina di Natale, le
vacanze in famiglia, i successi, i riconoscimenti.
Sceglietene uno e seguite le tappe della
ricontestualizzazione di cui abbiamo parlato nel
capitolo 1:

1. Pensate alla vostra reazione all’evento e a


come lo avete sempre considerato. Credete di
aver reagito in modo sbagliato o diverso da
come avrebbero fatto gli altri? O troppo a
lungo? Avete deciso che in qualche modo non
eravate all’altezza? Avete cercato di
nascondere agli altri il vostro turbamento?
Oppure gli altri se ne sono accorti e vi hanno
detto che la vostra reazione era eccessiva?
2. Ripensate alla vostra reazione alla luce di ciò
che ora sapete sul modo in cui il vostro corpo
agisce automaticamente. O immaginate me,
l’autrice, che lo spiega a voi.
3. Pensate se c’è qualcosa che potete fare ora. Se
vi sembra opportuno, condividete la vostra
nuova visione della situazione con qualcun
altro. Magari può essere qualcuno che a quel
tempo era presente, e che potrebbe
aggiungere altri particolari ai vostri ricordi.
Oppure mettete per iscritto le vostre vecchie e
nuove interpretazioni dell’esperienza e poi
conservate il testo come un promemoria.

Se lo trovate utile, ricontestualizzate dopo qualche


giorno un altro importante avvenimento
dell’infanzia, e procedete fino alla fine dell’elenco.
Non affrettate il processo. Concedetevi qualche
giorno per ogni situazione. Per metabolizzare un
avvenimento importante occorre tempo.
5
Le relazioni sociali
A proposito di timidezza

«Sei troppo timido.» Avete sentito spesso


questa frase? La interpreterete in modo
differente dopo aver letto questo capitolo, che
riguarda proprio le circostanze in cui la
timidezza è più evidente: le relazioni sociali.
(Delle relazioni intime parleremo nel capitolo
7.) Molti di voi sono individui socialmente
dotati: è un fatto. E poiché non è necessario
aggiustare qualcosa che non è rotto, ora mi
concentrerò su un problema che necessita
davvero di un aggiustamento: ciò che gli altri
chiamano timidezza, “evitamento” o fobia
sociale. Ma inquadreremo il problema, e altre
questioni che comunemente riguardano le
HS P , in modo totalmente diverso.
Di nuovo, che io mi concentri sugli aspetti
problematici della vita sociale delle HS P non
significa dire che le loro relazioni siano
necessariamente difficili. Anche il presidente
degli Stati Uniti e la regina d’Inghilterra
talvolta si preoccuperanno di quello che gli
altri pensano di loro. Quindi è probabile, e
del tutto normale, che questo succeda anche a
voi. E la preoccupazione porta alla
sovrastimolazione, il vostro particolare
tallone d’Achille.
Spesso ci viene detto: «Non ti preoccupare;
nessuno ti sta giudicando». Ma, poiché siete
altamente sensibili, notate che la gente, in
genere, guarda e giudica; lo fa spesso. Chi
non è sensibile invece ne è felicemente
inconsapevole. Perciò il vostro compito è più
complicato: riconoscere quegli sguardi, quei
giudizi silenziosi, e non farsene troppo
influenzare. Non è facile.

Se avete sempre pensato di essere timidi


La maggior parte delle persone confonde la
sensibilità con la timidezza. Ecco perché vi
dicono: «Sei troppo timido». La gente afferma
che un cane, un gatto o un cavallo sono
“timidi” quando in realtà hanno un sistema
nervoso sensibile (a meno che non abbiano
subito abusi e in tal caso sarebbe meglio dire
che sono stati “traumatizzati”). La timidezza
è la paura che gli altri non ci approvino o non
ci apprezzino. Si tratta dunque della risposta
a una situazione, ossia di uno stato, non di un
tratto sempre presente. La timidezza, anche
quella cronica, non è ereditaria. Invece l’alta
sensibilità lo è. E benché la timidezza cronica
si sviluppi maggiormente nelle HS P , non è
qualcosa di necessariamente legato al loro
essere. Ho incontrato molte HS P che non
erano quasi mai timide.
Se vi sentite spesso timidi, c’è una buona
spiegazione perché voi o chiunque altro,
comprese le non-HS P , si senta così. Forse in
passato vi siete talvolta trovati in una
determinata situazione sociale (di solito
sovrastimolante) e avete pensato di aver fatto
una brutta figura. Forse gli altri vi hanno
detto che avete fatto qualcosa di sbagliato o
che non siete stati all’altezza. Forse eravate
già in uno stato di sovraccarico, avendo usato
la vostra eccellente immaginazione per
immaginare tutto ciò che poteva andare
storto.
Di solito, non basta un fallimento per fare
di qualcuno un timido cronico, ma può
accadere. In genere la seconda volta in cui si
ripete una determinata situazione spiacevole
voi siete ancora più tesi, perché temete una
ripetizione del fallimento precedente. Ed
essendo più stimolati, è più probabile che vi
comportiate in modo sbagliato. La terza volta,
poi, probabilmente avete dimostrato molto
coraggio, perché sarete stati tesi al massimo.
Non sarete riusciti a pensare a cosa dire,
avete agito come se vi sentiste inferiori e siete
stati trattati allo stesso modo e così via. Come
si vede, questo schema si può ripetere, in una
continua spirale negativa. E si può anche
allargare ad altre situazioni simili: tutte
quelle in cui c’è gente che vi osserva!
Poiché le HS P sono più facilmente
sovrastimolate, è più probabile che entrino in
questa spirale. Ma voi non siete nati timidi,
siete solo nati sensibili.

Liberate la “timidezza” dalle vostre


interpretazioni
Se accettate l’etichetta di “timido”, avrete tre
problemi. Primo: si tratta di una definizione
del tutto imprecisa. Non riguarda la vera
questione, ovvero la vostra sensibilità ai
dettagli e le vostre difficoltà in caso di
eccesso di stimolazione. Ricordatevi che
quest’ultimo non è sempre dovuto alla paura.
Se pensate in termini di paura vi sentirete
timidi, come vedremo, anche quando non lo
siete.
Confondere il vostro tratto di personalità
con uno stato mentale chiamato timidezza è
naturale, dato che il 75 per cento della
popolazione (almeno negli Stati Uniti) è
socialmente estroverso. 1 Quando le persone
vi vedono così tesi, non capiscono che la
causa può essere un eccesso di stimolazione.
Non ne hanno esperienza. Pensano che
abbiate paura di venire respinti. Siete timidi.
Avete paura dei rifiuti. Per quale altro motivo
non riuscireste a socializzare?
In effetti, qualche volta avete paura del
rifiuto. Perché no? Il vostro modo di vivere,
dopotutto, non coincide con l’ideale culturale
della maggioranza. Ma una HS P talvolta vuole
semplicemente evitare un eccesso di
stimolazione. Quando gli altri vi trattano
come se foste timidi o paurosi, non capiscono
che vorreste semplicemente stare soli,
almeno all’inizio. Voi siete coloro che
rifiutano, non coloro che vengono rifiutati.
(Le non-HS P , oltre a non capire perché sono
nate con il bisogno – per star bene – di una
maggiore stimolazione rispetto a voi,
proiettano le loro stesse paure del rifiuto su
di voi, cioè vi attribuiscono qualcosa che non
vogliono ammettere in se stesse.)
Se in genere trascorrete poco tempo tra la
gente e non incontrate sconosciuti, quando
siete costretti a farlo vi sentirete certamente
meno a vostro agio. Non è il vostro campo.
Ma, di nuovo, presumere che siate timidi o
paurosi non è esatto. Quando qualcuno si fa
avanti per aiutarvi, parte da una premessa
sbagliata. Per esempio, le persone pensano
che non abbiate fiducia in voi stessi e quindi
vi assicurano che siete simpatici. In realtà ciò
che vi viene detto ha una base di verità: avete
una scarsa autostima. Ma non conoscendo il
vostro tratto di personalità, gli altri danno
una spiegazione sbagliata della vostra scarsa
socievolezza e non possono aiutarvi a capire
perché non c’è niente che non va in voi.

Definirsi timidi è negativo


In secondo luogo, sfortunatamente il termine
“timido” ha connotazioni molto negative.
Connotazioni che non dovrebbe avere; in più
potrebbe facilmente essere sostituito da
aggettivi come “discreto”, “dotato di
autocontrollo”, “riflessivo”, “sensibile”. Ma
alcuni studi hanno dimostrato che in genere
chi incontra per la prima volta una HS P la
giudica “timida” ed equipara questo termine
ad “ansiosa”, “goffa”, “paurosa”, “inibita” e
“introversa”. 2 Perfino i professionisti della
salute mentale hanno spesso definito così
queste persone, aggiungendo che si situano a
un livello inferiore sul piano intellettuale,
delle realizzazioni personali e della salute
mentale: tutte cose che hanno poco a che fare
con la timidezza. Soltanto chi le conosce
bene, per esempio i loro coniugi, sceglie
definizioni positive. Un altro studio ha
scoperto che i test usati in psicologia per
misurare la timidezza sono pieni degli stessi
termini negativi. 3 Tali questionari potrebbero
anche essere corretti, se si occupassero
soltanto dello stato mentale, ma invece
vengono usati per identificare le “persone
timide”, affibbiando loro un’etichetta
negativa. Attenti dunque ai pregiudizi
nascosti dietro la parola “timido”.

Definirsi timidi lo rende vero


Un altro affascinante esperimento psicologico
sulla timidezza, svolto all’Università di
Stanford da Susan Brodt e Philip Zimbardo, 4
ha dimostrato che avete bisogno di sapere
che non siete timidi, ma che siete
semplicemente HS P che possono sentirsi
sovraccariche.
Brodt e Zimbardo scelsero studentesse che
si definivano molto timide, specialmente con
gli uomini, e altre che non erano timide, e
confrontarono i due gruppi. Nello studio, che
si occupava – dissero – degli effetti dei rumori
forti, ogni ragazza trascorreva un po’ di
tempo con un ragazzo. Quest’ultimo non
sapeva se la ragazza fosse o non fosse
“timida” ed era stato preparato a conversare
con ognuna nello stesso modo. Il risvolto
interessante è che le ragazze timide furono
indotte a credere che la loro
sovrastimolazione – il battito accelerato del
cuore – fosse dovuta al rumore forte.
Il risultato fu che le ragazze “timide” che
credevano che il loro elevato stato di
attivazione fosse causato dal rumore
parlarono tanto quanto le altre. Svolsero il
loro compito, padroneggiando l’argomento
della conversazione, come le ragazze non
timide. Un altro gruppo di ragazze timide,
che non potevano attribuire il loro
sovraccarico a nient’altro, parlarono molto
meno e permisero al ragazzo un maggior
controllo della conversazione. Dopo
l’esperimento, ai ragazzi fu chiesto di
indicare quali fossero le ragazze timide. Essi
non riuscirono a distinguere le ragazze non
timide da quelle timide a cui era stato fatto
credere che il loro stato di attivazione elevato
fosse dovuto al rumore.
Queste ultime erano diventate meno
timide, presumendo che non esistesse alcuna
ragione sociale per il loro stato. Dissero
anche che non si erano sentite tali e che si
erano godute l’esperienza. In effetti, quando
fu domandato loro se avrebbero preferito
stare sole in un eventuale nuovo
«esperimento sul bombardamento da
rumore» due terzi risposero di no, contro il 14
per cento delle altre donne timide e il 25 per
cento delle non timide. Evidentemente queste
donne timide avevano vissuto un’esperienza
positiva proprio perché erano convinte che la
loro sovrastimolazione fosse causata da
qualcosa di diverso dalla timidezza.
Ricordatevi di questo esperimento la
prossima volta che vi sentirete sovrastimolati
in una situazione sociale. Il vostro cuore può
accelerare per un gran numero di ragioni che
non hanno niente a che fare con le persone
che vi circondano. Forse c’è davvero troppo
rumore, o forse siete preoccupati per
qualcosa di cui non siete ben consapevoli e
che non ha niente a che fare con chi sta con
voi. Perciò andate avanti, ignorate le altre
cause (se ci riuscite) e godetevela.
Vi ho fornito tre buone ragioni per
smettere di definirvi “timidi”. È un termine
impreciso, negativo e “auto-avverante”. E non
lasciate nemmeno che gli altri vi definiscano
così. Permettetemi di dire che è un vostro
dovere civico sradicare questo pregiudizio
sociale. Non solo è scorretto, ma, come
abbiamo visto nel capitolo 1, è dannoso,
perché riduce al silenzio le voci riflessive
delle HS P , diminuendo la loro autostima.

Come ripensare il vostro “disagio sociale”


Il disagio sociale (termine che preferisco a
“timidezza”) è quasi sempre dovuto alla
sovrastimolazione, che vi fa agire, parlare o
apparire socialmente inadeguati. Oppure
consiste proprio nel timore di essere
sovrastimolati: avete paura di apparire goffi,
incapaci di pensare a che cosa dire. Ma quel
timore è sufficiente a creare il sovraccarico.
Ricordatevi, però, che il disagio è
temporaneo e che avete la possibilità di
scegliere. Supponete di avere un gran freddo.
Potete sopportarlo o potete trovare un
ambiente più confortevole. Avete la
possibilità di stare più al caldo: accendere un
fuoco, alzare il termostato o domandare a
qualcuno di farlo. Potete anche mettervi un
cappotto. La sola cosa che non dovete fare è
rimproverarvi di essere più sensibili al freddo
della media.
Lo stesso avviene con il temporaneo
disagio sociale dovuto all’overarousal. Potete
sopportarlo, andarvene, provare a modificare
l’atmosfera o chiedere ad altri di farlo, oppure
fare qualcos’altro per rendere la situazione
più confortevole per voi, per esempio
indossare la vostra “maschera” (ne parlerò
più avanti). In ogni caso potete liberarvi
coscientemente del disagio. Dunque
abbandonate l’idea di essere naturalmente a
disagio nelle situazioni sociali.

Cinque modi per affrontare il sovraccarico


nelle situazioni sociali
1. Ricordatevi che l’overarousal non
coincide necessariamente con la paura.
2. Cercate altre HS P con cui parlare, a tu per
tu.
3. Utilizzate le vostre capacità di riduzione
del sovraccarico.
4. Sviluppate una buona “maschera”
sociale (vedi oltre) e impiegatela
coscientemente.
5. Spiegate agli altri il vostro tratto di
personalità.

Non sottovalutate il potere di riconoscere


semplicemente che siete sovrastimolati,
magari da qualcosa che non ha niente a che
fare con chi vi circonda. Se venite giudicati
per questo, pensate che non è il vostro vero sé
a esserlo, ma uno che è temporaneamente
agitato dall’eccesso di stimolazione. Se e
quando gli altri conosceranno il vostro sé
calmo, il vostro sé consapevole dei dettagli,
ne saranno positivamente impressionati.
Sapete che è vero, perché avete amici intimi
che vi ammirano.
Quando entrai alla scuola di
specializzazione, verso la mezza età, la prima
ora del primo giorno nella sala mensa mi
rovesciai addosso un bicchiere di latte,
sporcando il pavimento e altre persone nelle
vicinanze. Nessuno mi aveva urtato. Ero io
che ero inciampata su qualcosa. E lo avevo
fatto davanti ai compagni e ai docenti,
proprio le persone che volevo impressionare.
Lo shock si aggiunse al mio sovraccarico,
già insopportabile. Ma grazie alla ricerca che
stavo facendo sulle HS P come voi e me,
sapevo che cosa dovevo fare. La mia
incapacità di sollevare anche solo un
bicchiere di latte era prevedibile. La giornata
fu difficile, ma non lasciai che il latte versato
si aggiungesse al mio disagio sociale.
Nel corso della giornata trovai altre HS P , e
questo mi aiutò parecchio. Per così dire,
stavamo tutti rovesciando il latte.
Mediamente, in una situazione sociale
qualsiasi, ci sono circa un 20 per cento di HS P
e un altro 30 per cento di persone
moderatamente sensibili. Gli studi sulla
timidezza, svolti attraverso un questionario
anonimo, hanno dimostrato che il 40 per
cento si definisce timido. 5 In una stanza
piena di gente, è probabile che ci sia almeno
una persona con il vostro tratto di personalità
o che prova disagio sociale. Quando
inciampate, letteralmente o metaforicamente,
cercate il suo sguardo, e noterete
un’espressione di profonda simpatia. Vi siete
appena fatti un amico.
Nel frattempo utilizzate tutti i metodi
suggeriti nel capitolo 3 per ridurre il
sovraccarico. Fate una pausa o una
passeggiata. Respirate profondamente.
Muovetevi. Prendete in considerazione le
varie opzioni. Forse è il momento di
andarsene. Forse c’è un posto migliore dove
mettersi: una finestra aperta, un corridoio,
una porta. Pensate in termini di contenitori –
chi o quale presenza a voi familiare potrebbe
proteggervi ora?
Quel primo giorno alla scuola di
specializzazione ebbi paura, in certi
momenti, che l’intera facoltà pensasse che ci
fosse in me qualcosa di irrimediabilmente
sbagliato. Di fronte a un gruppo di non-HS P ,
essere così sovrastimolati significa soltanto
avere seri problemi e instabilità. Così usai
tutti i miei trucchi – camminare, meditare,
uscire dal campus per pranzo, chiamare casa
per avere conforto ecc. E la cosa funzionò
abbastanza bene.
Noi pensiamo spesso che il nostro
overarousal sia estremamente evidente agli
occhi degli altri, ma non è così. 6 Gran parte
della vita sociale consiste in una “maschera”
che ne incontra un’altra, e nessuna delle due
guarda bene sotto la superficie. Se vi
comporterete in modo prevedibile, parlando
come gli altri anche quando non vi sentite
come loro, nessuno vi darà fastidio o
giungerà alla conclusione sbagliata che siete
arroganti, indifferenti, macchinosi e così via.
Per esempio, alcune ricerche hanno trovato
che gli studenti “timidi” tendono a
considerarsi individui che fanno del loro
meglio in società, mentre i loro compagni di
stanza ritengono che loro non stiano facendo
abbastanza. 7 Forse si tratta dell’errore di una
cultura che non comprende le HS P , ma, finché
le cose non cambieranno, potete semplificarvi
la vita comportandovi come chiunque altro.
Indossate la vostra maschera (in latino
persona). Sotto la maschera/persona potete
essere chi volete.
D’altra parte, qualche volta la miglior
tattica è spiegare il vostro stato di iper-
attivazione. Io lo faccio spesso, quando parlo
o insegno di fronte a un gruppo di estranei.
Dico loro che so di sembrare un po’ tesa, ma
che entro pochi minuti starò bene. In un
gruppo, spiegare il vostro tratto può portare a
una conversazione più intima sul disagio
sociale condiviso, e questo vi permetterà di
uscire dalla stanza senza sensi di colpa o di
fare una pausa senza essere esclusi quando
tornerete. Forse ci sarà qualcuno in grado di
abbassare la vostra sovrastimolazione,
regolando le luci o il volume o non
trattenendovi dopo che vi siate presentati.
Quando accennerete al fatto di essere
altamente sensibili, in base alle parole che
avrete scelto vi trasformerete in uno dei due
seguenti stereotipi. Il primo è quello della
vittima passiva, ovvero una persona debole e
tormentata. Il secondo è quello di una
persona dotata, profonda e potente. Ci vuole
pratica per evocare lo stereotipo positivo
attraverso le parole che utilizzate per
spiegare ciò di cui avete bisogno. Lavoreremo
su questo tema nel capitolo 6.
Quando devo stare con un gruppo di
persone per un giorno intero o per un
weekend, spesso spiego loro che ho bisogno
di rimanere sola per parecchio tempo.
Talvolta anche gli altri lo fanno. Ma anche se
sono l’unica a ritirarsi presto in camera sua o
a uscire per lunghe passeggiate da sola, ho
imparato a non generare né simpatia né
pietà, ma a lasciarmi dietro un’aria di
mistero. I membri della classe dei
“consiglieri reali” devono preoccuparsi di
questo aspetto. Siate un po’ astuti nel
dichiarare che siete una HS P .

Le persone, la stimolazione e l’introversione


Finora ci siamo occupati del “problema” di
liberarci dall’etichetta di “timidi” e di
comprendere che cosa succede
nell’overarousal che vi è familiare. Ma è
altrettanto importante capire che, per essere
individui sociali, si può percorrere più di una
strada.
La vostra socialità scaturisce da un fatto
basilare: per quasi tutti noi, la maggior parte
della stimolazione esterna proviene dalle
altre persone, a casa, al lavoro o in pubblico.
Siamo tutti esseri sociali che gradiscono e
dipendono dalla compagnia degli altri. Ma
molte HS P evitano le persone che provocano
situazioni di sovrastimolazione: gli estranei,
le grandi feste, le folle. Per gran parte delle
HS P si tratta di una strategia intelligente. In
un mondo altamente esigente e stressante,
ognuno deve stabilire le proprie priorità.
Ovviamente nessuno può dichiararsi
esperto nell’affrontare le situazioni che
sceglie di evitare. Ma la maggior parte di noi
è in grado di gestirle, o di imparare a farlo.
Questo comportamento è una maniera
accettabile e intelligente di salvare la nostra
energia per qualunque altra cosa ci interessi.
È anche vero che alcune HS P evitano
estranei, ricevimenti e altre situazioni di
gruppo perché in passato sono state rifiutate
in analoghe situazioni. Poiché non rientrano
nel nostro ideale culturale di estroversione,
sono state giudicate in modo negativo, e
quindi evitano le persone con cui non si
sentono sicure. Questo comportamento è
razionale, benché triste, e non c’è niente di
cui vergognarsi.
In generale, il 70 per cento delle HS P tende
a essere socialmente “introverso”. Questo non
significa che disdegni la compagnia; significa
piuttosto che preferisce avere poche relazioni
intime piuttosto che un’ampia cerchia di
amici, e che di solito non ama i grandi
ricevimenti o le folle. Ma perfino la persona
più estroversa è talvolta introversa.
Gli introversi sono comunque esseri
sociali. In effetti, il loro benessere è
maggiormente influenzato dalle relazioni
sociali rispetto a quello degli estroversi. 8 Gli
introversi non scelgono la quantità, ma la
qualità. (E, in ogni caso, se non provate una
sensazione di benessere emotivo, una
relazione intima con qualcuno non risolve il
problema. Molte persone, infatti, non
riescono ad avere relazioni soddisfacenti
finché non sviluppano un maggior benessere,
cosa che può accadere grazie a un lavoro di
psicoterapia, intesa nel senso più ampio del
termine, come spiegherò nel capitolo 8.)

Le HSP estroverse
Vorrei sottolineare ancora che essere una HS P
non equivale a essere socialmente introversi.
Dai miei studi è risultato che il 30 per cento
di noi è estroverso. Se lo siete anche voi,
avrete un’ampia cerchia di amici e tenderete a
trovare piacevoli i gruppi di persone e gli
estranei. Forse siete stati allevati in una
grande famiglia amorevole o in un quartiere
sicuro, e avete imparato a vedere le persone
più come fonte di sicurezza che come causa
di allarme.
Però potreste comunque avere difficoltà
con altre fonti di arousal, per esempio una
lunga giornata di lavoro o una permanenza
troppo lunga in città. E quando siete
sovrastimolati, voi evitate di socializzare. (Al
contrario, le non-HS P estroverse si rilassano
meglio se hanno gente attorno.) Benché in
questo capitolo gran parte dell’attenzione sia
rivolta agli introversi, anche gli estroversi
potranno trovare utile questa lettura.

Apprezzare l’introversione
Avril Thorne, ora all’Università di California a
Santa Cruz, si dedicò all’osservazione delle
modalità di interazione degli introversi. 9
Utilizzò dei test per identificare quali
studentesse di college fossero altamente
introverse e altamente estroverse, e mise a
confronto entrambi i gruppi con persone
dello stesso tipo o del tipo opposto,
registrando le conversazioni.
Le ragazze altamente introverse erano
serie e concentrate. Discutevano di più i
problemi ed erano più caute. Tendevano ad
ascoltare, a interessarsi, a dare consigli;
sembravano concentrarsi sulle altre in modo
profondo.
Al contrario, le ragazze altamente
estroverse provavano più “piacere” a parlare,
cercavano più punti di contatto, erano
interessate alle affinità di cultura e di
esperienze, e facevano più complimenti.
Erano ottimiste ed espansive, e amavano la
compagnia dell’altro gruppo, come se il loro
massimo piacere fosse nel parlare.
Quando le estroverse si trovavano con
persone altamente introverse, apprezzavano
il fatto di non dover essere sempre tanto
allegre. E le introverse trovavano che parlare
con le estroverse era come «una ventata di
aria fresca». Il quadro che ricaviamo dai test
di Avril Thorne è che ciascun gruppo dà un
contributo ugualmente importante a questo
mondo. Ma poiché l’introversione è
sottovalutata, è bene spendere qualche parola
sulle sue virtù.

Carl Jung e l’introversione


Carl Jung pensava che la differenza tra
l’introversione e l’estroversione fosse una
distinzione basilare tra gli esseri umani:
affermazione che provocò grandi battaglie tra
filosofi e psicologi, in particolare riguardo
alla domanda se siano più importanti i fatti
esterni o la comprensione di quei fatti per
comprendere situazioni o argomenti.
Jung vedeva questi due atteggiamenti
come stili di vita diversi, che nella maggior
parte delle persone si alternano, come
l’inspirazione e l’espirazione. 10 Ma in alcune
è più accentuato l’uno o l’altro. Inoltre non
hanno niente a che fare con l’essere socievoli
o no. Essere introversi significa
semplicemente guardare verso l’interno,
verso il soggetto, il sé; mentre essere
estroversi significa guardare verso l’esterno,
gli oggetti. L’introversione nasce dalla
necessità e dalla volontà di proteggere
l’aspetto interiore e “soggettivo” della vita, di
attribuirgli un maggior valore, e, in
particolare, di non permettere che sia
sopraffatto dal mondo “oggettivo”. 11
Non si può mai sottolineare abbastanza
l’importanza degli introversi nella concezione
junghiana.

Essi costituiscono la testimonianza vivente


che il mondo ricco e vario e la sua vita
esuberante e inebriante non si trova solo
all’esterno, ma anche all’interno ... La loro
vita insegna più di quanto essi stessi non
dicano ... sta lì ad indicare l’esistenza di
quell’alternativa di cui la nostra civiltà
lamenta dolorosamente la mancanza. 12
Jung conosceva i pregiudizi della cultura
occidentale nei confronti degli introversi, e
riusciva a tollerarli quando provenivano dagli
estroversi. Ma se erano gli introversi a
sottovalutare se stessi, allora stavano
rendendo al mondo un cattivo servizio.

Entrambi gli atteggiamenti sono necessari


A volte abbiamo solo bisogno di goderci il
mondo là fuori così com’è ed essere grati a
coloro che ci aiutano, gli estroversi, capaci di
far sentire unite anche persone del tutto
estranee tra loro. Altre volte abbiamo
bisogno di un’ancora interiore – ossia degli
introversi, che sono attenti alle più profonde
sfumature dell’esperienza privata. Il senso
della vita non sta solo nei film che abbiamo
visto e nei ristoranti che abbiamo provato.
Talvolta discutere di questioni più sottili è
essenziale per l’anima.
Secondo Linda Silverman, esperta nel
trattare bambini talentuosi, più brillante è il
bambino, più è probabile che sia un
introverso. 13 Gli introversi sono
eccezionalmente creativi, anche in cose
semplici come le risposte al test di
Rorschach. 14 Sono in un certo senso anche
più flessibili – infatti talvolta devono fare
quello che gli estroversi fanno sempre:
incontrare estranei o andare alle feste. Invece
alcuni estroversi possono evitare, anche per
anni, di essere introversi, cioè di guardarsi
dentro. Questa maggior versatilità di alcuni
introversi è particolarmente importante nella
maturità, quando sviluppiamo ciò che ci era
mancato fino ad allora. In età matura l’auto-
riflessione diventa più importante per tutti.
In breve, gli introversi possono maturare con
più eleganza.
Quindi siete in buona compagnia. Ignorate
le frecciatine sul “darsi una mossa”. Godetevi
la leggerezza degli altri e utilizzate le vostre
doti. Se non siete bravi a chiacchierare, siate
orgogliosi del vostro silenzio. Allo stesso
modo, se il vostro umore cambia e il vostro sé
estroverso fa un’apparizione, lasciate che sia
liberamente maldestro e sciocco. Tutti siamo
goffi quando non ci troviamo nel nostro
campo prediletto. Ognuno di noi possiede
solo un certo numero di doti. Saremmo
soltanto arroganti se pensassimo di averle
tutte.

Farsi degli amici


Gli introversi preferiscono relazioni strette
per molte ragioni. Gli amici intimi possono
comprendersi e sostenersi a vicenda. Un
buon amico o un buon partner possono
anche farvi arrabbiare di più, ma tutto questo
favorisce la crescita interiore, che spesso è
una priorità per le HS P . E, grazie al vostro
spirito intuitivo, probabilmente preferite
parlare di argomenti complessi come
filosofia, sentimenti e conflitti interiori. E
tutto ciò difficilmente avviene con un
estraneo, o a una festa. Infine, gli introversi
possiedono tratti di personalità che possono
renderli ottimi amici, ed è proprio in questo
campo che possono sperimentare il successo
sociale.
Gli estroversi però hanno ragione quando
dicono che «un estraneo è un amico che non
ho ancora conosciuto». Infatti tutti i vostri
amici più intimi un tempo erano estranei.
Quando queste amicizie cambiano (o
finiscono), desidererete ancora incontrare
nuovi potenziali amici. Dovreste riflettere su
come avete incontrato i vostri migliori amici.

COME AVETE INCONTRATO I VOSTRI


MIGLIORI AMICI
Scrivete i nomi dei vostri migliori amici su un
quaderno, uno per ogni pagina. Poi
rispondete alle seguenti domande riguardo
all’inizio di ciascuna amicizia.
Sono le circostanze che vi hanno costretto a
interagire?
È stato l’altro a prendere l’iniziativa?
Vi sentivate strani?
Eravate particolarmente estroversi quel
giorno?
Come eravate vestiti? Come percepivate il
vostro aspetto?
Dove vi trovavate? A scuola, al lavoro, in
vacanza, a una festa?
Com’era la situazione? Chi vi ha presentato?
Oppure dove vi siete incontrati per caso? O
uno dei due ha domandato qualcosa
all’altro? Che cosa è successo?
Come sono stati i primi momenti, le prime
ore, i primi giorni?
Quando e come avete capito che sarebbe
nata un’amicizia?
Ora cercate gli elementi in comune alle
vostre risposte. Per esempio, forse non vi
piacciono le feste ma è stato proprio a una
festa che avete conosciuto due dei vostri
migliori amici. Ci sono alcune esperienze
quotidiane – come andare a scuola o
lavorare in gruppo – che sono assenti nella
vostra vita attuale? C’è qualcosa che avete
imparato o che volete fare in proposito? Per
esempio, promettersi di andare a una festa
almeno una volta al mese? (O evitare le feste
da ora in poi, che dopotutto non si sono
rivelate situazioni adatte a stringere
amicizie?)

La maschera e le buone maniere


Se siete solitamente introversi, ricordatevi
che nella maggior parte delle situazioni
sociali dovrete comunque soddisfare un
minimo di aspettative. Le HS P possono
condensare tutte le regole del galateo in
quattro parole: minimizza la
sovrastimolazione altrui. (O in due: sii
gentile.) Un silenzio di tomba, se è
inaspettato, può provocare eccesso di
stimolazione in un’altra persona. Ma questo
può succedere anche con troppa espansività,
che è spesso l’errore dell’estroverso. Il vostro
obiettivo è semplicemente dire qualcosa di
piacevole che non sia fastidioso.
Sì, questo può essere noioso per chi non
sia sensibile e in cerca di molti stimoli. Ma
quando incontrate un estraneo, voi desiderate
che il vostro livello di attivazione a breve
termine non sia eccessivamente sollecitato,
anche se questo non è un problema per
l’altro. Più tardi potrete essere creativi e
sorprendenti quanto volete. (Ma a questo
punto vi state assumendo dei rischi calcolati,
e ogni successo è solo fonte di ulteriore
gioia.)
Ora vi serve qualche informazione
ulteriore sulle “maschere”, ossia sui ruoli
sociali. Una buona maschera dovrebbe
ovviamente significare buone maniere e un
comportamento prevedibile e non stressante.
Ma potrebbe anche avere caratteristiche
diverse, a seconda delle vostre esigenze. Per
esempio, un bancario potrebbe desiderare
una maschera solida e pratica. Se possiede
anche un lato artistico, desidera mantenerlo
privato. Gli artisti, d’altra parte, farebbero di
tutto per nascondere il loro lato “bancario”.
Gli studenti brillanti avrebbero bisogno di
apparire un po’ umili, gli insegnanti
autorevoli, e così via.
L’idea della maschera va contro
l’ammirazione che la cultura nordamericana
ha per la franchezza e l’autenticità. Gli
europei invece sono più convinti che non si
debba dire tutto ciò che si pensa. E tuttavia ci
sono individui che si identificano troppo con
la loro maschera. Noi tutti ne conosciamo, ma
poiché non hanno niente al di sotto di quella,
non si può neanche dire che siano disonesti o
inautentici. Ma è raro che una HS P si
identifichi troppo con il proprio ruolo.
Se pensate che io vi esorti a non essere
sinceri, sappiate che vi chiedo piuttosto di
trovare un grado di franchezza adatto al
luogo e al momento. Per esempio,
immaginate di aver appena incontrato
qualcuno che vorrebbe fare amicizia con voi,
ma che avete deciso di non frequentare.
Probabilmente non rifiuterete il suo invito a
pranzo dicendogli: «Ho deciso che non voglio
essere tuo amico». Gli direte che quel giorno
siete pieno di impegni.
Una risposta del genere è sincera almeno
sotto un certo aspetto: teoricamente, se
aveste molto tempo, potreste coltivare tale
amicizia, magari più avanti. Ma dire a questo
individuo che lo ponete molto in basso nel
vostro elenco delle priorità non è, secondo la
mia esperienza, un atteggiamento giusto.
Una maschera con buone maniere dovrebbe
adottare questa forma di gentilezza
compassionevole, specialmente con individui
che non conosce bene.

Imparare di più sulle abilità sociali


Esistono due forme per dare informazioni
sulle abilità sociali, sia che si tratti di libri,
registrazioni, articoli, letture, corsi specifici.
La prima forma è quella adottata dagli esperti
di estroversione, di abilità sociali, di vendite,
di gestione del personale e di galateo. Si
tratta di persone spesso spiritose e ottimiste.
Parlano di regole, e non di cure; non danno
per scontato che abbiate un problema e
quindi non abbassano il vostro livello di
autostima. Se vi rivolgete a loro, sappiate che
il vostro scopo non è imitarli, ma solo
apprendere alcune tecniche. Leggerete libri
che hanno titoli del tipo Come avere la meglio
in un gruppo o Le frasi da dire in ogni momento
difficile. (Sono titoli inventati, ma libri simili
escono in continuazione.)
La seconda forma di informazione è quella
degli psicologi che cercano di aiutare le
persone timide. Il loro approccio consiste nel
farvi prima preoccupare, per rendervi
motivati, e poi nell’accompagnarvi passo
passo lungo percorsi complessi e ben studiati
che dovrebbero cambiare il vostro
comportamento. Questo approccio può
essere molto efficace, ma può anche causare
alcuni problemi alle HS P . Parlare di «curare»
la vostra timidezza o di «superare la vostra
sindrome» non può che farvi sentire difettosi
e oscura la parte positiva del vostro tratto
ereditario.
Qualunque consiglio leggiate o ascoltiate,
ricordatevi che non dovete accettare il modo
in cui i tre quarti degli estroversi in ogni
popolazione definiscono le abilità sociali:
saper tenere la scena, ribattere sempre e non
permettere mai silenzi imbarazzanti. Voi
avete le vostre abilità: esprimervi con
intelligenza, ascoltare attentamente e
permettere silenzi in cui possano svilupparsi
pensieri profondi.
È anche probabile che conosciate già molto
di ciò che questi esperti dicono. Quindi ho
raccolto i punti principali e li ho riassunti in
un breve test, per mostrarvi che cosa dovete
conoscere e per insegnarvi quello che ancora
non sapete.
SAPETE VINCERE IL DISAGIO SOCIALE?
Indicate se ciascuna affermazione è vera o falsa, poi
leggete le soluzioni più avanti.

È utile cercare di controllare certi


pensieri negativi, come
1. «probabilmente non gli piaccio»
o «probabilmente andrà male,
come sempre».
La timidezza risulta evidente agli
2.
altri.
Bisogna aspettarsi dei rifiuti e non
3. prenderli come una questione
personale.
È utile avere un piano per vincere
il disagio sociale, per esempio,
4.
cercare di incontrare una persona
nuova ogni settimana.
Quando formulate un piano, più
grandi saranno i passi, più
5.
velocemente raggiungerete la
meta.
È meglio non provare che cosa
dire a una nuova conoscenza o in
6. una situazione nuova; vi farebbe
sentire rigidi e privi di
spontaneità.
State attenti al linguaggio del
7.
corpo; meno si esprime, meglio è.
Per cercare di iniziare una
conversazione o di proseguirla, è
8. meglio porre domande personali
a cui non si possa rispondere
soltanto con una o due parole.
Un modo per mostrare che state
ascoltando è stare seduti a
braccia e gambe incrociate, privi
9.
di espressione e senza mai
incontrare gli occhi dell’altra
persona.
Non bisogna mai toccare un’altra
10.
persona.
Non bisogna mai leggere il
11.giornale prima di andare a un
incontro: vi potrebbe turbare.
In una conversazione non è
12.importante aprirsi, ma parlare di
qualcosa di interessante.
I buoni ascoltatori “riflettono” ciò
che hanno percepito, ossia
13.rispondono ai sentimenti degli
altri con i propri sentimenti, non
con idee.
Non raccontate dettagli
interessanti su voi stessi; li
14.
rendereste solo invidiosi.
Per approfondire una
15.conversazione o renderla più
interessante talvolta è utile
condividere i propri difetti o
errori.
Cercate di non essere in
16.
disaccordo con l’altro.
Quando una conversazione vi
17.invoglia a passare più tempo con
l’altra persona, è meglio dirlo.

Basato su J. Cheek, Conquering Shyness, New York,


Dell, 1989 e su M. MacKay. M. Dewis e P. Fanning,
Messages: The Communication Book, Oakland,
California, New Harbinger Press, 1983.

Non colpevolizzatevi se sapete che cosa fare


ma non sempre riuscite a farlo
Gretchen Hill, 15 psicologa all’Università del
Kansas, sottopose persone timide e no a un
questionario su ciò che dovrebbe essere il
comportamento sociale più appropriato in
venticinque situazioni sociali. Trovò che le
persone timide sapevano bene che cosa ci si
aspettava da loro, ma dicevano di non essere
capaci di farlo. Concludeva quindi che alle
persone timide manca la fiducia in se stesse,
il classico difetto che viene attribuito a noi
HS P . E così ci viene detto di avere più fiducia
in noi stessi, cosa che non riusciamo a fare,
ovviamente. Un altro fallimento. Ma forse,
dopo tante esperienze di sovrastimolazione
che ci hanno impedito di comportarci nel
modo giusto, la nostra mancanza di fiducia è
qualche volta giustificata. Naturalmente
alcuni di noi prevedono di non essere in
grado di fare ciò che sappiamo essere
socialmente corretto, e io credo che serva a
poco ripeterci di aver più fiducia in noi stessi.
Seguite perciò il duplice approccio di questo
capitolo. Lavorate sulla sovrastimolazione e
apprezzate la vostra introversione.
Un’altra ragione che vi rende incapaci di
mettere in pratica ciò che conoscete sulle
abilità sociali è la necessità di riconoscere e di
affrontare i vecchi schemi dell’infanzia. Se
non lo fate, alcuni di quegli atteggiamenti
condizioneranno la vostra attenzione. Come
riconoscerli? Per esempio, vi ritrovate a dire
frasi del tipo: «Non so perché l’ho fatto,
eppure sapevo bene che non era cosa per
me». Oppure: «Dopo tutti i miei sforzi, non
c’è niente che vada bene».

Il caso di Paula
Paula sicuramente era nata molto sensibile; i
genitori avevano parlato della sua
“timidezza” fin dalla sua nascita, e lei era
sempre stata consapevole di essere più
sensibile ai suoni e alla confusione rispetto ai
suoi amici. Io la incontrai quando aveva circa
trent’anni. Era una professionista
estremamente capace, si occupava di
organizzare grandi eventi restando sempre
dietro le quinte. Ma non aveva la possibilità
di avanzare nella sua carriera perché aveva il
terrore di parlare in pubblico e della gente in
generale, il che la costringeva a lavorare solo
con una piccola cerchia di collaboratori. Di
fatto Paula aveva organizzato la propria vita
intorno alle poche volte in cui doveva
partecipare alle riunioni con il suo staff. In
vista di questi incontri doveva esercitarsi per
ore e, per prepararsi emotivamente, eseguiva
vari “rituali”.
Paula aveva letto molti libri per capire
come vincere queste paure e aveva usato la
sua notevole forza di volontà per combattere
queste emozioni. Poiché si rendeva conto che
la sua paura era insolita, aveva tentato con
terapie più lunghe e più intense. Così aveva
scoperto alcune delle ragioni all’origine delle
sue paure e aveva incominciato a lavorare su
di esse.
Suo padre era un uomo incapace di
controllare la propria rabbia (oggi è anche un
alcolista.) Era sempre stato una persona
intelligente, metodica, e aiutava i figli nei
compiti a casa. In effetti si interessava a tutti
loro ed era un po’ meno duro con Paula che
con i suoi fratelli. Ma ora Paula scopriva che
parte di quell’attenzione poteva avere
un’origine sessuale, e ne fu fortemente
turbata. A ogni modo, la rabbia del padre la
colpiva moltissimo.
La madre di Paula era di rado a proprio
agio con le altre persone, e altamente
dipendente dalla volontà di ferro del marito.
Aveva la tendenza al sacrificio, e aveva
costruito la sua intera vita intorno ai figli. E
tuttavia non aveva interesse per tutto ciò che
riguardava la loro crescita. Le sue storie
spaventose e totalmente esplicite sul parto e
la sua mancanza di affetto per i bambini
molto probabilmente fecero sì che il primo
attaccamento di Paula fosse tutto tranne che
sicuro. Più tardi, la madre scelse Paula come
confidente, raccontandole più di quanto una
bambina potesse reggere, compreso un lungo
elenco di ragioni contro il sesso. In realtà,
entrambi i genitori le raccontarono tutto sui
loro reciproci sentimenti e sui loro rapporti
sessuali.
Con questo background, la “paura di
parlare in pubblico” di Paula dipendeva in
gran parte da una basilare diffidenza verso
gli altri. Sì, lei era nata sensibile e pertanto
cadeva facilmente in preda al sovraccarico,
ma aveva anche avuto un attaccamento
insicuro da bambina, il che le rendeva più
difficile affrontare con fiducia le situazioni
minacciose. Infatti la madre provava (e le
aveva trasmesso) una paura irrazionale per le
persone. Inoltre i primi tentativi di Paula di
parlare dei suoi problemi avevano dovuto
confrontarsi con la rabbia del padre.
Forse la ragione ultima della sua paura di
parlare in pubblico risiedeva nel fatto che
aveva capito fin troppo bene i sentimenti
incestuosi del padre e la vita privata di
entrambi i genitori.
Si trattava di problemi di non facile
soluzione, che però potevano essere portati
alla luce della coscienza e affrontati con
l’aiuto di un terapeuta competente. Alla fine,
Paula superò la paura di parlare in pubblico.
Fu necessario in seguito uno specifico
training nelle abilità sociali, ma a quel punto
le cose andarono bene.

Consigli fondamentali per le HSP in società


Ecco alcuni suggerimenti per affrontare
situazioni che spesso provocano disagio
sociale nelle HS P .
Chiacchierare. Decidete se preferite parlare
o ascoltare. Se volete ascoltare, la maggior
parte delle persone sarà contenta di parlare.
Ponete domande specifiche. Oppure chiedete:
«Che cosa fai quando non vai alle feste?» (o a
conferenze, matrimoni, concerti e così via.)
Se scegliete di parlare (il che vi permette di
assumere il controllo e di non annoiarvi),
decidete in anticipo l’argomento che preferite
e lavorateci su. Per esempio: «Brutto tempo,
non è vero? Almeno mi rende più facile stare
a casa e scrivere». Ovviamente, l’interlocutore
vi domanderà cosa stiate scrivendo. Oppure
dite: «Brutto tempo, oggi non posso
allenarmi». O anche: «Brutto tempo, i miei
serpenti lo odiano».
Ricordare i nomi. Forse avete dimenticato il
nome di una persona perché eravate distratti
e sovrastimolati quando l’avete incontrata la
prima volta. Quando sentite un nome,
provate a usarlo in qualche frase. «Arnold,
sono contenta di averti conosciuto». Poi
usatelo ancora dopo due minuti. Quando
ripenserete a chi avete conosciuto, vi
ricorderete meglio il suo nome. Ma
l’inconveniente dei nomi è abbastanza
comune.
Avanzare una richiesta. Dovrebbe essere
facile porre domande semplici, come
chiedere un’informazione. Ma, talvolta,
l’elenco delle richieste è lungo e questo rende
le cose difficili. Se è possibile, avanzate ogni
richiesta nel momento in cui vi rendete conto
di averne bisogno. Oppure ponetele tutte
insieme, quando vi sentite estroversi.
Ridimensionate le richieste poco importanti.
Pensate a quanto poco vi ci vorrà per
esprimerle e a quanto poco disturbo
provocheranno alla persona cui vi rivolgete.
Per le richieste più importanti, invece,
elencate i passi da compiere. Accertatevi
innanzitutto di rivolgervi alla persona giusta.
Esercitatevi prima con qualcuno che sia
istruito a rispondervi in ogni modo possibile.
Questo non renderà la cosa più facile, ma vi
farà sentire più preparati.
Vendere. Francamente, non è un mestiere
adatto alle HS P . Ma anche se non vendete un
prodotto commerciale, vi può capitare di
dover vendere un’idea, voi stessi per un
lavoro o una vostra opera creativa. O forse
credete di doverlo fare per aiutare una
persona o il mondo, in generale. Nella sua
forma più gentile, che probabilmente è la
vostra, vendere è semplicemente condividere
con altri ciò che conoscete su qualcosa.
Quando comprenderanno il suo valore per
voi, anche gli altri saranno d’accordo.
Quando c’è uno scambio di denaro, le HS P
si sentono spesso in colpa perché credono di
chiedere “troppo” o niente del tutto. (Il che è
come chiedersi: «Che cosa valgo io, in
fondo?») Spesso non vorremmo dover
vendere noi stessi o i nostri prodotti. Ma
abbiamo bisogno di denaro per continuare a
rendere disponibile ciò che stiamo offrendo.
La gente lo capisce, così come fate voi quando
comprate qualcosa.
Protestare. Può essere difficile per una HS P ,
anche se la protesta è legittima. Ma vale la
pena provare; essere assertivi è un mezzo per
rafforzare coloro che spesso si sentono
criticati perché sono come sono (troppo
giovani, troppo vecchi, troppo grassi, troppo
scuri di pelle, troppo sensibili ecc.).
Comunque dovete essere pronti alle
risposte altrui. L’ira è l’emozione che provoca
il più alto grado di arousal perché serve a
prepararci a combattere. E provoca
overarousal, sia che sia nostra, di altri o di
qualcuno che osserviamo a distanza.
Stare in un piccolo gruppo. I gruppetti, le
classi e i comitati possono rappresentare un
problema per le HS P . Spesso ci diamo molto
da fare per non essere notati. E il desiderio di
non accrescere il livello di stimolazione ci fa
stare in disparte. Però, alla fine, qualcuno ci
domanderà che cosa pensiamo. Questo è per
le HS P un brutto momento, ma un momento
importante per il gruppo. Le HS P , di solito
silenziose, mancano l’obiettivo di non essere
notate, perché in un piccolo gruppo la
persona che sta zitta acquisisce col tempo
sempre più importanza. Il gruppo, oltre a
volermi offrire l’occasione di parlare, può
inconsciamente preoccuparsi. Fate parte del
gruppo o no? Siete lì per giudicarli? State
male e volete andarvene? Se ve ne andate,
resteranno con i loro dubbi, il che spiega
perché i membri silenziosi alla fine attirino
l’attenzione. Sarebbe anche educato parlare,
ma in voi è sempre presente la paura.
D’altronde, se non vi unite al gruppetto con il
giusto entusiasmo sarete oggetto di grande
attenzione. Gli altri potrebbero pensare che
la miglior difesa è rifiutare voi prima che
siate voi a rifiutare loro. Se non mi credete,
provate a rimanere in silenzio in un nuovo
gruppo e vedrete manifestarsi tutte queste
dinamiche.
Dato che la persona silenziosa ha tanta
forza, se volete starvene tranquilli dovete
assicurare agli altri che non intendete
criticarli o lasciare il gruppo. Dite loro che
desiderate far parte del gruppo
semplicemente ascoltando. Comunicate i
vostri sentimenti positivi (se li avete) verso di
loro. Spiegategli che parlerete quando sarete
pronti. O chiedete di interpellarvi più tardi.
Dovete anche decidere se volete spiegare
la vostra sensibilità. Ma questo implica anche
che riceverete un’etichetta che tenderà a
definirvi.
Parlare o esibirsi in pubblico. È del tutto
naturale per le HS P . (Vi lascio immaginare da
soli, invece, tutte le ragioni per cui per noi è
molto più difficile.) Infatti spesso pensiamo
di avere qualcosa di importante da dire,
qualcosa che è sfuggito agli altri. E quando gli
altri ci sono grati per il nostro contributo, ci
sentiamo ricompensati: la volta successiva
tutto sarà più facile. In secondo luogo siamo
abituati a prepararci. In alcune situazioni,
come quando torniamo indietro per vedere se
abbiamo spento il tostapane, possiamo
sembrare “compulsivi” a chi non si
preoccupa di prevenire ogni sorpresa
inaspettata (per esempio, un incendio). Ma
chiunque sarebbe folle a non “iper-
prepararsi” per prevenire l’overarousal
causato dalla presenza di un pubblico. Dato
che ci prepariamo nel modo migliore, di
solito abbiamo più successo. (Questi due
motivi spiegano perché tutti i libri sulla
timidezza citano tanti politici, artisti e attori
che «hanno superato la loro timidezza, e
quindi potete farlo anche voi».)
La soluzione, ribadisco, è prepararsi,
prepararsi, prepararsi. Probabilmente non
avete paura di leggere a voce alta; perciò, per
sentirvi più a vostro agio, scrivete
esattamente ciò che volete dire e leggete. Se
in una certa situazione tale comportamento
appare insolito, spiegatene con fiducia le
ragioni. Poi procedete con decisione.
Anche la lettura richiede preparazione e
pratica. Assicuratevi di usare la giusta enfasi
e di rimanere nei limiti di tempo, in modo da
poter leggere lentamente.
Potete anche prepararvi degli appunti. Se
mi trovo in un gruppo numeroso, scrivo
sempre una nota prima di alzare la mano per
parlare o di porre una domanda, per
prevenire il vuoto mentale quando viene il
mio momento. (Faccio lo stesso in ogni
situazione che possa provocare overarousal,
incluse le visite mediche.)
Soprattutto, esercitatevi il più possibile di
fronte a un pubblico, riproducendo la
situazione in cui vi troverete. Usate la stessa
stanza negli stessi orari, mettete il vestito che
indosserete, regolate il microfono e così via.
Lo scopo è avere le minori sorprese possibili.
Questo è il grande segreto per tenere sotto
controllo il livello di stimolazione. Se lo
mettete in pratica, potrete ottenere grandi
soddisfazioni.
Io supero la mia paura di parlare in
pubblico insegnando: un buon
addestramento per una HS P . Poiché state
facendo qualcosa di necessario, il vostro
senso di responsabilità prende il
sopravvento. Il pubblico non si aspetta che lo
intratteniate e quindi se renderete la lezione
piacevole ve ne sarà grato. E, una volta che
sarete diventati tanto sicuri da esprimerle,
scoprirete che le vostre intuizioni sono
giuste.
Gli studenti a volte possono essere
spietati. Ma io ho avuto la fortuna di iniziare
in un college dove era normale essere educati
ed esprimere gratitudine. Se riuscite a
stabilire queste regole, vi saranno utili in ogni
classe. Alcuni studenti invece potrebbero
aver paura di parlare. Potete imparare a farlo
tutti insieme.
E se gli altri vi osservano? Domandatevi se
lo fanno realmente o se avete creato voi stessi
un pubblico immaginario di cui aver paura.
Potreste averlo prodotto voi e ora lo
“proiettate” intorno a voi (lo vedete dove non
c’è, o almeno non è così come lo avete
immaginato).
Se veramente gli altri vi stanno
osservando, potreste domandar loro di non
farlo? Potreste rifiutarvi di essere guardati? O
meglio riuscire a trarre piacere dai loro
sguardi?
Ecco la storia della mia unica lezione di
danza del ventre. Imparare qualsiasi attività
fisica in gruppo è per me quasi impossibile,
perché il fatto di essere guardata mi provoca
un eccesso di stimolazione che impedisce
ogni coordinazione. Ben presto resto indietro
e non combino più nulla.
Quella volta, però, assunsi un nuovo ruolo.
Ero l’amabile (questo aspetto era molto
importante) e distratta professoressa sempre
con la testa fra le nuvole che ha dimenticato
del tutto dove ha lasciato il corpo. Si era
calata in quella ridicola situazione per cercare
di imparare la danza del ventre, e tutti si
godevano la lezione guardando i suoi sforzi.
Il risultato era che sapevo che tutti mi
stavano guardando, ma andava bene così. Gli
altri ridevano, però sentivo il loro affetto. I
progressi che feci furono anche troppo lodati
e riconosciuti. Secondo me, ebbi successo.
La prossima volta che vi sentirete
osservati, cercate di incontrare gli sguardi
altrui e di definirvi in modo divertente per
loro. Per esempio: «Noi poeti non siamo bravi
a fare le addizioni» oppure «C’è qualcosa
nella natura di un meccanico che rende
impossibile disegnare qualsiasi cosa che non
sembri l’interno di un motore rotto». Talvolta
una situazione è scomoda per gli standard di
chiunque. Perciò arrossite e sopravvivete. Fa
parte dell’essere umano. Capita, ogni tanto.
Una volta, mentre partecipavo a una
cerimonia, mio figlio di tre anni
accidentalmente mi strappò via la gonna.
Conoscete una storia peggiore? Dopotutto,
condividere storie è qualcosa che tutti
possiamo fare.
LAVORARE CON CIÒ CHE AVETE
IMPARATO
Ricontestualizzare i vostri momenti di timidezza

Pensate a tre situazioni in cui vi siete sentiti a


disagio. Se possibile, sceglietene tre abbastanza
diverse che ricordate in ogni particolare.
Ricontestualizzatele, una alla volta, in base ai due
criteri già esposti: 1) La timidezza non è il vostro
tratto di personalità, ma uno stato contingente che
tutti possono provare; 2) L’introversione è
socialmente valida quanto l’estroversione.

1. Pensate alla vostra reazione all’evento e a


come lo avete sempre considerato. Forse vi
siete sentiti “timidi” a una festa. Era un venerdì
sera, dopo una dura giornata di lavoro.
Trascinati dai vostri colleghi, speravate di
incontrare qualcuno che sarebbe potuto
diventare un vero amico. Ma gli altri se ne
sono andati, e voi siete finiti in un angolo,
sentendovi a disagio perché non parlavate con
nessuno. Così ve ne siete andati presto e avete
passato il resto della notte giudicando la vostra
intera personalità, la vostra intera vita, un vero
disastro.
2. Prendete in considerazione la vostra reazione
alla luce di ciò che ora sapete sul modo in cui
il vostro sistema nervoso funziona
automaticamente. Oppure immaginate che io
vi stia dicendo: «Su, rifletteteci un po’! La sala
affollata e rumorosa dopo una giornata di
lavoro, l’essere lasciati soli dagli amici, le
vostre esperienze passate in questo genere di
feste... era come se una valanga vi cadesse
addosso. A voi piace essere introversi. Certo,
andate pure alle feste, purché non siano
troppo affollate e ci sia qualcuno che
conoscete. Altrimenti, scegliete una persona
che sembri sensibile come voi e
profondamente interessante e andatevene via
insieme il più presto possibile. Questo è il
modo in cui le HSP vanno ai party. Non siete
né timidi né poco gradevoli. Alla fine riuscirete
a incontrare persone interessanti e ad avere
buone relazioni, ma dovete scegliere le
situazioni adatte a voi».
3. C’è qualcosa che potete fare ora in proposito?
Forse c’è un amico che potete chiamare per
passare un po’ di tempo con lui, a modo
vostro.

Soluzioni a:
Sapete vincere il disagio sociale?
Se avete azzeccato una dozzina di risposte, o più,
spiacente di avervi annoiato. Dovreste scrivere un
vostro libro sull’argomento. Altrimenti, queste
soluzioni vi diranno quello che avete bisogno di
conoscere!

1. Vero. Il “dialogo interiore negativo” aumenta


l’arousal e vi rende difficile ascoltare le altre
persone.
2. Falso. Voi HSP siete in grado di notare la
timidezza negli altri, ma in genere la gente non
ci riesce.
3. Vero. Le persone possono respingervi per
molte ragioni che non hanno niente a che fare
con voi. Se questo vi sconvolge, sopportate la
sensazione per un po’. Poi cercate di lasciarla
andare.
4. Vero. Decidete di fare tanti piccoli passi
graduali, ogni giorno o ogni settimana, anche
se i primi vi peseranno tanto.
5. Falso. Compiere grandi passi sarebbe la scelta
migliore, se foste in grado di farli. Ma, poiché
siete spaventati, e avete anche paura di fallire,
dovete promettere alla vostra parte timorosa
che non andrete troppo in fretta, anche se
siete sicuri che alla fine vincerete la partita.
6. Falso. Più proverete, meno sarete nervosi, il
che significa che sarete più – non meno –
rilassati e spontanei.
7. Falso. Il linguaggio corporeo comunica sempre
qualcosa. Un corpo fermo e rigido può essere
interpretato in vari modi, ma per lo più non
positivamente. Meglio lasciare che il vostro
corpo si muova e mostri interesse, premura,
entusiasmo o pura vitalità.
8. Vero. Potete essere un po’ curiosi. La maggior
parte delle persone ama parlare di sé e
gradisce il vostro interesse e un pizzico di
audacia.
9. Falso. Rimanete in piedi o state seduti tenendo
una giusta e comoda distanza, sporgetevi in
avanti, non incrociate le braccia e le gambe e
guardate spesso l’altro negli occhi. Se però il
contatto visivo provoca troppa agitazione, è
bene guardare il naso o le orecchie
dell’interlocutore – la gente non nota la
differenza. Sorridete e usate altre espressioni
facciali (stando attenti, naturalmente, a non
suscitare più interesse di quanto vorreste).
10. Falso. Ovviamente in base alla situazione, un
breve tocco sulla spalla, sul braccio o su una
mano, specialmente nel separarsi, produce
calore.
11. Falso. In genere, uno sguardo al giornale vi
fornisce alcune idee per conversare o per
connettervi con il mondo. Ma evitate le storie
deprimenti.
12. Falso. Aprirsi è importante, se il vostro scopo è
stabilire una vera connessione e non
semplicemente passare il tempo. Questo non
significa che dovete rivelare profondi segreti.
Aprirsi troppo presto crea uno stato di
sovraccarico, oltre a sembrare inappropriato.
Ovviamente, accertatevi di domandare anche
l’opinione dell’altro.
13. Vero. Per esempio, qualcuno dice che è
eccitato per un nuovo progetto. Voi potete
replicare: «Meraviglioso, vedo che sei
contento. Deve essere un progetto
importante». Prendendovi il tempo per
“riflettere” su quella sensazione prima di
domandare particolari sul progetto, mostrate
uno dei vostri pregi: la sensibilità alle
emozioni. Incoraggiate anche l’altra persona a
rivelare altri aspetti della sua vita interiore,
argomento di cui, in ogni caso, preferite
parlare.
14. Falso. Non dovete strafare, ovviamente. Ma
tutti vogliono parlare con persone non banali.
Prendetevi il tempo per mettere per iscritto le
cose migliori o più interessanti su voi stessi e
pensate a come potreste introdurle in una
conversazione. Non dite: «Mi sono trasferito
qui perché amo le montagne», ma «Mi sono
trasferito qui perché ho iniziato una scuola per
scalatori», oppure «Amo i panorami montani
perché scatto fotografie di rari uccelli
predatori».
15. Vero, ma con un po’ di prudenza. Quando
incontrate qualcuno per la prima volta, non
dovete rivelare troppe mancanze o difetti. Non
dovete sembrare modesti, con un
atteggiamento sottomesso o incapaci di tenere
un comportamento appropriato. Ma c’è anche
qualcosa di bello nel parlare della propria
personalità, se riuscite a trasmettere il
messaggio che vi trovate bene con voi stessi.
(La mia frase preferita in proposito è quella
pronunciata dal capitano Picard in Star Trek:
The Next Generation: «Ho fatto qualche
bell’errore nella mia vita». È così umile, saggia
e sicura di sé, tutto in una volta.) Ovviamente
se l’altra persona ha rivelato qualcosa di
doloroso o di imbarazzante, e voi fate lo
stesso, la conversazione si approfondirà.
16. Falso. In genere le persone amano i piccoli
conflitti. Inoltre, forse il motivo del conflitto è
importante per voi o rivela qualcosa che
dovreste conoscere sull’altro.
17. Vero. Ovviamente, prendetevi tempo per
essere sicuri di ciò che sentite e siate preparati
a un eventuale rifiuto.
6
Stare bene sul lavoro
«Seguite la vostra beatitudine» e lasciate che
la vostra luce risplenda

Fra tutti gli argomenti che affronto nei miei


seminari, i temi più urgenti per molte HS P
sono le vocazioni, il modo di guadagnarsi da
vivere e come andare d’accordo con i colleghi,
il che ha un senso, dato che noi non
sopportiamo gli orari di lavoro prolungati, lo
stress e gli ambienti sovrastimolanti. Ma
credo che molte delle nostre difficoltà sul
lavoro consistano nel fatto che non
apprezziamo il nostro ruolo, il nostro stile di
vita e i nostri potenziali contributi. Questo
capitolo, pertanto, tratterà innanzitutto del
vostro posto nella società e di quello della
vocazione nella vostra vita interiore. Anche se
sembrano argomenti astratti, in realtà hanno
un grande valore pratico. Quando avrete
compreso la vostra vera vocazione, l’intuito
inizierà a risolvere autonomamente i vostri
particolari problemi (in un modo in cui
nessun libro può fare, dato che non può
rivolgersi alla vostra situazione individuale).

La vocazione è una cosa seria


Il termine “vocazione” in origine significava
soltanto “essere chiamati alla vita religiosa”.
Altrimenti, nella cultura occidentale come
nella maggior parte delle culture, l’individuo
avrebbe svolto lo stesso lavoro dei genitori.
Nel Medioevo si poteva nascere nobili, servi
della gleba, artigiani e così via. Poiché nei
paesi cristiani indoeuropei la classe dei
“consiglieri reali” religiosi, di cui ho parlato
nel capitolo 1, era rigorosamente celibe,
nessuno poteva nascervi. Era l’unico lavoro
cui bisognava essere “chiamati”.
Con il Rinascimento e l’ascesa di una
classe media cittadina, gli uomini furono più
liberi di scegliere la propria professione. Ma
l’idea che esista un lavoro adatto a ogni
persona è molto recente. (Nacque insieme a
un’altra idea: che ognuno debba sposare la
persona giusta.) Allo stesso tempo il numero
delle possibili vocazioni è aumentato, così
come l’importanza e la difficoltà di trovare il
lavoro giusto per sé.

La vocazione delle HSP


Come ho detto nel capitolo 1, le culture più
aggressive del mondo, fra cui le società
occidentali, nacquero da un’originaria
organizzazione sociale che divideva la
popolazione in due classi: da una parte i re,
con gli impulsivi e duri guerrieri, e dall’altra
parte i più riflessivi e colti consiglieri reali,
fra cui i preti e i giudici. Ho anche detto che
l’equilibrio fra le due classi era importante
per la sopravvivenza di queste società e che la
maggioranza delle HS P gravitava
naturalmente verso la classe dei “consiglieri
reali”.
In termini di vocazione, non voglio dire
ora che tutti gli individui altamente sensibili
diventeranno studiosi, teologi,
psicoterapeuti, consulenti o giudici, benché
queste siano carriere tipiche della classe dei
“consiglieri reali”. Ma voglio dire che,
qualunque sia il nostro lavoro, è probabile
che lo eseguirete non come dei guerrieri, ma
come dei consiglieri o dei sacerdoti: cioè in
modo coscienzioso e riflessivo in ogni senso.
Se in una società o in un’organizzazione non
ci fossero HS P in posizioni importanti, i
guerrieri tenderebbero a prendere decisioni
impulsive e prive di sensibilità, userebbero il
potere e la forza in modo violento e si
dimenticherebbero sia della storia che del
futuro. Non lo dico per offenderli: è la loro
natura. (Un esempio di questo ruolo di
consigliere è il mago Merlino nelle leggende
su re Artù, e analoghe figure si trovano in
molti poemi epici indoeuropei.)
Una conseguenza pratica dell’appartenere
alla classe dei “consiglieri reali” è che le HS P
sentono di non avere mai conoscenze ed
esperienze sufficienti. (Aggiungo l’esperienza
perché talvolta le HS P perseguono la cultura a
spese dell’esperienza.) Maggiore è la varietà
delle nostre esperienze, in una gamma che sia
ragionevolmente adatta a noi (non è necessario
saper guidare il deltaplano), più saggi
saranno i nostri consigli.
La cultura delle HS P è importante per
permetterci di seguire il nostro stile di vita,
più quieto e discreto. Credo che dovremmo
continuare a presidiare le nostre tradizionali
professioni: insegnamento, medicina, legge,
arti, scienze, consulenze, religione –
professioni che sono diventate sempre più
appannaggio delle non-HS P . Ciò significa che
queste funzioni sociali sono state svolte
sempre più nello stile dei guerrieri,
inseguendo solo il successo e il profitto.
La nostra influenza “sacerdotale” è
declinata in parte perché abbiamo perso il
rispetto di noi stessi. Allo stesso tempo
queste professioni hanno a loro volta perso
considerazione, una volta private del nostro
contributo più tranquillo e dignitoso.
Non voglio dire che ci sia stato qualche
complotto da parte delle persone meno
sensibili. Dato che il mondo diventa sempre
più difficile e stressante, è naturale infatti che
le non-HS P prosperino, almeno all’inizio. Ma
non lo faranno a lungo senza di noi.

Vocazione, individuazione e HSP


Qual è la vostra vocazione? Seguendo il
pensiero di Carl Jung, io vedo ogni vita come
un processo di individuazione, un processo
con cui ognuno di noi tenta di scoprire la
risposta alla domanda sul perché si trova su
questa Terra. Forse i nostri antenati non
hanno saputo trovare la risposta, e noi
dobbiamo continuare a porci la domanda,
alla nostra maniera. Certo, non è semplice, e
forse non basta una vita a rispondere. Ciò che
conta, comunque, è che porsi la domanda è
una delle più profonde esigenze dell’anima.
Tale processo di individuazione è ciò a cui
lo studioso di mitologia Joseph Campbell si
riferiva quando esortava gli studenti a lottare
per «seguire la vostra beatitudine». 1
Campbell chiariva che questo non significa
fare ciò che è facile e divertente sul momento,
ma impegnarsi in un lavoro che ci sembri
giusto, e per cui si abbia una vocazione.
Svolgere un tale lavoro (e, se siamo fortunati,
essere anche pagati) è una delle grandi
benedizioni della vita.
Il processo di individuazione richiede
grande sensibilità e intuizione, in modo da
capire quando vi state ponendo la domanda
giusta nel modo giusto. In quanto HS P , voi
siete nati per questo, così come una barca da
regata è disegnata per prendere il vento. In
altri termini, la vocazione delle HS P è in senso
lato seguire con attenzione la loro personale
vocazione.

Lavoro e vocazione
Ma qui sorge un problema: chi pagherebbe
una HS P affinché cerchi la propria felicità? Di
solito sono d’accordo con ciò che ripeteva
Jung: è un grande errore che altri finanzino il
nostro stile di vita. Se una HS P non è costretta
a essere pratica, perderà il contatto con il
resto del mondo. Diventerà solo un parolaio a
cui nessuno dà ascolto. In che modo, allora, si
può guadagnare e insieme seguire una
vocazione?
Un metodo è cercare il punto in cui la
strada segnata dalla nostra felicità si incrocia
con quella segnata dai grandi bisogni del
mondo, il che equivale a domandarsi per che
cosa gli uomini siano disposti a pagare. In
questo punto d’incrocio voi potrete
guadagnare per fare ciò che amate.
In effetti il rapporto tra la vocazione di una
persona e il modo in cui si guadagna da
vivere può essere molto variabile e cambiare
nel corso della vita. Talvolta il lavoro è solo lo
strumento per guadagnare denaro, e la
vocazione viene seguita nel tempo libero. Un
bell’esempio lo fornisce Einstein, che
sviluppò la teoria della relatività mentre era
impiegato in un ufficio brevetti, felice di
avere un lavoro che lo lasciasse libero di
pensare a ciò che lo interessava veramente.
Altre volte riusciamo a trovare o a crearci un
lavoro che soddisfi la nostra vocazione e
ottenga una remunerazione per lo meno
sufficiente. Esistono molti possibili lavori di
questo tipo; e il nostro lavoro cambierà
quando crescerà l’esperienza e si
approfondirà la vocazione.

La vocazione e le HSP “liberate”


L’individuazione consiste soprattutto
nell’essere capaci di ascoltare la propria voce
o le proprie voci interiori in mezzo ai rumori
interni ed esterni. Alcuni di noi vengono
fagocitati dalle pretese degli altri, che
possono essere vere e proprie responsabilità
oppure rappresentare le idee più diffuse sui
modi per avere successo, denaro, prestigio,
sicurezza. E poi ci sono le pressioni che gli
altri possono causarci semplicemente perché
ci dispiace contrariarli.
Alla fine molte, se non la maggioranza,
delle HS P sono indotte ad attuare ciò che io
chiamo “liberazione”, anche se questo non
succede prima della seconda metà della vita.
Allora si sintonizzano sulle domande e sulle
voci interiori più che sulle esigenze altrui.
Essendo tanto desiderosi di compiacere gli
altri, non ci “liberiamo” facilmente: siamo
troppo consapevoli dei bisogni altrui.
Tuttavia il nostro intuito ci avverte anche che
dobbiamo rispondere alla richiesta che ci
viene dall’interno. Queste due forti correnti
conflittuali possono impegnare le nostre
energie per anni. Non vi preoccupate se il
vostro progresso verso la liberazione è lento,
perché la lentezza è quasi inevitabile.
Non vorrei comunque costruire
un’immagine idealizzata di un certo tipo di
HS P che voi dovete diventare, il che non
servirebbe alla liberazione. Dovete cercare ciò
che siete, non ciò che pensate che qualcun
altro voglia che diventiate.

RICONTESTUALIZZARE I PUNTI CRITICI


DELLA VOSTRA STORIA VOCAZIONALE E
LAVORATIVA
Ora potrebbe essere il momento di fare una
pausa per ricontestualizzare alcuni punti, così
come avete fatto nei precedenti capitoli. Fate
un elenco dei vostri maggiori progressi
vocazionali o dei lavori che avete cambiato.
Mettete per iscritto il modo in cui avete
sempre interpretato questi eventi. Forse i
vostri genitori desideravano che faceste il
medico, ma avete capito che non faceva per
voi. Oppure, non avendo una migliore
spiegazione, avete accettato l’idea di essere
“troppo deboli” o “privi di motivazione”. Poi
scrivete che cosa ne pensate ora, alla luce del
vostro tratto. In questo caso specifico, si
può dire che in generale le HSP sono del
tutto inadatte al disumano meccanismo
richiesto, sfortunatamente, dalla
maggioranza dei percorsi di specializzazione
medica.
Questa nuova comprensione vi suggerisce
qualcosa? Nel nostro esempio, questa nuova
visione dei corsi di medicina potrebbe essere
discussa con i genitori, se insistessero nelle
loro idee. Oppure potreste trovare un
percorso di istruzione medica più “umano” o
studiare una materia correlata come
fisiologia o agopuntura, che richieda una
diversa educazione professionale.
Trovare la vostra vocazione
Alcuni di voi forse hanno problemi a trovare
la propria vocazione e si sentono frustrati per
il fatto che l’intuito non li aiuta. Forse può
addirittura ostacolarvi, perché vi permette di
ascoltare tante voci che parlano di troppe
possibilità diverse. “Sì, sarebbe bello mettersi
al servizio degli altri, senza pensare al
guadagno materiale. Ma questo mi
impedirebbe di avere il tempo per le cose più
delicate della vita. In più entrambe le
situazioni, servire il prossimo e guadagnare,
escludono la possibilità di realizzare le mie
doti artistiche. E io ho sempre ammirato la
vita tranquilla, centrata sulla famiglia. O
dovrei focalizzarmi solo su quella spirituale?
Ma questa sarebbe una vita così lontana dal
mondo, mentre io desidero una vita concreta.
Forse sarei più felice se mi impegnassi in
cause ecologiche. Ma, di nuovo, i bisogni
degli esseri umani sono così numerosi...”
Tutte le voci sono forti. Qual è quella
giusta? Se siete assediati da queste voci,
probabilmente decidere sarà faticoso, così
come capita a molte persone intuitive. Ma,
qualunque sia la professione che sceglierete,
avrete comunque bisogno di sviluppare un
metodo per decidere. Incominciate a ridurre
le voci a due o a tre. Magari fate un elenco
razionale dei pro e dei contro. O immaginate
di aver preso definitivamente una decisione e
vivete in base a essa per un giorno o due.
Un altro problema delle HS P che sono
molto intuitive e/o introverse, è che forse non
sono bene informate sui fatti. Si lasciano
guidare dalle loro intuizioni e non amano
domandare. Ma raccogliere informazioni
concrete da persone reali fa parte del
processo di individuazione.
Se pensate di «non essere capaci», state
rivelando il terzo ostacolo alla conoscenza
della vostra vocazione: il basso grado di
autostima. Probabilmente, nel profondo,
sapete ciò che volete fare. Oppure avete preso
una strada in cui non potete aver successo,
proprio allo scopo di evitare di andare avanti.
Forse siete ancora confusi su ciò che potete e
non potete fare.
In quanto HS P , potreste incontrare grandi
difficoltà in alcune attività essenziali,
secondo gli standard della nostra cultura, per
avere successo nella maggior parte delle
professioni: parlare o esibirsi in pubblico,
sopportare i rumori, i meeting, i contatti
esterni, le politiche aziendali, i viaggi. Ma ora
conoscete la causa specifica delle vostre
difficoltà e potete studiare metodi per vincere
la sovrastimolazione che esse creano. Dunque
sono poche le cose che non potete fare, se
trovate il modo di eseguirle nel vostro stile.
In ogni caso un basso grado di autostima
in voi è comprensibile. Spesso gli individui
altamente sensibili si sono sentiti difettosi.
Forse vi siete talmente sforzati di compiacere
gli altri che vi siete ridotti al ruolo di gregari,
con il risultato che siete stati trattati come
esseri inferiori e messi sotto i piedi. Ma siete
sicuri di voler morire senza aver tentato?
Dite di aver paura di fallire. Quale voce
interiore lo dice? Una voce saggia, che vi
protegge? O una voce critica, che vi paralizza?
Supponiamo che la voce abbia ragione e che
non possiate farcela. Dimenticatevi delle
persone che solo per aver tentato hanno
avuto successo: il tema di tanti film. Conosco
persone che si sono impegnate ma non ce
l’hanno fatta. Sono molte. E potrebbero
essere un numero esorbitante, ma sono felici
di aver provato. Ora si stanno muovendo
verso altre mete, e si sentono più sagge,
poiché hanno esplorato se stesse e il mondo.
E soprattutto, poiché nessuno sforzo porta a
un insuccesso completo, hanno molta più
fiducia in se stesse di quando se ne stavano
ferme a non far nulla.
Infine, per trovare la vostra vocazione,
utilizzate gli ottimi libri e servizi esistenti in
proposito. E siate sempre consapevoli che la
vostra sensibilità è un importante fattore di
cui troppi “esperti” non tengono conto.
I mestieri delle altre HSP
Forse vi può essere utile conoscere che tipo di
carriera hanno scelto altre HS P . Ovviamente
in ognuna di esse portiamo un po’ della
nostra personalità. Nelle mie interviste
telefoniche, per esempio, ho trovato che
poche HS P svolgono un lavoro di vendita, ma
una invece se ne occupava: vendeva vini
pregiati. Un’altra vendeva ville, spiegando che
utilizzava la sua intuizione per abbinare le
persone alle case.
Si può anche pensare che certe HS P
trasformino altri lavori – quasi ogni lavoro –
in qualcosa di tranquillo, riflessivo e
coscienzioso. Alcune dissero che erano
insegnanti, parrucchieri, mediatori ipotecari,
piloti, assistenti di volo, professori, attori,
educatori, segretari, dottori, infermieri,
agenti assicurativi, atleti professionisti,
cuochi e consulenti.
Altri mestieri sembravano ovviamente più
adatti alle HS P : ebanisti, toelettatori di
animali, psicoterapeuti, ministri, operatori di
attrezzature pesanti (lavoro rumoroso ma
solitario), contadini, scrittori, artisti (molti),
tecnici radiologi, meteorologi, giardinieri,
scienziati, stenografi in campo medico,
redattori, umanisti, ragionieri ed elettricisti.
Mentre alcune ricerche hanno riscontrato
che le persone cosiddette “timide”
guadagnano di meno, io ho trovato molte HS P
in posizioni molto remunerative – per
esempio amministratori, manager o bancari.
Forse secondo quelle ricerche i cosiddetti
timidi risultano essere pagati poco a causa di
una anomalia che ho riscontrato anche io
nella raccolta dei dati: infatti le HS P che si
dichiarano casalinghe, mogli o genitori a
tempo pieno (non tutte sono donne) sono il
doppio rispetto alle non-HS P . Se le
consideriamo come persone che non
guadagnano, questo abbassa la media dei
redditi del gruppo. Ma ovviamente esse fanno
guadagnare la famiglia fornendo servizi che,
se pagati, sarebbero costosi.
Le HS P che lavorano per la famiglia trovano
una loro nicchia, ma, mentre la cultura
corrente sottovaluta il loro lavoro, in realtà la
società intera ne trae parecchi vantaggi.
Ricerche sulla genitorialità, per esempio,
scoprono continuamente che la “sensibilità”
è l’elemento chiave per allevare bene i figli. 2

Trasformare la vocazione in un lavoro


remunerato
Esistono ottimi libri su come trasformare ciò
che amate in ciò che vi offre uno stipendio, e
quindi ora mi focalizzerò solo sugli
argomenti che riguardano le HS P da vicino.
Per far sì che la vostra vocazione diventi un
lavoro remunerato spesso bisogna creare un
servizio o una professione del tutto nuovi, il
che significa dare origine a una propria
attività o inventarsi un nuovo ruolo
all’interno di un lavoro che già fate. Tutto
questo può sembrare scoraggiante, ma voi
dovete ricordare di agire sempre secondo il
vostro stile da HS P .
Innanzitutto dimenticatevi degli individui
che si creano un lavoro attraverso una rete di
contatti esterni, conoscendo delle persone
giuste e così via. Dedicare un po’ di tempo
alle relazioni esterne è necessario, ma ci sono
metodi altrettanto efficaci e più adatti alle
HS P : lettere, e-mail, tenersi in contatto con
una sola persona che è in contatto con molte
altre o invitare a pranzo e “interrogare” il
collega estroverso che va a ogni conferenza.
Secondariamente, dovete fare affidamento
sulle vostre doti. Utilizzando l’intuito, potete
studiare le tendenze e indovinare le necessità
di mercato prima degli altri. Se una novità vi
colpisce, è probabile che possa avere lo stesso
effetto su altri quando ne parlerete loro. Se il
vostro interesse non è insolito, potrebbe
trovare posto in professioni già esistenti. Se
invece lo è, voi ne sarete probabilmente i
massimi esperti, e presto qualcuno avrà
bisogno di voi, specialmente quando
condividerete la vostra idea.
Anni fa, una HS P appassionata di film e
video andò a lavorare come bibliotecaria e
convinse la sua università a organizzare un
dipartimento ad hoc. Aveva capito che questi
media sarebbero diventati importanti per il
futuro dell’istruzione, soprattutto nella loro
funzione di educazione del pubblico. Tutti
oggi ne sono consapevoli, e la sua biblioteca
di film e di video è la più bella del paese.
Il lavoro indipendente (o largamente
autonomo, all’interno di una società più
grande) è la via più logica per le HS P .
Permette di controllare gli orari, gli stimoli e
il tipo di persone con cui trattare, e non
creerà fastidi con colleghi o supervisori. E voi,
diversamente da molti piccoli imprenditori
improvvisati, prima di assumervi dei rischi
sarete probabilmente più coscienziosi nelle
ricerche e della pianificazione.
Dovrete comunque stare attenti a certe
vostre tendenze. Se siete una HS P tipica,
potreste essere un perfezionista maniacale, e
potreste diventare per voi stessi il capo
peggiore con cui abbiate mai lavorato.
Dovrete anche combattere una certa
tendenza alla dispersione. Se la creatività e
l’intuito vi forniscono mille idee, a un certo
punto dovrete lasciarne perdere parecchie e
prendere decisioni difficili.
Se siete anche introversi, dovrete sforzarvi
ulteriormente per restare in contatto con il
vostro pubblico o con il vostro mercato.
Potreste quindi prendervi un socio o un
assistente estroverso. Scegliere un partner o
assumere qualcuno che assorba gli stimoli
eccessivi è un’ottima strategia. Ma se
utilizzate simili cuscinetti fra voi e il mondo il
vostro intuito non riceverà più input diretti, a
meno che non pianifichiate contatti reali con
coloro per cui lavorate.
L’arte come vocazione
Quasi tutte le HS P hanno un lato artistico che
vorrebbero esprimere, o apprezzano
profondamente una qualche forma di arte.
Ma alcune potrebbero voler trasformare l’arte
in una professione e in un mezzo di
sostentamento. Quasi tutti gli studi sulla
personalità degli artisti più importanti
sottolineano che la sensibilità è una dote
fondamentale. Sfortunatamente, è spesso
legata a disturbi mentali.
Credo che il problema consista nel fatto
che noi artisti lavoriamo da soli, affinando le
nostre capacità e la nostra raffinata visione
creativa. Ma quando ci isoliamo la sensibilità
si acuisce – il che accresce ulteriormente la
tendenza a ritirarci dal mondo. E quando
viene il momento di mostrare la nostra opera,
di esibirci, di spiegarla, di venderla, di
leggere le critiche e di accettare rifiuti o lodi,
ci accorgiamo di essere ipersensibili a ognuna
di queste cose. Portare a termine un’opera o
una performance genera poi un senso di
perdita e di confusione. Il flusso di idee che
sorge dall’inconscio non trova più sbocco. E
gli artisti sono più abili a incoraggiare o a
esprimere la loro forza creativa che a
comprendere la sua fonte o il suo impatto.
Non sorprende quindi che utilizzino
droghe, alcol e farmaci per controllare il loro
elevato livello di stimolazione o per
ricontattare il loro sé interiore. Ma l’effetto a
lungo termine è un corpo sempre più
squilibrato. Inoltre, nel mito dell’artista c’è la
convinzione che qualsiasi aiuto psicologico
distrugga la creatività schiacciando
l’individuo sulla normalità.
Tuttavia, una persona altamente sensibile
dovrebbe riflettere meglio su certi miti.
L’artista tormentato e drammatico è una delle
figure più romantiche della nostra cultura,
ora che i santi, i fuorilegge e gli esploratori
stanno scomparendo. Ricordo che un
insegnante di scrittura creativa una volta
scrisse su una lavagna numerosi nomi di
artisti e ci domandò che cosa avessero in
comune. La risposta fu «tentato suicidio».
Non sono sicura che la classe capisse il senso
di quella tragedia anziché vederci solo un
aspetto romantico. Ma io, come psicologa e
come artista, ne vidi l’aspetto più negativo.
Quante volte il valore delle opere di un artista
aumenta dopo che si è suicidato o che è stato
dichiarato pazzo? Una vita eroica e
avventurosa attira particolarmente le giovani
HS P , ma può anche rappresentare una
trappola tesa dalle persone che non hanno il
tempo di sviluppare il talento artistico e
vogliono qualcuno che lo faccia per loro,
mostrando tutta la follia che esse reprimono
di sé. Si potrebbero prevenire molte delle
sofferenze degli artisti sensibili
comprendendo l’impatto di questa alternanza
fra la bassa stimolazione dell’isolamento
creativo e l’accresciuta stimolazione
dell’esposizione pubblica che ho descritto.
Ma non sono sicura che questa comprensione
sia possibile finché non avremo capito e
decifrato il mito dell’artista tormentato.

La vocazione a servire gli altri


Le HS P tendono a essere intensamente
consapevoli delle sofferenze altrui. Spesso
l’intuito fornisce loro un quadro chiaro di ciò
che bisognerebbe fare. Di conseguenza molte
abbracciano vocazioni altruistiche. E molte
cadono in esaurimento.
Ma per aiutare gli altri non c’è bisogno di
lavorare fino a sfinirsi. Molte HS P insistono
per operare sempre in prima linea, ricevendo
il massimo della stimolazione. Si
sentirebbero in colpa a stare nelle retrovie,
mandando gli altri a fare ciò che sembra loro
così faticoso. Ma ormai dovrebbe esservi
chiaro che alcune persone sono, in realtà,
perfettamente adatte a stare in prima linea, e
amano farlo. Allora, perché non lasciarle
fare? È necessario che ci siano persone anche
dietro la linea del fronte, per sviluppare
strategie che nascano da una visione
d’insieme del campo di battaglia.
Per esempio, alcune persone amano
cucinare e altre lavare i piatti. Per anni, non
ho permesso che gli altri ripulissero la cucina
dopo che io avevo cucinato – uno dei miei
passatempi preferiti. Ma, alla fine, capii che
c’era qualcuno che amava pulire e che
detestava cucinare.
Un’estate feci un viaggio sul Rainbow
Warrior di Greenpeace e ascoltai i racconti
delle avventure dell’equipaggio: per esempio,
quando si erano trovati davanti alla prua di
enormi baleniere o nel mirino di siluri e di
mitragliatrici. Con tutto il mio amore per le
balene, in simili circostanze sarei più di
impaccio che di aiuto. Ma sapevo che avrei
potuto sostenere i loro sforzi in altri modi.
In breve, non dovreste scegliere un lavoro
che vi crei stress e overarousal eccessivi. Altri
potranno farlo meglio di voi. Né dovreste
lavorare per tante ore. In realtà, fareste
meglio a scegliere orari meno pesanti. È quasi
inutile dirlo, ma la prima condizione per
aiutare agli altri è star bene in prima persona
e rimanere al giusto livello individuale di
stimolazione.

La lezione di Greg
Greg era un insegnante altamente sensibile,
molto amato e rispettato da studenti e
colleghi. Tuttavia venne da me per capire
perché stava per lasciare l’unica professione
che avesse mai desiderato fare, aspettandosi
che io confermassi che l’insegnamento non
era una professione per HS P . Concordai con
lui che era un lavoro molto difficile. Però
pensavo anche che gli insegnanti sensibili
sono essenziali alla felicità e al progresso
degli individui e della società. E non
sopportavo l’idea che un elemento così valido
abbandonasse il campo.
Riflettendo assieme a me sul problema,
Greg concluse che l’insegnamento era una
vocazione naturale per una persona sensibile
e premurosa. Questo mestiere sarebbe del
tutto adatto alle HS P , ma nella realtà
numerose pressioni lo rendono difficile. Il
suo compito – capì Greg – era cambiare
l’interpretazione di quel lavoro. Si trattava di
un suo dovere etico. E lui avrebbe fatto
meglio a rifiutarsi di lavorare troppo
piuttosto che ad abbandonare
l’insegnamento.
A partire dal giorno successivo, Greg smise
sempre di lavorare dopo le sedici. Dovette
impiegare molta della sua creatività per
trovare le giustificazioni. Molte erano poco
credibili e misero a dura prova il suo senso di
responsabilità. All’inizio cercò di nascondere
il suo nuovo ritmo ai colleghi e al preside, ma
alla fine fu scoperto. (Il preside approvò,
vedendo che Greg svolgeva meglio i suoi
compiti ed era più felice.) Alcuni colleghi lo
imitarono; altri lo invidiarono e si risentirono,
ma non riuscirono a cambiare. Dieci anni
dopo, Greg è sempre un insegnante di
successo, e, soprattutto, è felice e in salute.
È vero che anche quando siete esausti
potete ancora aiutare gli altri. Ma non sarete
più in contatto con le vostre energie
arrivando a definire per voi comportamenti
auto-distruttivi, a martirizzare voi stessi e a
incolpare gli altri. E alla fine, come Greg,
vorrete abbandonare tutto, o ne sarete
costretti dal vostro corpo.

Le HSP e la responsabilità sociale


Niente di ciò che abbiamo detto finora ci
deve spingere a tenerci fuori dalla battaglia
per la giustizia sociale o per la salvaguardia
dell’ambiente. Al contrario, abbiamo bisogno
di essere “là fuori”, ma a modo nostro. Forse
alcuni atteggiamenti sbagliati del governo e
della politica non sono tanto il prodotto della
Destra o della Sinistra, quanto della
mancanza di HS P che inducano tutti a
fermarsi e a pensare alle conseguenze.
Abbiamo abdicato ai nostri doveri, lasciando
le decisioni alle persone più impulsive e
aggressive, che cominciano con l’avere
funzioni politiche e finiscono col voler
dirigere tutto.
Gli antichi Romani avevano un grande
generale che si chiamava Cincinnato. La
leggenda vuole che egli desiderasse vivere
quietamente nella sua tenuta, in campagna,
ma che fosse persuaso due volte a ritornare
alla vita pubblica per salvare il popolo dalla
catastrofe scatenata dalla guerra. Ecco: il
mondo avrebbe bisogno di più persone del
genere nelle posizioni pubbliche. E anche se
nessuno ci spinge in questa direzione,
faremmo meglio a offrirci, di tanto in tanto,
come volontari.

Le HSP nel mondo degli affari


Il mondo degli affari indubbiamente
sottovaluta le sue HS P . Le persone dotate e
intuitive (e nello stesso tempo coscienziose e
determinate a non commettere errori)
dovrebbero essere considerate preziose
collaboratrici. Però noi ci sentiamo poco
adatti a questo mondo: le metafore usate per
indicare il successo in questo campo sono
quelle della guerra, della conquista e
dell’espansione.
Il mondo degli affari, invece, potrebbe
anche essere visto come un’opera d’arte che
richieda un artista, un compito profetico che
richieda un visionario, una responsabilità
sociale che richieda un giudice, un lavoro di
crescita che richieda abilità come quelle di un
contadino o di un genitore, una sfida
educativa adatta a un buon insegnante e così
via.
Le società che operano in questo campo
sono molto diverse fra loro. Prestate
attenzione alla cultura aziendale quando vi
candidate per una posizione o, se ne avete la
possibilità, cambiate voi stessi quella cultura.
Ascoltate ciò che si dice, ma usate anche il
vostro intuito. Chi viene ammirato,
ricompensato e promosso? Coloro che
propugnano durezza, competitività e
insensibilità? Oppure chi mette in campo
creatività e visione, armonia e morale? Chi si
preoccupa del servizio ai clienti, o dei
controlli di qualità? Le HS P dovrebbero
riconoscere come familiari, a livelli differenti,
tutte queste cose, tranne le prime tre.

Le HSP talentuose sul posto di lavoro


Secondo me tutte le HS P sono talentuose,
grazie appunto al loro tratto di personalità.
Ma alcune lo sono in modo particolare. In
effetti la stessa idea di “liberazione” delle
HS P emergeva dalla mescolanza, strana solo
all’apparenza, di tratti provenienti da molti
studi sugli adulti più talentuosi: impulsività,
curiosità, un forte bisogno di indipendenza e
un alto livello di energia, insieme a
introversione, intuito, sensibilità emotiva e
anticonformismo. 3
Tuttavia la condizione degli individui più
dotati sul posto di lavoro è difficile da gestire.
Innanzitutto la vostra originalità può
diventare un problema quando dovrete
presentare le vostre idee a un gruppo. Molte
aziende insistono sui gruppi di lavoro per far
emergere le migliori idee da persone come
voi, salvo poi farle ritoccare da altri. La
difficoltà nasce quando tutti propongono
idee, e voi pensate che le vostre siano
ovviamente le migliori, ma gli altri non
sembrano capirlo. Se vi accordate con loro
non vi sentite onesti con voi stessi e non
riuscite a impegnarvi nel lavoro di gruppo. Se
non lo fate, provate un senso di alienazione e
di incomprensione. Un buon dirigente o un
buon responsabile conoscono queste
dinamiche e proteggeranno l’impiegato
dotato. Altrimenti, inizierete a pensare di
portare le vostre doti altrove.
In secondo luogo, potreste sentirvi
intensamente entusiasti del vostro lavoro e
delle vostre idee. Gli altri, vedendo il vostro
entusiasmo, potrebbero pensare che rischiate
troppo. A voi i rischi non sembrano troppi,
perché siete sicuri del risultato. Ma non siete
infallibili. Qualcun altro potrebbe essere
contento di un vostro fallimento, anche se
accade di rado. Inoltre chi non comprende la
vostra convinzione dirà che lavorate troppo, e
magari si risentirà perché lo fate apparire
inadeguato. Ma per voi il lavoro è gioco. Il
vostro vero problema sarebbe non lavorare.
Se è questo il vostro caso, dovreste tener
segreto il fatto che lavorate tanto, a tutti
tranne che al vostro responsabile.
O meglio ancora, lasciate perdere le
lunghe giornate di lavoro. Cercate di
considerare anche l’eccitazione positiva come
uno stato di elevata sollecitazione e provate a
bilanciare il lavoro con lo svago. Il lavoro
stesso ne guadagnerà.
Un’altra conseguenza dell’entusiasmo è
che la vostra mente irrequieta potrebbe
portarvi verso altri progetti prima di aver
completato l’ultimo, cosicché gli altri
potrebbero raccogliere i frutti di ciò che voi
avevate seminato. Se non pianificate il tutto,
non proprio il vostro abituale modo di fare,
dovrete accettarne le conseguenze.
Il terzo aspetto di una sensibilità dotata,
anche emotivamente, è la possibilità di essere
attirati dalle complicazioni esistenziali di
altre persone. In un ambiente di lavoro,
questa non è una buona idea. Dovreste
imporvi limiti professionali. Lavorando,
dovete passare più tempo con i meno
sensibili, che potrebbero riequilibrare voi, e
voi loro. Ma tenete al di fuori del lavoro le
relazioni più intense, quelle che vi offrono la
profondità emotiva che cercate.
Le relazioni extra-lavorative dovrebbero
offrirvi anche un sicuro rifugio dalle
tempeste emotive scatenate dalla vostra
sensibilità. Non cercate questo conforto fra i
colleghi e soprattutto non tra i superiori. Per
loro è già difficile avere a che fare con voi, e
potrebbero pensare che in voi «c’è qualcosa
che non va».
Un quarto tratto delle persone dotate e
intuitive può sembrare quasi magico agli
altri. Loro non si accorgono di quel che
vedete voi: il contrasto fra la superficie e “ciò
che sta realmente accadendo”. Così come
avete fatto per le vostre idee, anche qui
dovete decidere se essere autentici o se
accettare il modo degli altri di vedere le cose
e sentirvi segretamente un po’ alienati.
Infine le vostre doti possono conferirvi un
certo carisma, e forse gli altri vorrebbero che
voi li guidaste, invece di dover procedere da
soli. È una tentazione lusinghiera, ma voi
finireste per sentire di aver rubato la loro
indipendenza, proprio quella che voi vorreste
avere.
Dal vostro punto di vista, forse pensate che
gli altri abbiano poco da offrirvi in cambio. E
a una condivisione iniziale potrebbe seguire
un senso di delusione. Ma rinunciare agli altri
porterebbe a un maggior senso di
alienazione, mentre in realtà avete bisogno di
loro.
Una soluzione a questi problemi potrebbe
essere non insistere a voler esprimere sul
lavoro tutte le vostre doti. Impiegatele
piuttosto in progetti privati, nell’arte, in
programmi per il futuro, in lavori paralleli e
nella vita stessa.
In altri termini, esprimete le vostre doti
anche al di fuori del mondo del lavoro. Nelle
aziende e nelle organizzazioni, utilizzatele
soltanto per ottenere una maggior
conoscenza di voi stessi e una maggior
comprensione degli esseri umani. Se questo è
il vostro scopo, farete bene a stare in seconda
fila a osservare. Partecipate alle riunioni come
una persona qualsiasi, non come una dotata,
e guardate come vanno le cose.
Da ultimo, restate in contatto con molti
tipi di persone, al lavoro e altrove, accettando
il fatto che nessuno può comunicare con ogni
parte di voi. Accettare la solitudine che si
accompagna alle vostre doti potrebbe essere
un passo che vi libera e vi fortifica. Ma anche
accettare il contrario: che non c’è motivo di
sentirsi soli, perché ognuno è dotato, in
qualche senso. E così diventa vero il
contrario: nessuno, voi compresi, è speciale,
perché nessuno è esente dall’invecchiamento
e dalla morte.

Presentare correttamente il proprio tratto


Spero che ora possiate immaginare le varie
circostanze in cui essere una HS P può essere
una risorsa, sia che siate un libero
professionista o lavoriate per altri. Ma ho
scoperto che occorre lavorare a lungo su se
stessi prima di poter abbandonare le vecchie
idee negative sul proprio tratto e valutarlo
correttamente. Non potrete convincere
nessuno del suo valore se non ne siete
convinti voi. Perciò vi prego di fare ciò che vi
spiegherò.
Elencate ogni risorsa che possa
appartenere alle HS P . Mettete a confronto
tutte le idee e accettatele senza criticarle. Non
vi preoccupate se anche le non-HS P
possiedono alcune delle stesse qualità. È
sufficiente che voi ne abbiate in misura
maggiore o diverse. E usate ogni strategia
disponibile: dedurre logicamente ciò che
appartiene al tratto basilare; pensare alla
vostra idea crescente di una tipica HS P ;
prendere in considerazione le HS P che
conoscete e ammirate; pensare a voi stessi;
cercare in questo libro. L’elenco dovrebbe
essere lungo. Lo è quando le HS P lo fanno in
gruppo, sotto la mia guida. Perciò seguite il
mio schema finché il vostro non lo è
altrettanto.
Ora fate due cose: scrivete un breve
discorso che potreste usare durante un
colloquio di lavoro e anche una lettera di
presentazione più formale, e in entrambi
esprimete qualcuna delle vostre risorse,
parlando della vostra sensibilità attraverso di
esse, in modo da informare con serenità il
datore di lavoro.
Ecco parte di un possibile scritto
(leggermente informale per una lettera di
presentazione):

E oltre ai miei dieci anni di esperienza con i


bambini, ho una buona conoscenza delle arti
grafiche e un’esperienza pratica di
impaginazione. Sono consapevole del
contributo apportato al mio lavoro dalla
natura unica della mia personalità e del mio
temperamento: sono una persona
estremamente coscienziosa e interessata a
fare un buon lavoro.
Allo stesso tempo, credo di avere una
straordinaria immaginazione. Sono sempre
stata considerata estremamente creativa (e
contemporaneamente i miei voti a scuola
erano ottimi e ho un alto quoziente
intellettivo). Il mio intuito nel lavoro è
sempre stato la mia più grande forza, perché
è in grado di individuare potenziali errori e
problemi.
Non sono una persona che crea
confusione. Mi piace che tutto intorno a me
sia tranquillo. Dovreste sapere che io lavoro
al meglio quando mi sento tranquilla e lo è
anche l’ambiente che mi circonda. Perciò
moltissime persone gradiscono lavorare con
me, benché io sia felice di lavorare per conto
mio o con pochi colleghi. Un’altra delle mie
qualità è sempre stata l’indipendenza, la
capacità di lavorare da sola e in modo
autonomo.

L’apprendimento
L’apprendimento può essere una situazione
molto stressante, perché tendete a dare il
peggio quando siete osservate o quando siete
sovrastimolate in altri modi, per esempio
quando ricevete troppe informazioni tutte in
una volta, quando avete intorno troppe
persone che parlano o quando vi sforzate di
imparare, immaginando le peggiori
conseguenze di dimenticare qualcosa.
Se possibile, cercate di imparare da soli.
Portate a casa i manuali di istruzioni o
studiate per conto vostro dopo l’orario di
lavoro. Oppure fate in modo di farvi
addestrare singolarmente, preferibilmente da
qualcuno che vi metta a vostro agio. Chiedete
che vi spieghi un punto alla volta e poi fate
pratica da soli. In seguito fatevi sorvegliare
da qualcuno che non sia un superiore,
qualcuno che non vi faccia sentire tanto
nervosi.

Trovarvi fisicamente a vostro agio


Poiché siete già più sensibili, non avete
bisogno di ulteriori disagi e stress. Per voi
una situazione, pur essendo sicura, può
essere ancora stressante. Gli altri possono
non avere problemi con le luci abbaglianti,
con i rumori delle macchine o con gli odori
chimici, ma voi sì. Si tratta comunque, anche
tra le HS P , di questioni individuali.
Se dovete avanzare reclami, pensate
realisticamente a ciò contro cui andate
incontro. Se volete procedere, menzionate gli
sforzi che avete fatto per affrontare la
situazione. Sottolineate la vostra produttività
e i vostri risultati, ma anche che potreste fare
ancora meglio quando il problema sarà
risolto (sempre che sia un discorso realistico).

Fare carriera in azienda


Le ricerche sulle persone “timide”
sostengono che esse tendono a essere pagate
meno e a lavorare al di sotto del loro livello di
competenza. 4 Sospetto che si tratti di un
problema assai diffuso tra le HS P , benché
talvolta sia una scelta. Ma, se volete avanzare
e non ci riuscite, e se ci sono licenziamenti in
vista e voi non volete esserne coinvolti,
dovete stare attente alla strategia.
Spesso le HS P non amano “fare giochetti”.
Ma già questo può essere sospetto. Spesso
veniamo giudicati male, specialmente se sul
lavoro trascorriamo poco tempo con gli altri o
se non condividiamo con loro i nostri
pensieri. Possiamo sembrare strani, distaccati
o arroganti. Se poi non siamo ambiziosi,
possiamo essere giudicati disinteressati o
deboli. Spesso si tratta di proiezioni
arbitrarie. Ma voi dovete stare attenti a queste
dinamiche e lavorare per disinnescarle.
Quando vi sembra il caso, casualmente (o
formalmente) rendete noti agli altri i
sentimenti di stima che provate per loro e per
l’azienda. Forse pensate che i vostri
sentimenti positivi siano ovvi, ma potrebbero
non esserlo se tenete un basso profilo e se gli
altri non sono molto attenti. Riflettete se sia il
caso di parlare più apertamente del vostro
contributo, della posizione in cui vi vedreste
nell’azienda e di quanto siete disposti ad
aspettare.
Nel frattempo, assicuratevi di non venire
trascurati quando si faranno le nuove
promozioni: una volta alla settimana mettete
per iscritto gli ultimi contributi dati
all’azienda, più tutti i risultati conseguiti
altrove, nella professione o nella vita. Siate
molto dettagliati. Nel caso peggiore, ne sarete
almeno consapevoli e più disponibili a
menzionarli. Ma se possibile, mostrate un
riassunto di questi dati al vostro superiore.
Se opponete resistenza e a un mese da
oggi non avete ancora eseguito questo
compito, chiedetevi il perché. Vi sembra di
vantarvi? Allora prendete in considerazione
la possibilità che non ricordare al dirigente o
alla società il vostro valore sia un danno
anche maggiore: presto o tardi vi sentirete
insoddisfatti e penserete di andarvene, o
sarete attirati dalla concorrenza, oppure
sarete licenziati e verrà assunto qualcuno di
meno competente. Desiderate che gli altri
notino il vostro valore senza doverglielo
ricordare? Si tratta di un desiderio che ci
accompagna dall’infanzia e che, in questo
mondo, viene raramente soddisfatto.
Ma forse combinate davvero molto poco.
Domandatevi allora se di quel lavoro vi
importa veramente. Fareste bene a tenere una
lista delle attività che sono realmente
importanti per voi: viaggi in bicicletta, libri,
conversazioni con gli amici. Se qualcosa, oltre
al lavoro, impiega gran parte della vostra
energia, è senz’altro la cosa che vi piace di
più. Si può essere remunerati per farlo? E se
dedicate la maggior parte del tempo a
compiti come curare i bambini o un genitore
anziano, siate orgogliosi di assumervi tali
responsabilità. Consideratele anch’esse come
traguardi, anche se non possono essere
apprezzati dalla maggior parte dei datori di
lavoro.
Infine, se non fate carriera o vi sembra che
vogliano “farvi fuori”, è anche possibile che
non siate abbastanza astuti.

Bette incontra Machiavelli


Bette, una HS P , era mia paziente. Uno dei suoi
problemi era la frustrazione sul lavoro. Gli
psicoterapeuti non possono essere sicuri di
ciò che avviene realmente in certe situazioni,
perché ascoltano solo una delle parti in causa.
Ma sembrava davvero che Bette lavorasse
bene e non venisse mai promossa.
Un giorno, in una riunione, venne criticata
per alcuni comportamenti che invece
avrebbero dovuto essere apprezzati dalla
maggior parte dei superiori. Con riluttanza,
Bette iniziò a credere che il suo superiore,
una donna, volesse “farla fuori”. Questa
persona aveva una vita privata tormentata, e
Bette era stata avvertita dall’ultimo suo capo
che avrebbe potuto “pugnalarla alla schiena”.
La maggior parte degli altri impiegati si
trovava bene con il nuovo superiore, ma
l’intuito di Bette sentiva che in realtà la
temevano e stavano facendo di tutto per
tenersela buona. Essendo più anziana, Bette
l’aveva giudicata un’immatura, ma non una
minaccia. Ma Bette era anche scrupolosa e
dedita al lavoro. Spesso veniva lodata dai
clienti, che la ritenevano l’impiegata più
competente del reparto. Pensava dunque di
non aver niente da temere, ma, poiché non
era solita pensar male di nessuno, aveva
trascurato l’invidia del suo superiore.
Alla fine Bette chiese a un impiegato
dell’ufficio del personale di lasciarle vedere il
proprio fascicolo (una mossa indovinata in
quella azienda) e scoprì che la donna aveva
aggiunto note negative del tutto false, mentre
non aveva inserito i dati positivi.
In conclusione dovette ammettere che si
era creato un conflitto di potere con il
superiore, anche se non sapeva che cosa fare.
In particolare si ripeté più volte che non
voleva abbassarsi a pensare che si trattasse di
pura invidia.
Per me il problema più importante era
aiutare Bette a capire perché fosse stata presa
di mira. Lei ammise che non era la prima
volta che una cosa del genere succedeva nella
sua carriera. E io sospettai che la causa, per
quanto infondata, fosse che lei appariva
distaccata, superiore e pertanto minacciosa a
una donna più giovane e insicura. Ma, al
fondo di tutto, spiccava l’incapacità, anzi il
rifiuto, di Bette di riconoscere il conflitto.
Lì, e in altri posti di lavoro, era diventata
un facile bersaglio perché preferiva rimanere
«separata dal gregge». Come molte HS P dal
carattere introverso, preferiva andare al
lavoro, svolgerlo bene e poi tornare a casa
senza mai socializzare. Spesso mi diceva:
«Non mi piace spettegolare come gli altri».
Però la prima conseguenza di questo stile di
vita era la mancanza di informazioni su ciò
che accadeva a livello informale. Avrebbe
dovuto indossare una maschera e mettersi a
chiacchierare semplicemente per proteggersi,
per conoscere cosa succedeva e per avere
«qualche amico». Una seconda conseguenza
era che respingeva gli altri, o comunque così
veniva percepita. In qualche modo, i colleghi
non sentivano il bisogno di aiutarla, e quindi
il superiore aveva capito che poteva agire con
sicurezza contro di lei.
Un altro errore commesso da Bette, e
molto diffuso tra le HS P , era di essere
completamente ignara del “lato oscuro”,
ossia degli aspetti peggiori, del capo. In
realtà, tendeva a idealizzare i dirigenti e si
aspettava da loro solo gentilezza e
comprensione. In questo caso, poiché non li
riceveva dalla donna, si era rivolta al
superiore del superiore. Ma pensò che fosse
“giusto” informarne la donna, la quale,
ovviamente, la precedette, e le rivoltò contro
il superiore. Così, un’altra autorità
eccessivamente idealizzata si comportò,
com’era prevedibile, da comune mortale.
Quando consigliai a Bette di essere più
astuta e più «diplomatica», lei all’inizio reagì
come se le avessi chiesto di insudiciarsi. Ma
io sapevo che tale “purezza” avrebbe gettato
una lunga ombra dentro di lei, tanto che, alla
fine, Bette incontrò nei suoi sogni prima una
capra arrabbiata chiusa in un recinto, poi un
piccolo e tenace lottatore e infine una donna
d’affari piuttosto sofisticata. L’analisi di
queste figure rivelò alcune qualità che Bette
aveva sempre posseduto ma che non aveva
mai utilizzato, ritenendole inaccettabili. Le
insegnarono almeno a nutrire un po’ di
sospetto riguardo agli altri, specialmente
coloro che idealizzava (me compresa).
Mentre avanzava nella riflessione – che
richiese ovviamente considerevole coraggio e
intelligenza –, Bette ammise che aveva
sempre avuto profondi dubbi sulle
motivazioni degli altri, ma aveva
continuamente cercato di reprimere questi
sospetti, ritenendo che mostrassero un
aspetto sgradevole di sé. Poi, prendendone
coscienza e riscontrandoli, scoprì che poteva
fidarsi di più (non di meno) degli altri e
soprattutto delle sue stesse intuizioni sui
conflitti interiori. Anche voi avrete la
possibilità di incontrare, un po’ più avanti in
questo capitolo, il vostro stesso consulente
interiore.
I rimpianti evitabili e inevitabili
È doloroso pensare a tutte le cose che non
riusciremo a fare nella vita. Ma questo fa
parte dell’essere umani. Sarebbe bello poter
già solo incominciare a rispondere alle
domande che la vita ci ha posto. E sarebbe
ancora più bello trovare un modo di venire
pagati mentre lo facciamo. Sarebbe, infine,
quasi un miracolo se fossimo in grado di
lavorare a questo problema in compagnia di
altri, in armonia e reciproca stima. Se riuscite
a farlo, siate contenti della fortuna che vi è
toccata. Se non ci siete ancora riusciti, spero
che ora abbiate un’idea di come arrivarci.
D’altronde, potreste avere a che fare con
una vocazione che è stata spesso bloccata da
altre responsabilità o dal rifiuto a cui siete
andati incontro. Se riuscirete a raggiungere
un po’ di pace su questo punto, allora sarete
molto più saggi di tutti noi.
LAVORARE CON CIÒ CHE AVETE
IMPARATO
Incontrare il vostro Machiavelli

Niccolò Machiavelli, che nel Rinascimento fu un


importante consigliere di principi italiani, scrisse con
brutale franchezza su come diventare potenti e
come restarlo. Il suo nome è associato, forse
eccessivamente, alla manipolazione, alla menzogna,
al tradimento e a ogni genere di cospirazione “di
corte”. Non vi raccomando di diventare
“machiavellici”, ma anche se queste caratteristiche vi
repellono, dovete comunque essere consapevoli che
esse si trovano in agguato in voi e negli altri. Più
dichiarate di non saper nulla di queste tendenze, più
esse agiranno segretamente in ciascuno.
In breve, da qualche parte dentro di voi c’è un
Machiavelli. D’accordo, è uno spietato manipolatore,
ma nessun principe, soprattutto uno dal carattere
mite, potrebbe restare a lungo al potere senza un
consigliere del genere, il cui punto di vista sia privo
di scrupoli come quello dei nemici che ogni potente
sicuramente ha. Il trucco sta nell’ascoltarlo
tenendolo al suo posto.
Forse conoscete già questa parte di voi stessi. Ma
ora datele una fisionomia. Cercate di immaginare
come potrebbe essere, che cosa vi direbbe e quale
potrebbe essere il suo nome. (Preferibilmente non
Machiavelli.) E poi parlatele. Lasciate che vi dica
tutto sull’azienda in cui lavorate. Chiedetele chi sta
tramando per essere promosso e chi vi sta
minacciando. Domandatele che cosa voi dovreste
fare per andare avanti. Lasciate che la sua voce vi
parli per un po’.
Poi, stando bene attenti a conservare i vostri
valori positivi e il vostro buon carattere, pensate a
ciò che avete appreso. Per esempio, vi ha forse
detto che qualcuno sta giocando sporco e
danneggiando voi e l’azienda? Questa voce interiore
è frutto di paranoia o vi dice qualcosa che avete
sempre saputo ma che non avete mai voluto
ammettere? E c’è qualche valida mossa da compiere
per contrastare questa persona o almeno per
proteggere voi stessi?
7
Le relazioni intime
La sfida dell’amore sensibile

Questo capitolo è una storia d’amore.


Comincia proprio parlando dei modi in cui le
HS P si innamorano o stringono amicizie
profonde. In seguito vi aiuterà a capire come
tener vivo il dono di queste relazioni, sempre
secondo il vostro stile.

Tanti modi di essere intimi


Cora ha sessantaquattro anni, è una casalinga
e scrittrice di libri per bambini. Si è sposata
solo una volta, con il suo «unico partner
sessuale», e mi ha informato francamente che
è «molto soddisfatta di questo aspetto» della
sua vita. Dick, il marito, è «tutto tranne una
HS P ». Ma ognuno gode di ciò che l’altro porta
nel matrimonio, specialmente ora che gli
spigoli più vivi sono stati smussati. Per
esempio, nel corso degli anni Cora ha
imparato a resistere al desiderio del marito di
condividere con lei il piacere dei film
d’avventura, dello sci e delle partite del
Superbowl. Così, lui ci va con gli amici.
Mark, sui cinquant’anni, è professore,
poeta e studioso di T.S. Eliot. Non è sposato e
vive in Svezia, dove insegna letteratura
inglese. Le amicizie sono fondamentali nella
sua vita. È diventato molto bravo a trovare le
poche anime al mondo simili a lui e a
coltivare con loro profonde relazioni.
Sospetto che gli amici si considerino molto
fortunati a conoscerlo.
Quanto all’amore, Mark ricorda di essersi
innamorato follemente fin da bambino. Da
adulto, le sue relazioni sono state «rare ma
travolgenti. Due sono sempre presenti.
Dolorose. Non c’è mai fine, anche se la porta
è chiusa». Ricordo che il suo tono di voce
divenne ironico: «Ma ho una ricca vita
immaginaria».
Anche Ann ricorda di essere stata spesso
innamorata da bambina. «C’è sempre stato
qualcuno; era una missione, una ricerca». Si è
sposata a vent’anni e ha avuto tre bambini in
sette anni. Non c’era mai abbastanza denaro,
e, mentre crescevano le tensioni, il marito
divenne violento. Dopo essere stata picchiata
varie volte, lei capì che doveva lasciarlo: era
giunto il momento di crescere e, in qualche
modo, di mantenersi.
Nel corso degli anni, nella vita di Ann ci
furono altri uomini, ma lei non si risposò più.
A cinquant’anni mi disse che la sua ricerca
del “principe azzurro” era finita. Quando le
chiesi se aveva organizzato in qualche modo
la sua vita per tenere sotto controllo la sua
sensibilità, la sua prima risposta fu: «Alla
fine ho lasciato gli uomini fuori dalla mia
vita, così da non essere più tentata». In ogni
caso, le amicizie con altre donne e gli stretti
legami con i figli e le sorelle hanno reso Ann
molto felice.
Anche Kristen, la studentessa che abbiamo
incontrato nel capitolo 1, si era innamorata in
modo travolgente nell’infanzia. «Ogni anno
mi innamoravo di una persona diversa. Ma
quando sono diventata più grande e le cose si
sono fatte più serie, quando ero in loro
compagnia in realtà desideravo che mi
lasciassero sola. Quindi ci fu il ragazzo per
cui andai in Giappone. Fu molto importante
per me. Ma grazie a Dio è finita. Ora che ho
vent’anni, non sono più così attaccata ai
ragazzi. Voglio prima sapere chi sono io».
Kristen, che era preoccupata per la sua salute
mentale, ragiona senza dubbio in maniera
molto sana.
Lily, trent’anni, aveva avuto una giovinezza
promiscua perché voleva ribellarsi alla severa
madre cinese. Ma due anni prima, quando
aveva avuto qualche problema di salute a
causa della sua vita sregolata, aveva capito di
essere infelice. Durante il nostro incontro,
arrivò a domandarsi se avesse scelto quella
vita sovrastimolante allo scopo di prendere le
distanze da una famiglia che riteneva noiosa
e priva della tipica energia americana.
Quando recuperò la salute, ebbe una
relazione con un uomo che giudicava ancora
più sensibile di lei. In principio erano
soltanto amici; come la sua famiglia, lui le
sembrava noioso. Ma poi nacque tra loro
qualcosa di gentile e di significativo.
Andarono a convivere, ma lei non affrettò le
cose verso il matrimonio.
Lynn, vent’anni, ha sposato recentemente
Craig, con cui condivide un percorso
spirituale e un amore profondo e fresco. Ma il
loro problema erano i rapporti sessuali. Per
via della sua religione, che in seguito anche
lei abbracciò, Craig si asteneva dalla
sessualità. Al momento del nostro incontro,
lui aveva nel frattempo cambiato opinione, e
ora era lei a voler seguire quel cammino
astenendosi dal sesso. Il compromesso
raggiunto fu far l’amore «non troppo spesso»
(una o due volte al mese), ma in modo «molto
speciale».
Questi esempi illustrano i tanti modi
diversi in cui le HS P soddisfano il loro
desiderio naturale di essere vicini agli altri.
Benché io non possa confermarlo con dati
statistici su larga scala, ho l’impressione, nata
dai miei colloqui, che le HS P abbiano più
modalità diverse, rispetto alle altre persone,
di strutturare le loro relazioni, scegliendo di
rimanere single più spesso degli altri,
attenendosi a una stabile monogamia o
stringendo relazioni soltanto con gli amici o
con i famigliari. È vero che queste diverse
modalità di amare possono essere dovute a
differenti storie e bisogni. Ma la necessità è la
madre di tutte le invenzioni.
Nonostante tutte queste differenze, le HS P
hanno comunque in comune alcune
problematiche legate alle relazioni intime,
che nascono dalla loro particolare capacità di
percepire i dettagli e dalla loro tendenza a
venire sovrastimolate.

Le HSP e l’innamoramento
Per quanto riguarda l’innamoramento, le mie
ricerche suggeriscono che le HS P tendono a
innamorarsi più intensamente delle altre
persone. Questo può essere un bene. Per
esempio, alcuni studi dimostrano che
innamorarsi tende ad accrescere la
considerazione delle nostre capacità e ad
allargare la nostra auto-consapevolezza. 1
Quando siamo innamorati, ci sentiamo
meglio, più forti. D’altra parte è bene sapere –
nel caso in cui preferissimo non essere
innamorati – che alcune delle ragioni per cui
ci innamoriamo più intensamente hanno
poco o nulla a che fare con l’altro.
Prima di cominciare, comunque, mettete
per iscritto che cosa è successo in una o più
occasioni in cui vi siete innamorati
profondamente. Così potrete vedere se ciò
che dico si adatta al vostro caso.
Ci sono HS P che sembrano non
innamorarsi mai. (Di solito hanno la tipologia
di attaccamento “evitante” che ho descritto in
precedenza.) Ma dire che non ci
innamoreremo mai equivale a dire che nel
deserto non pioverà mai. Chiunque conosca il
deserto vi dirà che succede, e quando lo fa
bisogna stare molto attenti. Perciò, se pensate
che non vi innamorerete mai, dovreste
comunque proseguire la lettura – nel caso
piova.

Quando l’amore è troppo intenso


Prima di occuparci di quell’innamoramento o
quell’amicizia intensi capaci di sfociare in una
meravigliosa relazione, potreste essere
interessati al caso più raro, ma più noto, di
sovrastimolazione: l’amore impossibile. Può
capitare a chiunque, ma sembra capitare più
frequentemente alle HS P . E poiché è spesso
un’esperienza infelice per entrambe le parti,
alcune informazioni potrebbero esservi utili
nel caso incappaste in una situazione del
genere.
Questo tipo d’amore di solito non è
corrisposto. Anzi, l’impossibilità di essere
corrisposti può essere il motivo della sua
intensità. Se una relazione normale potesse
svilupparsi, una volta conosciuto meglio
l’individuo, con tutti i suoi difetti, l’assurda
idealizzazione della persona amata si
esaurirebbe da sé. Ma l’intensità può anche
fermare l’amore. Un sentimento troppo
intenso viene spesso rifiutato dall’amato,
proprio perché troppo esigente e irreale.
L’oggetto di tale amore spesso si sente
soffocato e non veramente amato, dal
momento che i suoi sentimenti non vengono
presi in considerazione. Infatti sembra che
l’innamorato non abbia una reale
comprensione della persona amata, ma solo
un’impossibile immagine di perfezione. E
alla fine può perdere il senso della realtà,
inseguendo il sogno di una felicità perfetta
che solo l’altro potrebbe dargli.
Come nasce un amore del genere? Non c’è
un’unica risposta, ma alcune realistiche
possibilità. Carl Jung riteneva che le persone
abitualmente introverse (la maggior parte
delle HS P ) rivolgono l’attenzione su se stesse
per proteggere la loro preziosa vita interiore
da una possibile sopraffazione del mondo
esterno. Ma precisava anche che più siete
introversi, più eserciterete, per
compensazione, una pressione sul vostro
inconscio. È come se una casa venisse
riempita da annoiati (ma probabilmente
dotati) bambini che, alla fine, schizzassero
fuori dalla porta posteriore. Questa energia
repressa viene spesso indirizzata su una
persona (un luogo o una cosa) che diventa di
primaria importanza per il povero introverso.
Ma un amore così intenso ha poco a che fare
con l’altra persona e molto con quanto a
lungo la si è immaginata.
Molti film e romanzi hanno descritto
questo genere di amore. Un esempio classico
di film potrebbe essere L’angelo azzurro, che
racconta di un professore innamorato di una
cantante da cabaret. Un romanzo potrebbe
essere invece Il lupo della steppa di Hermann
Hesse, dove un uomo di mezza età molto
introverso incontra in una trattoria una
giovane ballerina e il suo mondo
appassionato e sensuale. In entrambi i casi, i
protagonisti sono coinvolti in un universo
fatto di amore, sesso, droghe, gelosia e
violenza, un mondo di stimoli e di sensualità
che in passato il loro carattere introverso e
intuitivo aveva respinto e non sapeva come
gestire. Sul versante femminile, buoni esempi
sono anche i romanzi di Jane Austen e
Charlotte Brontë, in cui donne controllate,
introverse e istruite sono travolte dall’amore.
Ma per quanto siate introversi, siete
comunque esseri sociali. Anche la necessità
di proteggere voi stessi è molto forte, non
potete sfuggire al bisogno e al desiderio
spontaneo di relazionarvi agli altri.
Fortunatamente, una volta usciti nel mondo
ed esservi innamorati qualche volta, capirete
che nessuno è perfetto. Come si dice, ci sono
sempre altri pesci in mare. La miglior
protezione per non innamorarsi troppo
intensamente è vivere di più nel mondo – non
meno. Raggiunto un certo equilibrio, potrete
alla fine trovare quella persona che vi aiuterà
a rimanere tranquilli e sicuri. Quindi, visto
che prima o poi vi bagnerete, potreste
immergervi già da ora insieme a tutti noi.
Ripensate ora ai vostri innamoramenti o
alle vostre amicizie. Sono forse nati in seguito
a un lungo periodo di isolamento?

Amore umano e amore divino


Un altro modo per innamorarsi troppo
intensamente è proiettare i propri bisogni
spirituali su un’altra persona. Di nuovo, per
comprendere che il vostro amato non è un
essere divino basterebbe viverci insieme per
un po’. Ma quando non possiamo farlo,
questa proiezione diventa straordinariamente
persistente.
La fonte di un simile amore dev’essere
qualcosa di molto potente, e io sono convinta
che lo sia. Come direbbe uno studioso
junghiano, ognuno possiede un «aiutante
interiore» che ha il compito di guidarci nei
regni più profondi della nostra interiorità. Ma
noi potremmo non conoscerlo o, più spesso,
erroneamente proiettarlo su qualcun altro,
nel disperato desiderio di trovare ciò di cui
abbiamo tanto bisogno. Vogliamo che
quell’“aiuto” sia reale, e anche se le cose
interiori sono del tutto reali, potrebbe essere
faticoso realizzarlo.
La tradizione junghiana ritiene che per
l’uomo questo “aiutante interiore” sia una
figura femminile, l’anima, mentre per la
donna si tratti di una guida spirituale
maschile, l’animus. Perciò quando ci
innamoriamo, spesso abbiamo a che fare con
l’anima o con l’animus interiori, che ci
porteranno là dove desideriamo andare, in
paradiso. Noi proiettiamo l’anima o l’animus
su una persona in carne e ossa con cui
speriamo di condividere un sensuale
paradiso terrestre (che di solito comprende
una crociera ai Tropici o un weekend in
montagna: i pubblicitari sono sempre felici di
aiutarci a proiettare questi archetipi nel
mondo esterno). Non mi fraintendete: la
sensualità, il corpo e la passione sono tutte
grandi cose. Ma non sostituiranno una figura
o una meta puramente interiori. Così si può
vedere quale confusione l’“amore divino”
possa generare quando due mortali decidono
di amarsi in una maniera umana.
Forse la confusione è positiva, per un po’ di
tempo, in qualche momento della nostra vita.
Come scrisse il romanziere Charles Williams,
«a meno che la devozione non sia rivolta a
qualcosa che alla fine si dimostri del tutto
falsa, il fatto che sia più o meno vera non ha
molta importanza».
L’amore sovrastimolante e l’attaccamento
insicuro
Come ho già detto, le relazioni delle HS P con
le persone e con le cose sono enormemente
influenzate dalla natura del loro
attaccamento infantile al primo caretaker.
Poiché solo il 50-60 per cento della
popolazione ha goduto di un sicuro
attaccamento infantile (un numero
2
scioccante), le HS P che tendono a essere
molto caute nelle relazioni intime (le evitanti)
o ad avere relazioni molto intense (ansiose-
ambivalenti), possono ancora considerarsi
“normali”. Ma il nostro modo di reagire alle
relazioni è potente perché ignoriamo troppe
cose di noi stessi.
Spesso, chi ha vissuto un attaccamento
insicuro si sforza di evitare l’amore, per non
essere ferito. O forse l’amore vi sembra uno
spreco di tempo, e voi cercate di non pensare
al perché lo consideriate in modo diverso
rispetto alla maggioranza delle persone.
Tuttavia, per quanto vi sforziate, un giorno
potreste di nuovo trovarvi nella situazione di
volerlo capire. Appare una persona, e voi vi
sentite abbastanza sicuri da rischiare un
legame. Oppure c’è qualcosa nell’altro che vi
ricorda qualcuno di cui avevate fiducia:
qualcuno che è passato troppo velocemente
nella vostra vita. O siete così disperati da
decidere di tentare ancora una volta. E
all’improvviso vi innamorate, così come
capitò a Ellen.
Benché Ellen, un’artista, non si fosse mai
sentita vicina al marito come avrebbe voluto,
credeva di avere un matrimonio felice
all’epoca in cui finì la sua prima grande
scultura. A quel punto, però, dopo un anno di
lavoro, si sentiva stranamente vuota. Non
aveva mai condiviso questi sentimenti con
qualcuno, ma un giorno si trovò a parlarne
con una donna più anziana: era alta e
robusta, e teneva i lunghi capelli grigi raccolti
in una crocchia.
Prima di quella conversazione, Ellen non
aveva mai notato quella donna, che era
notoriamente considerata una persona
eccentrica. Ma la donna aveva una formazione
da psicologa e sapeva come ascoltare in modo
empatico. Il giorno dopo, Ellen si trovò a
pensare continuamente a lei. Voleva
incontrarla di nuovo. La donna fu lusingata di
avere per amica un’artista così affascinante, e
la loro relazione sbocciò.
Ma per Ellen era più di un’amicizia. Era
una necessità struggente. Ben presto la
relazione diventò anche sessuale, e il
matrimonio di Ellen si fece problematico. Per
amore del marito e dei figli, Ellen decise di
interromperla. Ma non ci riusciva, le era del
tutto impossibile.
Dopo un anno di scenate fra i tre, Ellen
scoprì che difetti della donna erano per lei
insormontabili, soprattutto il suo
temperamento violento. La relazione finì e il
matrimonio di Ellen sopravvisse. Ma lei non
comprese che cosa le fosse accaduto finché,
anni dopo, non entrò in terapia.
Lavorando sulla sua prima infanzia, Ellen
apprese dalla sorella maggiore, che la loro
madre, sempre indaffarata, aveva poco tempo
o scarsa inclinazione per i bambini. Quindi
Ellen era stata cresciuta da una serie di
babysitter. Ne ricordava in particolare una, la
signora North, che più tardi fu la sua prima
insegnante di catechismo. Era una donna
straordinariamente gentile e piena di calore;
la divinità del mondo della piccola Ellen. E la
signora North era una donna robusta, con i
capelli grigi raccolti in una crocchia.
Ellen era dunque cresciuta con un
condizionamento inconscio. Prima aveva
imparato a non attaccarsi a nessuno, dato che
le sue babysitter cambiavano così spesso. Ma
a un livello più profondo stava in realtà
cercando una persona simile alla signora
North ed era pronta a rischiare tutto per
sentirsi ancora una volta sicura con lei, così
come era stata ogni giorno nella sua infanzia,
poche ore alla volta, con la vera signora
North.
Tutti noi siamo condizionati in qualche
modo: a compiacere e attaccarci alla prima
persona gentile che promette di amarci e di
proteggerci; a trovare il genitore perfetto e
adorarlo incondizionatamente; a vagliare
attentamente la situazione prima di
affezionarci a qualcuno; ad affezionarci a
qualcuno simile alla persona che ci rifiutò la
prima volta (per vedere se questa volta
riusciremo a cambiare le cose) o che ci disse
che non saremmo mai cresciuti; o
semplicemente a trovare un altro porto sicuro
simile a quello che abbiamo avuto
nell’infanzia.
Riesaminate le vostre storie d’amore.
Riuscite a ritrovare in esse il vostro primo
attaccamento? Quanto spazio hanno avuto i
bisogni irrisolti dell’infanzia? Per superare
questi bisogni, dobbiamo sostituirli con il
collante di un’affettività adulta. Non
possiamo chiedere altro a un partner adulto.
Chiunque voglia stare con un adulto che
conserva i bisogni di un bambino (per
esempio, la continua presenza dell’altro) ha
certamente qualcosa di irrisolto nel proprio
passato. La psicoterapia è l’unico mezzo con
cui possiamo risvegliare ciò che abbiamo
perduto, elaborare il lutto e imparare a
controllare i sentimenti più sovrastimolanti.
Ma che dire del normale amore romantico,
quello che rende la vita temporaneamente e
meravigliosamente anormale?

I due ingredienti dell’amore corrisposto


Studiando centinaia di resoconti di
innamoramenti (e di amicizie) scritti da
persone di ogni età, io e mio marito (uno
psicologo sociale con cui ho condotto
numerose ricerche sulle relazioni intime)
abbiamo trovato due temi ricorrenti 3. Primo:
alla persona che si innamorava erano
piaciute, ovviamente, certe caratteristiche
dell’altro. Ma, secondo, le frecce di Cupido li
colpivano veramente soltanto nel momento in
cui scoprivano di piacersi reciprocamente.
Questi due fattori – gradire certe
caratteristiche dell’altro e scoprire che prova
un’attrazione per voi – mi fanno pensare a un
mondo in cui le persone si ammirano a
vicenda ma attendono che sia l’altro a
confdare per primo quel sentimento. Le HS P
devono tenere a mente questa immagine,
perché uno dei momenti più difficili della
loro vita sarà confessare un sentimento o
ricevere una dichiarazione d’amore. Ma se
vogliamo avvicinarci a qualcuno, dobbiamo
farlo! Dobbiamo correre tutti i rischi che
avvicinarci o essere avvicinati comporta, e
dobbiamo parlarne. Cyrano de Bergerac
imparò questa lezione, e così fece il capitano
John Smith.

Come il livello di stimolazione ci fa


innamorare
Un uomo incontra una donna attraente su un
fragile ponte sospeso che oscilla al vento
sopra un burrone. Oppure incontra la stessa
donna su un robusto ponte di legno appena
trenta centimetri al di sopra di un ruscelletto.
Domandiamoci: in quale posto è più
probabile che sia attratto romanticamente
dalla donna? Secondo i risultati di un
esperimento svolto da mio marito e da un
collega (che è diventato un famoso psicologo
sociale), è più probabile che succeda sul
ponte sospeso. 4 Altre ricerche hanno trovato
che è più probabile che ci innamoriamo di
qualcuno se siamo sovrastimolati in qualche
modo, anche mentre facciamo una corsa o
ascoltiamo il monologo di una commedia. 5
Esistono parecchie teorie sul perché lo
stato di sollecitazione possa favorire
l’attrazione se siete vicini a una persona che
trovate affascinante. Una ragione potrebbe
essere che noi cerchiamo sempre di attribuire
la sovrastimolazione a qualcosa e, se
possibile, preferiamo attribuirla all’attrazione
sentimentale. Oppure, può darsi che alti (ma
tollerabili) livelli di attivazione siano associati
nella nostra mente all’auto-affermazione e
all’eccitazione, le quali a loro volta sono
associate all’attrazione verso qualcuno. Tale
scoperta ha interessanti implicazioni per le
HS P . Dato che veniamo sovrastimolati più
facilmente degli altri, siamo in media più
propensi a innamorarci (e forse anche più
intensamente) se ci troviamo con qualcuno
che ci attrae.
Riesaminate ancora le vostre storie
d’amore. Vi trovavate in uno stato di
overarousal prima o durante l’incontro con
qualcuno di cui vi siete innamorati? Oppure,
dopo aver superato una prova, vi siete mai
sentiti fortemente attratti dalle persone che
erano con voi, per esempio da dottori,
terapeuti, famigliari o amici che vi hanno
aiutato a superare una crisi o un dolore?
Pensate alle amicizie che avete avuto alla
scuola superiore o al college, mentre tutti
stavate sperimentando tante situazioni nuove
e sovrastimolanti. Ora capite il perché.

Altre due ragioni per cui le HSP sono più


inclini all’amore
I dubbi sul vostro valore possono essere
un’altra causa di innamoramento. Per
esempio, da uno studio è risultato che le
studentesse la cui autostima era stata
abbassata (da qualcosa che era stato detto
loro durante l’esperimento) erano più attratte
da un potenziale partner di quelle la cui
autostima non era stata compromessa. 6
Analogamente, le persone sono più propense
a innamorarsi dopo una separazione.
Come ho già sottolineato, le HS P sono
inclini ad avere un basso senso di autostima,
perché capiscono di non corrispondere ai
modelli ideali del loro ambiente culturale.
Perciò, talvolta si considerano fortunate se
qualcuno le desidera. Ma un amore nato su
queste basi può facilmente fallire. Infatti, più
tardi, potreste capire che la persona di cui vi
siete innamorati è inferiore a voi o
semplicemente non è il vostro tipo.
Ripensate alle vostre storie d’amore. Che
ruolo ha svolto il basso livello di autostima?
La soluzione migliore, ovviamente,
sarebbe ricostituire la vostra autostima,
ricontestualizzando la vostra vita nei termini
dell’alta sensibilità. Lavorate su ciò che ha
abbassato la vostra fiducia in voi stessi,
affrontando il mondo a modo vostro e
provando a voi stessi che potete avere
successo. Sarete sorpresi di vedere quante
persone vi amano proprio a causa della vostra
sensibilità.
Poi esiste una tendenza tutta umana a
entrare o a rimanere in una relazione intima
per la semplice paura di restare soli, stressati
o costretti ad affrontare una nuova
spaventosa situazione. Credo che questa sia
la ragione per cui, secondo le ricerche, un
terzo degli studenti dei college si innamora
durante il primo anno lontano da casa. 7
Siamo tutti animali sociali, che si sentono più
sicuri in compagnia. Ma voi non volete stare
con una persona che ha paura di restare sola.
L’altro alla fine lo percepirà, e ne sarà ferito o
se ne approfitterà. Entrambi meritate di
meglio.
Riesaminate la vostra storia d’amore. Vi
siete innamorati per paura di restare soli?
Credo che le HS P debbano convincersi che
possono sopravvivere, almeno per un po’,
senza una relazione intima. Altrimenti non
saranno libere di attendere una persona che
piaccia loro veramente.
Comunque non c’è da vergognarsi se non
riuscite a vivere da soli. Molto probabilmente
qualcosa ha compromesso la vostra fiducia
nel mondo, oppure qualcuno ha voluto che
voi non sviluppaste quella fiducia. Ma, se vi è
possibile, cercate di vivere per conto vostro.
Se vi sembra troppo difficile, ricorrete a un
terapeuta, a qualcuno che non abuserà di voi,
non vi abbandonerà e non avrà altro interesse
che vedervi autosufficienti.
Non dovete comunque essere
completamente soli. Esistono altre fonti di
compagnia: amici, famigliari sinceri,
compagni di stanza pronti a venire al cinema
con voi, cani affettuosi e gatti da coccolare.

Approfondire un’amicizia
Specialmente le HS P non dovrebbero mai
sottovalutare i vantaggi delle amicizie
profonde, che non hanno bisogno di essere
così intense, complicate o esclusive come le
relazioni sentimentali. Alcuni conflitti
possono risolversi da soli e certi fastidiosi
tratti di personalità possono essere ignorati
un po’ più a lungo, magari per tutta la durata
dell’amicizia. E in un’amicizia potrete
sperimentare di più senza temere ferite
dolorose se sarete respinti o se sarete voi a
respingere. Qualche volta capita anche che da
un’amicizia nasca un amore.
Per approfondire un’amicizia (o una
relazione famigliare), utilizzate ciò che avete
appreso sui motivi per cui ci si innamora.
Dite all’altra persona che vi piace. E non
esitate a condividere un’esperienza intensa, a
superare insieme una prova, a lavorare a un
progetto o a costituire un gruppo. È difficile
stringere un’amicizia se ci si limita ad andare
qualche volta a pranzo. E, mentre condividete
queste esperienze, vi aprirete l’uno con
l’altro. Se la sincerità è reciproca e
appropriata, arriverete a una vera intimità. 8

Trovare la persona giusta


In realtà, spesso è una non-HS P che trova noi.
In un certo periodo della mia esistenza la
maggior parte dei miei amici erano persone
estroverse, non così sensibili (ma certamente
simpatiche ed empatiche), che sembravano
contente di aver scoperto me, la scrittrice
solitaria. Erano buoni amici, che mi offrivano
prospettive e opportunità che non avrei mai
trovato da sola. Per molte ragioni, comunque,
è bene che le HS P si trovino anche in
compagnia di altre HS P .
Un’eccellente tattica per trovare altre HS P è
chiedere agli amici estroversi di presentarvi
persone che siano simili a voi. Oppure, potete
trovarne frequentando certi luoghi
d’incontro: non gli happy hour, le palestre o i
cocktail party. A rischio di alimentare
stereotipi, è più probabile che troviate HS P ,
per esempio, nei corsi serali, nei parchi, nei
club per viaggiatori, nelle chiese unitariane o
quacchere, nei gruppi di studio cattolici o
ebraici che approfondiscono gli aspetti più
profondi o esoterici delle loro religioni, nelle
scuole d’arte, nelle conferenze sulla
psicologia junghiana, nei reading di poesia,
in certe associazioni di persone
intellettualmente dotate, nelle sale da
concerto, nei teatri, nelle conferenze su opera
e balletto e nei ritiri spirituali di ogni sorta. E
questo è solo un primo elenco.
Una volta trovata un’altra HS P , potreste
iniziare una conversazione con lei dicendo
qualcosa sul rumore o sugli stimoli che
provate in quel momento. Poi potreste uscire
da lì, fare una passeggiata, trovare un posto
tranquillo e andare avanti.

La danza delle HSP


Ho detto e sempre dirò che le HS P hanno
bisogno di relazioni strette, per le quali
possono essere molto portate. Allo stesso
tempo dobbiamo rispettare la loro tendenza a
essere introverse, a proteggersi. Spesso
possiamo trovarci in una specie di “danza”:
prima vogliamo avvicinarci a qualcuno, e
quindi inviamo segnali in tal senso; poi
qualcuno risponde. Vuole vedere qualcosa di
noi, conoscerci, magari toccarci. Allora
facciamo un passo indietro. L’altra persona
aspetta, ma poi retrocede anche lei. Noi ci
sentiamo soli, e inviamo altri segnali. La
persona tenta di nuovo. Siamo contenti, per
un po’. Ma alla fine ci sentiamo
sovrastimolati.
Un passo avanti e un passo indietro, un
passo avanti e un passo indietro, finché
entrambi non saremo stanchi della danza.
Sembra impossibile tenere il giusto
equilibrio tra distanza e intimità. Se cercate
di compiacere gli altri, perderete di vista i
vostri bisogni. Se cercate di far piacere solo a
voi stessi, spesso non saprete esprimere
abbastanza affetto e non riuscirete a
raggiungere quei compromessi che le
relazioni richiedono.
Una soluzione è instaurare un rapporto
con qualcuno simile a voi; tuttavia entrambi
potreste finire per allontanarvi così tanto da
trovarvi a danzare ai lati opposti della stanza.
D’altronde, una relazione con qualcuno che
vuole essere più coinvolto e stimolato può
trasformare la danza in un calvario. Non ho la
risposta giusta per voi. Ma so che le HS P
devono insistere nella danza e non devono
mai abbandonarla o desiderare che finisca.
Nel suo momento migliore, è un ritmo che
bilancia i bisogni di entrambi, capace di
riconoscere che i sentimenti cambiano. Con il
tempo, diventerete sempre più aggraziati e
arriverete a ballare sulle punte. Ora
guardiamo più da vicino le vostre relazioni
più strette.

Le relazioni strette fra due HSP


Stare vicini a un’altra HS P ha molti vantaggi.
Ognuno, finalmente, si sentirà compreso.
Dovrebbero esserci meno conflitti su cosa
significa “troppo” e sulla necessità di passare
del tempo da soli. Probabilmente avrete
passatempi simili.
Quanto agli svantaggi, probabilmente
entrambi trovate difficoltà nelle stesse cose,
per esempio chiedere informazioni a un
estraneo o fare spese. Così alla fine non farete
nulla. Inoltre, se entrambi tenete a distanza
gli altri, non ci sarà nessuno che vi forzerà a
una maggiore intimità e ad affrontare la
vostra insicurezza. Una relazione lasca
potrebbe andar bene a entrambi, ma avrebbe
un’aridità assente in una relazione con
qualcuno che chiedesse una maggiore
intimità. Ma questo dipende da tutti e due.
Lasciando da parte la psicologia spicciola, se
entrambi siete felici, non c’è legge, naturale o
umana, che vi imponga, per essere
soddisfatti, di essere più intimi.
Infine credo che, in genere, se due persone
hanno personalità simili la loro
comprensione reciproca sarà più forte, e i
loro conflitti minimi. Questo può risultare
noioso, ma anche creare il porto sicuro da cui
partire per viaggiare nel mondo esterno e in
quello interno. Al vostro ritorno, potrete
condividere indirettamente l’entusiasmo
delle reciproche esperienze.
Quando l’altro non è altamente sensibile
In una coppia che passa molto tempo
insieme, le differenze tenderanno a
consolidarsi. Se siete più bravi a leggere una
mappa o un estratto bancario, lo farete
sempre per entrambi e fra i due diventerete
l’esperto. Il problema nasce quando l’altro,
dovendo leggere una mappa o un estratto
bancario, si sentirà disperato e incapace.
(Benché talvolta si sorprenderà nello scoprire
che, avendo osservato l’altro, è più bravo di
quanto entrambi pensassero.)
Ognuno deve decidere autonomamente le
aree in cui si sente inetto, e ha bisogno di un
esperto, e quelle in cui non vuole essere un
incapace. Il rispetto di sé è un problema
importante, e credo che nelle coppie
eterosessuali sopravvivano stereotipi di
genere che tendono a influenzarle. Forse vi
sentite imbarazzati per non saper fare cose
che le persone del vostro sesso dovrebbero
saper fare. O forse, come me e mio marito, vi
sentite a disagio nello scoprire che aderite a
quegli stereotipi. (A me piacerebbe saper
cambiare una gomma e a lui cambiare un
pannolino.)
Questa “specializzazione” è più
problematica, e tende a essere ignorata,
quando si verifica in campo psicologico. Per
esempio, mentre uno dei due sente le
emozioni per entrambi, l’altro si mantiene
freddo. Oppure mentre uno prova soltanto
sentimenti positivi, e quindi non sviluppa
resilienza a paura, angoscia e così via, l’altro è
costretto ad affrontare ogni ansia e
depressione.
Quanto al tratto di personalità, chi è un po’
meno sensibile diventa l’esperto di tutto ciò
che potrebbe stressare l’altro. (Oppure, se
siete entrambi sensibili, potreste
specializzarvi in aree differenti.) La cosa è
vantaggiosa per entrambi. Ci sarà più calma,
e, mentre uno dei due si sentirà “colui che
aiuta”, l’altro si sentirà aiutato. In effetti la
persona meno sensibile potrebbe arrivare a
sentirsi indispensabile e anche a trovare tutto
ciò rassicurante.
Nel frattempo, il più sensibile si occuperà
dei dettagli. Alcuni potrebbero sembrare
poco importanti: avere nuove idee creative,
chiedersi perché si vive, approfondire il
dialogo, apprezzare la bellezza. Ma se c’è uno
stretto legame tra i due, ciò succede
probabilmente perché il meno sensibile ha
veramente bisogno di ciò che il più sensibile
apporta alla coppia, e lo apprezza. Senza
questo requisito, la spartizione dei compiti
non avrebbe uno scopo e probabilmente
sarebbe molto meno efficace. Talvolta la
persona più sensibile può anche percepire
tutto ciò, e sentirsi indispensabile e fin
troppo superiore.
In una relazione che dura da molti anni,
entrambi i partner possono essere soddisfatti
della particolare distribuzione dei compiti.
Ma soprattutto nella seconda metà della vita,
può capitare che uno dei due o entrambi si
sentano scontenti. Il desiderio di
completezza, di sperimentare anche l’altra
metà della vita, può diventare più forte del
desiderio di essere una coppia efficiente e di
evitare fallimenti. Inoltre se la
specializzazione diventa eccessiva, come può
succedere in un lungo matrimonio, una
persona può sentirsi così dipendente
dall’altra da arrivare a non percepire più la
propria possibilità di scegliere se rimanere
nella relazione stessa. Il partner più sensibile
può sentirsi incapace di vivere nel mondo
esterno, mentre l’altro può sentirsi incapace
di vivere nel mondo interiore. A questo
punto, il legame non è più l’amore, ma la
mancanza di alternative.
La soluzione è ovvia, ma non facile.
Entrambi devono essere d’accordo sul fatto
che la relazione deve cambiare, anche se per
un po’ la vita sarà meno semplice. Il più
sensibile deve cercare nuove esperienze,
assumersi maggiori responsabilità e talvolta
stare solo. Il meno sensibile deve affrontare
la vita senza l’aiuto psicologico dell’altro e
arrivare a dialogare con i particolari più sottili
di cui prende coscienza.
Se entrambi evitano di interferire e di
imporsi, ciascuno può “allenare” l’altro.
Altrimenti, il ruolo migliore è quello del
tifoso che se ne sta sugli spalti. O forse di chi
si dimentica per un po’ dell’altro, in modo che
il dilettante possa lottare senza essere
osservato e senza doversi vergognare dei suoi
sforzi. Se necessario, il dilettante sa dove
cercare l’esperto e trovare un aiuto affettuoso.
Questa è ancora una meravigliosa offerta.
Forse, in una simile situazione, è il dono più
grande per entrambi.

Le differenze nel livello ottimale di


stimolazione
Abbiamo preso in considerazione una
situazione in cui voi o il vostro partner meno
sensibile avete un comportamento che per
voi, il “sensibile,” è anche troppo comodo.
Ma ci sono molti casi in cui l’altro non
apprezza il fatto che voi siate così sensibili. E
ci sono casi in cui entrambi dopotutto fate le
stesse cose, ma solo uno si sente bene nel
farle. Qual è la vostra situazione?
Come rispondete alla richiesta affettuosa
di «darvi da fare» e di non «rovinare il
divertimento»? Questo è stato un dilemma
anche per me, dapprima da bambina, in
famiglia, e poi con mio marito. Se dicevo che
non potevo partecipare a qualcosa, anche gli
altri lasciavano perdere e io mi sentivo in
colpa, oppure loro procedevano da soli e io
mi sentivo trascurata. Un bel dramma! Non
comprendendo ancora il mio tratto di
personalità, la mia soluzione di solito era
accettare ciò che era stato pianificato dagli
altri. Qualche volta funzionava, ma altre volte
era un tormento, e finivo per star male. Non
mi meraviglia, dunque, il fatto che molte HS P
perdano il contatto con il loro “autentico
sé”. 9
Un anno in cui ci trovavamo in Europa e
mio figlio era ancora un bambino, facemmo
un viaggio con amici per alcune settimane
estive. Il primo giorno guidammo da Parigi
alla costa mediterranea e poi proseguimmo
lungo la Riviera francese fino all’Italia. Non
avevamo pensato che avremmo incontrato
altri europei che andavano in vacanza,
passando da una città all’altra, tutti in fila
indiana suonando i clacson, in mezzo a
ciclomotori scoppiettanti. Dovevamo decidere
in quale città e in quale albergo fermarci,
trasformando le nostre fantasie sulla Riviera
in realtà, ma non avevamo prenotato e non
avevamo molto denaro. Mio figlio, dopo
essere stato allegro per ore usandomi come
un trampolino elastico, si stancò e incominciò
a piangere e ad agitarsi, e infine si mise a
gridare. Al tramonto non eravamo per niente
rilassati.
Trovata finalmente una camera in un
albergo, bramavo intensamente un po’ di
riposo e desideravo mettere a letto il
bambino. A quel tempo, non capivo che avevo
a che fare con uno specifico tratto di
personalità: sapevo soltanto che quelli erano i
miei bisogni immediati.
Mio marito e gli amici erano invece pronti
ad andare al casino di Monte Carlo. Come
molte HS P , non amo il gioco d’azzardo,
eppure quella mi sembrava un’occasione
allettante. Ma non c’era modo di andare.
Forse se si fosse trovata una babysitter... Non
volevo restare in albergo.
Alla fine non andai. Mentre mio figlio
dormiva, io rimasi sveglia sentendomi triste,
invidiosa degli altri, sola in un posto
estraneo. Ovviamente, quando gli altri
tornarono, tutti allegri, mi raccontarono
storie divertenti ripetendo di continuo
«avresti dovuto esserci...». Io non ero andata
e non avevo neppure dormito, e poi non
avevo dormito perché ero irritata per non
aver dormito!
Come sarebbe stato bello conoscere allora
quello che so adesso. Il sovraccarico si
trasforma facilmente in preoccupazioni e
rimpianti – qualsiasi cosa sia più vicino a voi
– e, se andate a letto, non significa che
dormirete: potreste essere troppo agitati. Ma
è anche il miglior posto in cui stare. E c’è
sempre un’altra possibilità, per esempio
visitare Monte Carlo. Ma soprattutto, può
essere meraviglioso stare a casa una volta che
abbiate accettato l’idea che volete davvero
rimanere lì.
In queste situazioni il vostro amico o
partner si trova in grande imbarazzo.
Desidera che andiate con lui, e, poiché in
passato la cosa ha funzionato, è tentato di
spingervi. E non solo sente la vostra
mancanza se esce senza di voi, ma si sente
profondamente in colpa per avervi lasciato da
sola.
Credo che in queste situazioni, le HS P
debbano prendere una decisione in modo da
non dover poi incolpare qualcun altro.
Dopotutto, voi siete coloro che conoscono
meglio ciò che sentite e ciò che vi piace. Se
esitate a fare qualcosa per paura della
sovrastimolazione – e non in base al vostro
reale stato di stanchezza –, dovete mettere su
un piatto della bilancia questo aspetto
negativo e sull’altro il divertimento che
potreste provare. (E dovete anche aggiungere
sul piatto degli aspetti positivi la possibilità
di vincere la vostra ulteriore paura – ereditata
dall’infanzia – di ciò che non vi è familiare.)
Soppesate tutto ciò, decidete da soli e agite.
Se la scelta si dimostra un errore, sarete gli
unici responsabili. Ma almeno avrete tentato.
Se invece capite che siete sovrastimolati e che
avete bisogno di restare a casa, fatelo con
grazia, minimizzate i rimpianti ed esortate gli
altri a divertirsi senza di voi.

Il bisogno quotidiano di stare soli


Un altro problema frequente in una relazione
con un partner o con un amico meno
sensibile è il vostro bisogno di restare soli,
proprio per ripensare alla giornata e per
assimilarla. L’altro può sentirsi respinto, o
semplicemente desidera ancora la vostra
compagnia. Spiegate loro perché avete
bisogno di una pausa. Specificate quando
sarete disponibili di nuovo e mantenete la
promessa. O magari preferite restare in
compagnia, ma in silenzio.
Se incontrate resistenza al vostro bisogno
di solitudine, dovete discutere a fondo
l’argomento. Avete diritto a esperienze e a
bisogni personali. Ma dovete anche capire
che non sono quelli del partner o dell’amico,
e che sono diversi da quelli della
maggioranza delle persone. Perciò cercate di
ascoltare e di capire il punto di vista
dell’altro. Forse lui vuole negare qualsiasi
differenza tra di voi. O forse teme che ci sia in
voi qualcosa di negativo, una malattia o un
difetto. Potrebbe provare un senso di perdita
perché questo tratto della vostra personalità
sembra rendere impossibile vivere insieme
certe avventure, reali o immaginarie.
Potrebbe provare ira o pensare che dobbiate
farvi perdonare.
È utile ricordare all’altro, con modestia e
con tatto, tutte le esperienze positive che il
vostro tratto di personalità gli ha permesso. E
dovete stare attenti a non usare la vostra
sensibilità come una scusa per fare sempre i
vostri comodi. In realtà, voi potete tollerare
alti livelli di stimolazione, specialmente
quando vi trovate con qualcuno che vi rilassa
e vi fa sentire sicuri. Qualche volta un vostro
sincero sforzo per andare d’accordo con
l’amico o con il partner sarà apprezzato. Può
funzionare bene. In caso contrario, avrete
dimostrato i vostri limiti, ma possibilmente
evitate di dire: «Te l’avevo detto». È chiaro che
si è tutti più felici, più sani e meno irritati
quando ognuno riconosce e rispetta il livello
ottimale di arousal del partner. Ciascuno
incoraggerà l’altro a fare ciò che ritiene
necessario – uscire, divertirsi, rimanere a
casa, riposarsi – per mantenere una
situazione di benessere.
Quando affermate i vostri bisogni,
ovviamente possono venire a galla altri
problemi. Se la relazione si trova già su un
terreno instabile, presentare il vostro tratto di
personalità come un fattore con cui l’amico o
il partner dovranno convivere può provocare
un terremoto più forte. Ma se la linea di faglia
è già estesa, non accusate il vostro tratto di
personalità o la difesa che ne fate,
indipendentemente da quanto possa
diventare un fattore di discussione.

La paura di una comunicazione sincera


L’alta sensibilità può rafforzare soprattutto la
comunicazione più profonda. Voi cogliete con
più facilità gli indizi sottili, le sfumature, i
paradossi, le ambivalenze e i processi
inconsci. Sapete che questo tipo di
comunicazione richiede pazienza. Siete
abbastanza leali, coscienziosi e consapevoli
del valore della relazione per essere
disponibili a darle tempo.
Il problema principale è, come al solito, la
sovrastimolazione. Se vi trovate in questo
stato potreste essere estremamente
insensibili a tutto ciò che vi circonda,
compresi coloro che amate. Potreste sempre
incolpare il vostro tratto: «ero troppo stanco,
troppo teso», ma è vostro dovere fare ogni
tentativo per comunicare in modo chiaro o
per far capire all’altro, magari in anticipo,
quando siete incapaci di controllarvi.
Probabilmente le HS P compiono i maggiori
errori di comunicazione quando cercano di
evitare il sovraccarico causato da malintesi.
Credo che la maggior parte degli esseri
umani, ma specialmente le HS P , abbiano
paura dell’ira, dei confronti, delle lacrime,
dell’ansia, delle “scenate,” di affrontare
cambiamenti (che implicano sempre la
perdita di qualcosa), di essere costretti a
trasformarsi, di venire giudicati o mortificati
a causa dei loro errori, oppure di giudicare o
mortificare qualcun altro.
Forse sapete razionalmente – lo avete
appreso da letture, esperienze o dalla terapia
di coppia – che un individuo deve
attraversare tutte queste situazioni per
mantenere fresca e viva una relazione. Ma per
qualche ragione tale conoscenza non aiuta
quando viene il momento di vivere e rivelare
simili sentimenti.
Inoltre, il vostro intuito è abituato a
“saltare avanti”. In un mondo molto reale,
pieno di stimoli, semiconscio e immaginario,
voi state già sperimentando i vari modi, per la
maggior parte dolorosi, in cui può svilupparsi
la conversazione con il vostro partner.
Esistono due modi per vincere le paure.
Primo, dovete diventare consapevoli di ciò
che state immaginando, e quindi immaginare
altre possibilità – per esempio, come sarà
dopo che il conflitto sarà risolto o come sarà
se non affronterete il problema. Secondo,
potete discutere con l’amico o il partner su
che cosa vi impedisce di essere più aperti.
Dire una frase come «vorrei parlarti di questa
cosa, ma non posso farlo se tu reagisci
dicendo quest’altra cosa» potrebbe essere una
tecnica manipolativa, ma potrebbe anche
condurre a un approfondimento della
comunicazione.

La necessità di tregue durante i conflitti


Una coppia in cui uno o entrambi i partner
siano HS P ha bisogno di stabilire regole
speciali per le comunicazioni più stressanti,
che sono di solito le discussioni. Presumo che
abbiate già bandito gli insulti, la confusione
tra l’attuale conflitto e i problemi del passato
e il cattivo uso di confidenze condivise
quando entrambi vi sentivate sicuri e intimi.
Ma, per gestire le eccessive sollecitazioni,
potreste accordarvi su altre regole. Per
esempio, prendere tempo.
In generale, dovremmo evitare di
andarcene nel bel mezzo di una discussione
(o tirar fuori la frase «è meglio finirla qui»).
Ma quando qualcuno prova un forte desiderio
di allontanarsi, vuol dire che si sente
disperato e in difficoltà perché le parole non
funzionano più. A volte la causa può essere il
senso di colpa per aver scoperto un lato di sé
molto spiacevole. Questo è il momento in cui
l’altro deve arretrare, mostrare un po’ di
simpatia e non infierire mortificando
maggiormente il partner. A volte quello con le
spalle al muro si sente ancora nel giusto, ma
è in preda al panico. Le parole sono troppo
veloci, troppo taglienti e non c’è via di uscita.
L’ira aumenta, e andarsene è l’unico modo
sicuro per esprimerla.
In ogni caso, se siete HS P , potreste trovarvi
talvolta così sovrastimolati dal litigio che
quella discussione diventa rapidamente uno
dei peggiori momenti della vostra vita. Dal
momento però che, senza qualche
discussione legittima, la vostra relazione è
destinata a diventare arida e debole, volete
che entrambe le parti considerino le dispute
qualcosa di utile, anche se sul momento
doloroso. Ecco che cosa significa essere
persone civili. Quindi non vergognatevi a
chiedere una tregua. Create una via di fuga,
anche se solo per cinque minuti, un’ora o una
notte per dormirci su. Nessuno se ne sta
andando, state semplicemente rimandando.
Aspettare di finire una discussione può
essere difficile per entrambi, quindi tutt’e
due dovete essere d’accordo sulla tregua.
Discutete in anticipo questa regola, che
dovete considerare come un aiuto, non un
ripiego. Alla fine potreste trovare tale metodo
così vantaggioso da adottarlo spesso in
futuro. Le cose sembrano sempre diverse
dopo una tregua.

Il potere delle metacomunicazioni positive e


dell’ascolto riflessivo
Metacomunicare significa parlare del modo
in cui parlate o di quello che percepite in
generale, al di là delle singole circostanze. 10
Un esempio di metacomunicazione negativa
potrebbe essere: «Spero che tu sia
consapevole che, anche se sto discutendo
questo problema con te, farò ciò che voglio».
Oppure: «Hai notato che ogni volta che
discutiamo diventi irrazionale?». Simili
dichiarazioni fanno spesso precipitare la
discussione. Evitatele: sono armi distruttive.
Le metacomunicazioni positive, invece,
stabiliscono un tetto sicuro a un’eventuale
escalation. Per esempio: «So che stiamo
discutendo in modo animato e pesante, ma
devi sapere che voglio risolvere tutto questo.
Tengo a te e apprezzo che tu stia affrontando
la situazione con me».
Le metacomunicazioni positive sono
importanti in tutti i momenti di tensione
della coppia. Abbassano il livello di arousal e
di ansia, ricordando a entrambi che sono
interessati l’uno all’altro e che le cose
probabilmente si sistemeranno. Le coppie in
cui uno o entrambi sono HS P dovrebbero
includerle nei loro abituali strumenti
relazionali.
Suggerisco anche di tentare l’“ascolto
riflessivo”. Questo valido strumento risale
agli anni Sessanta, e probabilmente lo
conoscerete già. Ne parlo qui perché ha
salvato due volte il mio matrimonio, e non
esagero. Come avrei potuto tralasciarlo? È la
tecnica di rianimazione dell’amore e
dell’amicizia.
L’ascolto riflessivo consiste nello sforzarsi
di cogliere soprattutto ciò che prova l’altra
persona. Per essere sicuri di avere colto ciò
che sente, dovete provare a ripeterglielo.
Tutto qui. Tuttavia è più difficile di quanto
sembri. Prima di tutto questo discorso vi
sembrerà un po’ vago, “roba da terapeuti”. E
lo è, se eseguito in modo mirato. Ma questa
reazione può anche essere distorta da un
disagio nei confronti delle emozioni, un
problema che in parte dipende dal vostro
contesto culturale. Credetemi, il metodo
sembra molto meno strano alla persona che è
oggetto dell’attenzione. E, proprio come i
buoni giocatori di pallacanestro talvolta non
devono far altro che dribblare o tirare a
canestro, voi dovete praticare questo ascolto
di tanto in tanto concentrandovi
esclusivamente sulla sfumatura emotiva che
l’altro esprime, in modo da capire come fare il
passo successivo. Perciò allenatevi a questo
esclusivo e puro ascolto riflessivo almeno una
volta, preferibilmente con qualcuno che vi sia
vicino.
Siete ancora incerti? Un’altra ragione per
concentrarsi sulle emozioni è che queste
vengono raramente ascoltate. Invece noi
vogliamo che siano riconosciute, almeno
nelle nostre relazioni più intime. E le
emozioni sono più profonde delle idee e dei
fatti perché spesso li colorano, li controllano
e li confondono. Quando comprendiamo con
chiarezza ciò che sentiamo, anche le idee e i
fatti diventano chiari.
Praticare l’ascolto riflessivo durante un
litigio vi costringe a capire quando siete
ingiusti, quando è il momento di superare
certi bisogni e di rinunciare a certe abitudini.
Arriverete a percepire l’impatto negativo che
state avendo senza necessariamente
difendervi, evitare le brutte notizie o essere
sovrastimolati e feriti in modo tale che l’altro
debba prendersi cura di voi. Questo ci
conduce a un tema molto importante.

L’ASCOLTO RIFLESSIVO
Quando lo praticate come esercizio,
ponetevi un limite di tempo (da dieci a
quarantacinque minuti, al massimo). Poi
rovesciate i ruoli, dando all’altro lo stesso
tempo. Ma non fatelo subito. Aspettate
un’ora, o anche un giorno. Se il tema è un
conflitto o l’ira tra voi due, attendete ancora
prima di discuterlo. Se volete, potete
prendere delle note su ciò che intendete dire.
Ma la cosa migliore è dare voce alle vostre
reazioni durante il vostro turno di ascolto
riflessivo.

Le cose da fare:

1. Assumete la posizione di uno che vuole


veramente ascoltare. Sedetevi senza
incrociare le braccia e le gambe. Magari
inclinatevi un po’ in avanti. Guardate
l’altro. Non controllate l’orologio.
2. Attraverso le parole o il tono della voce,
“riflettete” le emozioni che vengono
espresse. I contenuti fattuali sono
secondari e verranno fuori quando
parlerete, perciò siate pazienti. Se
pensate che stiano per emergere altre
emozioni, aspettate finché non
vengano espresse verbalmente o che
siano del tutto chiare nel tono della
voce.

Per cominciare con un semplice esempio che


dimostri come enfatizzare la riflessione delle
emozioni, supponiamo che il vostro partner
dica: «Non mi piace il cappotto che indossi».
In questo esercizio, volto a mettere l’accento
sull’emozione, voi potreste rispondere:
«Davvero non ti piace questo cappotto?».
Non dite: «Davvero non ti piace questo
cappotto?», il che sposterebbe l’attenzione
sul capo di vestiario, come se domandaste
che cosa abbia di brutto. E non dite:
«Davvero non ti piaccio con questo
cappotto?», il che sposterebbe invece
l’attenzione su voi stessi (di solito in maniera
difensiva).
Ma questi semplici esempi possono svelare
molto di più. Per esempio, il vostro partner
risponde alla vostra riflessione di tali
emozioni dicendo: «Sì, questo cappotto mi
fa sempre pensare all’inverno scorso». Qui,
però, non emergono molti sentimenti. Perciò
aspettate.
Il vostro partner continua: «Odiavo vivere in
quella casa». E voi enfatizzate di nuovo il
contenuto emotivo dicendo: «Sì, per te era
davvero brutta». Non dite: «Perché?». E
nemmeno: «Ho cercato di farci uscire da
quella casa il più presto possibile». E presto
ascolterete particolari dell’ultimo inverno che
non avevate mai saputo. «Sì, capisco ora che
non sono mai stato così solo, anche se tu eri
nella stessa stanza». Particolari che hanno
bisogno di essere discussi. Ecco dove la
considerazione della componente emotiva di
ciò che l’altro dice vi può portare,
esattamente all’opposto che se vi foste
focalizzati sui fatti o sui vostri stessi
sentimenti.

Le cose da non fare:

1. Non ponete domande.


2. Non date consigli.
3. Non parlate di vostre esperienze simili.
4. Non analizzate e non interpretate.
5. Non fate niente che possa distrarre o
non riflettere l’esperienza delle emozioni
altrui.
6. Non scivolate in un lungo silenzio,
lasciando che l’altro faccia un
monologo. Il vostro silenzio deve
essere solo metà dell’“ascolto
riflessivo”. Quando viene ritmato bene,
offre all’altro lo spazio per andare più a
fondo. Ma continuate a “riflettere” ciò
che è stato detto. Usate l’intuito per
ritmare i due momenti.
7. E indipendentemente da ciò che l’altro
dice, non difendetevi e non esprimete
la vostra opinione sull’argomento. Se
necessario, potrete sottolineare dopo
che il vostro ascolto non ha voluto dire
che siete d’accordo. Mentre i vostri
presupposti sulle emozioni potrebbero
essere sbagliati (e voi potreste reagire
in modo sbagliato a causa di ciò che
percepite), le emozioni in se stesse non
sono né giuste né sbagliate e, di solito,
se vengono rispettosamente ascoltate,
diminuiscono i problemi.
Le relazioni intime sono strade verso
l’individuazione
Nel capitolo 6 ho descritto ciò che gli
psicologi junghiani chiamano “processo di
individuazione”, ossia il processo attraverso
il quale ognuno trova e segue la propria
strada nella vita, imparando ad ascoltare le
voci interiori. Un altro aspetto di questo
processo è ascoltare proprio le voci o le parti
di noi stessi che abbiamo evitato,
disprezzato, ignorato o negato. Queste parti
in “ombra”, come dicono gli junghiani, sono
comunque necessarie per diventare persone
forti e complete, anche se viviamo metà della
vita nella paura che, se le conoscessimo, ne
saremmo distrutti.
Per esempio, qualcuno può essere convinto
di essere sempre così forte da non dover
ammettere nessuna debolezza. La storia e la
letteratura sono piene di lezioni su come una
tale negazione sia pericolosa, capace, alla
fine, di distruggere l’individuo. Ma esiste
anche l’opposto: persone convinte di essere
sempre deboli vittime innocenti, che
rinunciano alla loro forza personale in
cambio dell’opportunità di pensare se stesse
completamente buone e gli altri
completamente cattivi. Alcuni individui
negano la parte che amano; altri la parte che
odiano. E così via.
Il miglior modo per gestire gli aspetti in
ombra è conoscerli e stringere con essi
un’alleanza. Finora sono stata ottimista sulle
HS P , e ho parlato del loro coscienzioso senso
di responsabilità, della loro lealtà e delle loro
intuizioni. Ma non sarei onesta se non dicessi
che hanno anch’esse buone ragioni per
respingere e negare parti di se stesse. Alcune
negano la loro forza, il loro potere e le loro
capacità di essere talvolta dure e non
sensibili. Altre negano le loro parti
irresponsabili e poco affettuose. E altre
ancora negano il loro bisogno degli altri, la
loro necessità di stare sole o la loro rabbia, o
tutti questi aspetti insieme.
Conoscere queste parti rifiutate è difficile,
perché di solito ci sono buone ragioni per
averle negate. E se i vostri amici capiranno
qualcosa dei vostri lati bui, probabilmente
esiteranno a parlarvene. Ma in una relazione
molto stretta, specialmente se vivete insieme
o se dovete contare l’uno sull’altro, non si
può evitare di vedere e di discutere – talvolta
con calore – gli aspetti negativi dell’altro. In
effetti, si può dire che una relazione stretta
inizia veramente quando venite a conoscenza
di questi aspetti reciproci, e decidete se volete
conviverci o cambiarli.
Mostrare i propri aspetti peggiori è
doloroso e mortificante. Tant’è vero che
avviene soltanto quando siete costretti a farlo
da qualcuno che vi sta a cuore e quando
capite che non sarete abbandonati solo
perché avete parlato – o perché le possedete –
di queste “orribili” parti segrete. Quindi una
relazione stretta è la via migliore per
assimilarle, per ottenere l’energia positiva che
avevate perduto nascondendoli e per
individuare la via verso la saggezza e
l’integrità.

L’espansione di sé nelle relazioni intime


Gli esseri umani hanno un forte bisogno di
crescere ed espandersi: non per estendere il
territorio, le proprietà o il potere, ma per
ampliare la nostra conoscenza, la coscienza e
l’identità. Un modo per farlo è includere gli
altri nel nostro sé. Così smettiamo di essere
“io” e diventiamo qualcosa di più grande:
“noi”. 11
Quando ci innamoriamo per la prima
volta, l’auto-espansione dovuta all’inclusione
dell’altro nella nostra vita è rapida. Ricerche
sul matrimonio, però, mostrano che dopo
alcuni anni, la relazione diventa molto meno
soddisfacente. 12 Comunque una buona
comunicazione ne rallenta il declino 13 che
può essere ulteriormente rallentato o
rovesciato grazie al processo di
individuazione già descritto. Mio marito e io
abbiamo compiuto ricerche che hanno
scoperto un nuovo modo per aumentare la
soddisfazione reciproca. In parecchi studi su
anziane coppie sposate, abbiamo riscontrato
che i coniugi erano molto più contenti della
loro relazione se facevano insieme cose che
definivano «eccitanti» (non necessariamente
«piacevoli»). 14 Sembra logico: se non potete
più espandervi incorporando nuovi aspetti
dell’altro, potete ancora svilupparvi nella
relazione svolgendo insieme nuove attività.
Ma a una HS P la vita può sembrare già sin
troppo stimolante, e quando tornano a casa
vuole solo stare tranquilla. Ma state attenti a
non rendere la vostra relazione troppo
monotona, senza mai fare niente di nuovo.
Forse le vostre giornate di lavoro devono
essere meno stressanti. Oppure dovete
cercare qualcosa che vi “espanda” senza
sovrastimolarvi: un concerto di una musica
tranquilla ma straordinariamente bella, una
discussione sui sogni della notte scorsa, un
nuovo libro di poesia da condividere accanto
al caminetto. Non è necessario andare
insieme sulle montagne russe.
Se la relazione è stata una fonte di
benessere, merita anche di continuare a
essere una fonte soddisfacente di espansione
di sé.

Le HSP e la sessualità
Questo argomento meriterebbe grandi
ricerche e un libro a parte. La nostra cultura
ci fornisce moltissime informazioni su ciò che
è giusto e ciò che non lo è. Ma tali
informazioni provengono da un 80 per cento
di persone che non sono HS P . Che cosa è per
noi giusto e normale? Non ne sono sicura ma
sembra plausibile che, se siamo più sensibili
alla stimolazione in genere, dovremmo anche
essere più sensibili alla stimolazione
sessuale. Il che potrebbe rendere la nostra
vita sessuale più soddisfacente. Potrebbe
anche significare che abbiamo meno bisogno
di varietà. Se siamo già sovrastimolati da una
certa situazione, ciò naturalmente potrebbe
interferire con il nostro comportamento e con
il nostro piacere sessuale. Ormai conoscete
abbastanza dati, in teoria e in pratica, sul
vostro tratto di personalità da capire come la
vostra sessualità ne sia influenzata. Se questa
area della vostra esistenza è stata stressante e
confusa, potreste anche eseguire l’esercizio di
ricontestualizzazione su alcune delle vostre
esperienze sessuali.

Le HSP e i bambini
I bambini sembrano crescere bene quando i
loro genitori sono sensibili. E io ho incontrato
molti caretaker altamente sensibili 15 che
curavano amorevolmente i loro figli e i
bambini altrui. Ne ho anche incontrati alcuni
che, a causa della loro sensibilità, non
avevano figli o avevano limitato la famiglia a
un solo bambino. Ovviamente, questo
dipendeva in parte dalle loro esperienze
passate con i bambini (erano state piacevoli o
troppo stressanti?).
Quando pensate alla possibilità di avere
bambini, è bene ricordare che i vostri figli e la
futura famiglia saranno simili a voi. Avranno
i vostri geni e la vostra eredità psicologica.
Quando le famiglie sono rumorose, chiassose
o piene di discussioni, spesso ciò dipende dal
fatto che i loro membri trovano tale
situazione confortevole o piacevole. Ma la
vostra vita famigliare può essere diversa.
D’altronde, non si può negare che i
bambini accrescano molto la stimolazione.
Per una HS P coscienziosa rappresentano una
grande responsabilità, oltre che una gioia.
Dovrete seguirli nel mondo e assisterli nelle
varie scuole che frequenteranno, dall’asilo
alle superiori. Dovrete incontrare altre
famiglie, dottori, dentisti, ortodontisti,
insegnanti di musica e così via. Mentre
cresceranno, vi porteranno in casa il mondo
intero e le sue preoccupazioni:
preoccupazioni riguardo al sesso, la droga, la
guida di un’auto, la corretta educazione, la
ricerca di un lavoro o di un partner. Ci
saranno molti problemi di cui occuparsi (e
non è scontato che abbiate sempre un partner
accanto, durante l’intero processo). E dovrete
rinunciare a fare altre cose, questo è certo.
Ma anche non avere figli può essere una
scelta giusta per voi. Non possiamo aver tutto
in questo mondo. Talvolta è intelligente
riconoscere i propri limiti. Su questo
argomento, in effetti, spesso dico che è
meraviglioso non avere figli. E che è
meraviglioso averne. A ciascuno la propria
meraviglia.

La sensibilità arricchisce le relazioni


Che siate HS P estroverse oppure introverse, la
vostra maggiore realizzazione sociale avviene
proprio nel campo delle relazioni intime.
Questa è un’area della vita in cui quasi tutti
conseguono conoscenze profonde tramite
grandi soddisfazioni, e in questo ambito voi
potete brillare. Potete aiutare gli altri e voi
stessi applicando la vostra sensibilità a tali
relazioni.
LAVORARE CON CIÒ CHE AVETE
IMPARATO
Il triangolo: tu, io e il mio (o il nostro) tratto di
sensibilità

Dovete eseguire l’esercizio che segue con una


persona con cui avete una relazione stretta. Se non
avete nessuno, immaginate di farlo con qualcuno
con cui avete avuto una relazione in passato o con
cui sperate di averla in futuro. Imparerete molte
cose.
Se qualcuno c’è, ma non ha letto questo libro,
fategli leggere il primo capitolo e anche queste
pagine, prendendo nota di tutto ciò che sembra
insolitamente attinente alla vostra relazione. Può
anche essere utile leggerne insieme alcune parti a
voce alta. Poi prendetevi del tempo per riflettere
sulle seguenti domande. (Se entrambi siete HSP,
ponetevi le domande a vicenda, prima l’uno e poi
l’altro.)
1. Quali aspetti del vostro carattere l’altro pensa
siano dovuti alla vostra natura di HSP?
2. Quali aspetti, legati alla vostra sensibilità,
l’altro vorrebbe cambiare? Tenete a mente che
il problema non è stabilire quali aspetti siano
“negativi”, ma quali creino difficoltà in
situazioni particolari o in relazione ai tratti o
alle abitudini dell’altro.
3. Quali, fra i conflitti che avete avuto, sono stati
provocati dalla vostra natura di HSP?
4. Discutete ogni caso in cui l’altro desidera che
teniate conto della vostra sensibilità e
proteggiate maggiormente voi stessi.
5. Discutete ogni caso in cui avete usato la vostra
sensibilità come una scusa per non fare
qualcosa o come un’arma in una lite. Se la
discussione diventa troppo accesa, usate
l’ “ascolto riflessivo” per contenerla.
6. Nelle vostre famiglie c’era qualcun altro
altamente sensibile? Che effetto può aver
avuto il vostro rapporto con questa persona
sulla vostra relazione? Per esempio,
immaginate una donna altamente sensibile
sposata con un uomo la cui madre sia stata a
sua volta altamente sensibile. Il marito
dovrebbe essere ben disposto verso questa
caratteristica. Diventarne consapevoli potrebbe
migliorare le relazioni fra i tre: lui, sua moglie e
sua madre.
7. Discutete su che cosa ciascuno guadagna
“specializzandosi”, l’uno a essere più sensibile e
l’altro meno. Oltre all’efficienza della coppia e a
specifici benefici, apprezzate il fatto che l’altro
abbia bisogno dei vostri talenti? Vi sentite
indispensabile all’altro? Vi sentite a vostro agio
quando fate qualcosa che l’altro non può fare?
8. Discutete su ciò che ciascuno perde a causa di
tale “specializzazione”. Che cosa vorreste poter
fare per voi stessi che l’altro ora fa per voi?
Siete stanchi che l’altro dipenda da voi quando
siete impegnati in questa operazione di
“specializzazione”? Avete meno rispetto per il
vostro partner dato che certe cose vi riescono
meglio? Questo abbassa il senso di autostima
dell’altro?
8
Guarire le ferite più profonde
Un processo diverso per le HS P

Ricordando un amico sensibile del passato


Durante la scuola superiore conoscevo un
ragazzo di nome Drake. A quel tempo era il
secchione della classe. Oggi dovrei dire che
era una HS P .
A parte questo, Drake aveva parecchi
problemi. Era nato con un difetto congenito
al cuore, soffriva di epilessia, di varie allergie
e aveva una pelle così chiara che non poteva
tollerare il sole. Non potendo fare sport o
perfino uscire di casa, era completamente
escluso dalla normale vita dei ragazzi.
Naturalmente divenne molto studioso, e fin
dall’adolescenza si appassionò alle idee. Si
appassionò anche alle ragazze, come la
maggioranza dei giovani a quell’età.
Le ragazze, ovviamente, non volevano aver
niente a che fare con lui. Credo che non
osassimo accogliere le sue attenzioni perché
il suo bisogno di essere accettato era troppo
intenso, e farlo avrebbe rappresentato una
condanna sociale per chiunque di noi. Lui si
innamorava delle ragazze in un modo così
timido e appassionato che tutti lo prendevano
in giro. Il divertimento più grande per molti
suoi compagni di classe era mettere le mani
sulle sue poesie d’amore rifiutate e leggerle a
voce alta per tutta la scuola.
Fortunatamente Drake fu inserito in un
programma per studenti talentuosi e questo
accrebbe il nostro grado di accettazione nei
suoi confronti. Ammiravamo i suoi temi e i
suoi commenti in classe. Infine fummo
orgogliosi di lui quando ricevette una borsa
di studio da una prestigiosa università.
Probabilmente provò molta più paura di
noi nel lasciare la scuola per il college.
Significava dover vivere giorno e notte con
persone della sua età, le stesse che in passato
gli avevano reso la vita impossibile.
Ovviamente non poteva rifiutare quella
possibilità. Ma come sarebbe andata? E come
si sarebbe sentito a lasciare la sua casa
protetta e il sostegno medico?
La risposta arrivò dopo le prime vacanze di
Natale. La prima notte in cui si ritrovò nella
sua stanza del college, Drake si impiccò.

Sanare le ferite psicologiche per una HSP


Con questa storia non intendevo spaventarvi:
Drake aveva certamente molte difficoltà. È
raro che le HS P facciano una fine del genere.
Ma questo capitolo, per essere utile, deve
servirvi sia da avvertimento che da
consolazione. Le mie ricerche dicono
chiaramente che le HS P che hanno affrontato
grandi difficoltà nell’infanzia e
nell’adolescenza sono soggette a un maggior
rischio di ansia, di depressione e di suicidio,
finché non arrivano a comprendere il loro
passato e il loro tratto di sensibilità e non
incominciano a guarire le proprie ferite.
Anche le HS P con seri problemi nell’età
adulta hanno bisogno di un’attenzione
speciale. Le non-HS P , invece, non arrivano
semplicemente a capire molti dei sottili e
stressanti aspetti di queste situazioni. Il
tratto in sé non è un difetto; ma, come uno
strumento o una macchina attentamente
calibrata o un animale molto vivace allevato
con mille cure, voi HS P avete bisogno di un
trattamento particolare. Invece molti, da
bambini, hanno ricevuto un trattamento
mediocre o perfino deleterio.
In questo capitolo discuterò dei vari modi
per affrontare le difficoltà passate e presenti,
per lo più attraverso la psicoterapia intesa nel
suo senso più ampio. Parlerò anche dei pro e
dei contro della psicoterapia per le HS P che
non hanno problemi particolarmente
significativi, dei differenti approcci, di come
scegliere un terapeuta e così via. Ma ora
incomincerò dal problema delle ferite
infantili.

Quanto è importante l’infanzia?


Non credo che la nostra vita psicologica si
riduca a quel che ci è successo mentre
crescevamo. Anche il presente conta – le
persone che ci influenzano, la nostra salute
fisica, l’ambiente – e quel qualcosa capace di
spingerci verso il futuro. Come ho detto nel
capitolo 6 parlando della vocazione, credo che
ognuno di noi abbia almeno una parte della
risposta alla domanda della nostra
generazione, un compito da portare avanti
per i nostri tempi. E benché un passato
difficile sembri a prima vista ostacolare il
nostro scopo, talvolta invece lo rafforza.
Oppure è proprio questo il nostro scopo:
sperimentare e comprendere in pieno un
certo tipo di problema umano.
Voglio anche sottolineare un errore
comune di molti psicoterapeuti, quelli che
ancora non capiscono le HS P . Naturalmente,
essi cercano qualcosa nell’infanzia delle HS P
che spieghi quei “sintomi” che per noi sono
la normalità. Possono pensare che le HS P
tendano a “ritrarsi troppo”, che riferiscano
“senza alcun motivo” sensazioni di
dissociazione, che soffrano di un’ansia
“eccessiva” o “nevrotica” o che abbiano
“insoliti” problemi sul lavoro, nelle relazioni
intime o nella sessualità. Trovare una
spiegazione per tali comportamenti è di
solito un sollievo sia per il terapeuta sia per il
paziente: è come se scoprissimo che qualcuno
in passato ci aveva fatto qualcosa di male che
abbiamo dimenticato o sottovalutato.
Penso che le persone le cui reali difficoltà
sono iniziate a causa del loro tratto di
personalità (magari frainteso o mal gestito) si
sentano grandemente sollevate e rassicurate
quando identificano le caratteristiche basilari
della loro sensibilità. Però c’è ancora tanto
altro lavoro da fare in psicoterapia, per
esempio ricontestualizzare le esperienze e
imparare a convivere con quel tratto di
personalità, ma naturalmente bisogna
spostare il fuoco dell’attenzione. Credo anche
che la gente non sappia di cosa parla quando
dice: «Oh, andiamo! L’infanzia è difficile per
tutti. Nessuna famiglia è perfetta. Tutti hanno
uno scheletro nell’armadio. È puerile
continuare per anni con la psicoterapia.
Guardate i loro fratelli e le loro sorelle: hanno
avuto gli stessi problemi, ma non se ne
preoccupano tanto. Vanno avanti lo stesso».
L’infanzia non è uguale per tutti. In alcuni
casi è veramente orribile. E può essere
diversa per i vari membri di una stessa
famiglia. Le analisi statistiche sull’influenza
dell’ambiente famigliare sui bambini di una
stessa famiglia non mostrano mai situazioni
identiche. 1 I vostri fratelli o le vostre sorelle
hanno vissuto un’infanzia del tutto diversa.
Ognuno ha una posizione differente
all’interno di una famiglia, differenti
esperienze, in un certo senso differenti
genitori, dato che gli adulti cambiano con le
circostanze e con l’età. Infine, voi eravate
altamente sensibili.
Gli individui che sono nati altamente
sensibili sono più intensamente influenzati
dagli eventi. Inoltre in una famiglia i membri
più sensibili diventano il centro
dell’attenzione. Soprattutto in una famiglia
complicata, essi diventano per esempio i
veggenti, i pacificatori, i bambini prodigio, i
bersagli, i martiri, i pazienti, i genitori o i
deboli la cui protezione diventa lo scopo della
vita di qualcun altro. Nello stesso tempo,
vengono disattese le necessità particolari del
bambino ipersensibile, che vorrebbe sentirsi
sicuro nel mondo.
Insomma, è vero che la “stessa” infanzia o
un’infanzia “buona” possono essere più dure
per voi che per gli altri famigliari o per gli
altri bambini con un passato simile. E se
pensate di aver bisogno dell’aiuto della
psicoterapia per guarire le ferite infantili,
fatelo senza indugi. Ogni infanzia ha una
propria storia, che merita di essere ascoltata.

Come Dan sopravvisse


All’inizio le risposte di Dan alle mie
domande furono quelle tipiche di una HS P ,
anche se spinte all’estremo. Si considerava
profondamente introverso, e aveva sempre
avuto bisogno di stare a lungo da solo.
Odiava qualsiasi forma di violenza. Disse che
gestiva la contabilità di un grande ente non
profit, dove pensava di essere apprezzato per
la gentilezza e per la «diplomazia». Trovava
troppo stressanti la maggior parte delle altre
situazioni sociali. Ma poi la conversazione
tornò sul suo odio nei confronti della
violenza.
Dan ricordò le frequenti zuffe con il
fratello, che lo buttava a terra, lo picchiava e
gli dava calci. (Gli abusi tra fratelli rimangono
una delle forme meno studiate di violenza
famigliare.) Intanto io mi domandavo quale
altro problema ci fosse sotto, e perché la
famiglia permettesse tutto ciò. Gli domandai
se sua madre lo avesse considerato un
bambino sensibile.
«Non lo so. Non era molto attenta.»
Si accese una spia. Come se mi leggesse
nel pensiero, Dan continuò: «Mia madre e
mio padre non mi dimostravano molto
affetto».
Annuii.
«In realtà erano strani. Non ricordo niente
di positivo su di loro. Coccole, o cose del
genere.» Poi la sua rigidità si attenuò. E uscì
fuori la storia della malattia mentale della
madre, mai curata: «Depressione cronica.
Schizofrenia. Personaggi televisivi che le
parlavano». Era anche un’alcolista: sobria da
lunedì a venerdì, «ubriaca fradicia» dal
venerdì sera alla domenica mattina. «Anche
mio padre era un alcolista. La colpiva, la
picchiava. Era sempre fuori controllo».
Quando era ubriaca, la madre gli
raccontava sempre la stessa storia, a
proposito della sua stessa madre che era
un’invalida, fredda e indifferente, di come era
stata allevata da una schiera di domestiche e
di bambinaie, della malattia di suo padre, di
come era stata costretta ad accudirlo da sola,
giorno dopo giorno, mentre lui moriva
lentamente. (Questa è una storia frequente:
mancanza di accudimento, che si ripete
generazione dopo generazione.)
«Lei piangeva sempre quando raccontava
queste storie. Era una brava donna. Era molto
sensibile. Molto più di me.» E proseguì: «Ma
anche malvagia. Trovava sempre il mio tallone
d’Achille. Aveva questa incredibile abilità».
(Le HS P non sono tutte sante.)
Dan era tormentato dalla terribile
ambivalenza che si sviluppa in un bambino
quando il suo protettore è anche un individuo
pericoloso.
Raccontava di come si nascondesse negli
armadi, sotto il lavandino del bagno,
nell’automobile, nel bovindo. Ma, come in
molte storie del genere, ci fu una persona che
lo salvò. Dan aveva una nonna paterna, una
donna rigida, «fanatica della pulizia», che
dopo la morte del marito si occupò del
piccolo.
«In uno dei miei primi ricordi sono seduto
con tre donne, sulla sessantina, che giocano a
canasta; ho sei anni e riesco a malapena a
tenere le carte in mano. Ma loro avevano
bisogno di un quarto e io, quando giocavo a
canasta, mi sentivo adulto e importante, e
potevo dir loro cose che non avrei potuto dire
a nessun altro.»
Questa nonna fornì a quel bambino
sensibile la stabilità necessaria perché
potesse sviluppare strategie di sopravvivenza.
Dan aveva anche una formidabile
resilienza. «Mia madre era solita mettersi a
sedere e dirmi frasi del genere: “Perché ti dai
tanto da fare? Non combinerai mai niente
nella vita. Non hai nessuna possibilità”. E io
mi ripromettevo di smentirla.»
Essere altamente sensibili non esclude il
fatto di essere, a modo nostro, dei tenaci
combattenti. E Dan lo dimostrò
raccontandomi il resto della storia.
A quattordici anni trovò un lavoro. C’era
un uomo, sul posto di lavoro, che Dan
seguiva attentamente perché era istruito e gli
parlava come se fosse un adulto. «Mi fidavo
di lui, e invece finii per essere molestato.» (Di
nuovo, la cosa importante non è il singolo
abuso, ma la situazione di fondo che lo rende
più probabile. Vista l’infanzia di Dan, la sua
fame di vicinanza doveva averlo portato a
trascurare sottili segni di pericolo. In più era
lento a proteggersi, dato che non aveva alcun
riferimento in tal senso: nessun altro lo aveva
mai preso in considerazione.)
Dan scrollò le spalle. «Perciò capii la
lezione: “Se riesci a superare tutto questo,
potranno buttarti addosso tutto quello che
hanno, ma non farà nessuna dannata
differenza. Se resisti a questo”.»
Dan sposò la sua fidanzatina dell’infanzia,
che aveva una famiglia disgregata e caotica
come la sua. Si impegnarono a far funzionare
il loro matrimonio e ci riuscirono per
vent’anni. Parte del successo fu dovuto al
fatto che avevano fissato limiti precisi nei
confronti delle rispettive famiglie. «Ora so
come prendermi cura di me stesso.»
Un grande aiuto venne da tre mesi di
psicoterapia a cui si era sottoposto l’anno
precedente, quando era caduto in una
profonda depressione. Aveva anche letto
molti libri sulla psicologia della
codipendenza e sui figli di alcolisti. Ma non
partecipò alle loro riunioni. Come molte HS P ,
non intendeva parlare della sua vita in una
stanza piena di estranei.
«Il diritto di fare ciò che io ho bisogno di
fare, questa è la cosa più importante.
Riconoscere la mia sensibilità e rispettarla.
Proiettare sul lavoro una calma positiva
orientata alla soluzione dei problemi. Fare in
modo di sembrare all’esterno qualcuno o
qualcosa che non sento dentro.»
Perché dentro «c’è un buco nero. Talvolta
non trovo una sola ragione per andare avanti.
Non mi importa di vivere o morire».
Poi, con lo stesso tono neutro, mi disse che
aveva un amico, uno psichiatra, che lo aveva
aiutato, e due altri amici che lo avevano
consigliato. E che era consapevole che la sua
sensibilità e la sua esperienza gli avevano
donato una grande ricchezza.
«Le cose mi commuovono profondamente.
E non voglio che mi manchi questa intensa
gioia.» Sorrise coraggiosamente. «So che c’è
molta solitudine al mondo. Mi ci è voluto
molto per apprezzare il dolore nell’esistenza.
Ma la vita ha bisogno di entrambe le cose.
Cerco una risposta spirituale.»
E così Dan sopravvive.

E il vostro passato?
Alla fine di questo capitolo avrete la
possibilità di valutare la vostra stessa infanzia
e ripensare a ciò che è stata. Voglio ribadire il
risultato delle mie ricerche di cui ho parlato
nel capitolo 4: le HS P sono maggiormente
influenzate da un’infanzia tormentata, che le
rende più ansiose e depresse da adulte.
Tenete anche presente che più presto si è
verificato o è iniziato il problema, e quanto
più è stato legato al comportamento del
vostro primo caretaker (solitamente la madre),
più gli effetti saranno profondi e durevoli. Per
tutta la vita dovrete avere molta pazienza con
voi stessi. Guarirete, ma a modo vostro, e con
alcune qualità che non avreste se non ci
fossero stati quei problemi. Per esempio,
sarete più coscienziosi, più complessi e più
comprensivi verso gli altri.
Non vi dimenticate che essere sensibili
nell’infanzia, anche in una famiglia
disfunzionale, ha dei vantaggi. È più
probabile che vi siate tirati indietro in più
occasioni e ci abbiate pensato su anziché farvi
invischiare completamente nelle situazioni.
Come Dan con la nonna, potreste aver capito
intuitivamente a chi chiedere aiuto. In
compenso, potreste anche aver sviluppato
importanti risorse spirituali interiori.
I miei primi intervistati erano anche
arrivati a credere che un’infanzia difficile sia
il destino delle anime destinate alla vita
spirituale. Queste circostanze infatti le
inducono a lavorare di più sulla loro vita
interiore, mentre gli altri conducono
un’esistenza più ordinaria. Come disse un
mio amico, «nei primi vent’anni ci viene dato
il nostro curriculum, e nei successivi venti lo
studiamo». Per alcuni di noi questo
curriculum equivale a una laurea a Oxford!
Da adulte, le HS P tendono ad avere
personalità portate al lavoro su se stesse e
alla guarigione interiore. In genere, il vostro
acuto intuito vi aiuta a scoprire certi
importanti particolari nascosti. Avete un
accesso più profondo al vostro inconscio e
quindi una maggior consapevolezza di quello
degli altri e di come ne siete stati influenzati.
Potete sviluppare una buona conoscenza del
vostro processo psicologico, quando sia il
caso di “forzare” e quando sia il caso di
ritrarvi. Siete curiosi riguardo alla vita
interiore. Soprattutto, rimanete integri.
Continuate a impegnarvi nel processo di
individuazione indipendentemente da
quanto sia difficile affrontare certi momenti,
certe ferite e certi fatti.
Ipotizzando allora che siate una delle
molte HS P con un’infanzia o con un presente
difficili, esploriamo le vostre possibilità.

I quattro approcci
I metodi di guarigione possono essere molto
diversi fra loro: lunghi o brevi, auto-aiuto o
aiuto professionale, terapia individuale o
terapia di gruppo, che curino solo voi stessi o
l’intera famiglia. Ma comunque gli approcci
possono essere distinti in quattro grandi
rami: cognitivo-comportamentale,
interpersonale, fisico e spirituale.
Ci sono terapeuti, e forse sono i migliori,
che li usano tutt’e quattro. In ogni caso
domandate loro esplicitamente quale sia il
loro metodo preferito. È inutile perder tempo
in terapie con qualcuno la cui filosofia di base
non coincide con la vostra.

COGNITIVO-COM PORTAM ENTALE

La terapia “cognitivo-comportamentale” a
breve termine punta a guarire sintomi
specifici. Questo approccio è “cognitivo”
perché lavora sul vostro modo di pensare ed è
“comportamentale” perché lavora sul vostro
comportamento. Tende a ignorare le
emozioni profonde e le motivazioni inconsce.
Tutto deve essere pratico, razionale e chiaro.
Vi viene chiesto su che cosa volete
lavorare. Se il vostro problema è l’ansia, vi
verranno insegnate le ultime tecniche di
rilassamento o di biofeedback. Se avete paura
di determinate cose, sarete gradualmente
esposti a esse finché la paura non se ne
andrà. Se siete depressi, vi verrà insegnato a
riesaminare la vostra convinzione irrazionale
che siate un caso senza speranza, che
nessuno si occupi di voi, che non dovreste
fare errori e così via. Se insistete a fissarvi su
simili convinzioni, vi verrà insegnato come
fermare questi pensieri.
Se non siete impegnati in compiti specifici
che potrebbero aiutarvi psicologicamente,
come vestirvi e uscire di casa ogni giorno o
fare nuove amicizie, sarete aiutati a porvi
delle mete. Imparerete di quali abilità avete
bisogno per raggiungerle e come
ricompensarvi quando ci riuscirete.
Se siete tormentati dallo stress provocato
dal lavoro, da un divorzio o da problemi di
famiglia, sarete aiutati a ricontestualizzare
queste situazioni in modo da accettare
maggiormente i fatti e da comprendere ciò
che vi agevolerà il compito.
Questi metodi possono sembrare poco
profondi o poco affascinanti, ma spesso
funzionano, e vale la pena provarli. Le abilità
apprese vi saranno utili anche se non
risolveranno ogni difficoltà. E comunque
superare un problema aumenterà la vostra
fiducia in voi stessi e, spesso, migliorerà in
generale la vostra vita.
Oltre che in psicoterapia, potete imparare
queste tecniche dai libri. Ma è utile anche
avere qualcuno che vi segua passo per passo:
potete chiedere a un amico di farlo per voi.
Ovviamente un professionista ha molta più
esperienza, e in particolare dovrebbe sapere
quando abbandonare un metodo e sceglierne
un altro.

INTERPERS ONALE

L’approccio interpersonale è quello che la


maggioranza delle persone intende per
“terapia”. Esistono varie tecniche: freudiana,
junghiana, delle relazioni oggettuali, della
gestalt, psicoterapia rogersiana o centrata sul
cliente, analisi transazionale, terapia
esistenziale e la più varia combinazione delle
precedenti. Tutte utilizzano il dialogo e la
relazione tra voi e un’altra persona o altre
persone, spesso un terapeuta, ma talvolta
anche un gruppo o un confidente vostro pari.
In questo campo ci sono probabilmente
centinaia di teorie e di metodi, e quindi
meglio parlarne in termini generali. Inoltre
molti terapeuti ne utilizzano un mix adatto ai
bisogni del cliente. E ci sono anche differenti
interpretazioni. Alcune fanno della relazione
psicoterapeutica un luogo sicuro per
esplorare ogni problema. Altre la vedono
come un’occasione specifica per darvi una
nuova esperienza di primo attaccamento e un
nuovo quadro mentale di ciò che vi dovete
aspettare nelle relazioni future. Altre dicono
che la terapia è un luogo in cui elaborare il
passato e lasciarlo andare, trovandovi un
significato. Altre la considerano una
situazione in cui osservare e tentare nuovi
comportamenti. E altre ancora una
circostanza in cui esplorare l’inconscio,
finché non sarete in migliore armonia con
esso.
Voi e il terapeuta lavorate insieme sui
vostri sentimenti verso il terapeuta stesso,
sulle altre relazioni, sulla vostra storia
personale, sui vostri sogni (se li avete) e su
qualsiasi altra cosa emerga. Non solo
imparerete da ciò che viene discusso, ma
imparerete anche a svolgere questo genere di
lavoro interiore da soli.
Svantaggi? Se il terapeuta non è esperto o
se il vostro reale problema sta altrove, si può
parlare all’infinito senza arrivare da nessuna
parte. Il terapeuta deve conoscere molto bene
se stesso. Ci possono volere anni per lavorare
sulle vostre relazioni, sia con il terapeuta che
con tutti gli altri. Ma talvolta bastano pochi
mesi per fare un grande progresso, così come
successe a Dan.

FIS ICO
L’approccio fisico comprende esercizio,
miglioramento della nutrizione, attenzione
particolare alle allergie alimentari,
agopressione, integratori vegetali, massaggi,
tai chi, yoga, massaggio Rolfing, terapia
bioenergetica, terapia della danza e,
ovviamente, farmaci, fra cui gli antidepressivi
e gli ansiolitici. In realtà oggi gli approcci
fisici si riducono soprattutto ai farmaci
prescritti da uno psichiatra, argomento che
verrà trattato nel capitolo 9.
Qualsiasi cosa si faccia al corpo cambierà
anche la mente. E ciò succede in particolare
con le sostanze chimiche create a questo
scopo. Ma ci si dimentica spesso di dire che il
cervello, e quindi i nostri pensieri, possono
anche essere cambiati dal sonno, dalla
ginnastica, dall’alimentazione, dall’ambiente
e dallo stato degli ormoni sessuali, tanto per
citare solo alcuni dei fattori su cui possiamo
intervenire da soli. È altrettanto vero che
qualsiasi cosa venga fatta alla mente –
meditare, raccontare i nostri problemi a un
amico o anche metterli per iscritto 2 –
cambierà il corpo. Ogni sessione di dialogo
cambierà il vostro cervello. Perciò non
dovrebbe sorprendervi scoprire che le tre
forme di terapia descritte finora – cognitivo-
comportamentale, interpersonale e fisica –
siano altrettanto valide per curare la
depressione. 3 Dunque dovete compiere una
scelta.

S PIRITUALE

Gli approcci spirituali comprendono tutti i


metodi che le persone utilizzano per
esplorare gli aspetti non materiali di se stesse
e del loro mondo. Ci danno conforto
rivelandoci che nella vita ci sono più cose di
quante ne possiamo vedere. Quindi
guariscono o rendono più sopportabili le
ferite ricevute in questo mondo. Ci svelano
che non siamo intrappolati in una data
situazione e che c’è sempre qualcosa di più.
Ci fanno pensare che forse dietro tutto questo
esiste anche un altro ordine, un’altra
dimensione, uno scopo.
Inoltre quando ci apriamo a un metodo del
genere, spesso iniziamo ad avere esperienze
che ci convincono che esiste veramente
qualcosa d’altro al di là della materia. Quindi
vogliamo dare un orientamento spirituale alla
terapia, perché ci sembra che qualsiasi altro
metodo escluda un aspetto importante della
vita.
Alcuni terapeuti hanno un indirizzo
principalmente spirituale. Prima di
cominciare, ponete loro delle domande e
chiedetevi se vi sentite compatibili con la
particolare visione di chi vi cura. Oppure
potete cercare membri del clero, guide
spirituali o altre persone legate a una
religione o a una pratica spirituale: in tal
caso, informatevi attentamente se esse
abbiano avuto la formazione psicologica
necessaria a svolgere il lavoro che vorreste
compiere insieme.
Le HSP e l’approccio cognitivo-
comportamentale
Anche se questi quattro approcci sono tutti
adatti alle HS P , la cosa più importante,
ovviamente, è chiedervi se sono adatti a voi.
Alcune riflessioni sono preliminari. A un
certo punto, probabilmente, tutte le HS P
dovrebbero seguire metodi cognitivo-
comportamentali. Come abbiamo detto nel
capitolo 2, è utile sviluppare sistemi cerebrali
che ci diano il controllo di tutto ciò cui
dedichiamo attenzione e ci permettano di
affrontare i conflitti fra il sistema di
attivazione e quello di pause-to-check. Proprio
come succede con i muscoli, questi sistemi
sono probabilmente più forti in alcune
persone. Ma tutti possiamo svilupparli, e
l’approccio cognitivo-comportamentale è la
palestra migliore.
Si tratta in ogni caso di un approccio molto
razionale, in genere sviluppato da non-HS P
che – io credo – pensano segretamente che le
persone sensibili semplicemente talvolta si
comportino in maniera sciocca e irrazionale.
Questa convinzione, del terapeuta o
dell’autore di un libro, può abbassare
l’autostima del paziente e accrescere il livello
di stimolazione, specialmente se non gli
riesce di raggiungere l’obiettivo che essi
hanno impostato per lui. È implicito infatti
che questo obiettivo sia una raggiunta
“normalità”, ma in realtà può trattarsi di
diventare come loro o come la maggior parte
delle persone, ignorando le varie differenze
di temperamento. Un buon psicoterapeuta
cognitivo-comportamentale dovrebbe invece
essere sensibile alle differenze individuali e
aver presente l’importanza dell’autostima e
della fiducia in se stessi nei pazienti che si
sottopongono a trattamenti psicologici.
Spesso le HS P preferiscono un approccio
che sia “più profondo” o più intuitivo,
anziché focalizzato su sintomi superficiali.
Ma proprio questa diffidenza, in alcuni di noi,
verso i metodi pratici e semplici potrebbe
essere una buona ragione per esplorarne
qualcuno.

Le HSP e l’approccio interpersonale


La psicoterapia interpersonale è molto
attraente per le HS P , anche perché possiamo
imparare molto da essa: possiamo scoprire le
nostre capacità intuitive e i nostri aspetti più
profondi e imparare a gestire le relazioni
intime. E così, attraverso alcuni di questi
metodi interpersonali, il nostro inconscio
diventa un alleato anziché una fonte di
sintomi.
Ma ci sono anche degli svantaggi. Le HS P a
volte possono prolungare troppo la terapia
interpersonale proprio perché amano
lavorare su questi dettagli. Un buon
terapeuta, però, insisterà affinché continuiate
a svolgere il lavoro interiore da soli, una volta
pronti. Le persone altamente sensibili
possono utilizzare questo tipo di terapia
anche per evitare di esporsi al mondo, benché
un buon terapeuta non dovrebbe permettere
nemmeno questo.
Infine si crea una forte attrazione verso il
terapeuta con cui sperimentiamo tutte queste
esplorazioni: si tratta del noto transfert
positivo o idealizzante. Per le HS P è spesso
particolarmente forte, il che rende la terapia
troppo lunga, costosa e quasi impossibile da
lasciare.

DI PIÙ S UL TRANS FERT

In effetti un forte transfert positivo, ossia un


attaccamento al terapeuta, può verificarsi in
tutti questi approcci, e quindi è necessario
approfondire l’argomento.
I transfert non sono solo positivi. Poiché
proiettate sullo psicoterapeuta i sentimenti
repressi che un tempo avete provato verso
persone importanti della vostra vita, è
possibile che emergano rabbia, paura e tutte
le altre emozioni negative. Ma in genere
predominano i sentimenti positivi, accresciuti
dalla gratitudine nei confronti del terapeuta,
dalla speranza di ricevere un aiuto e dal
“trasferimento” di una serie di altre emozioni
su questo obiettivo.
Un forte transfert positivo ha molti
benefici. Desiderando essere come il
terapeuta o piacergli, cambierete in modi che
non avreste mai osato da soli.
Quando vi rendete conto che il terapeuta
non può essere vostra madre, il vostro
amante o un vecchio amico, affrontate una
realtà amara e imparate a gestirla.
Comprendendo la natura di ciò che provate
(questa persona sembra perfetta, sarebbe
paradisiaco vivere con lei ecc.), riuscite anche
a pensare a chi potreste indirizzare in modo
più appropriato tali sentimenti. In effetti,
sarebbe bello ottenere l’aiuto e la compagnia
di qualcun altro che vi piaccia altrettanto.
Il transfert può anche essere paragonato a
un amore intenso che non viene corrisposto.
(E se il terapeuta ricambiasse il sentimento, il
suo comportamento andrebbe contro l’etica
professionale. State lavorando con il
professionista sbagliato, e avrete bisogno di
un ulteriore aiuto professionale per uscire
dalla situazione, poiché probabilmente non
sareste in grado di farlo da soli.) Può dunque
trattarsi di un’esperienza aspra, inaspettata e
indesiderata. Un forte transfert di questo tipo
influisce sulla vostra autostima, dal momento
che vi sentite del tutto dipendenti e pieni di
vergogna. E influenza anche coloro che vi
sono vicini e che si accorgono del vostro
profondo attaccamento verso questa persona.
Se il transfert prolunga la terapia, peserà
anche sul vostro bilancio. Dovete prendere in
considerazione anche questo aspetto, e
dovete farlo prima di entrare in terapia.
Esistono molti motivi per cui il transfert
potrebbe essere più forte nelle HS P . In primo
luogo, capita quando l’inconscio vorrebbe
compiere grandi cambiamenti ma l’ego non
può o non vuole farli. Le HS P hanno spesso
bisogno di tali cambiamenti per stare di più
(o di meno) nel mondo, per “liberarsi” dalla
iper-socializzazione o dall’accettazione di
pregiudizi culturali nei loro confronti, oppure
semplicemente per avere un miglior rapporto
con questo aspetto della loro personalità. In
secondo luogo, la psicoterapia presenta tutti i
fattori, descritti nel capitolo 7, che portano le
persone a innamorarsi, e le HS P a innamorarsi
più intensamente. Il terapeuta che vi siete
scelti vi sembrerà ovviamente desiderabile,
saggio e capace. Lo vedrete come simile a voi.
Inoltre state per condividere con lui tutto ciò
che temete nessun altro vorrebbe ascoltare o
accettare, tutto ciò il cui solo pensiero vi
spaventa. E questo rende la situazione
sovrastimolante.
Non intendo dire che dovreste evitare la
terapia solo perché potreste sviluppare un
forte transfert. Anzi, questo sarebbe una
dimostrazione che ne avete bisogno. E, nelle
mani di un terapeuta competente, il transfert
potrebbe rappresentare una forte spinta
verso il cambiamento. Ma state attenti a non
attaccarvi prematuramente al primo
terapeuta che incontrate, e non continuate a
frequentarlo dopo che avrete ottenuto tutti i
benefici che egli può offrirvi.

Le HSP e l’approccio fisico


Le HS P possono trarre beneficio dagli
approcci fisici in modo particolare quando
hanno bisogno di uscire da una situazione
psicologica che minaccia di far loro perdere il
controllo fisico e mentale. Forse non riuscite
più a dormire e vi sentite stanchi, depressi o
terribilmente ansiosi, o tutte queste cose
insieme. Le cause di questa crisi possono
essere le più varie. Ho notato che un rimedio
fisico, solitamente un farmaco, è efficace
contro le depressioni causate da una malattia,
un fallimento sul lavoro, la morte di un amico
o dall’aver incontrato in psicoterapia
problemi dolorosi. In tutti i casi, è bene
fermare fisicamente questa spirale
discendente, perché il paziente non può
assolutamente cambiare il suo modo di
pensare finché il corpo non si calma.
Il metodo più usato prevede il ricorso ai
farmaci. Ma ricordo il caso di una HS P che
fermò la stessa spirale negativa concedendosi
una vacanza in un posto nuovo e
dimenticandosi per un po’ dei suoi problemi.
Al suo ritorno affrontò i vecchi problemi con
una nuova prospettiva e in condizioni fisiche
differenti. In un altro caso successe il
contrario: invece di intraprendere un viaggio,
la persona dovette tornare a casa da una
vacanza per fermare un attacco di ansia – era
necessaria una minore stimolazione. L’intuito
vi farà da guida per sapere esattamente come
dovrete agire sul fisico per cambiare la vostra
chimica mentale.
Un terzo caso rispose positivamente a un
attento programma alimentare. Tutti gli
esseri umani hanno diverse necessità
nutrizionali e differenti cibi da evitare, e per
le HS P la variabilità è ancora maggiore.
Soprattutto quando siamo cronicamente
sovrastimolati, abbiamo bisogno di nutrienti
supplementari, proprio nel momento in cui
prestiamo minor attenzione a queste cose.
Possiamo anche perdere l’appetito o avere
una cattiva digestione, che ci fa assimilare
poco di ciò che mangiamo. Resta il fatto che
per le HS P è molto importante ricevere
consigli di tipo nutrizionale.
Solo su un punto sembriamo essere meno
diversi gli uni dagli altri: nella rapidità con
cui crolliamo quando abbiamo fame. Perciò
fate piccoli pasti regolari, indipendentemente
da quanto siete occupati o distratti. Se soffrite
di un disordine alimentare, avrete seri
problemi finché non lo risolverete. Per farlo,
non mancano le risorse.
Vorrei anche menzionare la potente
influenza che hanno le fluttuazioni dei livelli
degli ormoni riproduttivi, che, secondo me,
colpiscono maggiormente proprio le HS P . Lo
stesso vale per la produzione degli ormoni
tiroidei. Tutti questi sistemi sono connessi e
influenzano fortemente il cortisolo e i
neurotrasmettitori cerebrali. A far ricadere il
sospetto sugli ormoni sono anche i
cambiamenti di umore altrimenti
inspiegabili, per cui vi sentite bene un’ora e
un’ora dopo disperati e insignificanti, oppure
analoghe variazioni dell’energia o della
chiarezza mentale.
In tutti gli approcci fisici, dai farmaci ai
massaggi, ricordatevi che voi siete altamente
sensibili! Se usate farmaci, domandate di
incominciare con bassi dosaggi. Scegliete
attentamente l’operatore sanitario e parlategli
della vostra sensibilità. Queste informazioni
gli richiameranno alla mente analoghi
problemi avuti con altri pazienti come voi, e
quindi saprà che cosa fare. (In caso contrario,
probabilmente non potete lavorare con
questa persona.)
Ricordatevi che può verificarsi un forte
transfert anche verso coloro che si prendono
cura del vostro corpo, proprio come succede
con gli psicoterapeuti. Questo è
particolarmente vero se essi lavorano anche
sui vostri problemi psicologici. Tale
combinazione, in realtà, può essere molto
intensa, tanto che non credo sia consigliabile,
almeno per le HS P . Il desiderio di essere
curati, confortati e capiti può essere
esplorato, e in qualche misura gratificato, sia
attraverso le parole sia attraverso il contatto
fisico. Ma ricevere entrambi i trattamenti
dalla stessa persona può essere troppo
pesante e creare confusione e turbamento.
Se il vostro terapeuta lavora sia sulla vostra
mente sia sul vostro corpo, verificate
attentamente le sue credenziali e le sue
referenze. Dovrebbe avere anni di esperienza
non solo nel lavoro sul corpo, ma anche nella
psicologia interpersonale.

Le HSP e gli approcci spirituali


Le HS P sono spesso attratte dagli approcci
spirituali: ne facevano largo uso quasi tutte le
HS P delle mie interviste che avevano bisogno
di un qualche genere di guarigione interiore.
Una prima ragione per cui le HS P sono
attratte dalla spiritualità è che sono portate
all’introspezione. Una seconda ragione è che
sentono di poter padroneggiare situazioni
stressanti se riescono a calmare la
sovrastimolazione guardando le cose da
prospettive diverse: quelle della
trascendenza, dell’amore, della fiducia. La
maggior parte delle pratiche spirituali ha
proprio lo scopo di creare tale prospettiva. E
molte HS P hanno avuto esperienze spirituali
che le hanno confortate.
Però esistono anche svantaggi in un simile
approccio, o almeno pericoli, specialmente se
lo si segue in maniera esclusiva. Primo, c’è il
rischio di abbandonare altre strade, come
imparare a convivere con gli altri o
comprendere il proprio corpo, i propri
pensieri e i propri sentimenti. Secondo, può
verificarsi un transfert positivo verso leader o
movimenti spirituali che spesso non sono in
grado di aiutarvi a crescere conducendovi al
di là di questa specie di iper-idealizzazione.
Anzi, potrebbero favorirla, tanto che voi
sarete pronti a far qualunque cosa loro
suggeriscano in nome del vostro bene. Non
sto parlando soltanto delle “sette”. Potreste
provare lo stesso tipo di iper-idealizzazione
verso il ministro di una chiesa ed essere
sfruttati nello stesso modo.
Terzo, la maggioranza delle vie spirituali
parla della necessità di sacrificare se stessi, il
proprio ego e i propri desideri personali.
Talvolta si parla di abbandonarsi a Dio e altre
volte a un leader (cosa più facile ma anche
più pericolosa). Credo che arrivi un momento
nella vita in cui sia giusto procedere a una
qualche forma di sacrificio della prospettiva
egoica. C’è molta verità in ciò che dice la
spiritualità orientale: il desiderio è una fonte
di sofferenza e focalizzarci sui nostri
problemi egocentrici ci distrae dal presente,
dalle nostre vere responsabilità e ci
impedisce di prepararci a ciò che sta oltre il
mondo dell’individualità.
Però ho visto molte HS P abbandonare
troppo presto il proprio ego. È un sacrificio
facile, quando pensate che non valga poi così
tanto. E magari conoscendo qualcuno che si è
effettivamente sforzato di abbandonare il
proprio ego, vi sembrerà che tale persona
splenda di una luce così spirituale che non
potete fare a meno di desiderare lo stesso.
Tuttavia una luce carismatica non è una vera
garanzia. Potrebbe essere soltanto il riflesso
di una vita quieta, priva di stress e ben
disciplinata, cosa piuttosto rara in questi
tempi. Ma quest’anima luminosa potrebbe
ancora avere dentro di sé un disordine
psicologico, sociale e talvolta anche morale.
Insomma potrebbe succedere che in alto ci
sia la luce, ma che in basso ci siano ancora
oscurità e confusione.
La vera redenzione o illuminazione, per
quanto è possibile in questo mondo, si
raggiunge soltanto grazie a un duro lavoro
che non può trascurare gli aspetti più difficili
di sé. E per le HS P il compito più arduo spesso
non ha niente a che fare con la rinuncia al
mondo, ma consiste invece nell’uscire da casa
e immergersi in esso.

La psicoterapia è utile alle HSP prive di


problemi nell’infanzia o nell’età adulta?
Se non avete seri traumi o ferite infantili da
guarire, forse penserete di non aver bisogno
né delle conoscenze di questo libro né di
qualsiasi altro aiuto, almeno per ora.
Però la psicoterapia non si occupa solo di
guarire problemi o di alleviare sintomi. Può
anche servire a ottenere e sviluppare
intuizioni, saggezza e a vivere in armonia con
il vostro inconscio. Naturalmente potete
imparare molto anche attraverso un lavoro
interiore svolto con altri mezzi: libri,
seminari, conversazioni... Molti buoni
terapeuti, per esempio, scrivono libri e
organizzano corsi. Ma se avete una mente
particolarmente acuta, nonché un’intuizione
e una vita interiore sviluppate, potete
ottenere molto di più dalla psicoterapia. Essa
convalida e affina tali qualità. Quando queste
preziose funzioni si sviluppano, la
psicoterapia diventa una specie di spazio
sacro. Quasi nient’altro lo fa.

L’analisi junghiana e la psicoterapia di


indirizzo junghiano sono più indicate
La forma di psicoterapia che raccomando alla
maggior parte delle HS P è quella di indirizzo
junghiano, ossia quella che segue i metodi e
gli scopi stabiliti da Carl Jung. (Se però avete
subito traumi infantili, dovete essere certi che
il terapeuta abbia esperienza in questo
campo.)
L’approccio junghiano enfatizza
l’inconscio, così come fanno tutte le
“psicologie del profondo”, per esempio la
psicoanalisi freudiana o la psicoterapia delle
relazioni oggettuali, che rientrano nella
categoria dell’approccio “interpersonale”. Ma
il metodo junghiano aggiunge la dimensione
spirituale, sostenendo che l’inconscio cerca di
farci raggiungere una meta immateriale e di
espandere la consapevolezza oltre la ristretta
coscienza dell’ego. Ci arrivano continuamente
messaggi di questo tipo attraverso sogni,
sintomi e comportamenti che l’ego considera
problematici. Noi dobbiamo soltanto prestar
loro attenzione.
Lo scopo della terapia o analisi junghiana
è, in primo luogo, fornire un contenitore in
cui i materiali terrorizzanti o rifiutati possano
essere esaminati in sicurezza. Il terapeuta è
come una guida esperta in un territorio
selvaggio. In secondo luogo, questi insegna al
paziente a orientarsi in quel territorio. Gli
junghiani non cercano una cura, ma un
continuo impegno nel processo di
individuazione attraverso la comunicazione
con le dimensioni interiori.
Poiché le HS P hanno uno stretto rapporto
con l’inconscio, nonché sogni vividi e
un’intensa attrazione verso l’immaginario e
lo spirituale, non possono “fiorire” finché
non conosceranno a fondo questi aspetti del
loro sé. In un certo senso, il lavoro junghiano
sul profondo è il campo di addestramento
privilegiato della classe dei “consiglieri reali”
di cui abbiamo già parlato.
Ci sottoponiamo a un’“analisi junghiana”
quando consultiamo un analista junghiano,
ossia un terapeuta addestrato in questo senso
specifico. Di solito, gli analisti junghiani sono
già terapeuti esperti e possono utilizzare
qualsiasi approccio che sembri loro adatto,
ma preferiscono ovviamente quello di Jung.
Gli analisti junghiani contano di lavorare con
voi per parecchi anni, magari due volte la
settimana. Potrebbero essere più costosi,
proprio perché hanno dovuto sostenere un
lungo training. Però potete anche non
consultare un analista vero e proprio, ma
rivolgervi a uno psicoterapeuta di semplice
indirizzo junghiano. Comunque è meglio
chiedere che tipo di formazione abbia avuto.
Alcuni si sono formati attraverso studi, corsi,
tirocini o una lunga analisi personale.
Quest’ultima è particolarmente importante.
Potreste trovare delle agevolazioni
rivolgendovi a istituti di training junghiano
in cui consultare un terapeuta che sia ancora
in formazione, un tirocinante o un candidato
analista. Queste persone sono qualificate ed
entusiaste e quindi potreste fare un buon
affare. L’unico problema è trovarne una che
sia in sintonia con la vostra personalità,
fattore considerato essenziale nel lavoro
junghiano.
State attenti, comunque, a quegli analisti
junghiani che hanno una vecchia mentalità
sessista o omofobica. La maggior parte
seguono la loro cultura, e non quella della
Svizzera vittoriana in cui viveva Jung.
D’altronde, vengono incoraggiati a pensare in
modo indipendente. Jung stesso disse una
volta: «Grazie a Dio io sono Jung e non uno
junghiano». Ma alcuni hanno ancora le
medesime idee, alquanto ristrette riguardo a
generi e preferenze sessuali, che aveva Jung
stesso.

Osservazioni finali sulle HSP e la


psicoterapia
Prima di tutto, non siate remissivi e
opponetevi a un terapeuta che faccia di se
stesso il centro del trattamento. Il terapeuta
dovrebbe rappresentare un contenitore
abbastanza ampio da non farvi cozzare
continuamente contro le pareti del suo ego.
Secondariamente, non siate troppo affascinati
dal fatto di ricevere, durante le prime sedute,
attenzioni intense (come molti buoni
terapeuti fanno). Prendetevi il tempo
necessario prima di impegnarvi.
Una volta iniziato il processo di analisi,
dovrete rendervi conto che sarà un lavoro
duro, non sempre piacevole. Un intenso
transfert è solo un esempio delle forze
incomprensibili che vengono sprigionate
quando permettete al vostro inconscio di
liberarsi e di esprimersi un po’.
Talvolta la psicoterapia è troppo intensa,
troppo sovrastimolante, più simile a un
pentolone bollente che a un contenitore
sicuro. Se succede così, voi e il vostro
terapeuta dovete discutere su come
controllare il processo. Può darsi che abbiate
bisogno di una pausa, di qualche seduta più
calma, rilassante e superficiale. Anche se può
sembrare il contrario, una pausa può
velocizzare il vostro progresso.
La psicoterapia, nel suo senso più lato, è
un insieme di vie che conducono verso la
saggezza e l’interezza. Se siete una HS P
reduce da un’infanzia tormentata, è molto
importante che intraprendiate tale cammino.
Per le HS P il lavoro interiore profondo può
essere una specie di campo giochi. Mentre gli
altri si sentono perduti, noi ci sentiamo a
casa. Questa grande e meravigliosa natura
selvaggia ci permette di attraversare vari
territori. Per un po’ ci accampiamo
felicemente utilizzando libri, corsi e relazioni
interpersonali. Poi ci accompagniamo a una
guida esperta o a dei dilettanti scoperti lungo
il percorso. È una buona terra.
Non permettete alla società di tenervene
lontani, sia che la definiscano l’ultima moda
o la considerino solo fonte di battute di
spirito. Per le HS P lì c’è qualcosa che talvolta
gli altri non possono pienamente apprezzare.
LAVORARE CON CIÒ CHE AVETE
IMPARATO
Valutare le ferite dell’infanzia

Se sapete che la vostra infanzia è stata


ragionevolmente felice e priva di disagi, potete
saltare questa valutazione o potete utilizzarla per
apprezzare la vostra buona sorte e per aumentare la
vostra compassione verso gli altri. Saltatela anche
se avete già lavorato sui vostri problemi infantili e
raggiunto un buon livello di benessere.
Per gli altri, questo compito può essere motivo di
turbamento, e quindi evitatelo se non vi sembra il
momento giusto di affrontarlo. Ma anche se il
vostro intuito vi dice di andare avanti, preparatevi a
qualche possibile shock. Come sempre, considerate
di ricorrere alla psicoterapia se non riuscite più a
controllare la situazione.
Se decidete di proseguire, leggete l’elenco più
sotto e mettete un segno di spunta su ciò che si
applica al vostro caso. Disegnate una stelletta se la
cosa è avvenuta nei primi cinque anni o due
stellette se è avvenuta nei primi due. Se la
situazione è durata a lungo (in base alla vostra idea
di lunghezza), cerchiate i segni di spunta o le
stellette. Fate lo stesso se l’evento sembra ancora
influenzare la vostra esistenza.
I segni di spunta, le stelline e i circoletti vi
daranno un’idea dei vostri problemi maggiori, senza
bisogno di assegnare loro dei punteggi.

I vostri genitori non erano felici di percepire i


segni della vostra sensibilità e/o si
dimostravano insolitamente mediocri
nell’affrontarli.
Siete stati chiaramente figli non voluti.
Siete stati allevati da vari caretaker che non
erano né i vostri genitori né persone affettuose
vicine alla vostra famiglia.
Siete stati troppo protetti, in modo intrusivo.
Siete stati forzati a fare cose di cui avevate
paura, perdendo la consapevolezza di ciò che
era adatto a voi.
I vostri genitori pensavano che in voi ci fosse
qualcosa di fondamentalmente sbagliato,
fisicamente o mentalmente.
Siete stati sottomessi a un genitore, a una
sorella, a un fratello, a un vicino, a un
compagno di scuola ecc.
Siete stati abusati sessualmente.
Siete stati abusati fisicamente.
Siete stati abusati verbalmente – scherniti,
presi in giro, sgridati, criticati di continuo – o
l’immagine di voi che i vostri cari vi
restituivano era estremamente negativa.
Non siete stati curati fisicamente (non vi è
stato dato cibo a sufficienza ecc.)
Vi è stata prestata poca attenzione, o
l’attenzione che avete ricevuto era dovuta
solamente a vostri successi occasionali.
Un genitore o un famigliare era alcolista,
tossicodipendente o malato mentale.
Avete avuto un genitore fisicamente malato o
disabile e indisponibile per la maggior parte del
tempo.
Avete dovuto prendervi cura fisicamente o
emotivamente di uno o di entrambi i genitori.
Avete avuto un genitore che un medico
avrebbe potuto definire narcisista, sadico o
comunque persona difficile da sopportare.
A scuola o nel quartiere siete stati bullizzati,
eravate bersaglio di abusi, di canzonature ecc.
Al di là degli abusi avete subito altri traumi
infantili (per esempio, a causa di malattie serie
o croniche, lesioni, handicap, povertà, disastri
naturali, stress dei genitori dovuto alla perdita
del lavoro ecc.).
L’ambiente sociale limitava le vostre
opportunità e/o vi trattava come se foste
inferiori a causa della povertà,
dell’appartenenza a una minoranza etnica ecc.
Ci sono stati grandi cambiamenti nella vostra
vita sui quali non avevate alcun controllo
(traslochi, morti, divorzi, abbandoni ecc.).
Avete provato un forte senso di colpa per
qualcosa che avete fatto e di cui non avete
potuto parlare con nessuno.
Avete desiderato morire.
Avete perduto il padre (per morte, divorzio
ecc.), non gli eravate vicini e/o lui non si
occupava della vostra crescita.
Avete perduto la madre (per morte, divorzio
ecc.), non le eravate vicini e/o lei non vi ha
allevati personalmente.
Negli ultimi due casi siete stati chiaramente e
volontariamente abbandonati o rifiutati, oppure
avete creduto di aver perso uno dei genitori
per qualche errore o comportamento vostro.
Un fratello, una sorella o un altro famigliare
sono morti o comunque si sono allontanati.
I vostri genitori litigavano continuamente e/o
hanno divorziato, e lottato per avervi.
Da adolescenti eravate particolarmente
tormentati o pensavate al suicidio, oppure
avete abusato di droghe o di alcol.
Da adolescenti eravate sempre in conflitto con
le autorità.

Ora che avete concluso, osservate i segni di spunta,


le stellette e i circoletti. Se non ce ne sono molti,
siatene felici, ed esprimete la vostra gratitudine a
chi di dovere. La presenza di alcuni segni vi ha
probabilmente rinnovato qualche dolore, qualche
paura o l’idea di avere una carenza o un difetto.
Lasciate che emerga l’intero quadro della vostra
storia. Poi pensate alle vostre qualità, ai vostri
talenti e ai vostri successi, oltre che alle persone che
vi hanno aiutato e agli eventi positivi. Quindi
spendete un po’ di tempo (magari quello di una
passeggiata) a onorare il bambino che ha resistito a
tante prove. E pensate a ciò di cui ha bisogno ora.
9
I medici, le medicine e le HSP
«Devo dare ascolto ai farmaci o parlare della
mia personalità al dottore?»

In questo capitolo parlerò di come il tratto di


sensibilità influenzi la vostra risposta alle
cure mediche in genere; poi imparerete quali
specifici farmaci potreste assumere o che
potrebbero venirvi proposti per via della
vostra sensibilità.

Come il vostro tratto di personalità può


influenzare le cure mediche
Siete più sensibili ai segnali e ai sintomi
corporei.
Se non conducete una vita adatta al
vostro tratto, svilupperete un maggior
numero di malattie legate allo stress e/o
disturbi psicosomatici.
Siete più sensibili ai farmaci. 1
Siete più sensibili al dolore.
Siete più stressati, di solito in modo
eccessivo, dall’ambiente, dalle procedure,
dagli esami e dai trattamenti medici.
Negli ambienti ospedalieri il vostro
intuito non può ignorare la presenza
della sofferenza e della morte, tipiche
della condizione umana.
Considerato quanto sopra e dato che per
lo più i medici non sono HS P , i vostri
rapporti con loro saranno di solito più
problematici.

La buona notizia è che siete in grado di


notare i problemi prima che diventino gravi e
che siete molto consapevoli di ciò che vi può
aiutare. Come ho detto nel capitolo 4, i
bambini altamente sensibili che non vivono
sotto stress godono di eccezionale buona
salute. Da uno studio a lungo termine su
adulti che sono stati particolarmente
coscienziosi nell’infanzia – il che è vero per la
maggioranza delle HS P – è risultato che erano
adulti particolarmente sani. Facevano
eccezione gli adulti timidi. Ciò suggerisce che
le HS P possano godere di un’eccellente salute,
ma che devono impegnarsi nella vita sociale e
alleviare il loro disagio, in modo da liberarsi
dello stress e vivere secondo i loro bisogni.
Ma ora discutiamo dei problemi esposti
nell’elenco precedente, perché sono quelli che
vi riguardano più da vicino. Essere
insolitamente consapevoli dei sottili segnali
fisici significa ricevere molti falsi allarmi.
Questo non dovrebbe essere un problema;
andate da un dottore e fatevi visitare. Se siete
ancora incerti, domandate un secondo parere.
Ma talvolta non è così semplice, non è
vero? Il dottore potrebbe essere molto
impegnato o distratto in quel momento. Di
solito, quando entrate nel suo studio siete già
un po’ nervosi e tesi. Sapete di avere un lieve
sintomo, ma questo vi preoccupa, o non
avreste preso un appuntamento. Sapete che
probabilmente non avete niente e che il
dottore vi considererà individui troppo
ansiosi. Inoltre credete che tutti notino la
vostra sensibilità ai dettagli e l’eccessiva
stimolazione creata dal disagio sociale che già
prevedete.
Magari il dottore condivide il giudizio
negativo sul vostro tratto di personalità,
scambiandolo per timidezza e introversione
e, di conseguenza, vi ritiene meno sani
mentalmente. Inoltre per alcuni medici la
sensibilità è una debolezza che essi stessi
hanno dovuto reprimere per sopravvivere nel
loro ambiente di lavoro. Perciò proiettano
questa parte di se stessi (e la debolezza che le
associano) sui pazienti che mostrano qualche
segno di tale caratteristica.
In breve, il dottore pensa già dall’inizio
che questo lieve sintomo sia “tutto nella
vostra testa” e spesso accenna a questa
possibilità. (Ovviamente la mente e il corpo
sono così strettamente legati che una malattia
può iniziare anche da uno stress psicologico,
ma i medici non sono addestrati a gestire
queste correlazioni.) Voi non volete sembrare
nevrotici e quindi non reagite, ma vi
domandate se siete stati ascoltati, esaminati a
dovere e se tutto sia realmente a posto. Vi
sentite imbarazzati e non volete creare
problemi. Ma ve ne andate via ancora
preoccupati, e con il dubbio di essere davvero
nevrotici. E la prossima volta magari
deciderete di ignorare un sintomo finché non
diventi così evidente che tutti i dottori
possano vederlo.
La soluzione è trovare un medico che
conosca il vostro tratto di sensibilità, il che
significa che prenderà sul serio la vostra
capacità di cogliere aspetti sottili della vostra
salute e delle reazioni a un trattamento. Un
dottore dovrebbe essere contento di un tale
ottimo sistema di allarme. Allo stesso tempo,
conoscendo la vostra sensibilità, egli
potrebbe assicurarvi con calma che,
dopotutto, non c’è niente che non va. Però
questa rassicurazione dovrebbe essere
espressa con cortesia, e non partire dal
presupposto che avete problemi psicologici.
Non è impossibile trovare medici del
genere, soprattutto se portate con voi questo
libro e consigliate loro di leggerlo.
La vostra sensibilità ai farmaci è davvero
reale. E potrebbe essere aumentata dallo
stato di allerta creato dalla preoccupazione
riguardo ai loro effetti collaterali (molti
farmaci ne hanno e quindi su questo punto
non vi state affatto comportando da
nevrotici). Oppure potreste essere
sovrastimolati da qualcos’altro quando
assumete la prima dose. Perciò, per valutare
gli effetti del medicinale, dovreste prima
aspettare di essere più calmi.
Quando siete sicuri di reagire in modo
negativo a un farmaco, prendete la cosa sul
serio. Esistono enormi variazioni nella
sensibilità individuale ai medicinali.
Assicuratevi che il dottore affronti questo
problema in modo coscienzioso. In caso
contrario, tenete presente che voi siete il
cliente, e andatevene altrove.
Anche per la sollecitazione causata da altri
trattamenti e procedure mediche, rendetevi
conto che siete di fronte a nuove e intense
sensazioni che possono spesso diffondersi in
tutto il corpo. La prima soluzione è spiegare
al dottore che siete altamente sensibili. Se
rispettate voi stessi, sarete, in genere, trattati
con rispetto. Inoltre la vostra sincerità sarà
apprezzata, e il dottore che vi cura potrà
prendere altre misure per aiutarvi.
In realtà, dovreste sapere che cosa vi è più
utile per ridurre il livello di stimolazione.
Alcune persone si trovano meglio se viene
loro spiegato tutto, altri preferiscono non
sapere. Alcuni preferiscono essere
accompagnati, altri vogliono stare da soli.
Alcuni reagiscono bene a farmaci che
riducano ulteriormente il dolore o l’ansia,
altri trovano che la perdita di controllo
quando vengono curati sia ancora più
mortificante. Inoltre potreste probabilmente
essere in grado di fare molto da soli; per
esempio informarvi in anticipo sul problema.
Potreste calmarvi, concentrarvi e rasserenarvi
nei modi che conoscete. Oppure in seguito
confortarvi con un’affettuosa comprensione e
accettazione di qualsiasi intensa reazione vi
abbia colpito.
Anche la sensibilità al dolore è molto
variabile. Per esempio, ci sono donne che non
sentono quasi dolore durante il parto, e
alcune ricerche hanno trovato che esse
raramente provano dolore nel corso della loro
esistenza. 2 Ma è vero anche il contrario: che
altre donne provano molto dolore nel corso
della vita. Le mie ricerche hanno scoperto che
le HS P di solito appartengono al secondo tipo.
Il nostro stato mentale influisce sulla
percezione del dolore, e quindi può giovare il
fatto di essere un “genitore” gentile,
affettuoso, comprensivo e calmo per il vostro
corpo-bambino sofferente. È anche
importante che comunichiate la vostra
ipersensibilità al dolore ai dottori, i quali
possono aiutarvi. Se vengono ben informati
sull’argomento, prenderanno la vostra
reazione come una normale variante della
fisiologia umana e la tratteranno
adeguatamente. (Ma ricordatevi che potreste
anche essere più sensibili agli antidolorifici.)
Ovviamente il punto fondamentale è che
spesso voi siete più stimolati rispetto alla
media dei pazienti. Anche presumendo che il
medico sia abbastanza intelligente da non
trattare il vostro overarousal come un fastidio
o un segno di disturbo mentale, la
sovrastimolazione renderà comunque le cose
più difficili. Per esempio, diminuirà la vostra
capacità di esprimervi.
Le soluzioni sono parecchie. Potete andare
dal medico con un elenco scritto delle
domande e prendere appunti. Potete portare
con voi qualcuno che ascolti e ponga le
domande che a voi non vengono in mente. (In
tal modo, potrete affidarvi, in seguito, alla
memoria di un’altra persona.) E potete
spiegare le vostre difficoltà. Lasciate che il
dottore vi calmi con le parole o con
qualunque altro metodo preferisca. Potete
anche diminuire il vostro stato di allerta
domandandogli di ripetere le istruzioni e se è
disponibile a rispondere per telefono a
domande a cui magari non avete pensato
prima.
Tenete a mente che è normale provare
attaccamento verso qualcuno che vi ha
accompagnato in un’esperienza
sovrastimolante, specialmente se è stata una
prova veramente dolorosa o emotivamente
significativa. Nel campo della medicina,
scopriamo questi sentimenti nei pazienti che
parlano del loro chirurgo o nelle donne che
descrivono la persona che ha fatto nascere il
loro bambino: è perfettamente normale. La
soluzione consiste semplicemente nel capire
ciò che vi accade e nel cercare di
compensarne gli effetti adeguatamente.
L’overarousal è un grosso problema. È
difficile contrastarlo. E, nel campo della
salute, quando si affronta il dolore, la
vecchiaia e la morte, è ancora più difficile.
Però vivere con la consapevolezza della morte
è utile, perché accresce l’apprezzamento del
momento presente. Quando la
consapevolezza è troppo intensa, potete
sempre impiegare una comoda difesa
universale: la negazione. E permettete agli
amici e ai famigliari di riunirsi intorno a voi
per aiutarvi. Anche loro hanno affrontato o
affronteranno un giorno tali problemi.
Questo non è il momento di sentirsi anormali
o di considerarsi un peso. Siamo tutti sulla
stessa barca.

Riscrivete la vostra cartella clinica


Ora potrebbe essere il momento di
ricontestualizzare le vostre esperienze
mediche alla luce del tratto di personalità.
Ripensate da una a tre esperienze
significative di malattie e di cure mediche,
soprattutto di ospedalizzazione o esperienze
infantili. Poi fate i consueti tre passi. Primo,
pensate a come avete sempre interpretato
quelle esperienze, magari dal punto di vista
dei normali operatori sanitari, e cioè che siete
“troppo sensibili”, che siete pazienti difficili,
che il vostro dolore è immaginario, che siete
nevrotici e così via. Poi considerate queste
esperienze alla luce di ciò che sapete ora sul
vostro tratto. Infine, pensate se potete far
qualcosa di utile, per esempio cambiare
medico o dargli questo libro da leggere.
Oppure, se vi trovate in un momento
particolarmente difficile della vostra vita,
leggete il box “Esercitarsi a trattare i medici
con un atteggiamento nuovo”.

ESERCITARSI A TRATTARE I MEDICI CON


UN ATTEGGIAMENTO NUOVO

1. Pensate a una situazione sanitaria per


voi sovrastimolante, socialmente
spiacevole o comunque problematica.
Potrebbe trattarsi di spogliarsi tenendo
solo il camice dell’ospedale, di certi tipi
di esame, di farsi prelevare il sangue, di
farsi trapanare un dente, oppure di
aspettare una diagnosi o un referto che
non è ancora pronto o poco chiaro.
2. Pensate a questa situazione alla luce
del vostro tratto di personalità,
includendovi i suoi potenziali aspetti
positivi. Per esempio, siete in grado di
notare più velocemente un disturbo e
siete più coscienziosi nel seguire le
prescrizioni. Ma, soprattutto, pensate a
ciò di cui avete bisogno (a buon diritto)
per rendere la situazione meno
sovrastimolante. Ricordatevi che
dovrete impegnarvi per far sì che il
vostro corpo non sia inondato dal
cortisolo; e, se vi manterrete calmi,
saranno migliori anche i risultati degli
esami medici.
3. Immaginate come ottenere ciò di cui
avete bisogno. Potrebbe essere
qualcosa cui potete provvedere da soli.
Ma più probabilmente dovrete spiegare
qualche aspetto della vostra sensibilità
a un medico. Perciò mettetevi a scrivere.
Assicuratevi di comunicare il rispetto
per voi stessi, così susciterete il rispetto
degli altri, senza essere maleducati o
arroganti. Chiedete un’opinione a
qualcuno di cui vi fidate, che sia magari
un operatore sanitario. Poi fate una
prova generale della conversazione con
questa persona. E infine chiedetele che
impressione le avete fatto.
4. Pensate a come potete applicare ciò
che avete immaginato quando vi
capiterà di dovervi curare. In quel caso,
ritornate su questi suggerimenti e
impegnatevi ad applicare alla realtà ciò
che avete pensato.
Attenti alle etichette
Come sapete, i medici stanno rapidamente
diventando consapevoli di come i nostri
atteggiamenti mentali influiscono sul sistema
immunitario e sulle malattie e di come alcune
persone sembrano avere pensieri e
sentimenti che influiscono sulla loro salute.
Ma poiché i dottori sono concentrati
soprattutto sulle malattie, spesso non
pensano che potrebbero esserci anche aspetti
positivi in una personalità apparentemente
associata a una determinata patologia. Dico
“apparentemente” perché talvolta trascurano
i pregiudizi culturali nei confronti di alcuni
tratti di personalità che potrebbero davvero
essere causa di alcuni disturbi. E, d’altro
canto, certi medici possono
involontariamente perpetuare tali pregiudizi
sostenendo, dall’alto della loro autorità, che
un certo tipo di personalità o di tratto sia
negativo o malato.
I segni dei pregiudizi contro la sensibilità
sono abbastanza facili da identificare, una
volta che abbiate imparato a leggere fra le
righe. Per esempio, i dottori parlano della
sensibilità come di una “sindrome”, o ci
definiscono “persone prive di equilibrio”, che
“perdono frequentemente il controllo”, che
hanno “reazioni eccessive”, che sono
“incapaci di percepire correttamente” o
comunque “eccessive” o “anormali”.
Ricordatevi che si tratta per lo più di
pregiudizi medici, colti dalla prospettiva dei
re guerrieri, su ciò che è “fuori dagli schemi”,
“anomalo”, “eccessivo”, “squilibrato” e così
via.
Ma tenete presente che in certi momenti vi
sentirete davvero come se aveste perso
l’equilibrio, come se foste fuori controllo e
reagiste in modo eccessivo. Accade
inevitabilmente alle HS P in un mondo
altamente stimolante, soprattutto a quelle
che hanno avuto un’infanzia o una storia
personale molto stressanti. In tali casi fatevi
aiutare dai farmaci prescritti dai medici,
anche con tutta la loro mentalità da “re
guerrieri”.(Assicuratevi solo di incominciare
con dosi basse.) Ma ricordatevi che non è il
vostro tratto che deve essere condannato,
bensì il mondo in cui vivete e in cui venite
continuamente sollecitati ad adattarvi o a
cambiare.

Perché prendere la fluoxetina o altri


farmaci?
Vi ho suggerito varie volte di parlare al vostro
medico del tratto di personalità. Tuttavia, se
lo fate, c’è una buona probabilità che vi venga
offerto come soluzione permanente un
farmaco “psicoattivo”, probabilmente un
antidepressivo come la fluoxetina, o un
ansiolitico come il diazepam. Sicuramente
molti di voi avranno già provato questi
farmaci, che possono essere molto utili se vi
trovate in piena crisi oppure se avete bisogno
di un mezzo temporaneo per controllare il
vostro stato di overarousal o i suoi effetti,
come l’insonnia o la cattiva digestione. Il
problema è se è davvero necessario assumere
qualcosa in maniera più o meno permanente
per “curare” il vostro tratto. Molti dottori
pensano che dovreste. Per esempio, quando
parlai al mio medico di famiglia del presente
libro, lui si preoccupò. «Queste difficoltà
sono veramente sottostimate dalla medicina»
disse. «È vergognoso. Ma grazie a Dio le si
può controllare facilmente, come il diabete.»
E tirò fuori il blocchetto delle ricette.
So che voleva solo aiutarmi. Ma gli dissi –
temo con un po’ di sarcasmo – che volevo
andare avanti ancora per un po’ senza questo
tipo di aiuto.
Voi forse potreste pensare, tuttavia, che gli
svantaggi del vostro tratto siano molto
superiori ai vantaggi, oppure potreste
immaginare che un farmaco migliori la vostra
situazione, scegliendo di assumere farmaci a
lungo termine, in modo da influire sul
funzionamento del cervello. Ma, prima di
prendere questa decisione, vorrei che foste
ben informati.
Ormai vi sarà chiaro che il resto di questo
capitolo non si occuperà di ciò che dovete
fare per guarire, ma di come informarvi e di
come aiutarvi a inquadrare l’intero problema.

I farmaci durante una crisi


C’è una fondamentale differenza tra prendere
farmaci psicoattivi durante una crisi e
utilizzarli a lungo termine per modificare la
personalità. Talvolta il farmaco è la via più
facile, o anche l’unica via possibile, per uscire
da un circolo vizioso di sovraccarico che vi
impedisce di vivere tranquillamente di giorno
e vi causa insonnia di notte. In simili
situazioni potreste facilmente trovare un
dottore, come il mio medico di famiglia,
anche troppo disponibile a prescrivervelo.
Oppure potreste trovare l’estremo opposto:
un medico convinto che bisogna sempre
sopportare le sofferenze psicologiche,
soprattutto se la causa è “esterna”, per
esempio un lutto o l’ansia dovuta a una
prestazione. La miglior soluzione è decidere
in anticipo che cosa vorreste fare in caso di
crisi, quindi trovare un dottore la cui filosofia
riguardo a tali farmaci coincida con la vostra.
Se aspetterete di trovarvi nel pieno di una
crisi, voi e gli altri penserete che il vostro
stato non vi permetta di prendere decisioni
importanti. In quel caso sarete costretti ad
accettare quello che vi prescrive il primo
medico disponibile.

Farmaci istantanei contro l’overarousal


Esistono innumerevoli farmaci psicoattivi, ma
quelli prescritti più spesso alle HS P
appartengono a due classi. Nella prima
rientrano gli ansiolitici che agiscono
rapidamente, come le benzodiazepine, fra cui
clordiazepossido, diazepam o alprazolam
(molti – tranne l’alprazolam – danno
sonnolenza, il che talvolta è un vantaggio e
altre volte no). Tutti bloccano l’overarousal in
pochi minuti. (Come ormai sapete,
l’overarousal non va confuso con l’ansia,
perciò non accettate l’etichetta di “ansiosi”.
L’overarousal è piuttosto connesso alla
sovrastimolazione.)
Molti assumono questi farmaci per
dormire, oppure per affrontare qualche
performance o un periodo di stress. Gli
ansiolitici hanno effetti rapidi, ma se presi a
lungo creano dipendenza. Quando arriva un
nuovo prodotto, si dice che crei meno
dipendenza dei precedenti, ma sembra più
probabile che tutti i farmaci che ci riportano
rapidamente a un livello accettabile di arousal
producano in qualche modo assuefazione.
Mentre l’alcol e gli oppiacei ci fanno uscire
dall’overarousal, la caffeina e le amfetamine ci
muovono nella direzione opposta, facendoci
uscire dall’underarousal, o sotto-stimolazione.
Ma tutti creano dipendenza. Difficilmente ciò
che risolve un problema può essere assunto
ripetutamente senza che gli effetti negativi
superino i benefici.
In particolare, le sostanze che influenzano
l’arousal portano il cervello all’assuefazione,
cosicché in seguito dovrete prendere dosi
sempre maggiori per ottenere lo stesso
effetto. E, ad alti livelli, queste sostanze
possono cominciare a danneggiare vari organi
del corpo, come il fegato o i reni. Inoltre
distruggeranno il naturale potere
riequilibrante del corpo.
Ovviamente, se siete costantemente
sovreccitati questo potere riequilibrante è già
compromesso. E può darsi che la pausa
fornitavi dall’ansiolitico sia proprio ciò di cui
abbiate bisogno.
Però esistono altri modi per cambiare la
chimica del corpo – una camminata, la
respirazione profonda, un massaggio, uno
spuntino salutare, l’abbraccio di qualcuno che
amate, ascoltare musica, danzare ecc...
L’elenco è molto lungo.
Esistono anche calmanti a base di erbe che
usiamo fin dall’epoca delle caverne. La
camomilla ne è un esempio; e così la lavanda,
la passiflora, il luppolo e gli infusi a base
d’avena. Esistono negozi di alimenti naturali
in cui possono consigliarvi, offrendovi anche
miscele in bustine o capsule. Anche qui,
come dappertutto, ci sono differenze
individuali, e alcune erbe possono funzionare
meglio di altre. Prese prima di andare a letto,
vi possono offrire un momento di riposo che
è spesso molto importante. Se siete carenti di
calcio o di magnesio, l’assunzione di questi
minerali vi può calmare. Ma state attenti:
anche le sostanze “naturali” possono essere
potenti.
Il vostro medico forse non vi consiglierà
queste sostanze più antiche o più semplici.
Per formazione professionale è difficile che
possa prescrivervi una passeggiata o una
tazza di camomilla.
I farmaci per riparare i danni del
sovraccarico a lungo termine
Gli antidepressivi sono l’altra classe di
farmaci che viene consigliata alle HS P per
affrontare qualsiasi problema, immaginario o
reale, provenga dal loro tratto di personalità.
In caso di crisi, possono prevenire sofferenze
e perfino salvarvi la vita. (Le persone
depresse hanno un tasso di mortalità più alto,
dovuto a incidenti o a suicidi.) E possono
farvi risparmiare denaro, dal momento che vi
permettono di continuare a lavorare.
Gli antidepressivi non eliminano
necessariamente tutte le emozioni. Possono
semplicemente costituire una specie di rete
di sicurezza che vi impedisce di cadere
troppo in basso. Poiché gli stati depressivi
possono essere il prodotto di un cervello più
affaticato del “normale”, sembra giusto
dargli qualcosa che rappresenti un piccolo
aiuto. E, una volta che inizierete a dormire o a
digerire meglio, spesso non avrete più
bisogno di questi farmaci.
Dato che ci vogliono due o tre settimane
perché facciano effetto, non creano molta
dipendenza, e non danno benefici immediati.
Tuttavia alcune persone trovano comunque
difficile abbandonarli, e in ogni caso non è
possibile uscirne velocemente e senza
problemi. Non conosco nessuno che si sia
venduto tutto per prendere un altro
antidepressivo, ma in senso blando creano
anch’essi dipendenza.
Se decidete di assumerne uno, rivolgetevi a
uno psichiatra esperto che ve lo prescriva,
qualcuno che abbia acquisito negli anni una
buona conoscenza su come i pazienti e i loro
sintomi rispondano ai diversi farmaci:
un’ulteriore prova delle enormi differenze da
un individuo all’altro. Un esperto di questi
farmaci chiaramente crederà nella loro
efficacia, quindi il mio consiglio è di ricorrere
a questa forma di terapia solo dopo aver
deciso che ne avete bisogno.
Come agiscono gli antidepressivi
Il cervello è costituito da miliardi di cellule
chiamate neuroni che comunicano fra loro
inviando messaggi attraverso lunghe
ramificazioni. Ma queste ultime quasi non si
toccano. Così quando il messaggio raggiunge
una terminazione, deve fare un piccolo salto
per raggiungere la successiva, un po’ come
prendere un traghetto. Non sappiamo perché
il cervello sia stato costruito in questo modo,
ma il risultato è brillante.
Per compiere tali salti, i neuroni
producono delle specie di “traghetti” chimici
chiamati neurotrasmettitori, sostanze che
vengono liberate nello spazio sinaptico in
minuscole quantità che, quando non sono più
necessarie, vengono riassorbite. Rilasciandole
e poi riassorbendole, i neuroni rendono
disponibile la quantità che ritengono a loro
ideale.
La depressione sembra causata dalla
scarsa disponibilità di certi
neurotrasmettitori. Gli antidepressivi ne
aumentano la produzione, ma non
aumentando direttamente il
neurotrasmettitore carente. Il cervello prende
precauzioni contro questo tipo di imbrogli, e
non si fa manipolare facilmente. Così si fa
entrare un farmaco che venga riassorbito dai
neuroni al posto del neurotrasmettitore,
prolungandone quindi la permanenza
all’interno del cervello.
In realtà, le cose sono ancora più
complicate. Probabilmente alcune persone
sviluppano “troppi” recettori per alcuni
neurotrasmettitori (il che può essere una
ragione per cui noi siamo così sensibili agli
stimoli), così restano troppo presto a corto di
tali preziose sostanze. Questi recettori extra
si sviluppano presumibilmente nei lunghi
periodi di stress o di overarousal a lungo
termine. Non a caso, gli antidepressivi
riducono anche il numero dei recettori, il che
sembra essere il motivo per cui hanno effetto
soltanto dopo due o tre settimane: ci vuole
tempo perché questi recettori vengano
eliminati. O magari il cervello non funziona
neanche così: le ricerche sono ancora in corso.
Ma torniamo al nostro discorso.
Vi starete domandando perché un
prolungato overarousal porti alla depressione
e possa essere migliorato dagli
antidepressivi. Ebbene, sembra che le
persone stressate per lungo tempo – ossia
sovrastimolate – siano a corto di certi
neurotrasmettitori. (Esistono anche altri
fattori, per esempio alcuni virus, che
riducono queste importanti sostanze.)
Quando il livello di tali neurotrasmettitori è
“basso”, anche l’umore di queste persone si
abbassa. Ma la cosa non succede a tutti, e non
se ne conosce il motivo. Essere una HS P non
significa tendere automaticamente alla
depressione. Il vero colpevole è l’overarousal a
lungo termine.
Esistono numerose sostanze che fungono
da neurotrasmettitori, e ogni anno se ne
scoprono altre. Per lungo tempo, gli
antidepressivi disponibili hanno lavorato su
molti di essi. Parte della discussione riguardo
alla fluoxetina verte sul fatto che essa opera
su uno solo di essi, la serotonina. La
fluoxetina e i principi simili – paroxetina,
sertralina ecc. – sono chiamati “inibitori
selettivi della ricaptazione della serotonina” o
S S RI (selective serotonin-reuptake inhibitors). Ma
non si sa perché questa selettività costituisca
un vantaggio nel trattamento di certi disturbi.
Gli scienziati stanno cercando di
approfondire il problema.

La serotonina e la personalità
Ciò che qualche anno fa rese il libro La pillola
della felicità 3 un bestseller fu che il suo
autore, Peter Kramer, espresse la
preoccupazione di tutti quegli psichiatri che
avevano scoperto che alcune persone,
assumendo gli S S RI , venivano “curate” da
quelle che sembravano caratteristiche
profonde della loro personalità. Una di
queste era la tendenza ereditaria a “reagire in
modo eccessivo allo stress”, ossia a diventare
facilmente sovrastimolati.
Come ho già detto, però, dobbiamo stare
ben attenti a permettere ai medici di usare
l’espressione “reagire in modo eccessivo allo
stress” quando descrivono il nostro tratto.
Chi decide che cosa è “eccessivo”? (Io uso il
termine overarousal o sovrastimolazione in
relazione a un teorico livello ottimale di
arousal, o stimolazione). Ma che dire degli
aspetti positivi del nostro tratto di
personalità e degli aspetti negativi di una
cultura in cui elevati livelli di stress sono
considerati “normali”? Noi non siamo nati
con la tendenza a “reagire in modo eccessivo
allo stress”. 4 Noi siamo nati solamente molto
sensibili.
A ogni modo, Kramer sollevò interessanti
interrogativi su una sostanza capace di
cambiare completamente la nostra
personalità. Ci sembra normale poter
cambiare la personalità così come cambiamo
gli abiti? Che cosa capita alla nostra identità
se il sé può essere modificato così facilmente?
Se prendiamo un farmaco senza che esistano
sufficienti prove che siamo malati – in realtà
vogliono solo che ci sentiamo così –, che
differenza c’è rispetto a una droga?
Prenderemo tutti la fluoxetina, e poi la super
fluoxetina, solo per poter meglio tollerare un
alto livello di stress? C’è una domanda che
Kramer ripete in continuazione: che cosa
avremo perso in una società in cui tutti
scelgono di assumere simili droghe?
Mi soffermo sul libro di Kramer perché ha
esposto molto bene una serie di problemi
sociali e filosofici che non hanno ancora
perso il loro valore, a maggior ragione dato
che oggi gli S S RI e molti altri antidepressivi –
ormai di quarta o quinta generazione, che
lavorano su altri neurotrasmettitori – sono
molto comuni (e creano grandi profitti alle
case farmaceutiche). In più vengono usati per
altre finalità, le più diverse: combattere
l’insonnia, ridurre il dolore, la sindrome
premestruale e perfino la timidezza. Se siete
delle tipiche HS P , pensate ai problemi
sollevati da Kramer quando dovrete decidere
come rispondere a chi vi offre un
antidepressivo.

La serotonina e le HSP
È difficile spiegare dettagliatamente perché la
serotonina sia così importante, e perché sia il
“neurotrasmettitore d’elezione” per
quattordici differenti aree del cervello. Peter
Kramer pensa che la serotonina sia un po’
come la polizia. Laddove la polizia e la
serotonina sono presenti, tutto è sicuro e
ordinato. Ma il miglioramento varia in
rapporto ai problemi di ciascuna area. Come
la polizia regola il traffico se c’è un ingorgo
stradale e controlla i crimini se ci sono
malviventi, la serotonina blocca la
depressione se alcune aree del cervello la
provocano e previene un comportamento
ipercompulsivo e perfezionistico se alcune
aree lo causano. Di conseguenza, con tutta
questa polizia intorno, un’ombra in un vicolo
sembrerà meno pericolosa. Questo sarebbe
un risultato importante per le HS P , dato il
loro forte sistema di inibizione. Ma sarebbe
vero solo se più serotonina, ossia più polizia
in zona, fosse un vantaggio.
Quando lessi La pillola della felicità mi
accorsi di quanti pazienti di Kramer fossero
HS P che non sapevano ancora apprezzare il
loro tratto di personalità e prendersi cura di
sé in una società scarsamente sensibile. Di
conseguenza, erano cronicamente
sovrastimolati, avevano un basso livello di
serotonina e in questo la fluoxetina li aiutava.
Prendete in considerazione anche gli altri
problemi che Kramer pensava risolti dalla
fluoxetina: compulsività (un tentativo troppo
zelante di controllare l’ansia e l’overarousal?),
bassa autostima e ipersensibilità alle critiche
(causate dal fatto di appartenere a una
minoranza che la società fa sentire
difettosa?).
Allora quando, se un quando esiste, una
HS P dovrebbe assumere un S S RI allo scopo di
cambiare certe caratteristiche della sua
personalità, come la tendenza alla
depressione o all’ansia? Vi prego di leggere la
mia nota (2012) all’inizio del libro. Sembra
che le HS P abbiano una variante genetica che
fa abbassare più facilmente il livello di
serotonina, ma che questo non sia il
problema fondamentale, come sembrava
all’inizio. L’allele portatore della variante, non
conduce di per sé alla depressione, ma anzi
potrebbe offrire certi vantaggi, caratteristici
della personalità delle HS P , come riflettere
prima di agire e prendere quindi migliori
decisioni. L’effetto della variante genetica
sembra dipendere da quanto siete
cronicamente sovrastimolati, e pare che sia
legato alla vostra infanzia.
Alcune scimmie nascono con la tendenza a
fermarsi per controllare suoni e immagini
nuove. Questa è anche una caratteristica del
nostro tratto di personalità, a cui si
aggiungono i vantaggi, tipici degli esseri
umani, di una più profonda comprensione
del passato e del futuro e di una maggiore
capacità di riflessione (se scegliamo di farlo).
Tali scimmie si comportano per lo più come
le altre, ma, da giovani, sono più lente
nell’esplorare situazioni nuove e mostrano un
battito cardiaco più elevato e più variabile,
nonché un più alto livello di ormoni dello
stress. Si comportano similmente ai bambini
descritti da Jerome Kagan di cui abbiamo
parlato nel capitolo 2. Ma notate che, fino a
questo punto, il loro livello di serotonina non
è diminuito.
Le differenze più significative si
evidenziano quando queste scimmie vengono
sottoposte a un forte stress (overaroused) per
molto tempo. Allora, se paragonati alle loro
compagne, tali individui più reattivi
sembrano ansiosi, depressi e compulsivi. Se
vengono ripetutamente stressati, mostrano
più spesso tali comportamenti, ed è a questo
punto che i loro neurotrasmettitori
diminuiscono.
Questi stessi comportamenti e
cambiamenti fisici sono evidenti anche in
qualsiasi scimmia traumatizzata nell’infanzia
tramite la separazione dalla madre. 5 È
interessante notare che, quando sottoposte al
primo trauma, inizialmente ad aumentare
sono gli ormoni dello stress come il cortisolo.
Ma poi, con il passare del tempo,
specialmente a causa di altri fattori di stress
come l’isolamento, i livelli di serotonina
diminuiscono. Allora le scimmie diventano
più reattive in modo permanente.
Il punto fondamentale di questi due studi
è che a generare il problema sono
sovraccarico cronico, lo stress o un trauma
infantile – non il tratto ereditario. Lo
abbiamo già visto nel capitolo 2. I bambini
sensibili sperimentano molti brevi momenti
di sovrastimolazione, il che accresce
l’adrenalina, ma se si sentono sicuri stanno
bene. Tuttavia quando un bambino sensibile
(o qualunque bambino) è insicuro, la
sovrastimolazione a breve termine si
trasforma in overarousal a lungo termine,
facendo aumentare il cortisolo. E, alla fine, la
serotonina risulta troppo bassa (secondo gli
studi eseguiti sulle scimmie).
Questa ricerca è importante per le HS P . Ci
fa capire perché è fondamentale evitare
l’overarousal cronico. Se la nostra infanzia ci
ha portati a sentirci minacciati da ogni cosa,
allora dobbiamo fare un lavoro interiore – di
solito in terapia – per cambiare quel
condizionamento, anche se ci vorranno anni.
Kramer cita prove che dimostrano che può
svilupparsi una suscettibilità permanente
all’overarousal e alla depressione, se i livelli di
serotonina non ritornano alla normalità, fino
al punto di creare danni. Perciò noi
dovremmo vivere sicuri, riposati e con un
buon livello di serotonina. Questo ci
permette di godere dei vantaggi del nostro
tratto e di apprezzare i dettagli. E vuole anche
dire che gli inevitabili momenti di
sovrastimolazione non portano di per sé a un
aumento del cortisolo nel giro di giorni né a
una diminuzione della serotonina nel giro di
mesi e anni. Se accade, possiamo ancora
correggere la situazione. Ma ci vuole tempo, e
per facilitare questa correzione potremmo
voler usare un farmaco per un breve periodo.

La serotonina e le gerarchie sociali


Un altro dato che dovete conoscere è che le
scimmie dominanti, almeno in alcune specie,
hanno livelli più alti di serotonina. 6 Se
aumentiamo la serotonina in una scimmia di
questo tipo, la rendiamo dominante rispetto
alle sue compagne cui abbiamo
somministrato una sostanza che la
diminuisce. 7 Mettendo tale scimmia in cima
alla gerarchia accresciamo ancora la
serotonina nel suo cervello. Rimuovendola
dal suo status, ne provochiamo la
diminuzione. Ecco un’altra ragione per cui i
medici vogliono che la vostra serotonina
aumenti: per aiutarvi a essere più dominanti
e vittoriosi in una società competitiva come la
nostra.
Non mi piace paragonare le scimmie
“timide” alle persone altamente sensibili, che
sono diverse proprio perché hanno le qualità
che rendono l’uomo “umano” (lungimiranza,
intuizione, immaginazione). Ma se le HS P
tendono a perdere la serotonina, dobbiamo
capirne il motivo. Può darsi che noi siamo
meno dominanti perché abbiamo poca
serotonina. Ma forse accade il contrario:
almeno in alcuni casi, la convinzione di
essere difettosi e la constatazione di essere
sottovalutati nella società sono i motivi che
provocano la riduzione della serotonina.
Forse il basso livello di serotonina, la
depressione e tutti gli altri disturbi nascono
dallo stress che proviamo vedendo che nelle
gerarchie sociali veniamo messi all’ultimo
posto.
Pensiamo a quale potrebbe essere il livello
di serotonina dei bambini cinesi “timidi e
sensibili” che (secondo lo studio descritto nel
capitolo 1) sono gli ammirati leader delle loro
classi. E immaginiamo i bassi livelli di
serotonina delle loro controparti in Canada,
in fondo alla gerarchia scolastica. Forse non
abbiamo bisogno di S S RI . Forse abbiamo
bisogno di rispetto!

Cosa comporta cambiare il vostro tratto di


personalità con un SSRI ?
Vorrei avere dei dati sugli effetti di questi
farmaci sulle HS P non depresse. Ma, anche in
tal caso, i loro effetti sulla media delle HS P
non direbbero molto riguardo al potenziale
effetto su di voi. È noto che un antidepressivo
efficace su una persona può non avere effetto
su un’altra. Potrebbe essere lo stesso per i
farmaci che influiscono sulla personalità.
Come ho spiegato nel capitolo 2, esistono
indubbiamente molti modi di essere
altamente sensibili. Questa è una ragione per
cui non si dovrebbe cercare una sola causa –
per esempio i livelli di serotonina – per
spiegare il vostro tratto di personalità.
Ecco due domande che dovreste porvi
quando state per prendere una decisione.
Primo: fino a che punto non vi piacete così
come siete? Secondo: siete disposti a
prendere un farmaco per il resto della vita
pur di mantenere i cambiamenti desiderati?
Per decidere dovreste anche prendere in
considerazione i potenziali effetti collaterali e
quelli a lungo termine, molti dei quali non
sono noti.
Un preoccupante effetto collaterale è che,
almeno nel 10-15 per cento dei casi, questi
nuovi farmaci si comportano come uno
stimolante, una specie di amfetamina. Alcune
persone lamentano insonnia, sogni vividi,
stanchezza incontrollabile, tremore, nausea,
diarrea, perdita di peso, mal di testa, ansia,
eccessiva sudorazione 8 e digrignamento dei
denti durante il sonno. 9 Una soluzione per
calmare l’agitazione è prescrivere un
ansiolitico, da assumere di solito la sera. Ma a
questo punto dovete prendere due farmaci, e
il secondo crea dipendenza.
Molte HS P che hanno assunto la fluoxetina
o sostanze simili lo hanno interrotto perché
non vi trovavano molto giovamento o perché
non ne gradivano gli effetti stimolanti. Una
spiegazione è che il sistema di attivazione
discusso nel capitolo 2 si attiva per
controbilanciare il sistema di inibizione
pause-to-check. Perciò questi farmaci
funzionano meglio se il vostro problema è un
sistema di attivazione “calmo”. Coloro in cui
entrambi i sistemi sono forti potrebbero
risultare troppo agitati.
Ai pazienti spesso non viene detto, ma la
maggior parte degli S S RI tende a influire sulle
prestazioni sessuali maschili, sull’orgasmo
femminile e sul desiderio sessuale di
entrambi i sessi. Possono anche provocare un
notevole aumento di peso. Infine, sono
particolarmente pericolosi se vengono
assunti insieme ad altre sostanze, soprattutto
con altri antidepressivi, dato che l’eccesso di
serotonina è dannoso e può perfino portare
alla morte.
No, non si tratta di una bacchetta magica.
Tutto ciò non deve spaventarvi o impedirvi
di prendere antidepressivi, soprattutto
durante una crisi. Voglio solo che ne siate dei
consumatori informati. Non dovete credere
fino in fondo al libro La pillola della felicità.
Non è aggiornato, e Kramer non ha discusso
deliberatamente gli effetti collaterali, essendo
più interessato all’impatto sociale di una
classe di farmaci che credeva fossero privi di
effetti pesanti. Inoltre lui minimizza anche le
differenze individuali, che possono causare
reazioni importanti in alcune persone. Avrete
difficoltà a farvi un quadro completo sulla
base soltanto delle informazioni che vengono
dalle case farmaceutiche, che da questi
farmaci ricavano enormi profitti, o dai medici
di famiglia che, secondo le ricerche, tendono
ad affidarsi ai farmaci più pubblicizzati. 10
Anche il foglietto illustrativo potrebbe non
essere esauriente. Uno psicofisiologo che
compie test di questi farmaci sugli animali
per conto delle case farmaceutiche, mi ha
raccontato di essere convinto che queste
ultime vengano incontro al nostro desiderio
di un rimedio rapido che, tuttavia,
semplicemente non esiste. Secondo lui, la
maggioranza dei nostri problemi richiede
una conoscenza di sé che si ottiene di solito
soltanto con un duro lavoro di psicoterapia.
Su questo punto Peter Kramer è d’accordo:

La psicoterapia resta la tecnica più utile per il


trattamento della depressione lieve e
dell’ansia ... La convinzione – sposata non di
rado da color che tagliano le spese sanitarie –
che i farmaci possano sostituire la
psicoterapia nasconde, io credo, la cinica
volontà di lasciar soffrire le persone ...
servendo da pretesto per negare ai pazienti la
psicoterapia. 11

Non ho più contato il numero delle pagine


(dopo essere arrivata a venti) in cui Kramer
esprime la sua preoccupazione per una
società in cui la fluoxetina viene usata troppo
liberamente, rendendo gli individui più miti,
più egocentrici e più insensibili. Allo stesso
tempo, egli è anche critico verso il
“calvinismo farmacologico” secondo cui se
un farmaco vi fa sentire bene deve essere
moralmente cattivo; la sofferenza è uno stato
privilegiato; l’arte è sempre il prodotto di una
mente tormentata e sofferente; solo gli
infelici hanno pensieri profondi e l’ansia è
necessaria a un’esistenza autentica. Si tratta
di importanti problemi sociali su cui noi HS P
dobbiamo riflettere quando prendiamo in
considerazione un farmaco non per uscire da
una crisi, ma per cambiare il nostro
fondamentale approccio alla vita, la nostra
personalità.

Se decidete di provare (o se lo avete già


fatto)
So bene che qualcuno di voi, o anche molti,
stanno già prendendo uno S S RI e che altri
decideranno di farlo. Oltre ai benefici che ne
trarrete, contribuirete anche alla nostra
conoscenza di questi farmaci, mentre coloro
che non li assumono saranno il nostro
“gruppo di controllo”.
Kramer teme che questi farmaci
mineranno il nostro senso di un sé stabile. Io
non ne sono sicura. Ogni mese molte donne
devono affrontare simili drastici cambiamenti
di umore e di fisiologia; e sanno ancora chi
sono. Si rendono semplicemente conto di
essere complicate. Forse capiscono di avere
varie identità, che si manifestano in momenti
diversi. In caso di assunzione del farmaco,
dovete decidere che tipo di persona volete
essere. Domandatevi: chi è che decide?
Evidentemente qualche solido testimone
interiore. La vostra consapevolezza di questa
parte di voi stessi si accrescerà come mai
prima. Così penserete alla persona che volete
essere e sarete liberi di scegliere.
Per una HS P , questo è un momento
eccitante. Forse quando avete scelto questo
libro non sapevate nemmeno di essere ciò che
siete. Ora, parlando del vostro tratto a un
medico e sperimentando la vostra sottostante
fisiologia (o rifiutandola), state diventando
dei pionieri. Perciò che cosa importa di un po’
di overarousal ogni tanto? Tenetelo sotto
controllo e andate avanti.
LAVORARE CON CIÒ CHE AVETE
IMPARATO
Che cosa cambiereste se poteste farlo con una
pillola sicura?

Prendete un foglio di carta e tracciate una linea


verticale nel mezzo. A sinistra fate un elenco delle
caratteristiche anche solo vagamente connesse alla
vostra sensibilità che vi piacerebbe eliminare, se
poteste farlo con una pillola sicura. Questo è il
vostro momento per disprezzare gli aspetti negativi
di una HSP. È anche il momento per sognare una
pillola perfetta, capace di cambiare la vostra
personalità. (L’esercizio non riguarda l’uso di farmaci
quando siete in crisi, depressi o inclini al suicidio.)
Ora, per ogni voce scritta a sinistra, mettete a
destra ciò che potreste perdere se quell’effetto
negativo della vostra sensibilità fosse eliminato dalla
pillola miracolosa. (Come tutti i farmaci, non
prevede la possibilità del paradosso.) Un esempio
non collegato al tratto: “testardaggine” andrebbe a
sinistra, ma senza di essa potreste perdere la
“determinazione”, che va a destra.
Se volete, aggiungete 1, 2 o 3 per ogni voce a
sinistra, in base a quanto vorreste liberarvi di essa
(3 è il massimo) e lo stesso sulla destra, in base a
quanto vorreste mantenere ciascuna voce. Un
punteggio molto più alto a sinistra suggerisce che
potreste desiderare continuare a cercare un farmaco
(o che è ancora difficile per voi accettare ciò che
siete).
10
Anima e spirito
Dove si trova il vero tesoro

Nelle HS P c’è qualcosa che ha molto a che fare


con l’anima e con lo spirito. Per “anima”
intendo qualcosa di più sottile del corpo
fisico, ma ancora a esso legato, per esempio i
sogni e l’immaginazione; invece lo spirito è
qualcosa che, pur contenendo l’anima, il
corpo e il mondo, li trascende tutti.
Quale ruolo dovrebbero svolgere nella
vostra vita l’anima e lo spirito? In queste
ultime pagine si affacciano parecchie
possibilità, fra cui la convinzione psicologica
che siete destinati a sviluppare un’interezza o
una completezza assolutamente necessaria
alla coscienza umana. Dopotutto le HS P
hanno un grande talento nel riconoscere ciò
che gli altri non vedono o negano, ed è
sempre l’ignoranza a danneggiare gli esseri
umani ancora e ancora.
Ma in questo capitolo compariranno anche
altre voci, meno psicologiche: direi più
angeliche, divine.

Quattro segni rivelatori


Ripensandoci, mi sembra quasi un momento
storico: la prima riunione di HS P nel campus
dell’Università della California, a Santa Cruz,
il 12 marzo del 1992. Avevo annunciato una
conferenza sui risultati dei miei colloqui e dei
primi questionari, invitando coloro che
avevano partecipato e anche studenti e
terapeuti, molti dei quali risultarono essere
HS P .
Ciò che notai subito fu il silenzio nella sala
prima che incominciassi. Non avevo pensato
a cosa dovevo aspettarmi, ma quella quiete
gentile aveva senso. Tuttavia era qualcosa di
più di una quiete rispettosa: il silenzio era
palpabile, come in una foresta. Una comune
sala aperta al pubblico era stata cambiata
dalla presenza di queste persone.
Quando fui pronta a parlare, notai
un’attenzione più che cortese. Ovviamente,
l’argomento interessava tutti. Ma io sentivo
che quelle persone mi seguivano in un modo
che ora associo a tutte le riunioni di HS P .
Siamo individui molto interessati alle idee e
ai concetti, e ponderiamo tutte le loro
possibilità. Siamo anche persone che
partecipano. E certamente evitiamo di
rovinare un ambiente sussurrando,
sbadigliando ed entrando o uscendo in
momenti inopportuni.
La terza osservazione nasce dai miei corsi
per HS P . Di solito faccio parecchie pause,
inclusa una silenziosa, insieme, in cui si può
riposare, meditare, pregare o pensare, così
come si preferisce. So per esperienza che
molte persone appartenenti a un pubblico
medio sarebbero confuse e perfino turbate da
questa possibilità. Ma, con le HS P , non ho mai
notato niente del genere.
Quarto, circa la metà delle persone che ho
incontrato ha parlato molto della sua vita
spirituale, come se questa parte li definisse.
Ma anche le voci degli altri, se chiedevo loro
riguardo alla vita interiore, la filosofia, le
relazioni con la religione o pratiche spirituali,
all’improvviso acquistavano nuova energia,
come se avessi finalmente toccato il punto.
I sentimenti nei confronti della “religione
organizzata” erano molto forti. C’era una
minoranza molto impegnata, mentre il resto
era indifferente e perfino sprezzante. Ma
molti aderivano a religioni non organizzate; e
circa la metà seguiva qualche pratica
giornaliera che li portava a concentrarsi
interiormente, in una dimensione spirituale.
Ecco alcune delle cose che mi hanno detto.
I concetti, ridotti a brevi frasi, sembrano
quasi una poesia.
Ha meditato per anni, ma «lascia che le cose
accadano».

Prega quotidianamente: «Otterrai ciò per


cui preghi».

«Mi esercito su me stesso; cerco di vivere in


modo naturale per gli uomini e gli animali.»

Medita quotidianamente. Non ha alcuna


“fede” tranne quella che tutto andrà bene.

Sa che c’è uno spirito, un potere più


grande, una forza che ci guida.

«Se fossi stata un uomo, sarei diventata un


gesuita.»

«Tutto ciò che è vivo è importante; c’è


qualcosa di più grande, lo so.»

«Siamo il modo in cui trattiamo gli altri.


La religione? Sarebbe un conforto se potessi
crederci.»
«Il Tao, la forza che opera nell’universo:
devi lasciar andare ogni lotta.»

Ha iniziato a parlare a Dio a cinque anni,


seduto tra gli alberi; è guidato da una voce
durante le crisi, è visitato dagli angeli.

Due volte al giorno, un profondo


rilassamento.

«Siamo qui per proteggere il pianeta.»

Medita due volte al giorno; ha avuto


«esperienze oceaniche, alcuni giorni di
durevole euforia; ma la vita spirituale deve
evolversi e richiede comprensione.»

«Sono stato ateo fino ad Al-anon


(associazione di mutuo soccorso).»

«Penso a Gesù, penso ai santi. Ho ondate


di sentimenti spirituali.»

Medita, ha visioni, fa sogni che la


riempiono di «energia radiosa; molti giorni
sono pieni di gioia e di grazia».

A quattro anni ha udito una voce che le ha


promesso che sarebbe stata sempre protetta.

Afferma che la vita è buona, in tutto, ma


che non è fatta per le comodità. È fatta per
imparare qualcosa su Dio. Forma il carattere.

«Sono attratto e respinto dalla religione


della mia infanzia, ma sempre interessato
alla trascendenza, ai misteri, a ciò che non
conosco e che non so come affrontare.»

Numerose esperienze religiose. La più


pura accadde quando nacque suo figlio.

Va oltre la religione e va direttamente a


Dio (attraverso la meditazione) e ai bisognosi.

Pratica con un gruppo un metodo


spirituale indonesiano, danzando e cantando
per raggiungere «un naturale stato dell’essere
che è profonda beatitudine».

Prega ogni mattina per mezz’ora,


riflettendo sul giorno passato e su quello che
verrà: «Il Signore dona intuizioni, corregge e
mostra la via».

«Credo che quando rinasciamo in Cristo, ci


vengano date le capacità per svilupparci, in
modo da poter vivere la nostra esistenza nella
gloria di Dio.»

«Le vere esperienze religiose si


manifestano nella vita quotidiana come fede
che tutti gli eventi siano diretti al bene.»

«Io sono induista-buddhista-panteista:


ogni cosa avviene così come deve avvenire; sii
felice a ogni costo; cammina con la bellezza
sopra, sotto e dietro.»

«Spesso mi sento tutt’uno con l’universo.»


In cosa siamo bravi e a cosa serviamo?
Ho parlato di quattro esperienze che ho avuto
varie volte con le HS P : il silenzio spontaneo e
profondo che crea una specie di superiore
presenza collettiva, il comportamento
riflessivo, il sentirsi diretti da
un’anima/spirito e l’avere intuizioni su tutto
questo. Per me, queste quattro esperienze
sono prove evidenti che noi, i “consiglieri
reali”, siamo la classe dei “sacerdoti”, che
forniscono alla società un nutrimento
ineffabile. Non ho la pretesa di definire
questo nutrimento. Ma posso fare alcune
osservazioni.

CREARE LO S PAZIO S ACRO

Mi piace il modo in cui gli antropologi


parlano di leadership e di spazio rituali. 1 I
leader rituali creano per gli altri le esperienze
che possono avvenire solo in uno spazio
delimitato, sacro o transizionale, distinto dal
mondo materiale. Le esperienze che
avvengono in questo spazio sono in grado di
trasformare le persone e di dare un senso alla
vita. Senza di esse, l’esistenza diventa grigia e
vuota. Il leader rituale contrassegna e
protegge tale spazio, prepara gli altri a
entrarvi e li aiuta a tornare in società dopo
aver spiegato il giusto significato
dell’esperienza. Tradizionalmente, le grandi
transizioni della vita sono spesso segnate da
esperienze di iniziazione: l’entrata nell’età
adulta, il matrimonio, la genitorialità, la
vecchiaia e la morte. Altre sono rivolte a
guarire, a offrire visioni o rivelazioni che
danno una direzione, oppure a vivere in più
stretta armonia con il divino.
Oggi gli spazi sacri stanno rapidamente
diventando mondani. Ma, per sopravvivere,
hanno bisogno di grande tranquillità e cura.
Possiamo crearli nelle chiese così come negli
studi di certi psicoterapeuti, in gruppi di
uomini e donne insoddisfatti della loro
religione d’origine o nelle comunità che
praticano in modo tradizionale; oppure in
una conversazione, segnalati da un certo
cambiamento di argomento o di tono, o
nell’indossare un costume sciamanico e
tracciare il cerchio cerimoniale. I confini di
uno spazio sacro sono oggi sempre mutevoli,
simbolici e raramente visibili.
Se esperienze sgradevoli hanno fatto sì che
alcune HS P rifiutino tutto ciò che odora di
sacro, la maggioranza si sente ancora a suo
agio in questo spazio. Alcune lo generano
quasi spontaneamente intorno a sé. Perciò di
frequente si sentono in grado di offrirlo
anche agli altri. In questo senso fanno di se
stesse la classe sacerdotale: creando e
salvaguardando lo spazio sacro in questi
tempi di aggressivi guerrieri secolari.

ES S ERE PROFETI OGGI

Anche la psicologa Marie-Louise von Franz,


che lavorò a stretto contatto con Jung, vede
(anche se in maniera differente) le HS P come
“sacerdoti”. I suoi studi si concentrarono su
quello che gli junghiani chiamano “tipo
introverso intuitivo”, 2 cui appartiene la
maggioranza delle HS P . (Coloro che sanno di
non possedere nessuna delle due
caratteristiche né di appartenere a uno dei
seguenti tipi, per il momento sono esclusi dal
discorso, e me ne scuso.)

Il tipo introverso intuitivo ha le stesse


capacità di fiutare il futuro del tipo estroverso
intuitivo ... Ma la sua intuizione è rivolta
all’interno, e pertanto egli appartiene prima
di tutto al tipo del profeta o del veggente. A
un livello primitivo, è lo sciamano che sa ciò
che gli dei, i fantasmi e gli spiriti ancestrali
stanno preparando, e riferisce i loro messaggi
alla tribù... Egli conosce i lenti processi che si
svolgono nell’inconscio collettivo.

Oggi molti di noi sono artisti e poeti anziché


profeti e veggenti, e danno vita a un genere di
arte di cui la Von Franz dice: «Generalmente è
compresa solo dalle generazioni successive,
come rappresentazione di ciò che avveniva in
quel momento nell’inconscio collettivo». Ma
tradizionalmente, i profeti si occupano di
religione, non di arte, e tutti possiamo vedere
che nella religione odierna sta avvenendo
qualcosa di strano.
Domandatevi se il sole sorge a est. E poi
considerate come vi sentite per avere fatto
una domanda “sbagliata”. Perché,
ovviamente, avete sbagliato. Il sole non sorge:
è la terra che gira. Questo vale per tutta
l’esperienza personale. A quanto pare, non
possiamo fidarcene. Possiamo solo fidarci
della scienza.
La scienza ha trionfato e ora sembra quasi
l’unica via di conoscenza in qualsiasi ambito.
Ma non può rispondere alle grandi domande
spirituali, filosofiche e morali. Perciò noi ci
comportiamo come se esse non fossero
importanti. Ma lo sono. E hanno sempre
bisogno, implicitamente, di una risposta, che
s’incarna nei valori e nei comportamenti di
una società, la quale le rispetta, le ama, le
teme e le lascia languire senza però
accoglierle e alimentarle. Quando queste
domande sono poste esplicitamente, sono di
solito avanzate dalle HS P .
Ma oggi nemmeno le HS P sono sicure di
poter sperimentare o credere in qualcosa che
non può essere visto, specialmente dopo che
la scienza ha dimostrato che molte di quelle
cose erano false. Una volta constatato che ci
sbagliamo anche nell’osservare il semplice
sorgere del sole, crediamo a stento ai nostri
sensi, e ancora meno all’intuito. Guardiamo i
dogmi che i sacerdoti o la classe sacerdotale
ci avevano imposto: quanti di essi si sono
dimostrati “erronei” o, peggio, “interessati”?
Ma non tutti gli attacchi alla fede
provengono direttamente dalla scienza. Ci
sono anche le comunicazioni moderne e i
viaggi. Se io credo al paradiso e qualche
miliardo di persone dall’altra parte del
pianeta crede alla reincarnazione, come
possiamo entrambi aver ragione? E se una
parte della mia religione è sbagliata, non può
esserlo anche il resto? Gli studi comparativi
sulle religioni non hanno forse dimostrato
che si tratta di tentativi di trovare risposte a
fenomeni naturali? O che si tratta di trovare
un conforto di fronte alla morte? Allora,
perché non vivere senza queste superstizioni
e stampelle emotive? Inoltre, se esiste un
Dio, come spiegare tutti gli orrori di questo
mondo? E, già che ci siete, come spiegare che
tanti di questi guai sono causati proprio dalla
religione? È così che parlano le voci dello
scetticismo.
Esistono molte reazioni di fronte alla crisi
della religione. Alcuni di noi concordano con
gli scettici. Altri si affidano a una specie di
forza, o bontà, astratta. Altri si aggrappano
ancora più strettamente alle loro tradizioni,
diventando fondamentalisti. Altri rifiutano i
dogmi ritenendoli fonti di dissidi nel mondo,
ma amano i rituali e certi principi della loro
tradizione religiosa. Infine, esiste una nuova
generazione di individui che si approcciano
alla religione tramite esperienze dirette,
rifiutando gli insegnamenti delle autorità.
Allo stesso tempo, poiché sanno che per varie
ragioni gli altri hanno esperienze differenti,
non cercano di proclamare che quelle vissute
da loro sono la Verità. Forse sono i primi
esseri umani a dover convivere con una
diretta conoscenza spirituale che viene
ritenuta fondamentalmente incerta.
Esistono HS P in ogni categoria. Ma dai miei
incontri e dai miei corsi deduco che la
maggioranza si trovi nell’ultimo gruppo.
Come pionieri e scienziati, anche loro
esplorano aree sconosciute e poi tornano
indietro a riferire.
Tuttavia molti di noi esitano a riferire. Il
business delle religioni, delle sette, delle
conversioni, dei guru e della New Age è un
vero e proprio guazzabuglio. Ci sentiamo
imbarazzati per alcuni esseri umani che
scrivono opuscoli e hanno una luce fanatica
negli occhi. Abbiamo paura di essere visti
allo stesso modo. Le HS P sono già state
abbastanza marginalizzate, come succede in
una cultura che predilige gli aspetti materiali
rispetto a quelli spirituali.
Tuttavia i tempi hanno bisogno di noi. Uno
squilibrio tra i “consiglieri reali” e i “re
guerrieri” è sempre pericoloso, in particolar
modo dal momento che la scienza nega
l’intuizione e alle “grandi domande” non si
risponde con la riflessione, ma in base alle
convenienze del momento.
I nostri contributi sono più necessari in
questo campo che in altri.

Mettete per iscritto i precetti della vostra


religione
Tutte le religioni, organizzate o non
organizzate, hanno dei precetti. Vi suggerisco
di metterli per iscritto, possibilmente subito.
Che cosa accettate, credete o conoscete in
base alla vostra esperienza? Come membri
della classe dei “consiglieri reali”, è bene che
li scriviate utilizzando parole vostre. Poi, se
pensate che qualcuno possa trarre beneficio
da tale ascolto, potete ulteriormente
svilupparli. Se non volete essere troppo
impositivi o dogmatici, scegliete come primo
precetto la vostra stessa incertezza e la
volontà di non fare facili prediche. Avere fede
non significa che essa sia immutabile, certa o
che vada imposta agli altri.

Ispirare gli altri alla ricerca di un


significato
Se non vi sentite adatti al ruolo di profeti,
non vi posso biasimare. Ma durante una
“crisi esistenziale”, potrebbe comunque
capitarvi di trovarvi su un pulpito o su un
palco improvvisato. Così successe a Victor
Frankl, psichiatra ebreo imprigionato in un
campo di concentramento nazista.
In Uno psicologo nei Lager, Frankl
(ovviamente una HS P ) descrive come si sentì
spesso chiamato a ispirare i suoi compagni
prigionieri, come capì intuitivamente ciò di
cui essi avevano bisogno e quanto bisogno ne
avevano. Osservò anche che, in quelle
spaventose circostanze, i prigionieri che
riuscivano a trovare grazie agli altri un
significato alla loro vita, sopravvivevano
meglio psicologicamente e, quindi, anche
fisicamente:

Uomini sensibili, abituati a vivere


un’esistenza spiritualmente attiva in seno alle
loro famiglie, in certi casi sperimentarono la
difficile situazione esterna della vita del
Lager, con dolore ma, nonostante la loro
relativa fragilità psichica, quasi con effetti
meno distruttivi in rapporto alla loro vita
spirituale. A loro infatti è possibile ritirarsi
dallo spaventoso ambiente che li circonda,
volgendosi a un regno di libertà spirituale e di
ricchezza interiore. Così e solo così possiamo
comprendere il paradosso, che talora
individui costituzionalmente delicati
sopravvivono al Lager meglio di certe nature
robustissime. 3

Per Frankl, il significato della vita non è


sempre di tipo religioso. Nel campo di
concentramento, trovò che in certi momenti
la sua ragione di vita era aiutare gli altri. In
altri momenti, trovò che era scrivere su
frammenti di carta e in altri ancora era il suo
profondo amore per la moglie.
Etty Hillesum è un altro esempio di HS P
che, in quegli stessi tempi difficili, trovò un
significato e lo condivise con gli altri. Nei
suoi diari, 4 scritti ad Amsterdam nel 1941 e
nel 1942, possiamo percepire il suo sforzo di
comprendere e trasformare la sua esperienza:
storicamente e spiritualmente, ma sempre
considerandola nel suo interiore. A poco a
poco, dalla paura e dal dubbio emerge una
gentile, quieta e personale vittoria spirituale.
Dai suoi racconti si apprende come molti
incominciarono a trovare in lei un profondo
conforto. Le sue ultime parole, scritte su un
pezzetto di carta e gettate da un carro
bestiame diretto ad Auschwitz, sono forse
quelle che preferisco: «Lasciammo i campi
cantando».
Etty Hillesum fu ispirata dalla psicologia
di Jung e dalla poesia di Rilke (entrambi HS P ).
Su Rilke scrisse:

È così strano, Rilke ... magari sarebbe stato


distrutto dalle circostanze in cui ci troviamo a
vivere noi. Ma non è proprio questo un segno
di buona economia – il fatto che, in
circostanze tranquille e favorevoli, artisti
sensibili possano cercare indisturbati la forma
più giusta e più bella per le loro intuizioni
più profonde; e che poi, in tempi più agitati e
debilitanti, queste stesse forme possano
offrire appoggio e protezione agli uomini
smarriti? Ai turbamenti e ai problemi che
non trovano forma o soluzione, perché ogni
energia è consumata dalle necessità
quotidiane? In tempi difficili si tende a
disprezzare le acquisizioni spirituali di artisti
vissuti in epoche cosiddette più facili (ma
essere artista non è di per sé abbastanza
difficile?), e si dice: tanto, cosa ce ne
facciamo? È un atteggiamento comprensibile,
ma miope. E ci rende infinitamente poveri. 5

In qualsiasi epoca, la sofferenza alla fine


colpisce tutti. Come conviverci e come aiutare
gli altri a farlo; ecco le grandi opportunità
creative ed etiche delle HS P .
Noi HS P danneggiamo noi stessi e gli altri
quando ci giudichiamo deboli in confronto ai
guerrieri. La nostra forza è di natura diversa,
ma spesso è più potente. Talvolta è l’unica in
grado di affrontare la sofferenza e il male.
Certamente richiede uguale coraggio, e con
l’esercizio adeguato si migliora e si accresce.
Ma non consiste sempre nell’accettare, nel
resistere o nel trovare un significato alla
sofferenza. Qualche volta sono necessarie
azioni che comportano grandi abilità e
strategia.
Una notte di gelo invernale, durante un
blackout, i prigionieri di una baracca
pregarono Frankl di parlare loro nel buio. Era
noto che molti meditassero il suicidio. (Oltre
al dolore per il suicidio di un compagno, tutti
gli abitanti della baracca venivano comunque
puniti dalle guardie nel caso se ne verificasse
uno.) Frankl fece appello a tutte le sue
capacità psicologiche per trovare le parole
giuste e parlò loro dall’oscurità. Quanto tornò
la luce, gli uomini lo circondarono,
ringraziandolo con le lacrime agli occhi. Una
HS P aveva vinto la sua particolare battaglia.

Essere guide nella ricerca dell’interezza


Nei capitoli 6 e 7 ho definito il processo di
individuazione come la scoperta della propria
voce interiore. Solo così è possibile trovare il
proprio significato alla vita, la propria
vocazione. Come scrisse Marsha Sinetar in
Ordinary People As Monks and Mystics (Le
persone ordinarie come monaci e mistici), 6 «la
chiave di una personalità completa ... è
questa: che ognuno trovi che cosa è bene per
lui e se lo tenga stretto per diventare intero».
Io voglio solo aggiungere che ciò che si deve
tener stretto non è una meta fissa ma un
processo. Ciò che dobbiamo ascoltare può
cambiare da un giorno all’altro, da un anno
all’altro. Analogamente, Frankl si rifiutava
sempre di definire quale fosse il significato
della vita.

Il significato della vita muta da uomo a


uomo, di attimo in attimo. Non è dunque
mai possibile precisare il senso della vita
umana in generale ... La vita, secondo la
nostra accezione, non è qualcosa di vago, ma
di volta in volta qualcosa di concreto e così
anche le esignze della vita sono di volta in
volta assai concrete ... Non è possibile
paragonare due uomini o due destini;
nessuna situazione si ripete. 7

La ricerca dell’interezza significa muoversi in


cerchi sempre più stretti attraverso differenti
significati, differenti voci. Non si finisce mai,
eppure si comprende sempre meglio quello
che c’è al centro. Muovendosi in cerchio,
rimane poco spazio per l’arroganza, poiché
significa passare attraverso ogni sorta di
esperienza di noi stessi. Si tratta della ricerca
dell’interezza, non della perfezione; e
l’interezza è, per definizione, qualcosa che
comprende anche l’imperfezione. Nel
capitolo 7 ho descritto l’imperfezione come
un’“ombra” che contiene tutto ciò che
abbiamo represso, negato, rifiutato e
disprezzato di noi stessi. Anche le
coscienziose HS P sono piene di tratti
spiacevoli e di impulsi non etici, come tutti
gli altri. Quando scegliamo di non obbedire
loro, come dovremmo fare, essi non se ne
vanno del tutto. Alcuni si limitano a
nascondersi più a fondo.
Nel processo di comprensione della nostra
ombra, è fondamentale conoscere i nostri
aspetti spiacevoli o non etici e tenerli
d’occhio, piuttosto che gettarli fuori dalla
porta per vederli poi rientrare dalla finestra.
Di solito le persone più pericolose e più in
pericolo, moralmente parlando, sono coloro
che sono certi di non fare mai niente di male,
coloro che credono di essere completamente
nel giusto e che non sospettano di avere
un’ombra dentro di sé né la conoscono.
La conoscenza dell’ombra, oltre a darci la
possibilità di comportarci in modo etico, se
integrata in modo consapevole apporta
energia, vitalità e profondità a una
personalità. Nel capitolo 6 ho parlato di HS P
“liberate”, anticonformiste, altamente
creative. Imparare qualcosa sulla nostra
ombra (non la conosceremo mai del tutto) è
la via migliore e forse l’unica per essere liberi
dalla camicia di forza della iper-
socializzazione che le persone ipersensibili
spesso indossano nell’infanzia. In tal modo,
la HS P coscienziosa e compiacente che è in voi
incontra e ottiene i contributi di una HS P
potente, intrigante, compiaciuta e impulsiva.
Come in una coppia in cui ciascuno rispetta e
controlla le inclinazioni dell’altro, le due parti
di voi stessi costituiranno insieme qualcosa di
splendido.
Ecco che cosa intendo quando parlo di
perseguire l’interezza. Le HS P possono essere
guide in questo importante processo umano.
Esse hanno un eccezionale bisogno di
completezza perché sono nate all’estremità di
una dimensione, quella della sensibilità.
Inoltre non solo siamo una minoranza della
società, ma anche una minoranza considerata
molto lontana dall’ideale. Spesso ci sembra di
dover passare all’estremo opposto: da deboli,
difettosi e vittime a personalità forti e
superiori. Questo libro ha incoraggiato, entro
certi limiti, una tale trasformazione. Penso
che si tratti di una compensazione necessaria.
Ma per molte HS P la vera sfida è raggiungere
un equilibrio. Non essere più “troppo
timide” né “troppo sensibili”, o “troppo” in
generale, ma giuste, normali, ordinarie.
Anche per quanto riguarda la vita
spirituale e psicologica delle HS P , la ricerca
dell’interezza è un tema centrale, dato che
noi spesso siamo già predisposti a
interessarci a questi temi. Ma vivere su un
unico piano, escludendo tutto il resto,
significa avere una visione unilaterale. È
molto difficile per noi capire che la cosa più
spirituale può essere la meno spirituale, che
l’intuizione più perspicace può essere quella
che cerchiamo meno. Un appello all’interezza
piuttosto che alla perfezione potrebbe essere
la sola via per realizzarci.
Al di là di queste premesse generali, la via
verso l’interezza è una questione individuale,
anche per le HS P . Se la percorriamo, saremo
tentati di uscirne o costretti alla fine a farlo.
Se ne siamo fuori, dobbiamo entrarvi. Se
abbiamo indossato una corazza, dovremo
ammettere alla fine la nostra vulnerabilità.
Ma se siamo timidi, sentiremo che dentro di
noi tutto è sbagliato, finché non diventeremo
più assertivi.
Rispetto alle definizioni junghiane di
introversione ed estroversione, la maggior
parte delle HS P ha bisogno di essere più
estroversa se vuole diventare più intera.
Martin Buber, che scrisse così
eloquentemente sulla relazione “io-Tu”, una
volta raccontò che la sua vita era cambiata nel
giorno in cui un giovane andò a chiedergli
aiuto. Buber ritenne di essere troppo
occupato a riflettere e in genere a condurre la
sua vita spirituale per apprezzare la visita del
giovane. Poco dopo il giovane morì in
battaglia. L’interesse di Buber per il rapporto
“io-Tu” nacque quando ricevette quella
notizia e capì l’unilateralità della sua
introversa solitudine spirituale.
La ricerca dell’interezza attraverso le
quattro funzioni
Come dicevo, nessuno raggiunge davvero
l’interezza. La vita umana incarnata ha dei
limiti: non possiamo essere
contemporaneamente luce e ombra, maschio
e femmina, consapevoli e inconsapevoli. Ma
credo che tutti, qualche volta, ne abbiano
avuto un sentore. Molte tradizioni descrivono
esperienze di pura consapevolezza, al di là
del pensiero e delle sue polarità, che si
possono raggiungere tramite la meditazione
profonda e diventano il fondamento della
nostra vita.
Non appena, però, agiamo in questo
mondo imperfetto, con i nostri corpi
imperfetti, siamo simultaneamente esseri
perfetti e imperfetti. Come esseri imperfetti,
viviamo sempre una metà di qualsiasi coppia
di polarità. Per un po’ siamo introversi, poi
diventiamo estroversi per riequilibrare il
tutto. Per un po’ siamo forti, poi diventiamo
deboli e dobbiamo riposare per recuperare.
In ogni momento il mondo ci costringe ad
assumere un atteggiamento particolare. «Non
puoi essere sia un cowboy che un pompiere.»
Il nostro corpo ha dei limiti. Tutto ciò che
possiamo fare è cercare di restare
continuamente in equilibrio.
Spesso la seconda metà della vita
riequilibra la prima. È come se ci stancassimo
o ci annoiassimo di un modo di essere e
volessimo provare il suo opposto. La persona
timida vorrebbe diventare un cabarettista. La
persona dedita a servire gli altri si esaurisce e
si chiede come sia potuta arrivare a questo
rapporto di “co-dipendenza”.
In generale, qualsiasi nostra capacità deve
essere bilanciata dal suo opposto, da ciò che
non sappiamo fare o di cui abbiamo paura.
Una delle polarità di cui parlano gli junghiani
riguarda il modo di apprendere informazioni:
attraverso la percezione sensoriale (i semplici
fatti) o l’intuizione (il sottile significato dei
fatti). Un’altra polarità riguarda i due modi di
decidere in merito all’informazione che
abbiamo appreso: attraverso il pensiero
(basato sulla logica o su ciò che appare
universalmente vero) o attraverso il
sentimento (basato sull’esperienza personale
e su ciò che ci sembra bene per noi stessi e
per i nostri cari).
Ognuno di noi eccelle in una fra le
seguenti quattro “funzioni”: percezione,
intuizione, pensiero e sentimento. 8 Per le HS P
è spesso l’intuizione. (Ma anche le funzioni
del pensiero e del sentimento sono comuni.)
Comunque, se siete introversi – come il 70
per cento delle HS P –, utilizzate la vostra
migliore funzione soprattutto nella vita
interiore.
Anche se esistono test che ci consentono
di scoprire qual è, Jung pensava invece che
potessimo imparare di più dall’attenta
osservazione della funzione “peggiore”,
quella che regolarmente ci umilia. Vi sentite
un povero dilettante quando volete pensare
in modo logico? O quando dovete capire
quale sentimento provate? O invece quando
avete bisogno di intuire che cosa sta
accadendo fra le righe? O quando dovete
stare ai fatti senza interpretare, senza essere
creativi o senza perdervi in sogni a occhi
aperti?
Nessuno possiede la stessa abilità
nell’utilizzare le quattro funzioni. Ma
secondo Marie-Louise von Franz, che scrisse
un lungo saggio sullo sviluppo della
“funzione inferiore”, lavorare a rafforzare
questa parte debole e maldestra della vostra
personalità è una via particolarmente valida
verso l’interezza. 9 Vi mette a contatto con i
materiali sepolti nell’inconscio e pertanto vi
permette di raggiungere con esso una
maggiore armonia. Come succede nelle
favole, tale funzione è rappresentata dal
fratello più giovane e più visionario che però
torna a casa con il tesoro.
Se siete un tipo intuitivo (cosa più
probabile per le HS P ), la vostra funzione
inferiore dovrebbe essere quella delle
percezioni: stare ai fatti, occuparsi delle cose
concrete. I suoi limiti si mostrano in modi
diversi nei vari individui. Per esempio, io mi
considero quasi un’artista, ma in modo
intuitivo. Le parole mi vengono facili, benché
abbia la tendenza ad avere molte idee e a dire
troppo. Trovo difficile essere un’artista in un
modo più concreto e limitato: arredare una
stanza o un ufficio, decidere che cosa
indossare. Mi piace vestirmi bene, ma di
solito lo faccio con capi che altri comprano
per me. Il mio problema è che non sopporto
girare per negozi. Ci sono troppe cose che mi
sovrastimolano e mi confondono, e, in più,
alla fine devo prendere una decisione. Tutte
queste attività – la stimolazione sensoriale, i
problemi pratici e le decisioni – sono molto
difficili per un’introversa intuitiva.
D’altro canto, alcuni intuitivi sono bravi a
fare spese, perché riescono a vedere le
potenzialità di qualcosa che gli altri
trascurano e capiscono come potrebbe
apparire in un particolare contesto. È difficile
fare generalizzazioni sulle cose in cui
eccellono gli intuitivi. È meglio pensare in
termini di stile di comportamento.
Matematica, cucina, lettura di mappe,
gestione aziendale: ogni attività può essere
svolta intuitivamente o “secondo le regole”.
La Von Franz nota che questi individui
vengono spesso completamente assorbiti
dalle esperienze sensoriali come musica,
cibo, alcol, droghe e sesso. 10 Possono perdere
ogni traccia di buon senso, ma riescono anche
a cogliere, oltre la superficie, il significato
profondo di tali esperienze.
Il problema di dialogare con la funzione
inferiore (la percezione sensoriale, in questo
caso) è che la funzione dominante tende
comunque a rientrare continuamente in
gioco. La Von Franz 11 fa l’esempio di un
intuitivo che si dedica a modellare l’argilla
(una buona scelta per sviluppare la
percettività, perché è un’attività concreta), ma
a un certo punto si perde a pensare a come
sarebbe utile insegnare a lavorare l’argilla in
tutte le scuole, a come il mondo cambierebbe
se tutti lavorassero l’argilla ogni giorno e a
come in questo lavoro si possa vedere – come
in un microcosmo – l’intero universo e il
significato della vita!
Ma possiamo sviluppare la nostra funzione
inferiore soprattutto attraverso
l’immaginazione o come in una specie di
gioco, molto privato. Secondo Jung e la Von
Franz, dedicarle del tempo è davvero un
imperativo etico. Ci accorgiamo che gran
parte del comportamento irrazionale
collettivo dipende dal fatto che le persone
proiettano la loro funzione inferiore in
qualcuno o che diventano vulnerabili se gli
altri si appellano a essa: aspetti che i media e
i leader manipolatori possono sfruttare.
Quando Hitler promosse l’odio contro gli
ebrei, si appellò alle varie funzioni inferiori
dei diversi gruppi di tedeschi cui si
rivolgeva. 12 Quando parlò agli intuitivi, alle
persone con una percettività inferiore,
descrisse gli ebrei come magnati della
finanza e malvagi manipolatori dei mercati.
Gli intuitivi (compresi quelli ebrei) sono
frequentemente poco pratici e incapaci di far
denaro. Spesso si sentono inferiori a causa
del loro scarso senso degli affari, il che li
porta a sentirsi vittime di chiunque sia più
abile di loro. È comodo incolpare qualcuno
per le proprie mancanze.
Rivolgendosi alle persone con una capacità
di pensiero inferiore, Hitler descrisse gli
ebrei come intellettuali insensibili.
Rivolgendosi alle persone con una capacità di
sentimenti inferiore, disse che gli ebrei
perseguivano egoisticamente i loro
intereressi ed erano privi di un’etica
universale e razionale. E rivolgendosi alle
persone con scarsa capacità intuitiva, attribuì
agli ebrei poteri intuitivi e magici e
conoscenze segrete.
Quando riusciamo a capire quale sia la
nostra funzione inferiore, possiamo bloccare
questa specie di “complesso di inferiorità”. Il
nostro dovere morale è riconoscere
esattamente in che modo non siamo interi. E
le HS P possono eccellere in questo genere di
lavoro interiore.

I sogni, l’immaginazione attiva e le voci


interiori
Il compito di ottenere l’interezza in senso
junghiano viene facilitato dai sogni e
dall’“immaginazione attiva” di quei sogni:
due cose che ci aiutano a dialogare con le
nostre voci interiori e con le parti di noi che
rifiutiamo. Quanto a me, i sogni sono sempre
stati qualcosa di più che semplici
informazioni provenienti dall’inconscio.
Alcuni mi hanno letteralmente salvata in
periodi di grandi difficoltà. Altri mi hanno
dato informazioni che io, il mio ego,
semplicemente non poteva avere. Altri ancora
mi hanno predetto certi eventi o sono coincisi
in modo sconcertante con essi. Dovrei essere
una persona molto testarda e scettica per non
riconoscere (per me stessa, non per qualcun
altro) che c’è qualcosa che mi guida.
I Naskapi sono nativi americani che vivono
in piccoli gruppi famigliari sparsi nel
Labrador. 13 Perciò non hanno sviluppato
rituali collettivi, ma credono in un Grande
Amico che entra alla nascita in ogni persona
per inviarle sogni che la aiutino. Più una
persona è virtuosa (e la virtù comprende il
rispetto per i sogni), più riceverà aiuti da
questo Grande Amico. Talvolta, quando mi
chiedono della mia religione, mi piacerebbe
rispondere: “Naskapi”.

Angeli e miracoli, spiriti guida e


sincronicità
Finora ho parlato della spiritualità delle HS P
descrivendo la loro speciale leadership nella
ricerca umana di uno spazio rituale, di una
comprensione religiosa, di un significato
esistenziale e dell’interezza del sé. Alcuni di
voi si chiederanno quando mi metterò a
parlare di esperienze spirituali più
significative come visioni, voci o miracoli e
dell’intimo e personale rapporto con Dio, con
gli angeli, con i santi o con gli spiriti guida.
Le HS P hanno molte esperienze del genere:
sembriamo particolarmente ricettivi in
proposito. Questa ricettività pare crescere in
certi periodi, per esempio quando siamo
impegnati in una psicoterapia del profondo.
Jung chiamava queste esperienze
“sincronicità”, un «principio di connessione
acausale». 14 Egli sosteneva che oltre alle
connessioni che conosciamo – per esempio,
tra l’oggetto A e l’oggetto B –, esiste
qualcos’altro di non (ancora) misurabile che
connette le cose, che possono, quindi,
influenzarsi a distanza oppure sono vicine, in
modi diversi dalla prossimità fisica.
Quando gli oggetti, le situazioni e le
persone sono connesse in virtù del fatto che
si appartengono a vicenda, ciò implica
un’organizzazione invisibile: un qualche
piano intelligente o forse un occasionale e
compassionevole intervento divino. Quando i
miei pazienti mi parlano di uno di questi
eventi, io cerco gentilmente di sottolineare
che è successo loro qualcosa di molto
importante (anche se lascio alla persona il
compito di deciderne il significato). Li esorto
anche a mettere per iscritto l’esperienza, in
modo da conferirle un certo peso. Altrimenti,
sarà ben presto cancellata dagli eventi
mondani, derisa dallo scetticismo interiore e
lasciata priva di una “spiegazione logica”.
Si tratta di momenti essenziali, che
capitano spesso alle HS P . Nei processi di
elaborazione del lutto e di guarigione, che
possono occupare molta parte della vita
cosciente, essi indicano qualcosa che è al di là
della sofferenza personale o le danno un
significato che, al momento, non speravamo
di trovare.

PRENDERSI CURA DELLA DIMENSIONE


SPIRITUALE
Vi invito a tenere un “diario spirituale” per un
mese, che testimoni tutti i vostri pensieri e le
esperienze che hanno a che fare con il regno
dell’immateriale. Ogni giorno mettete per
iscritto le intuizioni, gli stati d’animo, i sogni,
le preghiere e tutti i piccoli miracoli e le
“strane coincidenze”. Non è necessario essere
ricercati o spenderci troppe parole, ma tutto
ciò vi renderà testimoni del sacro e parte di
una lunga tradizione di persone che hanno
tenuto diari: fra cui Victor Frankl, Etty
Hillesum, Rilke, Martin Buber, Jung, Marie-
Louise von Franz e tante altre HSP.
I visitatori di Deborah
Una serie di eventi sincronici capitò a
Deborah durante una tempesta di neve, assai
rara sulle montagne di Santa Cruz. Nei nostri
incontri, lei si ricordò che in quel periodo era
«depressa, morta, bloccata in un matrimonio
sbagliato». Quella notte, a causa della
nevicata, il marito non rientrò a casa. Arrivò
invece un estraneo, che bussò alla porta per
chiederle aiuto. Per qualche ragione lei non
esitò a lasciarlo entrare, ed entrambi si
sedettero davanti al fuoco, parlando fino a
tardi di argomenti esoterici. In seguito lei
mise per iscritto ciò che avvenne a quel
punto:

Sentii un suono acuto nelle orecchie e un


grande vuoto in testa, e capii che lui mi stava
facendo qualcosa, ma non avevo paura. Dopo
un certo lasso di tempo (probabilmente solo
secondi, o minuti?), ogni cosa rientrò nella
mia testa e il suono cessò.
Lei non disse niente di quell’esperienza al
visitatore, che più tardi fu invitato da un
vicino a passare la notte a casa sua. L’uomo se
ne andò, probabilmente di notte, perché
all’alba non c’era più nessuna traccia di lui.

Dopo la fine della nevicata e la riapertura


della strada, ottenni il divorzio e incominciai
una lunga strada, completamente diversa,
che mi portò dove sono adesso. Quella notte
l’orribile depressione mi lasciò e ritornarono
gli antichi energia e buon umore. Perciò ho
sempre pensato che quell’uomo fosse un
angelo.

Due anni dopo, Deborah fu visitata da una


creatura ancora più strana.

Una notte il mio gatto si mise a miagolare


furiosamente, si allontanò da me e uscì dalla
porta. Così mi svegliai e aprii gli occhi
allarmata. In fondo al letto c’era una
“creatura” alta circa un metro, calva, non
nuda ma con una specie di tuta, e con
lineamenti ridotti al minimo: fessure per gli
occhi, fori per il naso, niente orecchie, e
tutt’intorno una strana luce che sembrava
fatta di colori che non riconoscevo. Non ero
per nulla spaventata. Essa comunicava i suoi
pensieri per via telepatica: «Non aver paura.
Sono qui solo per osservarti». E io “risposi”:
«Non posso sopportare tutto ciò, perciò
tornerò a dormire!». E, incredibilmente, feci
proprio così.

La mattina dopo Deborah era ancora


impressionata, e non parlò dell’esperienza a
nessuno. Ma, dopo questo evento, la sua vita
ebbe una profonda svolta spirituale, e
«iniziarono a verificarsi misteriosi e
meravigliosi avvenimenti che diminuirono
solo dopo parecchi anni».
Parte di questa fase più spirituale vide il
coinvolgimento di un carismatico ma
instabile maestro spirituale, uno di quelli,
descritti nel capitolo 8, che si sono evoluti in
modo confuso, cosicché risplendono “in alto”
ma sono confusi “in basso”, là dove invece lo
spirituale e il materiale dovrebbero cooperare
nella vita reale e nelle decisioni etiche.
Avvertendo chiaramente il potere dell’uomo,
ma solo vagamente i suoi difetti e il pericolo
per se stessa, pregò per avere una guida: «Se
esistono veramente gli angeli custodi, e io ne
ho uno, fammi sapere se ci sei».
Poi Deborah andò al lavoro, in una libreria.
Entrando, vide un libro che era caduto da un
tavolo. Raccogliendolo provò l’impulso di
aprirlo. E vide una poesia intitolata “L’angelo
custode”, che incominciava così: «Sì, hai
davvero un angelo custode...».
Restò comunque ancora per un po’ di
tempo insieme al suo ammaliante leader
spirituale, anche quando lui chiese ai suoi
seguaci di consegnargli tutte le loro
proprietà. Dopo quel momento pensò spesso
che era meglio andarsene, ma non aveva la
forza o la volontà di ricominciare tutto da
capo. Però l’angelo custode sembrò ricordarsi
di lei. Un giorno, in cui era rimasta sola un
momento, si lamentò: «Non ho più nemmeno
una radiosveglia!». Il giorno successivo,
mentre il gruppo era uscito con l’automobile
che una volta era sua, si mise a guardare un
coleottero che si arrampicava su una
collinetta di terra. Pensò tristemente che quel
coleottero era più libero di lei. Ma, a quel
punto, più lo guardava e più sentiva che
poteva essere altrettanto libera. Così seguì
l’insetto sulla collinetta. Poi lo superò e le
accadde di trovare la sua auto, di cui aveva le
chiavi perché quel giorno le era stato chiesto
di guidare.
Entrò nell’auto e si mise a «guidare verso
la libertà». Guardando sul sedile posteriore
vide una radiosveglia che aveva un colore
simile a quello del coleottero, e che
assomigliava all’apparecchio che aveva
donato al gruppo. Una volta raggiunta la casa
di un amico, si accorse che si trattava proprio
della sua vecchia radiosveglia, con i graffi che
le erano familiari. Non sapeva come fosse
arrivata sull’automobile. Sembrava che, quel
giorno, tutto fosse opera del suo angelo
custode.
È facile pensare che non ci troveremo mai
in una situazione come quella di Deborah,
ma in realtà può capitare spesso,
specialmente a chi ha forti motivazioni
spirituali. Noi cerchiamo risposte, certezze. E
alcune persone possiedono quel tipo di
certezza, la irradiano intorno a sé e credono
che la loro missione sia di condividerla con
gli altri. Hanno un carisma e un’attrattiva
innegabili. Il problema è che tutti gli esseri
umani sono fallibili, soprattutto quando gli
altri credono che non lo siano.
Deborah fu tentata ancora una volta di
tornare da quell’uomo. Un amico le disse che
era «pazza» e lei pregò per avere
un’ispirazione. «Se mi comporto come una
pazza, fammelo sapere.» Quindi accese la
televisione.

A quel punto apparve silenziosamente sullo


schermo – non c’era l’audio – quella che era
evidentemente la scena di un vecchio film
anni Cinquanta su un manicomio,
ovviamente pieno di pazzi! Io risi
rumorosamente. Poi andai a letto, domandai
aiuto e caddi addormentata. Quando mi
svegliai, mi “vidi” o mi sentii circondata da
un anello di rose, ognuna delle quali
proteggeva una parte di me, e avvertii la
presenza di Cristo. Fu la felicità più
tranquilla che avessi mai provato.

Al tempo in cui parlai con Deborah, le sue


esperienze spirituali si esprimevano sempre
più attraverso i sogni (forse un’indicazione
che i suoi “visitatori” avevano trovato una via
per raggiungerla senza doversi proiettare in
persone esterne). Secondo la mia esperienza,
più lavoriamo sui sogni, meno probabilmente
cadremo in situazioni negative, nella vita o
nei sogni stessi.
Quando la spiritualità è un maremoto
Ho detto in qualche caso che l’anima/spirito è
un conforto, e penso che lo sia. Ma può anche
essere intensamente stressante, almeno
finché non impariamo a stare saldamente con
i piedi per terra: cosa difficile quando il
maremoto minaccia di spazzarci via. E le HS P
si trovano spesso davanti alle onde più
grosse, forse perché sono così ansiosi di
affrontarle. Vi ricordate di Giona? Terminerò
questo capitolo e questo libro con una storia
simile a quella di Giona.
Al tempo dell’incidente che vi racconterò,
Harper, una HS P molto intellettuale (il
pensiero era la sua funzione dominante), era
cronicamente sovrastimolato. Aveva fatto
quattro anni di psicoterapia junghiana e
sapeva bene come esprimersi: «Sì, Dio è
molto reale, perché tutto ciò che ha una
natura psicologica lo è. Dio è la nostra
confortante proiezione psicologica
dell’“imago parentale”». Harper aveva tutte
le risposte, perfino con la giusta misura di
incertezza. Questo di giorno.
Ma di notte, si svegliava spesso in preda
alla depressione, pronto a suicidarsi. Lì non
c’era più incertezza. Alla luce del giorno lui
smontava le sue esperienze notturne dicendo
che non erano che «prodotti di un complesso
materno negativo» dovuto a una infanzia
tormentata e che, pertanto, «non erano una
minaccia reale». Ma poi arrivava un’altra di
«quelle notti» provocandogli una
disperazione tale che, secondo il suo intuito e
la sua logica, l’unica via d’uscita era la morte.
Qualcosa in lui cercava di rimandarla fino
all’alba, quando il peggio dell’angoscia lo
abbandonava.
Ma una notte si svegliò in preda a un tale
sconforto che era sicuro di non giungere fino
all’alba. In quel momento gli venne
spontaneamente il pensiero che il solo modo
per sopravvivere sarebbe stata la certezza
dell’esistenza di Dio, un Dio che si curasse di
lui: non come una sua proiezione, ma come
qualcosa di reale. Il che naturalmente era
assurdo, perché era impossibile raggiungere
tale certezza.
Ciò che voleva era un «segno divino». Quel
pensiero emerse come il grido di una persona
che sta per annegare. Sapeva di essere
stupido. Ma immediatamente, così mi disse,
gli apparve l’immagine di un incidente
automobilistico: un incidente non grave dove
le persone che stavano in piedi accanto alle
auto non erano rimaste ferite. Questo era il
“segno” e sarebbe accaduto il giorno dopo.
Si pentì subito di aver avuto il banale
desiderio di ricevere un segno da parte di Dio
e di averlo identificato nell’incidente. Come
molte HS P , Harper temeva fortemente certi
piccoli fastidi come gli incidenti
automobilistici, che lo stressavano e gli
rovinavano i programmi. Ma poi, mezzo
addormentato e perso nelle sue nere
ruminazioni, non ci pensò più.
Il giorno successivo, sulla rampa di
un’autostrada, l’automobile davanti a lui
frenò di colpo e così fece anche lui. Ma la
macchina dietro era troppo vicina e lo
tamponò. Era un incidente di cui non aveva
nessuna responsabilità.
«In quel momento emerse un intenso
flusso di sentimenti. Non era per l’incidente.
Era per il fatto che mi ero ricordato della
notte precedente.» Provò un grande terrore,
come se «stesse guardando il volto di Dio».
Non era stato un incidente grave e non
c’erano feriti. Doveva solo sostituire il tubo di
scappamento e la marmitta. Lui e le altre
persone rimasero in piedi per scambiarsi i
dati delle assicurazioni, così come era
successo nell’immagine della notte
precedente. Da scettico, non poteva credere
che fosse stato il suo inconscio a causare
quell’incidente. Era una nuova categoria di
esperienze, un nuovo mondo.
Ma lui voleva un nuovo mondo? Come HS P ,
non ne era sicuro.
Per una settimana fu più depresso che mai.
Non di notte, ma di giorno. Di notte dormiva
bene. Allora capì che in modo inconscio stava
pensando di dover restituire qualcosa a Dio.
Forse abbandonare il lavoro e mettersi agli
angoli delle strade a professare la sua fede.
Capì che per lui Dio era sempre stato
qualcuno che desiderava la sua umiliazione, il
pagamento di un alto prezzo per ogni grazia
ricevuta e il cambiamento improvviso della
sua vita. In realtà, era esattamente ciò che
Harper si era sempre aspettato da se stesso.
Ora realizzò che la coercizione e il senso di
colpa non erano i motivi per comportarsi in
questo modo. Ora, in risposta alla notte
oscura della sua disperazione, pensò che
l’intero incidente fosse una consolazione.
Incominciò a considerarlo proprio così. Una
consolazione.
Ma a quel punto Harper capì che, per
essere coerente con questa nuova esperienza,
doveva smettere di essere così disperato e
scettico, cosa che poteva rivelarsi molto
difficile per lui. Però, dopotutto, da
quell’esperienza era emerso un compito da
svolgere.
Del tutto confuso, cercò di discutere
l’incidente con alcuni amici, uno dei quali ne
fu molto toccato, come lui. Ma i due amici di
cui aveva maggior stima gli dissero che era
stata una semplice coincidenza.
«Questo mi fece arrabbiare. Per l’amor di
Dio! Voglio dire: Dio mi ha fatto un favore e
io ho il coraggio di tirarmi indietro e di dire:
“Sì, è stato bello, ma questa volta voglio un
segno che non sia una possibile
coincidenza”.»
Harper era convinto che considerare
l’incidente una coincidenza fosse un grave
errore. Quindi decise che doveva
approfondire l’esperienza, anche se ci fosse
voluta la vita intera. Doveva ricordarsene,
rifletterci sopra e farne tesoro il più possibile.
Ed era stupito che lui, che aveva ricevuto così
poche consolazioni nella vita, ne avesse
all’improvviso ricevuta una così potente, un
preciso segno di amore divino, più grande di
quelli ricevuti dalla maggior parte dei santi.
«Che razza di cosa è capitata a un tipo
come me!» concluse, ridendo per una volta di
se stesso. Poi si ricordò dell’interesse per le
mie ricerche e aggiunse: «Che pasticcio
divino per un tipo sensibile come me!».

Il nostro valore e la collaborazione con gli


altri
I “guerrieri reali” ci dicono spesso che è un
segno di debolezza aver fede nella realtà
della dimensione spirituale. Essi temono
tutto ciò che potrebbe indebolire il loro
coraggio e il loro potere fisico, e così pensano
che sia lo stesso per gli altri. Ma noi
possediamo un differente genere di potere, di
talento e di coraggio. Considerare la nostra
inclinazione per la vita spirituale una
debolezza o qualcosa che nasce soltanto dalla
paura o dal bisogno di essere confortati, è
come dire che i pesci nuotano perché sono
troppo deboli per camminare, perché sono
costretti a stare nell’acqua o perché hanno
semplicemente paura di volare.
Forse dovremmo soltanto ribaltare la
questione: i “re guerrieri” hanno paura della
vita spirituale perché sono troppo deboli per
affrontarla e non possono sopravvivere senza
il conforto della loro interpretazione della
realtà.
Ma se conosciamo il nostro valore, non
abbiamo bisogno di offendere gli altri. Viene
sempre il momento in cui i “re guerrieri”
hanno bisogno di condividere la nostra vita
interiore, così come viene sempre il momento
in cui noi siamo contenti di affidarci alla loro
forza. È così che nasce la nostra
collaborazione reciproca.
Dunque, possa la vostra sensibilità essere
una benedizione per voi e per gli altri.
Possiate godere di tutta la pace e il benessere
del mondo. E possano aprirsi per voi nuovi e
nuovi mondi, man mano che trascorrono i
giorni della vostra vita.
LAVORARE CON CIÒ CHE AVETE
IMPARATO
Essere amici della vostra funzione inferiore o
almeno fare pace con essa

Scegliete un compito che richieda la vostra funzione


inferiore, preferibilmente qualcosa che non abbiate
mai tentato prima ma che non sembri troppo
difficile. Se siete una persona più sentimentale,
potreste leggere un libro di filosofia o scegliere un
corso di matematica o di fisica che sia adatto al
vostro background culturale. Se siete una persona
più razionale, potreste visitare un museo d’arte e
costringervi per una volta a ignorare il titolo e il
nome dell’artista, in modo da avere una reazione
personale a ogni quadro. Se siete una persona
percettivo-sensoriale, potreste utilizzare l’aspetto
delle persone che incontrate in strada per
immaginare la loro esperienza interiore, la loro
storia, il loro futuro. Se siete una persona intuitiva,
potreste pianificare una vacanza raccogliendo
dettagliate informazioni sul luogo dove volete
andare e decidere in anticipo che cosa portare e che
cosa fare. Oppure, se vi è possibile, comprate un
dispositivo elettronico e seguite le istruzioni per
installarlo e per esplorare tutte le possibilità che
offre. Non chiedete aiuto a nessuno.
Mentre vi preparate gradualmente a svolgere
queste attività, osservate i vostri sentimenti, le
vostre resistenze e le immagini che scaturiscono.
Non vi preoccupate se vi sentite sciocchi o umiliati
dall’incapacità di fare “queste semplici cose che
proprio non vi vengono”; prendete il vostro compito
molto seriamente. Secondo la Von Franz, questo
lavoro è l’equivalente di un esercizio spirituale,
adatto a voi. State sacrificando la funzione
dominante e scegliendo una via più difficile.
Ma soprattutto controllate l’impulso a lasciar
emergere la funzione dominante. Se siete tipi
intuitivi, dopo aver deciso dove andare in vacanza,
siate decisi. Proteggete la vostra fragile ma concreta
decisione senza farvi dominare dall’immaginazione
su altre possibili destinazioni. E, con quei dispositivi
elettronici, osservate quanto sia forte l’impulso a
saltare le istruzioni e a usare “in modo ovvio” i
pulsanti e i cavi. Così lavorerebbe l’intuitivo. Invece
voi dovete andare piano e capire ogni dettaglio
prima di passare al passo successivo.
Suggerimenti per medici che lavorano
con persone altamente sensibili

Le HS P sono più propense alla


sovrastimolazione, ossia notano più
dettagli. Ma esse sperimentano anche
uno stato di attivazione più elevato in
situazioni che per gli altri sarebbero solo
moderatamente stimolanti. Quindi, in un
contesto medico, appaiono più ansiose o
perfino “nevrotiche”.
Se fate loro fretta o vi mostrate
impazienti, accrescerete soltanto il loro
livello di stimolazione e quindi
aumenterete il loro stress, il che non le
aiuterà a comunicare con voi e a guarire.
Di solito le HS P , se possono, sono molto
coscienziose e cooperative.
Domandate loro di che cosa hanno
bisogno per rimanere calme: silenzio,
conversazione, conoscere che cosa
succede a ogni passo, farmaci.
Sfruttate la maggiore intuizione e
consapevolezza fisica delle HS P : il vostro
paziente potrebbe darvi importanti
informazioni.
Nessuno, quando è sovrastimolato,
ascolta o comunica bene. Incoraggiate le
HS P a farsi accompagnare da qualcuno
che le aiuti in questi compiti, a preparare
una visita prendendo nota delle
domande e dei sintomi, a scrivere le
istruzioni, a rileggervele durante la visita
e a telefonarvi se si ricorderanno più
tardi di ulteriori domande o problemi.
(Poche se ne approfitteranno, e questa
“seconda chance” rimuoverà alcune
tensioni quando vi incontrerete di
nuovo.)
Non vi sorprendete o non vi infastidite
se le HS P hanno una soglia di resistenza
più bassa al dolore, una migliore risposta
ai dosaggi dei farmaci o più numerosi
effetti collaterali. Tutto ciò fa parte delle
loro differenze fisiologiche e
psicologiche.
Simili situazioni non richiedono
necessariamente farmaci. Le HS P che
hanno avuto un’infanzia tormentata
sono più soggette ad ansia e depressione.
Ma questo non è vero per le HS P che
hanno lavorato su tali problemi o hanno
avuto un’infanzia felice.
Suggerimenti per insegnanti di studenti
altamente sensibili

Insegnare alle HS P richiede strategie


diverse da quelle utilizzate con gli altri
studenti. Nelle HS P la stimolazione è
maggiore. Ciò significa che esse colgono
in una lezione un maggior numero di
particolari, ma che sono più facilmente e
fisiologicamente sovrastimolate.
Generalmente le HS P sono coscienziose e
fanno del loro meglio. Molti di loro sono
persone dotate. Ma nessuno ha buone
prestazioni quando è sovrastimolato, e le
HS P lo sono più delle altre. Quanto più si
sforzano di far bene se osservate da altri
o comunque sotto pressione, tanto più
probabilmente falliranno, il che per loro
può essere demoralizzante.
Alti livelli di stimolazione (per esempio
classi rumorose) le stresseranno e le
stancheranno prima degli altri. Mentre
alcune si chiuderanno, molte, soprattutto
i ragazzi, diventeranno iperattive.
Non proteggete troppo gli studenti
ipersensibili, ma quando li spingete a
svolgere compiti difficili, fate sì che il
tentativo abbia successo.
Quando una HS P incontra difficoltà
sociali, siate tolleranti verso il suo tratto
di personalità. Se gli studenti devono
eseguire una presentazione, permettete
loro di fare prove generali oppure di
usare note o di leggere a voce alta:
qualunque cosa abbassi il livello di
arousal e permetta un’esperienza
positiva.
Non date per scontato che uno studente
che si limita a osservare sia timido o
pauroso. Potrebbe essere una
spiegazione sbagliata, ma le etichette
rimarrebbero.
Siate consapevoli dei vostri pregiudizi
contro la timidezza, il carattere quieto,
l’introversione e così via. Osservateli in
voi stessi e negli altri studenti.
Insegnate il rispetto per le diverse
personalità, così come fareste per le altre
differenze.
Cercate di incoraggiare la creatività e
l’intuizione, che sono caratteristiche
delle HS P . Per favorire il loro inserimento
nella vita di gruppo e nelle attività con i
compagni, organizzate corsi di teatro o
letture di opere che le hanno coinvolte.
Oppure leggete i loro lavori a voce alta in
classe. Ma state attenti a non metterle in
imbarazzo.
Suggerimenti per datori di lavoro di
persone altamente sensibili

Di solito, le HS P sono altamente


coscienziose, leali, attente alla qualità,
brave nei dettagli, visionarie, intuitive,
spesso dotate, premurose verso le
necessità dei clienti e influenzano
positivamente il clima sociale del luogo
di lavoro. In breve, sono degli impiegati
ideali. Ogni azienda ne ha bisogno.
Vengono però sovrastimolate più
facilmente. Ciò significa che sono più
consapevoli dei dettagli, a cui sono molto
sensibili. Quindi lavorano meglio se non
sono sottoposte a stimoli esterni.
Dovrebbero avere sempre a disposizione
calma e tranquillità.
Le HS P non si esprimono bene quando
vengono osservate per essere valutate.
Trovate altri modi per sapere come
lavorano.
Le HS P spesso socializzano di meno
durante le pause o dopo il lavoro, perché
hanno bisogno di più tempo per
elaborare privatamente le loro
esperienze. Questo le rende meno visibili
o inserite nel contesto. Dovete tenere in
considerazione tutto questo quando
valutate le loro prestazioni.
Le HS P non sono portate all’auto-
promozione aggressiva, sperando di
essere notate semmai per il loro duro
lavoro. Non sottovalutate per questo
motivo un valido impiegato.
Le HS P possono essere le prime a essere
infastidite da una situazione sgradevole
sul posto di lavoro, il che le farebbe
giudicare fonte di problemi. Ma gli altri
impiegati ne sarebbero colpiti poco
dopo, perciò la loro sensibilità vi può
aiutare a prevenire i disagi.

Per essere informati sui nuovi sviluppi


riguardanti le persone altamente sensibili collegatevi
al sito www.hsperson.com e sottoscrivete la
newsletter Com fort Zone.
Note

Nota dell’autrice, 2012


1. A. Bartz, Touchy! A [Gentle] Guide to the Highly
Sensitive Person, in «Psychology Today», 44,
2011, pp. 72-79.
2. B. Walsh, The Power of Introverts, in «Time», 179,
2012, p. 43.
3. E. Aron, A. Aron e J. Jagiellowicz, Sensory
Processing Sensitivity: A Review in the Light of the
Evolution of Biological Responsivity, in
«Personality and Social Psychology Review», 16,
2012, pp. 262-82.
4. E. Aron e A. Aron, Sensory-Processing Sensitivity
and Its Relation to Introversion and Em otionality
in «Journal of Personality and Social
Psychology», 73, 1997, pp. 345-68.
5. E. Aron, A. Aron e K. Davies, Adult Shyness: The
Interaction of Tem peram ental Sensitivity and a
Negative Childhood Environm ent, in «Personality
and Social Psychology Bulletin», 31, 2005, pp.
181-97.
6. M. Liss, L. Timmel, K. Baxley e P. Killingsworth,
Sensory Processing Sensitivity and Its Relation to
Parental Bonding, Anxiety, and Depression, in
«Personality and Individual Differences», 39,
2005, pp. 1429-39.
7. Per un elenco di molti di questi articoli, vedi
Aron, Aron e Jagiellowicz, Sensory Processing
Sensitivity..., cit., p. 13.
8. C. Licht, E.L. Mortensen e G.M. Knudsen,
Association Between Sensory Processing Sensitivity
and the Serotonin Transporter Polym orphism 5-
HTTLPR Short/Short Genotype, in «Biological
Psychiatry», 69, 2011, supplemento per il
convegno annuale della Society of Biological
Psychiatry, abstract 510.
9. Per un’esposizione dei molti effetti positivi di
questa variante genetica (allele), vedi M. Pluess e
J. Belsky, Vantage Sensitivity: Individual
Differences in Response to Positive Experiences, in
«Psychological Bulletin», pubblicato online, doi:
10.1037/a0030196.
10. H.P. Jedema, P.J. Gianaros, P.J. Greer, D.D. Kerr,
S. Liu, J.D. Higley et al., Cognitive Im pact of
Genetic Variation of the Serotonin Transporter in
Prim ates is Associated with Differences in Brain
Morphology Rather Than Serotonin
Neurotransm ission, in «Molecular Psychiatry»,
15, 2009, pp. 512–22.
11. S.J. Suomi, Early Determ inants of Behaviour:
Evidence from Prim ate Studies, in «British
Medical Bulletin», 53, 1997, pp. 170-84.
12. J. Belsky e M. Pluess, Beyond Diathesis Stress:
Differential Susceptibility to Environm ental
Influences, in «Psychological Bulletin», 135(6),
2009, pp. 885-908.
13. M. Wolf, S. Van Doorn e F.J. Weissing,
Evolutionary Em ergence of Responsive and
Unresponsive Personalities, 2009, in «PNAS»,
105(41), 2008, p. 15825.
14. E. Aron e A. Aron, Sensory-Processing
Sensitivity..., cit., pp. 345-68.
15. M. Wolf, S. Van Doorn e F.J. Weissing,
Evolutionary Em ergence..., cit., pp. 15825-30.
16. C. Chen, R. Moyzis, H. Stern, Q. He, H. Li et.
al., Contributions of Dopam ine-Related Genes and
Environm ental Factors to Highly Sensitive
Personality: A Multi-step Neuronal System -Level
Approach, in «PLoS ONE», 2011, doi: 6:e21636.
17. F. Borries, Do “The Highly Sensitive” Exist? A
Taxom etric Investigation of the Personality
Construct Sensory-Processing Sensitivity.
Dissertation, Università di Bielefeld, Germania,
2012.
18. E. Aron, Psychotherapy and Highly Sensitive
Person: Im proving Outcom es for That Minority of
People Who Are the Majority of Clients, New York,
Routledge, 2010.
19. J. Jagiellowicz, X. Xu, A. Aron, E. Aron, G. Cao,
T. Feng e X. Wen, Sensory Processing Sensitivity
and Neural Responses to Changes in Visual Scenes,
in «Social Cognitive and Affective Neuroscience»,
6, 2011, pp. 38-47.
20. A. Aron, S. Ketay, T. Hedden, E. Aron, H.R.
Markus e J.D.E. Gabrieli, Tem peram ent Trait of
Sensory Processing Sensitivity Moderates Cultural
Differences in Neural Response, in «Social
Cognitive and Affective Neuroscience», 5, 2010,
pp. 219-26.
21. B. Acevedo, A. Aron e E. Aron, Association of
Sensory Processing Sensitivity When Perceiving
Positive and Negative Em otional states, 2010,
presentato ad APA, San Diego.
22. A.D. Craig, How Do You Feel—Now? The
Anterior Insula and Hum an Awareness, in
«Nature Reviews Neuroscience», 10, 2009, pp. 59-
70.
23. F. Gerstenberg, Sensory-Processing Sensitivity
Predicts Perform ance on a Visual Search Task
Followed By an Increase In Perceived Stress, in
«Personality and Individual Differences», 53,
2012, pp. 496-500.
24. J. Jagiellowicz, The relationship Between the
Tem peram ent Trait of Sensory Processing
Sensitivity and Em otional Reactivity. Dissertation,
SUNY-Stony Brook, agosto 2012.
25. E. Aron e A. Aron, Sensory-Processing
Sensitivity..., cit., e E. Aron, A. Aron e K. Davies,
Adult Shyness..., cit.
26. M. Pluess e J. Belsky, Vantage Sensitivity..., cit.
27. B. Acevedo, A. Aron e E. Aron, Association of
Sensory Processing Sensitivity..., cit.
28. Per una più completa comprensione dei neuroni
specchio, vedi M. Iacoboni, Mirroring People: The
New Science of How We Connect with Others,
Farrar, New York, Straus e Giroux, 2008; ed. it. I
neuroni specchio: com e capiam o ciò che fanno gli
altri, Torino, Bollati-Boringhieri, 2008.
29. F.R. Baumeister, D.K. Vohs, N.C. DeWall e L.
Zhang, How Em otion Shapes Behavior: Feedback,
Anticipation, and Reflection, Rather Than Direct
Causation, in «Personality and Social Psychology
Review», 11(2), 2007, pp. 167-203.
30. Per un’esposizione più completa di queste
caratteristiche, vedi E. Aron, The Highly Sensitive
Person in Love, New York, Broadway Books, 2000.
31. B. Shrivastava, Predictors of Work Perform ance
for Em ployees With Sensory Processing Sensitivity,
dissertazione, MSC Organisational Psychology,
City University, London, 2011.
1. Le caratteristiche delle persone altamente
sensibili
1. Si veda, per esempio, J. Strelau, The Concepts of
Arousal and Arousability As Used in
Tem peram ent Studies, in J. Bates e T. Wachs (a
cura di), Tem peram ent: Individual Differences,
American Psychological Association, Washington
D.C., 1994, pp. 117-141.
2. R. Plomin, Developm ent, Genetics and Psychology,
Hillsdale, N.J., Erlbaum, 1986.
3. Si veda, per esempio, G. Edmund, D. Schalling e
A. Rissler, Interaction Effects of Extraversion and
Neuroticism on Direct Thresholds, in «Biological
Psychology», 9, 1979.
4. R. Stelmack, Biological Bases of Extraversion:
Psychophysiological Evidence, in «Journal of
Personality», 58, 1990, pp. 293-311.
5. Se non ci sono note, si tratta di mie osservazioni.
Negli studi sull’introversione o sulla timidezza,
presumo che la maggior parte dei soggetti fossero
HS P .
6. H. Koelega, Extraversion and Vigilance
Perform ance: Thirty Years of inconsistencies, in
«Psychological Bulletin», 112, 1992, pp. 239-58.
7. G. Kochanska, Toward a Synthesis of Parental
Socialization and Child Tem peram ent in Early
Developm ent of Conscience, in «Child
Development», 64, 1993, pp. 325-47.
8. L. Daoussis e S. McKelvie, Musical Preferences
and Effects of Music on a Reading Com prehension
Test for Extraverts and Introverts, in «Perceptual
and Motor Skills», 62, 1986, pp. 283-89.
9. G. Mangan e R. Sturrock, Lability and Recall, in
«Personality and Individual Differences», 1988,
pp. 519-23.
10. E. Howarth e H. Eysenck, Extraversion Arousal
and Paired Associate Recall, in «Journal of
Experimental Research in Personality», 3, 1968,
pp. 114-16.
11. L. Davis e P. Johnson, An Assessm ent of
Conscious Content As Related to Introversion-
Extraversion, in «Imagination, Cognition and
Personality», 3, 1983-84, pp. 149-68.
12. P. Deo e A. Singh, Som e Personality Correlates of
Learning Without Awareness, in
«Behaviorometric», 3, 1973, pp. 11-21.
13. M. Ohrman e R. Oxford, Adult Language
Learning Styles and Strategies in an Intensive
Training Setting, in «Modern Language Journal»,
74, 1990, pp. 311-27.
14. R. Pivik, R. Stelmack e F. Bylsma, Personality
and Individual Differences in Spinal Motoneuronal
Excitability, in «Psychophysiology», 25, 1988, pp.
16-23.
15. Ibidem .
16. W. Revelle, M. Humphreys, L. Simon e K.
Gillian, The Interactive Effect of Personality, Tim e
of Day, and Caffeine: A Test of the Arousal Model,
in «Journal of Experimental Psychology
General», 109, 1980, pp. 1-31.
17. B. Smith, R. Wilson e R. Davidson,
Electroderm al Activity and Extraversion: Caffeine,
Preparatory Signal and Stim ulus Intensity Effects,
in «Personality and Individual Differences», 5,
1984, pp. 59-65.
18. S. Calkins e N. Fox, Individual Differences in the
Biological Aspects of Tem peram ent, in J. Bates e T.
Wachs (a cura di), Tem peram ent..., cit., pp. 199-
217.
19. Si veda, per esempio, D. Arcus, Biological
Mechanism s and Personality: Evidence from Shy
Children, in «Advances: The Journal of Mind–
Body Health», 10, 1994, pp. 40-50.
20. R. Stelmack, Biological Bases..., cit., pp. 293-311.
21. Si veda, per esempio, R. Larsen e Timothy
Ketelaar, Susceptibility to Positive and Negative
Em otional States, in «Journal of Personality and
Social Psychology», 61, 1991, pp. 132-40.
22. Si veda, per esempio, D. Daniels e R. Plomin,
Origins of Individual Differences in Infant
Shyness, in «Developmental Psychology», 21,
1985, pp. 118-21.
23. J. Kagan, J. Reznick e N. Snidman, Biological
Bases of Childhood Shyness, in «Science», 240,
1988, pp. 167-71.
24. J. Higley e S. Suomi, Tem peram ental Reactivity
in Non-Hum an Prim ates, in G. Kohnstamm, J.
Bates e M. Rothbart (a cura di), Tem peram ent in
Childhood, New York, Wiley, 1989, pp. 153-67.
25. T. Wachs e B. King, Behavioral Research in the
Brave New World of Neuroscience and
Tem peram ent, in J. Bates e T. Wachs (a cura di),
Tem peram ent..., cit., pp. 326-27.
26. M. Mead, Sex and Tem peram ent in Three
Prim itive Societies, Morrow, New York, 1935, p.
284; trad. it. di Q. Maffi, Sesso e tem peram ento in
tre società prim itive, il Saggiatore, Milano, 1994,
p. 300.
27. G. Kohnstamm, Tem peram ent in Childhood:
Cross-Cultural and Sex Differences, in G.
Kohnstamm, J. Bates e M. Rothbart (a cura di),
Tem peram ent in Childhood, cit., p. 483.
28. Social Reputation and Peer Relationships in
Chinese and Canadian Children: A Cross-Cultural
Study, in «Child Development», 1992, 63, pp.
1336-43.
29. B. Zumbo e S. Taylor, The Construct Validity of
the Extraversion Subscales of the Myers-Briggs
Type Indicator, in «Canadian Journal of
Behavioral Science», 25, 1993, pp. 590-604.
30. M. Nagane, Developm ent of Psychological and
Physiological Sensitivity Indices to Stress Based on
State Anxiety and Heart Rate, in «Perceptual and
Motor Skills», 70, 1990, pp. 611-14.
31. K. Nakano, Role of Personality Characteristics in
Coping Behaviors” in «Psychological Reports», 71,
1992, pp. 687-90.
32. Si veda R. Eisler, The Chalice and the Blade, San
Francisco, Harper and Row, 1987; trad. it Il calice
e la spada, Parma, Pratiche, 1996, e R. Eisler,
Sacred Pleasures, San Francisco,
HarperSanFrancisco, 1995.

2. Scavare a fondo
1. M. Weissbluth, Sleep-Loss Stress and
Tem peram ental Difficultness: Psychobiological
Processes and Practical Considerations, in G.
Kohnstamm, J. Bates e M. Rothbart (a cura di),
Tem peram ent in Childhood, New York, Wiley,
1989, pp. 357-77.
2. Idem , pp. 370-71.
3. M. Main, N. Kaplan e J. Cassidy, Security in
Infancy, Childhood, and Adulthood: A Move to the
Level of Representation, in I. Bretherton e E.
Waters (a cura di), «Growing Points of
Attachment Theory and Research. Monographs
of the Society for Research in Child
Development», 50, 1985, pp. 66-104.
4. J. Kagan, Galen’s Prophecy, New York, Basic
Books, 1994.
5. Idem , pp. 170-207.
6. S. Calkins e N. Fox, Individual Differences in the
Biological Aspects, in J. Bates e T. Wachs (a cura
di), Tem peram ent: Individual Differences,
Washington D.C., American Psychological
Association, 1994, pp. 199-217.
7. Charles A. Nelson, in J. Bates e T. Wachs (a cura
di), Tem peram ent..., cit., pp. 47-82.
8. G. Mettetal, A Prelim inary Report on the IUSB
Parent Project, International Network on Personal
Relationships, Normal, Ind., maggio 1991.
9. M Rothbart, D. Derryberry e M. Posner, A
Psychobiological Approach to the Developm ent of
Tem peram ent, in J. Bates e T. Wachs (a cura di),
Tem peram ent..., cit., pp. 83-116.
10. M. Gunnar, Psychoendocrine Studies of
Tem peram ent and Stress in Early Childhood, in J.
Bates e T. Wachs (a cura di), Tem peram ent..., cit.,
pp. 175-98.
11. M. Nachmias, Maternal Personality Relations
With Toddler’s Attachm ent Classification, Use of
Coping Strategies, and Adrenocortical Stress
Response, 60° meeting annuale della società
Research in Child Development, New Orleans,
La., marzo 1993.
12. M. Weissbluth, Sleep-Loss Stress..., cit., p. 360.
13. Idem , p. 367.
14. R. Cann e D.C. Donderi, Jungian Personality
Typology and the Recall of Everyday and
Archetypal Dream s, in «Journal of Personality
and Social Psychology», 50, 1988, pp. 1021-30.
15. C.G. Jung, Freud and Psychoanalysis, in W.
McGuire (a cura di), The Collected Works of C. G.
Jung, vol. 4, Princeton, N.J., Princeton University
Press, 1961; ed. it. a cura di L. Aurigemma, Opere
di C.G. Jung, Torino, Bollati-Boringhieri, 1970-
2008.
16. Idem , p. 177.
17. C.G. Jung, Psychological Types, in W. McGuire
(a cura di), The Collected Works of C. G. Jung, cit.,
vol. 6, pp. 404-05; trad. it. di C.L. Musatti e L.
Aurigemma, Tipi psicologici, Torino, Bollati
Boringhieri, 2008, pp. 443.
18. Idem , p. 401.

3. La salute e lo stile di vita delle HSP


1. D. Stern, Diary of a Baby, New York, Basic Books,
1990, p. 31; trad. it. di M.L. Petta, Diario di un
bam bino, Milano, Mondadori, 1991, p. 36.
2. Idem , p. 42.
3. Idem , p. 22.
4. S. Bell e M. Ainsworth, Infant Crying and
Maternal Responsiveness, in «Children
Development», 43, 1972, pp. 1171-90.
5. J. Bowlby, Attachm ent and Loss, New York, Basic
Books, 1973.
6. R. Josselson, The Space Between Us: Exploring the
Dim ensions of Hum an Relationships, San
Francisco, Jossey-Bass, 1992, p. 35.
7. T. Adler, Speed of Sleep’s Arrival Signals Sleep
Deprivation, in «The American Psychological
Association Monitor», 24, 1993, p. 20.
8. R. Jevning, A. Wilson e J. Davidson,
Adrenocortical Activity During Meditation, in
«Hormones and Behavior», 10, 1978, pp. 54-60.
9. B. Smith, R. Wilson e R. Davidson, Caffeine,
Preparatory Signal and Stim ulus Intensity Effects,
in «Personality and Individual Differences», 5,
1984, pp. 59-60.

4. Ricontestualizzare l’infanzia e l’adolescenza


1. H. Goldsmith, D. Bradshaw e L. Rieser-Danner,
Tem peram ent as a Potential Developm ental
Influence, in J. Lerner e R. Lerner (a cura di),
Tem peram ent and Social Interaction in Infants
and Children, San Francisco, Jossey-Bass, 1986, p.
14.
2. D. Stern, Diary of a Baby, New York, Basic Books,
1990, p. 67; trad. it. di M.L. Petta, Diario di un
bam bino, Milano, Mondadori, 1991, p. 66-67.
3. M. Main, N. Kaplan e J. Cassidy, Security in
Infancy, Childhood, and Adulthood: A Move to the
Level of Representation, in I. Bretherton e E.
Waters (a cura di), «Growing Points of
Attachment Theory and Research. Monographs
of the Society for Research in Child
Development», 5, 1985.
4. G. Mettetal, conversazione telefonica, 30 maggio
1993.
5. A. Lieberman, The Em otional Life of the Toddler,
New York, The Free Press, 1993, pp. 116-17; trad.
it. Bam bini e violenza in fam iglia, Bologna, Il
Mulino, 2007.
6. Si veda per esempio M. Gunnar, Psychoendocrine
Studies, in J. Bates e T. Wachs (a cura di),
Tem peram ent: Individual Differences, Washington
D.C., American Psychological Association, 1994,
p. 91.
7. J. Will, P. Self e N. Datan, Maternal Behavior and
Perceived Sex of Infant, in «American Journal»,
46, 1976, pp. 135-39.
8. R. Hinde, Tem peram ent as an Intervening
Variable, in G. Kohnstamm, J. Bates e M.
Rothbart (a cura di), Tem peram ent in Childhood,
New York, Wiley, 1989, p. 32.
9. Ibidem .
10. J. Cameron, Parental Treatm ent, Children’s
Tem peram ent, and the Risk of Childhood
Behavioral Problem s, in «American Journal
Orthopsychiatry», 47, 1977, pp. 568-76.
11. Ibidem .
12. A. Lieberman, The Em otional Life..., cit.
13. J. Asendorpf, Abnorm al Shyness in Children, in
«Journal of Child Psychology and Psychiatry»,
34, 1993, pp. 1069-81.
14. L. Silverman, Parenting Young Gifted Children,
Special Issue in «Intellectual Giftedness in Young
Children, Journal of Children in Contemporary
Society», 18, 1986.
15. Ibidem .
16. A. Caspi, D. Bem e G. Elder, Continuities and
Consequences of Interactional Styles Across the Life
Course, in «Journal of Personality», 57, 1989, pp.
390-92.
17. Idem , p. 393.

5. Le relazioni sociali
1. Silverman, Parenting Young Gifted Children,
Special Issue in «Intellectual Giftedness in Young
Children, Journal of Children in Contemporary
Society», 18, 1986, p. 82.
2. H. Gough e A. Thorne, Positive, Negative, and
Balanced Shyness: Self-Definitions and the
Reactions of Others, in W. Jones, J. Cheek e S.
Briggs (a cura di), Shyness: Perspectives on
Research and Treatm ent, New York, Plenum,
1986, pp. 205-25.
3. Ibidem .
4. S. Brodt e P. Zimbardo, Modifying Shyness-
Related Social Behavior Through Sym ptom
Misattribution, in «Journal of Personality and
Society Psychology», 41, 1981, pp. 437-49.
5. P. Zimbardo, Shyness: What It Is, What to Do
About, Reading, Mass., Addison-Wesley, 1977;
trad. it. Vincere la tim idezza, Milano, GEO, 1993.
6. M. Bruch, J. Gorsky, T. Collins e P. Berger,
Shyness and Sociability Reexam ined: A
Multicom ponent Analysis, in «Journal of
Personality and Social Psychology», 57, 1989, pp.
904-15.
7. C. Lord e P. Zimbardo, Actor-Observer Differences
in the Perceived Stability of Shyness, in «Social
Cognition», 3, 1985, pp. 250-65.
8. S. Hotard, R. McFatter, R. McWhirter e M.
Stegall, Interactive Effects of Extraversion,
Neuroticism , and Social Relationships on
Subjective Well-Being, in «Journal of Personality
and Social Psychology», 57, 1989, pp. 321-31.
9. A. Thorne, The Press of Personality: A Study of
Conversations Between Introverts and Extraverts,
in «Journal of Personality and Social
Psychology», 53, 1987, pp. 718-26.
10. C.G. Jung, Psychological Types, in W. McGuire
(a cura di), The Collected Works of C. G. Jung, vol.
6, Princeton, N.J., Princeton University Press,
1961, pp. 5-6; trad. it. di C.L. Musatti e L.
Aurigemma, Tipi psicologici, Torino, Bollati
Boringhieri, 2008.
11. Idem , pp. 373-407.
12. Idem , pp. 442-443.
13. L. Silverman, Parenting Young Gifted Children,
Special Issue in «Intellectual Giftedness in Young
Children, Journal of Children in Contemporary
Society», 18, 1986, p. 82.
14. R. Kincel, Creativity in Projection and the
Experience Type, in «British Journal of Projective
Psychology and Personality Study», 1983, 28, p.
36.
15. G. Hill, An Unwillingness to Act: Behavioral
Appropriateness, Situational Constraint, and Self-
Efficacy in Shyness, in «Journal of Personality»,
57, 1989, pp. 870-90.

6. Stare bene sul lavoro


1. J. Campbell, Joseph Cam pbell: The Power of Myth
with Bill Moyers, a cura di B. Flowers, New York,
Doubleday, 1988, p. 148; trad. it. Il potere del
m ito, Parma, Guanda, 1988.
2. A. Wiesenfeld, P. Whitman e C. Malatesta,
Individual Differences Am ong Adult Wom en in
Sensitivity to Infants, in «Journal of Personality
and Social Psychology», 40, 1984, pp. 110-24.
3. D. Lovecky, Can You Hear the Flowers Sing? Issues
for Gifted Adults, in «Journal of Counseling and
Development», 64, 1986, pp. 572-75. Gran parte
del resto di questo paragrafo si basa sul testo di
Lovecky sugli adulti dotati.
4. J. Cheek, Conquering Shyness, New York, Dell,
1989, pp. 168-69.
7. Le relazioni intime
1. A. Aron, M. Paris e E. Aron, Prospective Studies of
Falling in Love and Self-Concept Change, in
«Journal of Personality and Social Psychology»,
69, 1995, pp. 1102-12.
2. C. Hazan e P. Shaver, Rom antic Love
Conceptualized As an Attachm ent Process, in
«Journal of Personality and Social Psychology»,
52, 1987, pp. 511-24.
3. A. Aron, D. Dutton e A. Iverson, Experiences of
Falling in Love, in «Journal of Social and Personal
Relationships», 6, 1989, pp. 243-57.
4. D. Dutton e A. Aron, Som e Evidence for
Heightened Sexual Attraction under Conditions of
High Anxiety, in «Journal of Personality and
Social Psychology», 30, 1984, pp. 510-17.
5. G. White, S. Fishbein e J. Rutstein, Passionate
Love and Misattribution of Arousal, in «Journal of
Personality and Social Psychology», 41, 1981, pp.
56-62.
6. E. Walster, The Effect of Self–Esteem on Rom antic
Liking, in «Journal of Experimental Social
Psychology», 1965, 1, pp. 184-97.
7. A. Aron, M. Paris e E. Aron, Prospective Studies of
Falling in Love and Self-Concept Change, in
«Journal of Personality and Social Psychology»,
69, 1995.
8. D. Taylor, R. Gould e P. Brounstein, Effects of
Personalistic Self-Disclosure, in «Personality and
Social Psychology», 7, 1981, pp. 487-92.
9. J. Ford, The Tem peram ent/Actualization Concept,
in «Journal of Humanistic Psychology», 35, 1995,
pp. 57-77.
10. J. Gottman, Marital Interaction: Experim ental
Investigations, New York, Academic Press, 1979.
11. A. Aron e E. Aron, The Self-Expansion Model of
Motivation and Cognition in Close Relationships,
in S. Duck e W. Ickes (a cura di), The Handbook of
Personal Relationships, Chichester, UK, Wiley,
1996.
12. N. Glenn, Quantitative Research on Marital
Quality in the 1980s: A Critical Review, in
«Journal of Marriage and the Family», 52, 1990,
pp. 818-31.
13. H. Markman, F. Floyd, S. Stanley e R. Storaasli,
Prevention of Marital Distress: A Longitudinal
Investigation, in «Journal of Consulting and
Clinical Psychology», 56, 1988, pp. 210-17.
14. C. Reissman, A. Aron e M. Bergen, Shared
Activities and Marital Satisfaction, in «Journal of
Social and Personal Relationships», 10, 1993, pp.
243-54.
15. A. Wiesenfeld, P. Whitman e C. Malatesta,
Individual Differences Am ong Adult Wom en in
Sensitivity to Infants, in «Journal of Personality
and Social Psychology», 40, 1984.

8. Guarire le ferite più profonde


1. J. Braungart, R. Plomin, J. DeFries e D. Fulker,
Genetic Influence on Tester-Rated Infant
Tem peram ent As Assessed by Bayley’s Infant
Behavior Record, in «Development Psychology»,
28, 1992, pp. 40-47.
2. J. Pennebaker, Opening Up: The Healing Power of
Confiding in Others, New York, Morrow, 1990.
3. Update on Mood Disorders: Part II, in «The
Harvard Mental Health Letter», 11 gennaio 1995,
p. 1.

9. I medici, le medicine e le HSP


1. N. Solomon e M. Lipton, Sick and Tired of Being
Sick and Tired, New York, Wynwood, 1989.
2. C. Nivens e K. Gijsbers, Do Low Levels of Labour
Pain Reflect Low sensitivity to Noxious
Stim ulation?, in «Social Scientific Medicine», 29,
1989, pp. 585-88.
3. Peter J. Kramer, Listening to Prozac, New York,
Penguin Group, 1993; trad. it. di I. Blum, La
pillola della felicità, Firenze, Sansoni, 1994.
4. S. Suomi, Uptight and Laid-Back Monkeys:
Individual Differences in the Response to Social
Challenges, in S. Branch, W. Hall e E. Dooling (a
cura di), Plasticity of Developm ent, Cambridge,
Mass., MIT Press, 1991, pp. 27-55.
5. S. Suomi, Prim ate Separation Models of Disorder,
in J. Madden (a cura di), Neurobiology of
Learning, Em otion, and Affect, vol. IV, New York,
Raven Press, 1991, pp. 195-214.
6. M. Raleigh e M. McGuire, Social and
Environm ental Influences on Blood Serotonin and
Concentrations in Monkeys, in «Archives of
General Psychiatry», 41, 1984, pp. 405-10.
7. M.J. Raleigh, M.T. McGuire, G.L. Brammer, D.B.
Pollack, A. Yuwiler, Serotonergic Mechanism s
Prom ote Dom inance Acquisition in Adult Male
Vervet Monkeys, in «Brain Research», 559, 1991,
pp. 181-90. In realtà, i primati più simili agli
umani, gli scimpanzé bonobo, si dominano
molto poco l’uno con l’altro. Tutta la
considerazione del rapporto fra serotonina e
dominanza è soggetta a pregiudizi culturali.
8. Idem , pp. 69-71.
9. J. Ellison e P. Stanziani, SSRIAssociated Nocturnal
Bruxism in Four Patients, in «Journal of Clinical
Psychiatry», 54, 1993, pp. 432-34. In alcuni casi,
la fluoxetina è stata associata a violenza e
suicidio.
10. J. Chen e R. Hartley, Scientific Versus Com m ercial
Sources of Influence on the Prescribing Behavior of
Physicians, in «American journal of Medicine»,
73, luglio 1982, pp. 5-28.
11. Kramer, Listening..., cit., p. 292; trad. it. di I.
Blum, La pillola della felicità, cit., p. 314.

10. Anima e spirito


1. R. Moore, Space and Transform ation in Hum an
Experience, in R. Moore e F. Reynolds (a cura di),
Anthropology and the Study of Religion, Chicago,
Center for the Scientific Study of Religion, 1984.
2. M. Von Franz e J. Hillman, Lectures on Jung’s
Typology, Spring, Dallas, 1984, p. 33.
3. Victor Frankl, Man’s Search for Meaning, New
York, Washington Square Press, 1946-1985, pp.
55-56; trad. it. di N. Sipos Schmitz, Uno psicologo
nei Lager, Milano, Edizioni Ares, 1967, pp. 72-73.
4. E. Hillesum, An Interrupted Life, New York,
Simon and Schuster, 1981; trad. it. di C. Passanti,
Diario 1941-1943, Milano, Adelphi, 2008, pp. 238-
239.
5. Idem , pp. 242-43.
6. M. Sinetar, Ordinary People as Monks and
Mystics, New York, Paulist Press, 1986, p. 133.
7. V. Frankl, Man’s Search for Meaning, cit., pp. 130-
31; trad. it. di N. Sipos Schmitz, Uno psicologo...,
cit., pp. 130-31.
8. Jung, in W. McGuire (a cura di), The Collected
Works of C. G. Jung, vol. 6, Princeton, N.J.,
Princeton University Press, 1961; ed. it. a cura di
L. Aurigemma, Opere di C.G. Jung, Torino,
Bollati-Boringhieri, 1970-2008.
9. M. Von Franz e J. Hillman, Lectures..., cit., pp. 1-
72.
10. Idem , pp. 33-35.
11. Idem , p. 13.
12. Idem , p. 68.
13. C.G. Jung, Man and His Sym bols, Garden City,
N.Y., Doubleday, 1964, pp. 161-62; ed. it. a cura
di L. Aurigemma, Opere di C.G. Jung, Torino,
Bollati-Boringhieri, 1970-2008.
14. C.G. Jung, Synchronicity, in W. McGuire (a cura
di), The Structure and Dynam ics of the Psyche,
vol. 8, The Collected Works of C. G. Jung,
Princeton, N.J., Princeton University Press, pp.
417-531; ed. it. a cura di L. Aurigemma, Opere di
C.G. Jung, Torino, Bollati-Boringhieri, 1970-2008.
Ringraziamenti

Desidero ringraziare in particolare tutte le persone


altamente sensibili che ho intervistato. Siete state le
prime a farvi avanti e a parlare di ciò che nel vostro
intimo sapevate da tempo, trasformandovi da casi
isolati a un gruppo capace di far sentire la sua voce.
I miei ringraziamenti vanno anche a coloro che
hanno partecipato ai miei corsi o che ho incontrato
per un consulto oppure nel corso di un trattamento
psicoterapico. Ogni parola di questo libro riflette ciò
che voi tutti mi avete insegnato.
Anche i miei molti assistenti di ricerca – troppi
per nominarli – meritano calorosi ringraziamenti,
così come Barbara Kouts, la mia agente, e Bruce
Shostak, il mio editor presso il Carol Publishing
Group, che si sono adoperati perché questo libro
arrivasse fino a voi. Barbara ha trovato un editore di
mente aperta e Bruce ha dato una forma accettabile
al manoscritto, frenandomi in certi punti e
lasciandomi libera in altri.
È difficile trovare le parole per descrivere ciò che è
mio marito, Art. Eccone alcune: amico, collega,
sostenitore, compagno – grazie, con tutto il mio
amore.
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www.librimondadori.it
Persone altamente sensibili
di Elaine Aron
Copyright © 1996, 1998, 2013 Elaine N. Aron
This edition is published by arrangement
with Kensington Publishing Corp. and
Donzelli Fietta Agency srls
© 2018 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Titolo dell’opera originale The Highly Sensitive
Person How to Thrive When the World
Overwhelms You
Ebook IS BN 9788852089237

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