g = GM/R2 ∼ 6.67 10−8 1.99 1033 / 4.84 1021 ∼ 2.74 104 cm/sec2
circa 30 volte superiore che alla superficie della Terra. Poiché in un moto uniformemente
accelerato S=gt2 /2, un corpo alla superficie del Sole sul quale agisse liberamente la gravità
percorrerebbe uno spazio pari al raggio del Sole in un tempo
Si ricava così un ordine di grandezza dei tempi caratteristici sui quali opererebbe la
gravità su scala solare. I 2 103 secondi ricavati assicurano che se sul Sole la forza di gravità
fosse libera di operare, il Sole dovrebbe rapidamente modificarsi sotto i nostri occhi. Poiché
ciò non avviene, dobbiamo concludere che la forza di gravità è contrastata ed annullata
dalle forze di pressione generate nel gas, producendo una struttura che definiremo quasi
stazionaria, perché - come constateremo - pur se le forze di pressione annullano le forze di
gravità la struttura è costretta sia pur lentamente ad evolvere.
E’ facile tradurre le precedenti considerazioni in una relazione quantitativa. Assumendo
la simmetria sferica della struttura solare - come suggerito dall’evidenza osservativa - il
1
2
Fig. 2.1. Il bilancio della forza di gravità Fg e delle forze di pressione Fp per un generico elemento
di materia di volume dV = dS dr.
bilancio tra le forze di pressione e quelle gravitazionali (fig. 2.1) per un generico elemento di
massa dm = ρdV = ρdSdr fornisce la relazione dell’equilibrio idrostatico
dP (r) Mr (r)ρ(r)
= −G dr (1)
dr r2
dove P rappresenta la pressione totale operante nell’ambiente (quindi non la sola pres-
sione del gas → A2.1 ), ρ la densità locale ed Mr la massa contenuta all’interno del generico
raggio r.
Questa equazione fornisce una prima relazione tra le tre grandezze incognite P, ρ ed Mr ,
assicurando che la pressione deve crescere con continuità muovendosi verso l’interno della
stella. In realtà una delle incognite è solo formale, perché dalla definizione di Mr si ricava
subito l’equazione di continuità
P = P (ρ, T ) (3)
ed irraggiamento. Escludendo per il momento il caso della convezione, negli altri due casi si
ha - come regola generale - che il flusso di calore è proporzionale al gradiente
dT
= cost · φ (4)
dr
relazione che può essere letta come una delle tanti leggi di proporzionalità tra causa
(dT/dr) ed effetto (il flusso φ), una sorta di legge di Ohm dove la costante rappresenta
la ”resistenza” al trasporto. La materia all’interno di una stella si trova in generale nello
stato gassoso, cui corrisponde (ma con importanti eccezioni) una trascurabile efficienza dei
meccanismo conduttivi. In tal caso si può dimostrare (→ A2.2) che tra il flusso trasportato
per radiazione (dai fotoni) ed il gradiente di temperatura intercorre la relazione
dT 3 κρ
=− φ (5)
dr 4ac T 3
dove a= costante del corpo nero = 7.6 10−15 cm, c= velocità della luce e κ opacità per
grammo di materia è definita dalla relazione
κρ =1/λ,
con λ cammino libero medio dei fotoni: minore il cammino libero medio maggiore
l’opacità.
Da tale del trasporto radiativo si ricava non solo che un gradiente di temperatura gen-
era un flusso, ma anche che la presenza di un flusso implica un gradiente di temperatura.
L’emergere di un flusso luminoso dalle strutture stellari è quindi indicazione che la temper-
atura cresce dalla superficie verso l’interno, e che tale aumento deve continuare sinché la
struttura è percorsa da un flusso di energia uscente. Se ne trae anche la conseguenza che se
nelle zone centrali di una struttura stellare non vi sono sorgenti (positive o negative) di ener-
gia, allora tali zone devono tendere ad una situazione isoterma. Un gradiente di temperatura
produrrebbe infatti un flusso volto a riequilibrare le differenze di temperatura.
Nell’equazione del trasporto il flusso φ locale può utilmente essere espresso, per ogni r,
in termini della flusso energetico totale attraverso la superficie sferica di raggio r (Lr (r)=
luminosità)
Lr = 4πr2 φ
sistema che, con le opportune condizioni al contorno, può essere risolto, ricavando
l’andamento di cinque delle precedenti variabili in funzione dell’andamento della sesta vari-
abile assunta come variabile indipendente.
Ripercorrendo le assunzioni operate concludiamo che il sistema di equazioni governa
ogni sistema a simmetria sferica, autogravitante, in equilibrio idrostatico e sinché si resti
nel campo di applicabilità della meccanica non relativistica (→ A2.3). Al variare della com-
posizione chimica della materia stellare, le soluzioni si differenzieranno non per l’algoritmo
delle equazioni fisico matematiche sin qui descritte, ma per il diverso comportamento fisico
della materia “depositato” in tali equazioni dalle tre relazioni
ove si è esplicitamente indicato come ci si attenda che non solo la pressione ma anche
l’opacità e la produzione di energia dipendano dalle condizioni termodinamiche della materia
oltre che dalla non esplicitata composizione chimica della materia medesima.
Fig. 2.2. In un ambiente a gradiente radiativo, se tale gradiente risulta maggiore di quello adia-
batico (1) un elemento di materia che si sposti adiabaticamente dalla posizione iniziale si trova più
caldo dell’ambiente a minori pressioni (spostamento verso l’alto) o più freddo a pressioni maggiori
(spostamento verso l’interno). In tutti e due i casi l’elemento e’ stimolato a proseguire il moto in-
nescando una instabilità convettiva. Nel caso in cui il gradiente radiativo risulti minore di quello
adiabatico (2) si manifesta invece una forza di richiamo che rende l’ambiente stabile.
a quella dell’ambiente con tempi scala meccanici. Gli scambi di calore avvengono invece
sui più lunghi tempi scala termodinamici, talché potremo assumere che l’espansione (se
assumiamo uno spostamento verso l’alto, a pressione minore) o la compressione risultino
adiabatiche.
Dalla figura 2.2 si ricava immediatamente che se il gradiente locale (assunto come radia-
tivo) è minore del gradiente adiabatico dT/dP, per uno spostamento verso l’alto l’elemento
risulta più freddo dell’ambiente, quindi più denso e soggetto ad una forza di richiamo verso
la posizione originale. Analoghe considerazioni valgono per uno spostamento verso il basso.
Se ne conclude che in tali condizioni la zona è stabile. Ripetendo il ragionamento nel caso di
un gradiente radiativo maggiore di quello adiabatico si giunge invece alla conclusione che in
tal caso la zona è instabile, talché si giunge alla formulazione del Criterio di Schwarzschild
che stabilisce che in una struttura stellare sono instabili per convezione tutti quegli strati
per i quali risulta
dT dT
( )rad > ( )ad (8)
dP dP
A tale formulazione viene talora preferita la forma logaritmica
dove ∇ = P/T dT/dP = dlogT/dlogP e ∇ad = 0.4 per un gas perfetto monoatomico
(→ A2.4).
Si deve peraltro notare che, a rigor di termini, il criterio di Schwarzschild identifica
le zone in cui l’instabiltà convettiva è stimolata ed all’interno delle quali sono attivi moti
convettivi con velocità che saranno determinate da complessi meccanismi legati anche agli
scambi termici ed alla viscosità del mezzo. E’ così evidente che il frenamento di tali moti
deve avvenire nella zona formalmente stabile per convezione, laddove si manifesta una forza
di richiamo. Ne segue che oltre i limiti definiti dal criterio di Schwarzschild deve esistere una
zona di penetrazione degli elementi convettivi, indicata come zona di overshooting (fig. 2.3).
6
Fig. 2.3. Nella regione in cui è violato il criterio di stabilità di Schwarzschild un elemento di
convezione è soggetto a forze che ne favoriscono il moto. Il frenamento di tali elementi dovrà quindi
avvenire nelle zone di stabilità al bordo della zona precedente, producendo un rimescolamento di
materia che si estende al di là dei limiti formali di stabilità (overshooting).
Fig. 2.4. Un elemento di convezione che si innalzi adiabaticamente nell’ambiente per un tragitto l
al termine del tragitto si porterà ad una temperatura T1 = T0 + (dT /dP )ad ∆P , circondato da un
ambiente a temperatura T2 = T0 + (dT /dP )amb ∆P .
della zona convettiva si innalzi adiabaticamente per un tragitto “l” cedendo qui il calore in
eccesso. Come ordine di grandezza di “l” possiamo assumere l’altezza di scala di pressione
1 dP
HP = (10)
P dr
definita come il tragitto che vede diminuire la pressione di un fattore 1/e, assunto come
il tipico tragitto lungo il quale un elemento di convezione (in necessaria espansione) possa
mantenere una propria individualità.
E’ subito visto che, pur nell’ipotesi adiabatica che è la più favorevole al trasporto, la
convezione può trasportare calore solo se il gradiente ambientale sia maggiore di quello
adiabatico (superadiabatico). Solo in tal caso al termine del tragitto l’elemento risulterà
più caldo dell’ambiente circostante, in grado di cedere calore e di contribuire al trasporto
dell’energia. Tali semplici considerazioni mostrano che in una zona convettiva, dove - per
definizione - il gradiente radiativo è maggiore di quello adiabatico, il gradiente effettivo
è limitato dall’essere necessariamente maggiore del gradente adiabatico ma anche minore
del gradiente radiativo perché, per definizione di gradiente radiativo, l’esistenza di un tale
gradiente implica il trasporto radiativo dell’intero flusso energetico.
Il problema è pertanto quello di valutare il grado di superadiabaticità del gradiente locale.
Per far ciò ricorriamo ancora al precedente modello di convezione per notare che l’energia
ceduta da un elemento di convezione sarà pari a
δQ = CδT (11)
gli effetti pratici è in genere lecito assumere direttamente un gradiente ambientale pari a
quello adiabatico.
Ciò non è più vero solo nelle zone più esterne della struttura ove la marcata diminuzione
della capacità termica, conseguente alla diminuita densità della materia, genera un non
più trascurabile fabbisogno di superadiabaticità. In tal caso (convezione subatmosferica)
manchiamo ancora di una teoria soddisfacente della convezione, ed è d’uso ricorrere ad un
algoritmo approssimato noto come (Teoria della ”Mixing Length” → A2.5).
E’ da notare che se il trasporto radiativo può o meno essere attivo, il trasporto radiativo
- in accordo alla (6) - in presenza di un gradiente di temperatura è sempre efficiente. La
convezione può quindi essere intesa come un meccanismo di troppo pieno che scatta quando le
richieste di gradiente per il trasporto radiativo superano la soglia del gradiente adiabatico,
attivando un ulteriore canale di trasporto. E, in tale visione, il criterio di Schwarzschild
stabilisce che in presenza di meccanismi di trasporto concorrenti si stabilisce il processo che
minimizza le richieste di gradiente.
In caso di convezione, l’efficienza relativa dei due canali di trasporto resta collegata al
rapporto tra i gradienti. In particolare si ricava banalmente che:
∇rad >> ∇amb ∼ ∇ad → la zona è instabile per convezione ed il trasporto è essenzial-
mente convettivo.
∇rad ∼ ∇amb > ∇ad → la zona è instabile per convezione ma il trasporto è essenzialmente
radiativo.
espressione più corretta - oltre la quale non è possibile che ci giungano informazioni di-
rette trasportate dai fotoni che, per definizione, subiranno almeno una interazione prima di
emergere dalla struttura.
La nozione di atmosfera è quindi collegata a meccanismi di opacità, e si può definire τ
attraverso la relazione
dr
dτ = − = −κρdr (13)
λ
ove, per la già data definizione di κ, κρ rappresenta l’inverso del cammino libero medio
del fotone e dunque la probabilitàdi interazione per unità di percorso.
Le caratteristiche spettrali della radiazione osservata mostrano che una radiazione di
corpo nero proveniente dalla base dell’atmosfera (τ = 1), viene ”filtrata” nel passaggio at-
traverso l’atmosfera, ove meccanismi selettivi di assorbimento o diffusione da parte degli
atomi dell’atmosfera stessa estraggono fotoni dal fascio uscente, isotropizzandoli, in cor-
rispondenza delle frequenze proprie delle possibili transizioni elettroniche. La valutazione
delle strutture atmosferiche è operazione estremamente complessa, per la quale è necessario
valutare nel dettaglio il trasporto radiativo nelle locali condizioni di anisotropia, tenendo
conto della presenza di milioni di righe di assorbimento. Nella pratica dei calcoli di strutture
stellari si preferisce ricavare da tali calcoli dettagliati la relazione funzionale
T = T (τ, Te ) (14)
che con buona approssimazione risulta una funzione della sola temperatura efficace Te .
Adottando tale funzione è possibile chiudere semplicemente il sistema di equazioni della
struttura atmosferica. Poichè dalla definizione di τ si trae ρ dr = - d τ / κ, la relazione
dell’equilibrio idrostatico può essere portata nella forma
Mρ g
dP = −G dr = dτ (15)
r2 κ
dP g
= (16)
dτ κ(ρ, T )
T = T (τ, Te ) (17)
P = P (ρ, T ) (18)
tecniche di calcolo numeriche basate su metodi a differenze finite, ove cioè i differenziali
sono approssimati con incrementi piccoli ma finiti, così che le relazioni differenziali vengono
trasformate in equazioni algebriche.
Prima di illustrare i due diversi metodi in uso per la soluzione di tali equazioni dis-
cuteremo l’integrazione degli strati atmosferici, in quanto ingrediente di base che entra
nell’architettura di tutti e due i metodi cui abbiamo fatto riferimento.
2.6.1 Integrazione degli strati atmosferici
Ricordiamo che per gli strati atmosferici abbiamo stabilito la relazione differenziale (2.13)
che, in termini di differenze finite può essere scritta come
g
Pj+1 − Pj = (τj+1 − τj ) (19)
κ
ove, in accordo con il metodo delle differenze finite, l’intervallo di integrazione 0 ≥ τ ≥ 1
è stato opportunamente suddiviso prefissando N valori τj della variabile indipendente (N
mesh) per j che va da 1 a N. Pj è il valore, da determinare, della variabile nel generico punto
”j”. Accanto a questa relazione differenziale abbiamo le due ulteriori relazioni, qui ripetute
per comodità
T = T ( τ , Te )
P = P ( ρ, T )
r=R, Lr =L, P, T, ρ, Mr =M
12
Fig. 2.5. Nell’integrazione per tangenti, noto il valore della derivata della generica variabile Y(X)
nel mesh Xj si pone Yj+1 = (dY/dX)j (Xj+1 - Xj ), valutando così la variazione lungo la tangente
definita dalla derivata in Xj , con un errore che diminuisce al diminuire dell’assunto ∆X.
che compaiono nel sistema di equazioni per l’equilibrio stellare. Supponendo di utilizzare
subito come variabile indipendente Mr , possiamo riscrivere le equazioni di equilibrio in
funzioni della variazioni di tale variabile. Ponendo dr =dMr /4 πr2 ρ e passando nuovamente
allo schema di differenze finite si ottiene
Mr,j
Pj+1 − Pj = −G (Mr,j+1 − Mr,j ) (21)
4πrj4
Mr,j+1 − Mr,j
rj+1 − rj = (22)
4πrj2 ρ
3κLr,j 1
Tj+1 − Tj = − (Mr,j+1 − Mr,j ) (23)
64acπ 2 r4 T 3
se (dT/dP)rad ≤ (dT/dP)ad , altrimenti
Mr,j dT
Tj+1 − Tj = −G ( )ad (Mr,j+1 − Mr,j ) (24)
4πr4 dP
Lr,j+1 − Lr,j = ε (25)
Analogamente a quanto già discusso per l’integrazione atmosferica, se nel mesh Mr,j sono
noti i valori delle variabili r, Lr , P, T, ρ (dall’equazione di stato), κ(ρ, T ) e ε(ρ, T ) sono noti
i valori di tutti i coefficienti a secondo membro delle relazioni precedenti, e per ogni assunto
∆Mr = Mr,j+1 − Mr,j le relazioni forniscono il valore delle variabili nel mesh j+1. Partendo
dal primo mesh, alla base dell’atmosfera, l’iterazione di tale procedura consente di spingere
l’integrazione lungo tutta la struttura.
Perché il risultato possa rappresentare una stella occorre e basta che per Mr = 0 (centro
della struttura) risulti r = 0 e Lr = 0. In linea di principio si potrebbe pensare di identificare
la soluzione variando opportunamente i valori di L e Te di partenza, sino a soddisfare le
citate condizioni centrali. Nella pratica ciò non è consentito dalla eccessiva sensibilità delle
soluzioni a Mr = 0 dalle condizioni superficiali. Il metodo del ”fitting” (cioè del raccordo)
supera questa difficoltà procedendo ad una integrazione dall’ esterno a partire una coppia
di valori di prova L e Te , spingendo l’integrazione sino ad un prefissato valore della massa
Mr = MF ( massa di fitting) ottenendo in tale punto una quadrupletta di valori re , Ler , Pe ,
Te , ove l’indice ”e” sta ad indicare che tali valori sono il risultato dell’integrazione esterna.
13
ove si è evidenziata la ovvia dipendenza dei valori della quadrupletta dai due assunti
valori di prova L e Te . Si procede poi ad una integrazione dal centro imponendo in tale
punto r = Lr = 0 e assumendo due valori di prova Pc e Tc ricavando nello stesso punto di
fitting un’altra quadrupletta di valori ri , Lir , Pi , Ti ,
r e − r i = εr
Ler − Lir = εL
P e − P i = εP
T e − T i = εT
Tenuto presente che i valori delle due quadruplette dipenderanno dai valori di prova
assunti, rispettivamente, per L, Te e Pc , Tc , il metodo del fitting consiste nel valutare
quali le variazioni da apportare ai 4 valori di prova per annullare le discrepanze tra le due
quadruplette, o - nella pratica - perchè le discrepanze (Pi - Pe )/Pi e simili scendano al di
sotto di una soglia di precisione tipicamente non maggiore di 10−4 .
In approssimazione lineare, la variazione dei valori delle quadruplette può essere espressa
in funzione delle derivate parziali dei valori medesimi rispetto ai relativi valori di prova. Così,
ad esempio
e, corrispondentemente,
∂P e ∂P e ∂P i ∂P i
∆(P e − P i ) = ( )T e ∆L + ( )L ∆Te + ( )T c ∆Pc + ( )P ∆Tc (28)
∂L ∂Te ∂Pc ∂Tc c
∂T e ∂T e ∂T i ∂T i
∆(T e − T i ) = ( )T e ∆L + ( )L ∆Te + ( )T c ∆Pc + ( )P ∆Tc (29)
∂L ∂Te ∂Pc ∂Tc c
Imponendo che tali variazioni siano eguali ma di segno contrario alle discrepanze εi (i =
1, 4), così da annullare le differenze delle due quadruplette al fitting, ove siano noti i valori
delle derivate si ottiene un sistema lineare di quattro equazioni nelle quattro incognite ∆L,
∆Te . ∆Pc . ∆Tc e con termini noti -εi (i=1,4).
14
I valori delle derivate parziali sono ricavati eseguendo quattro integrazioni, due dall’
esterno e due dall’interno, a partire dai valori al contorno
L + δL, Te
L, Te + δTe
Pc , Tc + δTc
Pc + δPc , Tc
δi,j i = 1, 4; j = 1, N − 1
Occorre dunque operare sui valori di prova assegnati negli N singoli mesh in cui è stata
divisa la struttura al fine di azzerare i 4N-4 δi,j così che le relazioni di equilibrio risultino
soddisfatte lungo tutta la struttura.
Notiamo al proposito che, avendo scelto come variabile indipendente Mr ed avendo
dunque prefissato il valore di Mr in opportuni mesh spaziati lungo la struttura, il gener-
ico δi,j resta una funzione algebrica dei valori delle quattro variabili nei mesh j e j+1
di cui è possibile ricavare algebricamente i valori delle derivate parziali rispetto alle otto
variabili.
Per la dipendenza del generico δi,j dalle funzioni di prova potremo dunque scrivere per
ogni coppia di mesh e per ognuna delle 4 equazioni dell’equilibrio una relazione che lega le
discrepanze al valore variabili
15
∂δi,j ∂δi,j ∂δi,j ∂δi,j ∂δi,j ∂δi,j
∆δi,j = ∂rj ∆rj + ∂Lr,j ∆Lr,j + ∂Pj ∆Pj +
∂Tj ∆Tj + ∂rj+1 ∆rj+1 + ∂Lr,j+1 ∆Lr,j+1 +
∂δi,j ∂δi,j
∂Pj+1 ∆Pj+1 + ∂rj+1 ∆Tj+1
imponendo che per ogni coppia e per ogni equazione δi, j subisca una variazione eguale
e di segno contrario alla discrepanza trovata, si ottiene in definitiva un sistema di 4N-4
equazioni nelle 4N incognite
∆rj , ∆Lr, j, ∆Pj , ∆Tj (j=1,N)
Il bilancio tra numero di incognite e numero di equazioni mostra - come dovevamo at-
tenderci - che la soluzione richiede l’intervento di quattro condizioni al contorno. Due di
queste si ricavano immediatamente osservando che al centro della struttura deve risultare e
rimanere r = Lr = 0, e quindi
∆r1 = 0, ∆Lr,1 = 0
Restano dunque 4n-2 incognite. Le altre due condizioni risultano dall’imporre che l’ultimo
mesh (N) debba essere alla base dell’ atmosfera. Sappiamo infatti che le variabili fisiche alla
base dell’atmosfera sono note non appena sia assegnata una coppia di valori L e Te . Per
l’ultimo mesh devono valere dunque le ulteriori condizioni
rN = f1 (L, Te )
Lr,N = f2 (L, Te )
PN = f3 (L, Te )
TN = f4 (L, Te )
Approfondimenti
A2.1. Energia interna, pressione della radiazione e pressione del gas perfetto.
Si è già indicato (→ A1.1) come all’interno di una struttura stellare materia e radiazione siano
ambedue da considerarsi termalizzate alla temperatura locale T In tali condizioni la densità e la
distribuzione in frequenza dei fotoni restano regolate dalle leggi del corpo nero, la densità di energia
risultando in particolare pari a U = aT 4 . In tali condizioni è anche facile ricavare il valore della
pressione di radiazione, collegata -come nel caso delle particelle- al momento trasportato dai fotoni.
Se immaginiamo la radiazione intrappolata all’interno di un cubetto di volume unitario a su-
perfici interne perfettamente riflettenti. Un generico fotone di energia E = hν e momento p = hν/c
avrà una direzione di moto definita dai tre coseni direttori
cx cy cz
, ,
c c c
degli angoli formati dal vettore velocità c con i tre assi delle coordinate. Nell’unità di tempo si
avranno cx urti contro le due pareti perpendicolari all’asse x (Figura 2.6) ed in ogni urto verrà
scambiata una quantità di moto pari in modulo a 2(hν/c)cx /c. La somma (in modulo) dei momenti
scambiati dal fotone con le 6 pareti del cubetto nell’unità di tempo risulta
hν cx hν cy hν cz hν
2 +2 +2 = 2 2 (c2x + c2y + c2z ) = 2hν = 2E
c c c c c c c
Se ne conclude che il gas di fotoni isotropi scambia nell’unità di tempo con ognuna delle pareti del
cubetto una quantità di moto pari a
∆p = E/3
dove E è la somma delle energie dei singoli fotoni. Poichè ∆p = F ∆t si ricava che il gas di fotoni
opera sulla superficie unitaria una forza (la pressione) pari a
Pr = E/3
Per una distribuzione di corpo nero si ricava così il valore della pressione di radiazione
1 a
Pr = U = T4
3 3
Con considerazioni del tutto analoghe si ricava per un gas perfetto non relativistico
1 2
Pg = Σmi vi2 = W
3 3
dove W = Σ 21 mi vi2 rappresenta la densità di energia cinetica. Poichè l’energia cinetica media per
molecola è pari a 23 kT, Σ 12 mi vi2 = nkT dove n rappresenta il numero di particelle per unità di
volume. Si ritrova così l’equazione di stato del gas perfetto
Pg = nkT
Per un gas perfetto monoatomico W=U=3/2 kT. Nel caso più generale U=N/2 kT, dove N è il
numero di gradi di libertà delle particelle, e si ricava facilmente
2
Pg = U
N
che, in analogia di quanto già visto per la radiazione, pone in relazione la pressione con l’energia
interna per unità di volume.
17
Fig. 2.6. Nell’urto elastico contro la parete un fotone di impulso hν/c inverte la componente x
cx
cedendo un impulso pari a 2 hν
c
cosθ = 2 hν
c c
.
dr hν Φ
dp = N = dr
λ c λc
Poiché la pressione di radiazione altro non è che il momento trasportato per unità di superficie e di
tempo, dp = dPr , e quindi
Φ
dr = dPr
λc
Ove, come nel caso degli interni stellari, si possa assumere l’equilibrio termodinamico locale, Pr =
a/3T 4 e si ottiene così
dPr 4a dT
Φ = λc = λc T 3
dr 3 dr
Poiché il cammino libero medio dei fotoni dipende dalla frequenza, ponendo λ = 1/κρ, dove
κ rappresenta una opportuna media (media di Rosseland) sulla distribuzione energetica dei fotoni:
1/κρ rappresenta la probabilità media di interazione per unità di percorso e κ prende il nome di
opacità per grammo di materia. Si ha cosìnfine
4acT 3 dT
Φ=
3κρ dr
che mostra come in condizioni di equilibrio termodinamico sussiste una necessaria proporzionalità
tra gradiente di temperatura e flusso di energia trasportato dai fotoni.
In assenza di convezione, poiché in un gas il trasporto per conduzione è in genere molto poco
efficiente, la precedente relazione si trasforma in una relazione tra gradiente di temperatura e flusso
totale di energia. Ciò però non è più vero nel caso di degenerazione elettronica, allorquando per
motivi quantistici gli elettroni manifestano un comportamento collettivo (→ A3.2). In tal caso,
18
Fig. 2.7. I fotoni che compongono il flusso di energia fluente tra due temperature T1 e T2 (T1 >
T2 ) subiscono interazioni che li isotropizzano cedendo qunatità di moto alla materia
come avviene nei metalli, un gas di elettroni mal sopporta gradienti energetici, e la conduzione
elettronica diviene un meccanismo di grande efficienza.
Per il flusso di energia Φc trasportato dalla conduzione si può ancora porre
dT
Φc = C
dr
dove il valore di C resta definito per le varie condizioni fisiche del mezzo dalla teoria di un gas
elettronicamente degenere. In presenza di conduzione elettronica è d’uso generalizzare, con semplice
artificio, la precedente formula del gradiente radiativo. Basta infatti definire una opacità conduttiva
κc attraverso la relazione
4acT 3
C=
3κc ρ
per ottenere
4acT 3 1 1 dT
Φ r + Φc = − ( + )
3ρ κr κc dr
Definendo come opacità totale 1/κT = 1/κr + 1/κc si ottiene la forma generalizzata
4acT 3 dT
Φ=
3κT ρ dr
che collega la totalità del flusso ”non convettivo” al gradiente locale di temperatura.
2Gm
rg =
c2
si giunge a riscrivere l’equazione dell’equilibrio idrostatico e quella della conservazione della massa
nella forma generalizzata relativistica
Fig. 2.8. La relazione massa densità centrale per le strutture di stelle di neutroni, La curva A
indica la soluzione per un gas di neutroni liberi mentre le altre curve portano esempi di equazioni
di stato più elaborate.
dMr
= 4πr2 ρ
dr
dove Mr , massa contenuta all’interno del raggio ”r”. contiene il contributo non solo della massa a
riposo delle particelle ma anche quello della loro energia.
Le strutture in cui si rende necessaria l’applicazione di un tale formalismo si collocano in qualche
maniera ai due estremi delle normali strutture stellari: stelle supermassive e stelle di neutroni.
Per ciò che riguarda gli oggetti supermassivi (M ∼ 105 − 108 M ) è da notare che per i normali
oggetti stellari esiste un limite superiore, a poco più di 100 M , per la formazione di strutture
stabili. Ciò perchè al crescere della massa il crescente contributo della pressione di radiazione finisce
col destabilizzare la stella. Al livello di supermassività indicato intervengono però due nuovi fattori
che consentono, almeno in linea di principio, strutture gravitazionalmente legate. Infatti il campo
gravitazionale efficace è enormemente accresciuto dall’equivalente in massa dell’energia e, nel con-
tempo, i fotoni perdono energia nel propagarsi contro il campo gravitazionale, riducendo di molto
gli effetti della pressione di radiazione.
Oggetti supermassivi sono stati nel passato invocati per giustificare l’emissione luminosa da
nuclei galattici, radiosorgenti e quasars. Per quanto tale ipotesi sia stata ormai abbandonata, è da
notare che da una struttura di 105 M nelle fasi iniziali di combustione di idrogeno si attendono
∼ 1043 erg/sec, con temperature efficaci (→ 1.7.1)Te ∼ 6 104 K. Il confronto con la luminosità del
Sole (∼ 1033 erg/sec) rivela come in tali oggetti supermassivi il rapporto luminosità/massa risulti
dell’ordine di ∼ 105 volte di quello solare.
A causa delle elevatissime densità, anche stelle di neutroni che eventualmente si producano
nell’esplosione di Supernovae sono caratterizzate da campi gravitazionali estremamente intensi, e
necessitano quindi di un trattamento relativistico. Se si assume che i neutroni si comportino come
un gas di fermioni liberi (→ A3.2) per essi vale un equazione di stato del tipo
L’approssimazione di un gas di fermioni appare peraltro inadeguata, perchè a densità che rag-
giungono e superano quelle nucleari interverranno certamente interazioni a molti corpi tra le par-
ticelle. Equazioni di stato più realistiche appaiono spostare il precedente limite sino a 2-3 M (
Fig. 2.8. Al di sopra di queste masse non si trovano meccanismi in grado di fermare il collasso della
struttura, che dovrebbe quindi procedere indefinitamente.
Al riguardo è facile verificare come l’equazione dell’equilibrio presenti una singolarità per
2GM
r=
c2
E’ questo il cosiddetto raggio di Schwarzschild. Anche nell’approssimazione non relativistica si ver-
ifica facilmente che, per ogni massa, a tale raggio corrisponde una velocità di fuga pari alla velocità
della luce. In generale si trova quando il collasso raggiunge il raggio di Schwarzschild i fotoni non
sono ulteriormente in grado di sfuggire dall’oggetto collassante, che quindi cessa di avere un tale
canale di comunicazione elettromagnetica con il resto dell’Universo (diventando una buca nera).
δQ = dU + pdV
ove appare la variabile estensiva V = volume occupato dal sistema. Osservando che il volume
occupato da 1 grammo di materia è pari a 1/ρ, si risale immediatamente ad una più appropriata
formulazione riguardante il bilancio termico per grammo di materia
1 P
δQ = dU + pd( ) = dU − 2 dρ
ρ ρ
ove l’energia interna U e’ ora da intendersi come riferita al grammo di materia e immediatamente
ricavabile dividendo per ρ le già citate espressioni riguardanti l’energia interna per unità di vol-
ume. Lo stato termodinamico resta così definito dalle tre variabili intensive T, P e ρ, fornendo una
rappresentazione adeguata anche ad un generico fluido termodinamico non soggetto ad artificiali
delimitazioni. Si noti che in tutte le precedenti relazioni la pressione P va intesa come pressione
totale, somma dunque delle pressioni parziali di gas e radiazione.
La termodinamica ci assicura anche che per trasformazioni reversibili, cioé per trasformazioni
che si sviluppano lungo stati di equilibrio e nelle quali restano quindi definite istante per istante le
variabili di stato, il calore assorbito o ceduto resta collegato alla funzione di stato S (entropia) dalla
relazione δQ = T δS. Poiché questo è ovviamente il caso per le trasformazioni subite dal plasma
stellare nel corso dell’evoluzione di strutture stellari in equilibrio, potremo in generale porre il primo
principio della termodinamica nella forma
P
δQ = T δS = dU − dρ
ρ2
Poiché S è funzione di stato, assumendo P e T come variabili indipendenti, il bilancio energetico
deve potersi portare nella forma
∂S ∂S
T ds = T [( )P + ( )T ] = CP dT − ET dP
∂T ∂P
con
CP = T (dS/dT )P = (δQ/dT )P = calore specifico a pressione costante
ET = T (dS/dP )T = (δQ/dT )P = calore specifico scambiato in una compressione isoterma.
Nel caso generale la valutazione di questi due coefficienti riposa su opportune e complesse
valutazioni sullo stato energetico del sistema, che tengano nel dovuto conto non solo il grado di
ionizzazione, ma anche la distribuzione degli elettroni nei vari livelli eccitati, la presenza di eventuali
21
legami molecolari etc. Stante la complessità dei relativi calcoli, questi dati vengono in genere forniti
al programma assieme all’equazione di stato (→ A3.2) ed ai coefficienti di opacità (→ A3.3) sotto
forma tabulare, per ogni assunta composizione della materia stellare e per una opportuna griglia di
valori delle variabili di stato ρ e T .
Nel caso di una miscela di gas perfetto e radiazione, basta peraltro esplicitare la dipendenza
dell’energia interna U dai parametri di stato e fare uso dell’equazione di stato per ricavare analiti-
camente i valori di CP e ET . Scegliendo come parametri di stato P e T , il primo principio della
termodinamica fornisce
∂U ∂U P ∂ρ ∂ρ
T dS = ( )T dP + ( )P dT − 2 [( )T dP + [( )P dT ]
∂P ∂T ρ ∂P ∂T
e quindi
∂U P ∂ρ
CP = ( )P + 2 [( )P ]
∂T ρ ∂T
∂U P ∂ρ
EP = −( )T + 2 [( )T ]
∂P ρ ∂P
Poichè (→ 3.2)
k a
P = Pg + P r = ρT + T 4
µH 3
1 N
U = Ug + Ur = ( Pg + 3Pr )
ρ 2
si ottiene, ad esempio, per ET
N 1 ∂ρ 1 ∂ N P ∂ρ
ET = ( Pg + 3Pr ) 2 ( )T − [ ( Pg + 3Pr )T ] + 2 ( )T
2 ρ ∂P ρ ∂P 2 ρ ∂P
Osservando che per T = cost, dPr = 0 e dP = dPg si ha
∂ρ ∂ρ µH ρ
( )T = ( )T = =
∂P ∂Pg kT Pg
si ottiene infine
1 N Pr N P 1 Pr
ET = ( +3 − + ) = (4 + 1)
ρ 2 Pg 2 Pg ρ Pg
Analogamente si ricava
1 N +2 P2
CP = ( Pg + 20Pr + 16 r )
ρT 2 Pg
Si noti che T dS = 0 definisce una trasformazione adiabatica. Ne segue che per una tale trasfor-
mazione
dT ET dlogT P ET
( )ad = o anche ∇ad = =
dP CP dlogP T CP
Se Pr << Pg , ∇ad = 2/(N + 2), pari quindi a 0.4 nel caso di un gas perfetto monoatomico
(N=3) e a 0.3 nel caso di molecole biatomica (N=5). Più in generale, è facile comprendere che un
gas perfetto monoatomico realizza il massimo possibile gradiente adiabatico. In tal caso infatti, e
solo in tal caso, tutto il lavoro assorbito in una compressione adiabatica va in energia cinetica delle
particelle e nel corrispondente innalzamento della temperatura. Ove esistano gradi di libertà interni
(quali molecole, ionizzazioni, eccitazioni elettroniche) parte del lavoro sarà ripartito tra questi, con
conseguente minor innalzamento della temperatura.
Si noti infine che per Pr >> Pg , come tende ad avvenire in strutture stellari di massa molto
grande, ∇ad → 0.25. La radiazione tende quindi a diminuire il gradiente adiabatico, favorendo la
convezione. La radiazione dunque si comporta come un gas con 6 gradi di libertà, ed in effetti tale
22
Fig. 2.9. Andamento dei gradienti (scala di destra) e del peso molecolare µ(scala di sinistra) in
funzione della pressione P negli strati esterni di una stella di Popolazione II, 1.5 M in Sequenza
Principale, log Te = 3.91. Il gradiente radiativo raggiunge il valore massimo 45. In superficie il peso
molecolare segnala la presenza di molecole di idrogeno.
comportamento corrisponde alle due direzioni di polarizzazione per ognuna delle tre direzioni di
propagazione del fotone. Da questa osservazione è facile giungere ad un criterio termodinamico per
la stabilità di una struttura stellare. Per il teorema del viriale (→ 4.1) tale stabilità richiede
2T + Ω = 0
dove T è l’energia cinetica totale posseduta dalle particelle che compongono la struttura e Ω è
l’energia di legame.
La stabilità richiede quindi che metà dell’energia guadagnata in una contrazione sia trasferita
all’ energia cinetica delle particelle : dT = −dΩ/2. In un gas monoatomico, quindi con 3 gradi di
libertà, tutta l’energia guadagnata dal gas va in energia cinetica, e resta quindi altrettanta energia
(dΩ/2) per sopperire alle perdite per radiazione. In un gas con 6 gradi di libertà se metà dell’energia
va in energia cinetica, altrettanta energia deve andare negli altri gradi di libertà del sistema. Non
resterebbe quindi energia disponibile per sopperire alle perdite per radiazione, e questo è chiaramente
incompatibile con la stabilità della struttura. Il predominare della pressione di radiazione porta
quindi la struttura verso l’instabilità.
Tale criterio è sovente espresso in letteratura tramite γ = CP /CV = d(logP/dlogρ)ad = 1/(1 −
∇ad ) = 1 + 2/N , con N gradi di libertà delle particelle. Per un gas perfetto monoatomico risulta
γ = 5/3, per la radiazione γ = 4/3 e la stabilità richiede γ > 4/3.
∆T = [(dT /dr)ad − (dT /dr)]l = [(dT /dP )ad − (dT /dP )](dP/dr)l
.
Poichè dP/dr è negativo, si riconosce immediatamente che vi sarà trasporto di energia (la bolla
sarà pic̀alda) solo quando la zona è instabile per convezione, cioè dT /dP > (dT /dP )ad (Criterio di
Schwarzschild → 2.2)
23
Fig. 2.10. Come in figura 2.9, ma per una stella di 1.25 M , log Te = 3.83. Al diminuire della
temperatura efficace affonda la zona convettiva e nelle regioni piú interne ( piú dense) il gradiente
locale tende al gradiente adiabatico.
Poiché lo scambio di calore avviene a pressione costante, il calore scambiato al termine del
tragitto sarà M CP ∆T , ove M è la massa della materia a maggior temperatura. Ponendo che metà
della materia partecipi al moto ascendente, si ricava per il flusso trasportato dalla convezione
1 dT dT
CP ρv[(
Fc = )ad − ( )]l
2 dr dr
L’esistenza di un gradiente di temperatura implica peraltro anche un trasporto radiativo (→
A2.2)
T 3 4ac dT
Fr = −
κrho 3 dr
cosı̀ che per il flusso totale in regime di convezione si ricava
1 dT 1 T 3 4ac dT
F = Fc + Fr = CP ρv( )ad − ( CP ρv − )( )
2 dr 2 κrho 3 dr
da cui
dT F − 12 CP ρv( dT )
dr ad
= T 3 4ac
dr 1
− CP ρv
κρ 3 2
Si riconosce facilmente che per convezione inefficiente (CP ρv → 0) dT /dr → (dT /dr)rad mentre
per convezione dominante (CP ρv → ∞)) dT /dr → (dT /dr)ad .
Per valutare le velocità degli elementi di convezione possiamo osservare che per il principio di
Archimede la forza agente sull’elemento sarà
F = g∆ρV
dove g è la gravità locale, V il volume delle elemento e ∆ρ è la differenza di densità tra l’ambiente
e la bolla di convezione. Assumendo un gas perfetto (trascurando quindi variazioni del grado di
ionizzazione) ∆ρ/ρ = ∆T /T , dove per ogni tragitto parziale x (0 ≤ x ≤ l)∆T = [(dT /dr)ad −
(dT /dr)amb ]x. Applicando il teorema delle forze vive (lavoro = variazione di energia cinetica) si
ottiene così al termine del tragitto
Z l Z l
1 ∆/T
mv 2 = g∆ρV dx = gρV xdx
2 0 0
T
da cui
24
Fig. 2.11. Andamento della temperatura in funzione della pressione per il modello di figura 2.10
per due diverse assunzioni sulla lunghezza di rimescolamento. All’aumentare di l aumenta l’efficienza
della convezione e diminuisce il gradiente di temperatura. In ogni caso le diverse soluzioni convergono
verso una comune soluzione interna.
l
v(l)2 l2
Z
1 dT dT g dT dT
' g [( )ad − ( )amb ] xdx = [( )ad − ( )amb ]
2 T dr dr 0
T dr dr 2
Introducendo come valori medi lungo la traiettoria v = v(l)/2 e ∆T (l) = ∆T /2, osservando che
per l’equilibrio idrostatico si ha che
dT dT dP dT
= =− gρ
dr dP dr dP
si ricava infine
Hµ
v = gl[ (∇ − ∇ad )]1/2
8kT
che unita alla precedente relazione per il gradiente ambientale fornisce un sistema di equazioni
che, per ogni assunto valore della mixing length consentono la determinazione di v e ∇amb .
Quest’ultimo, in particolare, fornisce il valore del gradiente di temperatura locale in presenza di
convezione e, in quanto tale, viene sovente indicato come ∇conv
Non può sfuggire l’estrema semplificazione del modello adottato, ove -ad esempio - viene trascu-
rata la viscosità del mezzo e vengono trascurati gli scambi di energia lungo il tragitto degli elementi
di convezione. Ancor più pesante è l’assunzione di una convezione per ”bolle” a fronte dell’evidenza
osservativa (nel Sole) di una convezione per colonne, e quindi ”non locale”. La teoria della mixing
length è nondimeno utilizzata come un formalismo che conduce ad una ragionevole correlazione
tra le varie quantità fisiche in gioco, fornendo relazioni che finiscono col dipendere dal parametro
l che, di fatto, viene a regolare l’efficienza del trasporto convettivo. In tal senso l viene riguardato
come un parametro libero il cui valore va determinato non tanto con ulteriori valutazioni teoriche,
quanto sulla base di un riscontro dei risultati ai risultati osservativo sperimentali. In questo quadro
la versione semplificata della teoria, qui presentata come proposta da Demarque e Geisler, è non
meno valida della più sofisticata versione originalmente proposta da Erika Bohm-Vitense, nella quale
veniva ulteriormente elaborato il problema del tragitto non-adiabatico dell’elemento di convezione.
Nella pratica dei calcoli evolutivi è invalso l’uso di assumere una mixing length proporzionale
all’altezza di scala di pressione, HP
l = αHP
dove HP = dlogP/dr = (1/P )dP/dr e α è scelto tra 0.5 e 2 in base alla considerazione che
difficilmente un elemento di convezione può conservare la propria individualità per tragitti molto
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superiori a quello per cui la pressione si riduce di un e-mo. In analogia con la precedente formu-
lazione, la mixing length può essere anche riferita a l’altezza di scala di temperatura o a quella di
densità. Quest’ultima in particolare ha in passato goduto di una certa popolarità, perchè elimina le
inversioni di pressione che talora si manifestano con l’uso HP .
Le Figure 2.9 e 2.10 riportano a titolo di esempio l’andamento dei vari gradienti nelle zone
subatmosferiche di stelle di sequenza principale di varia massa. Al diminuire della massa stellare
aumenta la densità degli strati subatmosferici, aumenta quindi la capacità termica della materie e,
come mostrato nelle figure, il gradiente convettivo tende sempre più verso il gradiente adiabatico.
E’ importante notare come l’incertezza sull’efficienza della convezione superadiabatica si
trasferisca in genere in un incertezza sui raggi stellari, ma non sulle rispettive luminosità. In partico-
lare si può mostrare che per inviluppi convettivi non troppo profondi le soluzioni per diversi valori di
l finiscono per convergere ad un unica soluzione interna (Fig. 2.11), Si può calibrare α richiedendo,
ad esempio, che un modello solare riproduca il raggio (e la temperatura efficace) osservato. Si ricava
così l ' 1.8. Nulla assicura peraltro che una tale calibrazione possa essere estesa a stelle con diversa
massa e/o diversa composizione chimica. Ed in effetti giganti rosse di Pop.II richiedono diversi α.
Notiamo infine come la teoria della mixing length, nei limiti in cui si accettino le predizioni
sulla velocità, possa fornire anche indicazioni sulla consistenza dell’overshooting. Il tragitto degli
elementi nella zona radiativa è infatti ricavabile dall’applicazione del teorema delle forze vive alle
forze di frenamento che in tale zona si vengono a creare.
dP g
=
dτ κ
regola l’andamento della pressione totale P = Pg + Pr . Si ha dunque
dPg g dPr
= −
dτ κ dτ
Ma (→ A2.2)
dPr Φ σTe4
= =
dτ c c
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dPg 1
= (g − gr ) = gef f /κ
dτ κ
dove gef f = g − gr assume il ruolo di gravità efficace.
Nella pratica dei calcoli, l’integrazione non può partire da τ = 0, ove l’equazione presenta
una singolarità, implicando Pg = 0 e κ = 0. Per ogni assunto Te le condizioni iniziali vengono
imposte tramite un’iterazione che conduce ad una tripletta di valori Pg , T e τ tra loro compatibili.
Assumendo un valore piccolo ma finito di Pg , si adotta inizialmente T = T (τ = 0) e, ricavando
dalla coppia Pg e T un valore di ρ, si ricava quindi τ da
P/τ = gef f /κ(ρ, T )
Adottando tale τ si ottiene una nuova temperatura e quindi un nuovo ρ , un nuovo κ e, infine,
un nuovo τ . Il processo viene iterato sino ad ottenere la convergenza.
se ne conclude anche che, in assenza di errori formali nella stesura delle equazioni dell’equilibrio,
i risultati dell’integrazione di un modello non dipendono dal particolare codice utilizzato ma solo
dalla bontà delle relazioni e/o assunzioni fisiche dal modello stesso utilizzate.
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