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1.

Mongolfiera
2. Orchidea
3. Filastrocca per il Carnevale
4. La pecora Chiaretta
5. Il sole del mattino
6. Il chicco di grano
7. Stellina e il paese dell'allegria
8. filastrocca dei numeri in antico dialetto siciliano
9. Due bambine
10. La papera Betta
11. L'amore è per l'eternità
12. Miki e Kiara, storia di un'amicizia
13. Memorie di una alieno
14. Mirmi e Paco
15. La storia di nonno Cici e nonna Tè
16. I giorni della merla
17. Buon Natale (filastrocca)
18. I re passavano a cavallo
19. Chiara è la notte
20. Linda
21. Fermo e Scappa
22. Ivi ed i piccoli folletti
23. Pandolfo piè di zolfo
24. E' successo a Sciacca
25. Il piccolo pesciolino
26. La storia di Arlecchino
27. Il Natale di Lunetto
28. Beppino senza capelli venditore di occhiali
29. Le pecorelle unite ed il lupo solitario
30. La stanza magica
31. Vita da cane
32. 4 uova e un cagnolino
33. Giorgetto e l'albero
34. Filastrocca del cavallo a dondolo
35. Fai la ninna nanna...
36. Un giorno... un Angelo
37. Camilla
38. Il frigorifero
39. La storia della principessa delle nevi e del bambino che ruppe il terribile incantesimo
40. Il corvo con lo smoking
41. Filastrocca del chicco di grano
42. Il principe senza fiaba
43. Penelope sulla luna
44. Romualdo e il fantastico mondo di Parolandia
45. Luigi e il gatto Meo
46. Filastrocca del pollaio
47. L'origine dell'acqua
48. Il pulcino blu
49. La favola del Riìddu
50. L'amore è la ricchezza più grande
51. Pilla la penna magica
52. Gigio e i gelati
53. Il caramellaio stanco
54. Il corvo e la cicogna
55. Francesco e la varicella
56. Lo strano fiore
57. Filastrocca del bambino nella culla
58. Favoletta di Natale
59. La medicina che fa diventare buoni
60. Il maialino Ciccio
61. Il Girasole e la Rosa
62. La storia di Super Gabibbo
63. Sinfonia degli aquiloni impalpabili
64. Il fringuello e la fontana
65. Sally e la sua panciona
66. La talpa con gli occhiali
67. Il coraggio di un uccellino
68. Le aquile diventano campioni
69. La casa che era triste
70. Il piccolo Nik e la sua grande avventura
71. La disavventura del coniglietto Tommi
72. Filastrocca del primo anno d'asilo
73. Filastrocca dei numeri
74. Andrea ed il cane Guga
75. La sassaiola
76. Il riso di Marina
77. Lieta sorpresa (filastrocca)
78. La storia del cane Bubu e del gatto Mosè
79. I tre pastorelli"
80. Ninna nanna di nonno Uccio
81. Nome in codice "Operazione Terra"
82. Un coniglietto un po' diverso
83. La vera storia della Principessa ELISA, del Drago e del suo Salvatore
84. Una coperta dimenticata
85. Picci e il delfino
86. La slitta di Giacomino
87. Il drago Bollicino
88. Il Sole innamorato
89. La storia dell'ippopotamo Gelsomino
90. La torta di compleanno
91. Il pidocchio intelligente
92. Il gallo sveglia
93. Il Cacca-drillo
94. Pippottino
95. Lupo Bufo e Willy Marmocchio
96. Picchio e Papicchio
97. Perchè il rospo è fatto così
98. La volpe rossa
99. La storia di BruBru
100. Filastrocca di Babbo Natale
101. La torta di castagnaccio
102. Una favola di Babbo Natale
103. L'adozione del gatto Leo
104. Giorgino
105. Patty barattolino di cioccolata
106. Il pagliaccio White
107. La storia di Ugo il Paciugo
108. Storia del drago buono che tutti credevano cattivo
109. Salvataggio di una principessa
110. La farfalla Tai va in città
111. La farfalla Tai va in città - seconda parte
112. Chi ha detto che così va il mondo?
113. Soffro il solletico!
114. Filastrocca dell'abete
115. Soldati di carta
116. Fiocchi di neve
117. Il trenino Ciuf Ciuf
118. La piccola margherita
119. La fata pasticciona
120. Paolino il pesciolino
121. Se i libri fossero (filastrocca)
122. Robertino e il lupoLa storia della lucertola
La Mongolfiera

Nella Scuola a Matrignano è successo un fatto strano...


Su nel cielo verso sera s'è fermata una mongolfiera!
Quant' è grande quel pallone... dice Tommy col fiatone... mentre Jacopo stupito
stà guardando divertito!
Ecco Laura e Daniela: "Ma che bella mongolfiera!"
E' grandioso quel pallone, proprio sopra l' aquilone...
Questo è un caso molto strano... forse atterra a Matrignano !!
La Teresa con la Giulia tutte in fila perbenino stan facendo il trenino...
Non si accorgono di nulla...ma sarà una distrazione...
la sezione arancione non ha visto quel pallone!
Dopo un po' si sente un grido quello lì è proprio Diego...
S' è esaltato a non finire... è convinto vuol partire!
Ma Sofia qli dice: "Basta non puoi andare in quella cesta, quella lì è gente tosta!"
E' convinta anche Francesca: Ci scommetto son pirati...e saranno pure armati...
A Patrussi non va giù.. perchè mai sono lassù...e non scendono quaggiù?
Ma Leonardo più furbetto, gli risponde: "Non c' è spazio...lì c'è il tetto!"
Ci raggiungono stupite e ci fanno una domanda... Simonetta con Miranda:
"Ma cos' è stà confusione, chi è arrivato col pallone?"
Non si sà... c'è chi dice son pirati, o son ladri travestiti...
E Michelle: Ma che dite... non capite... sono solo delle fate,
che le frulla per la testa di fermarsi a questa festa!"
L' atterraggio è perfetto, finalmente siamo tutti...ma..chi sono questi matti!
Tre ragazzi tutti yppy Tommy, Annika e anche Pippi!!
Sempre in giro per il mondo...perchè non scendete a far girotondo?
Si danza. si mangia, si fà un brindisino...ma con l' aranciata e non con il vino!
Pippi saluta facendo l' inchino, ci porge la mano urlando lontano:
"Non voglio partire...stò quì a Matrignano!!"
Orchidea
Il vecchio Aureliano viveva, da qualche anno ormai, su una sperduta isoletta nell'oceano
Indiano. Solo, per modo di dire, perché a fargli compagniac'erano i tanti animali che
popolavano l'isola ed in particolar modo Josè, variopintopappagallo dalla voce stridula
e dai modi rudi ma schietti, e Don Enrique,vecchio e cieco Setter, fidato compagno
di tante avventure. Orchidea era il nome dell'isola, e tutti erano a conoscenza di
questo benché nè Josè, cheera uno tra i più vecchi abitanti, nè nessun'altro sapesse
spiegarne il motivo:infatti mai alcuno tra loro aveva visto una pianta di questo tipo
crescere sull'isola.
Era l'ora del tramonto e Aureliano in compagnia di Josè ed Don Enrique,come sua
abitudine,sulla spiaggia, ammirava il meraviglioso spettacolodel sole che si inabissa
nelle acque cristalline: "Stasera il colore del cielo è strano, ci sarà una tempesta
in alto mare" disse Don Enrique "Hai ragione, quel blu all'orizzonte non fa
presagire nulla di buono. E' sicuramente burrasca!" replicò Aureliano. "Spero che
non ci porti altri due buoni a nulla come voi!"sentenziò ironico Josè girandosi a
centottanta gradi sulla spalla di Aurelianoe spiccando il volo verso l'entro terra.
"Dio voglia che nessuna imbarcazionestia navigando nelle vicinanze stasera"
sospirò il buon Aureliano e, seguito da Don Enrique, si incamminò nella direzione
presa da Josè.
Si fece l'oscurità in quell'isoletta davvero deliziosa: la vegetazione tropicale, era
lussureggiante e generosa di prelibati frutti, gli animali docili e pacifici, l'acqua
dolce abbondante, proveniente dalla montagna non troppo alta situata su un lato
dell'isola dove, nel punto più elevato, si potevano scorgere le rovine di quello che
sicuramente era stato un bellissimo palazzo.
La notte diede ragione ai due amici che dormivano pacifici nella loro capanna; soffiò
un forte vento e si videro infuocate saette squarciare il cielo cupo. Li destò la luce
abbagliante di una mattina fresca e luminosa, la notte appena trascorsa sembrava
essere ormai solo un lontano ricordo; Aureliano, Don Enrique e Josè raggiunsero la
spiaggia per la solita passeggiatamattutina quando: "Lo sapevo io!" esclamò Josè
allungando il collo e spiccando il volo verso qualcosa adagiato sulla sabbia poco più avanti,
e subito: "Venite, cialtroni!" urlò ai due amici che, accorsi, rimasero muti per la sorpresa
"Sono stato ascoltato solo ametà!" concluse stizzito Josè. Era un naufrago giovane, dalle
belle forme e vestito con abiti eleganti privo di conoscenza rea attorniato da pochi resti
del vascello naufragato la notte precedente. "Buon Dio!" esclamarono insieme Aureliano
e Don Enrique. "Bisogna subito aiutarlo" continuò Aureliano e, a fatica, incitato dalle
strilla di Josè, portò il naufrago alla capanna e lo curò amorevolmente finchè
riprese conoscenza. "Che brutta cera!" esordì Josè. "Attento a non prendere fuoco!"
replicò Don Enrique, minaccioso. Aureliano lanciò uno sguardaccio versoi due per zittirli,
poi al naufrago: "Come ti senti, amico?" "Sono stato meglio, grazie.Dove mi trovo?"
rispose "Benvenuto a Orchidea!" Aureliano esclamò. Trascorsero le settimane eAureliano,
Don Enrique e Josè strinsero una sincera amicizia col naufrago; appresero che il suo
nome era William e che era un principe spodestato dal suo trono da intrighi di palazzo
e costretto a partire con pochi fedeli alla ricerca di una terra nella quale fondare, con
la sua consorte, un nuovo regno. Anche William prese l'abitudine di andare ogni sera a
guardare il tramonto con i suoi nuovi amici. Una sera durante un tramonto uguale a quello
che precedette il naufragio di William, Don Enrique disse: "Anche questa notte ci sarà
burrasca!" "Che la Provvidenza faccia sì che non ci sia un naufragio!" replicò Aureliano.
"Questa volta chiudo il becco, voi tre rompiscatole mi bastate e mi siete d'avanzo!"
gracchiò Josè.
La mattina seguente i quattro amici trovarono sulla spiaggia le tracce di un nuovo naufragio.
"Sono qui da quasi cinque anni ed ogni volta vedere questi legni è una stretta al cuore!"
disse Aureliano "Non ti è mai capitato di scorgere, anche in lontananza, la sagoma di una
imbarcazione?" chiese William "Mai" rispose Aureliano "Eppure le tempeste non sono
frequenti, è strano che nessuna nave sia mai riuscita ad approdare" continuò William
"Senon a pezzi" aggiunse Don Enrique interrotto dalle strilla di Josè "Mi state riducendo
in pezzi le orecchie con le vostre sgangherate congetture!" disse Josè e continuando:
"Me ne vado a respirare un po' d'aria pura al palazzo" e volò via. "Siete mai stati a
palazzo?" chiese William " Mai" replicò Don Enrique " Siamo troppo vecchi e deboli
per arrampicarci fin lassù" gli fece eco Aureliano "Io ho intenzione di andarci. Da lassù
sarà più facile avvistare qualche imbarcazione di passaggio" sentenziò William "Se così
hai deciso ti prego di portare anche me; sono vecchio ma col tuo aiuto potrò farcela!"
supplicò Aureliano " Contaci vecchio" gli rispose affettuosamente William, e iniziarono
a discutere dei preparativi per la loro spedizione al palazzo. Trascorsero la notte insonne
e la mattina seguente, rifornitisi di vivande, Aureliano, William e Josè salutarono Don
Enrique che rimase ad attendere il loro ritorno alla capanna.
Guidati da Josè, iniziarono la salita verso il monte, risalendo il fiume, attraversando
Tunnel sempre più fitti di vegetazione e incontrando specie di fiori e frutti, e persino
animali, a loro completamente sconosciuti e, fra i battibecchi di Josè e William per
decidere la direzione giusta da seguire, a sera inoltrata giunsero alle porte del
palazzo e decisero di passare là fuori la notte. Le prime luci dell'alba svegliarono i tre
amici che, mangiato a malapena qualche frutto, spinti da una curiosità frenetica, si
accinsero a fare ingresso nel palazzo. Gli si presentò davanti un enorme atrio, abitato
da numerosi uccelli che vi avevano costruito il nido e da diverse piante rampicanti dai
fiori viola e arancio; procedendo nell'esplorazione trovarono molte altre stanze,tutte
nel medesimo stato tranne una, stranamente arredata, pulita e ordinata; camminarono
ancora un po' e giunsero in un giardino al centro del palazzo, curato perfettamente e
nel cui centro stava una bellissima e grandissima orchidea. "Per mille naufragi!" esclamò
stupito Josè e iniziò a svolazzarci sopra per ammirarla meglio.
"E' meravigliosa!" esclamarono Aureliano e William. Stupiti da tanta bellezza non si
accorsero della vecchina che, seduta in un angolo del giardino, li fissava meravigliata con
occhi di smeraldo. William fu il primo ad accorgersi di lei e, avvicinatosi, con un inchino
si presentò: "Buondì,buona dama, Io sono il principe William e questi sono i miei amici
Aureliano e Josè".
La vecchina spaventata non rispose e Aureliano con voce rassicurante dolcemente le si
rivolse: "Gentile dama, veniamo in pace e le porgiamo i nostri omaggi" e, poiché lei
continuava a tacere: "Possiamo, di grazia, conoscere il suo nome?" continuò Ma la
vecchina scoppiò in un pianto triste ed inconsolabile..Aureliano e William riuscirono
un po' a calmarla raccontandole le vicende che li avevano condotti là, ed infine le chiesero:
"Vive qui sola?" Finalmente, rassicurata, rispose: "Si, da più di cento anni ormai; se
vorrete ascoltarla, vi racconterò la mia storia" "Siamo tutto orecchie!" strillò l'impotuno
Josè "Saremo lieti di ascoltarla" replicò William fulminandolo con lo sguardo; la vecchina
iniziò a raccontare: "Tanto tempo fa il giovane principe Miguel, tornando da un lungo
viaggio, scoprì questa isola attirato dall'intenso profumo delle orchidee che ne
ricoprivano, rigogliose e variopinte, l'intera superficie, Ne colse alcune e le portò in dono
alla principessa Giada, sua giovane e bella sposa che, visti quei fiori stupendi, subito
se ne innamorò. Fu così che, per amore di Giada, il principe Miguel decise di condurla con
la sua corte ad Orchidea, e qui fece dell'isola il più bel regno che fu mai esistito. Poco
più tardi nacque loro una bambina, Felicia, dagli occhi di smeraldo, gli stessi della mamma
Giada. In occasione del suo primo compleanno, a Orchidea si preparò una grande festa e
giunse la zia Rachele sorella maggiore della principessa Giada, donna di indole malvagia,
gelosa fin dall'infanzia della sorella e conoscitrice delle arti della stregoneria. Rachele
aveva portatocon se, come dono per Felicia, un bellissimo balocco: una bambola di
porcellana alta quasi un metro e vestita di un prezioso abito di velluto e organza,
arricchito con pizzi e merletti; i genitori di Felicia, invece, avevano coltivato per lei la
più bella, grande e profumata orchidea che si fosse mai vista. La notte della vigilia
Rachele, passeggiando per i corridoi del grande palazzo, giunse nel giardino dove vide
Katy, damigella di Giada, che bagnava amorevolmente la grande orchidea: "Che splendore !
" disse Rachele "Si, è stupenda!" rispose Katy e continuò:"E' il regalo dei genitori per la
piccola Felicia". Rachele si rabbuiò in viso e scomparve senza proferire parola. Avendo
notato che il suo regalo sfigurava enormemente rispetto a quello della sorella, per gelosia
decise di mettere una polvere velenosa all'interno del fiore per uccidere la piccola
Felicia e godere, una volta per tutte, nel veder soffrire la sorella minore. Prese così, la
polvere dalla sua stanza e si recò nel giardino; non accorgendosi di non essere sola, mise il
veleno all'interno del fiore quando, un rumore di foglie calpestate, attirò la sua
attenzione: Chi è là?" chiese minacciosa. C'era Katy che, rimanendo in silenzio, tentò di
darsi alla fuga ma con un agile scatto Rachele la raggiunse e la afferrò per un braccio:
"Trascorrerai il resto dei tuoi giorni senza poter vedere la luce del sole!" A nulla
valsero le suppliche e le preghiere di Katy: la trascinò nella boscaglia fino a giungere
all'entrata di una caverna nella quale la rinchiuse con un pesante masso. La mattima si
diede inizio alla festa: un ricchissimo banchetto, giochi, canti e danze precedettero il
momento in cui, dopo il taglio della torta, Felicia si accingeva a ricevere i doni e per primo,
quello dei genitori; Giada precedette gli altri nel
giardino per controllare che tutto fosse in ordine e, dopo aver ammirato il fiore, volle
odorarlo nuovamente ma, davanti a poche persone, si accasciò e morì. Per tutto il palazzo
echeggiarono pianti e grida di dolore; Rachele simulando rabbia e dolore, con un
incantesimo fece sì che le orchidee non producessero più alcun odore ma, il principe
Miguel fuori di sé dal dolore, ordinò che tutte venissero estirpate. Le settimane
passavano, Felicia cresceva triste con la zia Rachele e Miguel, come un automa,
girovagava giorno e notte senza meta da un punto all'altro dell'isola, finchè una mattina,
giunto davanti ad una caverna chiusa da un masso, decise di spostarlo e all'interno trovò
Katy, pallida e deperita, ma ancora viva. Lei gli raccontò,tra le lacrime, della sera in cui
aveva visto Rachele mettere il veleno nel fiore, e di quando fu imprigionata per non
parlare. "Nooo!" urlò Miguel in preda all'ira, correndo a radunare i suoi uomini e la sua
corte e, fatta prigioniera Rachele, parlò così davanti a tutti: "Tornerete tutti alla patria
natìa, e lì farete processare e giustiziare questa donna" , indicando Rachele con l'indice, "
Partirete stasera stessa, così ho deciso!". Poi si allontanò e tornò a palazzo nel
pomeriggio, quando ormai era già vuoto; solo Katy e Felicia lo attendevano "Dammi mia
figlia" e ordinò, la baciò teneramente come fosse l'ultima volta e Katy capì che stava per
accadere qualcosa di terribile. "Avvolgila in una copertina e riportamela subito" le disse
porgendogliela.
Katy portò via Felicia e gli riportò subito dopo il fagottino avvolto nella copertina; Miguel
lo prese e si diresse verso il bastione più alto del suo palazzo "Non lo faccia!" lo supplicò
Katy ma, ormai insensibile a tutto, fece il salto estremo: si lanciò nel vuoto, cadde in mare
e morì. Katy, sconvolta, prese tra le braccia la piccola cha si trovava sana e salva
all'interno del palazzo e, piangendo, guardò tristemente le navi salpare. Ma, a poche miglia
dalla costa Rachele, incatenata in una stiva, usò i suoi poteri malefici per provocare una
tempesta e lanciò un maleficio:
"CHE DA OGGI PER IL FUTURO
QUESTA ISOLA SIA PREDA
DI UN FATO OSCURO!
UNA TEMPESTA DOVRA' SCOPPIARE
OGNI VOLTA CHE UNA NAVE
PROPRIO QUI' VORRA' APPRODARE!
PIU' NESSUN PALAZZI POTRA' COSTRUIRE
E CHI FARLO VORRA' FARE DOVRA'
CIO' CHE GIADA OSO'' PRIMA DI MORIRE!"

Tutte le navi naufragarono e nessuno fu salvo. Katy rientrò nel palazzo e si prese cura di
Feliciafino alla morte; quella bambina sono io: il mio nome è Felicia!". I tre amici rimasero
di ghiaccio. Interminabili minuti passarono in silenzio finchè Aureliano osò: "Ecco il
perché delle strane burrasche e dei naufragi! La sua vita, Donna Felicia, deve essere stata
molto triste!
C'èqualcosa che possiamo fare per allietarla?". "Niente, vi ringrazio;ma c'è qualcosa che
io posso fare per voi: darò al principe William il regno che stava cercando e metterò fine
alla maledizione" rispose Felicia. "Cosa vuol dire? Che morirà respirando il veleno della
grande orchidea?" chiese William allarmato. "E' quello che farò" sentenziò Felicia "Noi
non possiamo permettervi di farlo!" dissero in coro i tre amici "Sono vecchia ormai, lasciate
che raggiunga i miei cari respirando il profumo che per ultima mia madre respirò" concluse,
e, avvicinatasi alla grande orchidea, chiuse gli occhi e fece un profondo respiro. Non morì.
Il tempo aveva fatto svanire il potere del veleno, ma ecco che dal terreno iniziarono a
germogliare nuove orchidee, ed in poche ore l'isola fu di nuovo ricca dei fiori stupendi. Le
tempeste cessarono, William partì e tornò con la sua sposa e la sua corte, e costruì un
magnifico regno; Aureliano e Felicia vissero serenii pochi anni rimasti loro, e Orchidea
tornò ad essere l'isola felice do un tempo, ricca di quei bellissimi fiori che, ahimè, non
profumavano più!

Filastrocca per il Carnevale

Il carnevale è da poco arrivato


e c'è un bambino mascherato
che corre con corna, coda e forcone
a spaventar tutti per l'occasione.
Esce in piazza il diavoletto
e trova una festa di tutto rispetto:
ci son trombette, coriandoli, stelle filanti
ballano e giocano tutti quanti!
Sfila Zorro con la sua spada,
un Peter Pan ha perso la strada
verso l'isola non sa dove andare
ma un buon Topolino lo va ad aiutare.
C'è anche Harry Potter col suo cappello
che fa magie e bum! …scompare un ombrello!
Quel Belzebù è un po' birichino
fa gli scherzi ad ogni bambino
ma verso sera dopo la festa
andare a nanna altro non resta.
E tolti i vestiti da diavoletto
si ritrova a sognare da buon angioletto.
La pecora Chiaretta

Immaginate un prato verde alle spalle di una montagna con margherite e tanti fiorellini di
tutti i colori, una brezza che accarezza i vostri capelli ed un leggero profumo di campagna,
è l'ora del tramonto e gli ultimi raggi di sole fanno capolino tra le cime della montagna. Li,
a due passi da un piccolo laghetto di montagna, un gregge di pecore sta brucando gli ultimi
ciuffi d'erba prima di rientrare all'ovile. D'un tratto uno strano rumore mette in allarme
tutto il gregge, le pecore si radunano in gruppo e richiamandosi l'un l'altra si incamminano
verso l'ovile mormorando: "presto c'è odore di lupo nelle vicinanze, dobbiamo rientrare subito".
Una di loro, Chiaretta, un po' attardata, viene richiamata dalle colleghe ……"ei cosa fai non
vieni ? c'è un lupo nelle vicinanze, se sente la nostra presenza sicuramente viene qui e ci mangia
tutte, corri!" Chiaretta incurante dei richiami continua a brucare rassicurando le colleghe
…."andate pure avanti, poi vi raggiungo" Ma le compagne di Chiaretta non hanno fatto a tempo a
sentire la risposta, tanta la paura che sono rapidamente scomparse lungo il sentiero che dietro
la collina porta all'ovile. Tranquilla tranquilla Chiaretta continua a brucare saltellando di qua e di
là incurante del pericolo incombente, ed ecco che di li a poco un grosso lupo spunta dal vicino
bosco, si avvicina quatto quatto a Chiaretta pronto a saltargli addosso. D'un tratto un silenzio di
tomba corre su tutta la spianata, il lupo è a pochi passi dalla pecora, e sta per spiccare il salto
fatale. Ma …….. che succede ………… la pecora, attratta da un magnifico ciuffo di margherite salta
sulla destra e il lupo, che ormai aveva spiccato il salto, …….. atterra proprio dove poco prima
avevano pascolato delle mucche………. Potete immaginare il lupo come era conciato, già sporco di
suo di fango, ora aveva cacca di mucca su tutto il corpo ed ancor peggio nuvole di mosche e
moscerini gli ronzavano attorno, come danzando per il rinnovato pasto a disposizione. Chiaretta
accortasi di quanto è successo, scoppia fragorosamente a ridere. Il lupo, ripresosi dall'impatto
con il "pranzo delle mosche" dice con voce rauca e qualche colpo di tosse (un po' di cacca gli era
andata a finire anche in bocca): "Cos'hai da ridere, tra poco ti sbrano e così la smetti di
divertirti". Chiaretta, per nulla impressionata ribatte al lupo "… va beeeeene non sono fuggita
come le altre colleghe e così ti ho facilitato il compito pertanto questa sera sarò la tua cena, ma
avrò almeno diritto al desiderio del condannato o no?" Va bene dice il lupo, "dimmi quale è il tuo
desiderio e facciamola finita presto che ho fame", con voce decisa la pecorella risponde: " … io
sono una pecorella bella e tutta pulita e voglio essere mangiata da un lupo anche lui tutto lavato
e pulito" "Ma che cavolfiore di desiderio e mo che dovrei fa", dice il lupo, "ma proprio la più
matta mi doveva capitare, speriamo almeno sia tenera, e ……. dimmi cosa dovrei fare?" conclude il
lupo. "molto semplice" risponde la Chiaretta, "fai un bel bagno nel laghetto qui di fronte a te,
anzi prima di bagnarti guardati nello specchio d'acqua e così ti renderai conto di come sei
conciato, non si va a tavola così sporchi, non te lo ha insegnato mamma lupa?". "Ma guarda cosa
mi tocca subire" borbotta il lupo, "del resto io sono un lupo d'onore e mantengo le promesse". Il
lupo si avvicina allo stagno e quasi si sorprende nel vedersi tramite lo specchio d'acqua tutto
inzaccherato di fango e cacca di mucca, "in effetti non hai tutti i torti " dice il lupo con voce
accomodante". Se ti sbrano così conciato poi finisco di mangiarmi anche fango e cacca, se invece
mi lavo poi potrò gustare tutto il vero sapore di una giovane e tenera pecorella" . Il lupo spicca
un salto e giù nello stagno, poco dopo ne esce tutto pulito, e tornato a guardarsi sullo specchio
d'acqua quasi quasi non si riconosce. Affianco a lui la pecorella lo elogia e si vanta del fatto che a
sbranarla non sarà il solito lupo zozzo e rozzo, ma un bellissimo lupo lindo e pinto come pochi se
ne sono visti nel bosco. "che bello che sei", dice la pecorella e prosegue:" è un peccato però……."
"Un peccato cosa?" , ribadisce il lupo, "ho esaudito il tuo ultimo desiderio, e cosa ti manca ora,
dimmi sono curioso ed …….. AFFAMATO, spiegami, non ho altro tempo da perdere"
"Beeeeeeeeeee", dice la pecorella ," pensa che peccato, tu adesso, come è tuo diritto, mi sbrani,
mi mangi e sazio di me ti metti subito a dormire nuovamente a sporco , questa volta di sangue, e
tutta la tua bellezza dove è andata a finire?". "Fammi capire dove vuoi arrivare" borbotta il lupo
gonfiandosi il petto quasi per ribadire che qui comanda lui e che le chiacchiere stanno a zero.
"Beeeee", prosegue la pecorella, "non potresti rimandare la cena di questa sera ad una bella
colazione mattutina, pensa che bello svegliarsi bello pulito, la mattina comincerebbe sicuramente
di buon umore specie se c'è con una bella pecorella per colazione." Il lupo acciglia la fronte ci
riflette, sembra quasi convinto, e poi risponde " metti che accetto la tua proposta, dimmi, poi
che mi mangio questa sera per cena?" "Sai" risponde subito con fare suadente la pecorella, "la
sera è meglio stare leggeri, anche noi pecorelle la mattina mangiamo di più, la sera ci limitiamo a
qualche ciuffo di margherite, sai facilitano il sonno, pensa pure il pastore vedo che ogni tanto ne
prende un po' per prepararsi una bevanda che sorseggia prima di andare a dormire, pertanto per
questa sera potresti provare un pranzo vegetariano". "Ma guarda dove mi sono andato a
cacciare", borbotta tra se e se il lupo con oramai le spalle a terra, "ma perché non mi sono
sbranato quella piccola volpe che mi ha tagliato la strada mentre andavo in cerca di pecore, è
vero chi si accontenta gode ed a quest'ora avrei avuto la pancia piena." Esausto, anche un po'
assonnato il lupo acconsente "e vabbbe (i lupi raddoppiamo le b) andiamo a mangiare un po'
d'erba". Con una certa serenità, per la giornata di vita guadagnata e assumendo anche un fare da
esperta dietologa, Chiaretta mostra al lupo le erbe da mangiare: "prendi questa è buonissima,
stai attento a quest'altra masticala bene senno ti rimane sullo stomaco, vedi quest'erba verde
scura, se qualche volta sei costretto a mangiare una pecora un po' vecchia e pensi ti possa
restare di difficile digestione, mangiane due o tre ciuffi, ti aiuterà a digerirla, ora mangia anche
un po' di questa erba camomilla ti aiuterà a rilassarti dopo questa giornata faticosa", e
proseguendo nella cena vegetariana, la pecorella mostra tutte le proprietà delle varie erbe e
fiori che inverdiscono la spianata. Il sole è oramai tramontato, solo qualche lucciola illumina con
flebili lampi la spianata, il lupo e la pecorella si accasciano abbracciati nel sottobosco nei pressi
di un grosso albero. State tranquilli, non è nata nessuna storia d'amore, il lupo abbraccia la
pecora perché, nonostante l'erba camomilla, ha chiaro nella sua mente che la pecora non gli deve
scappare, è la sua colazione di domani. Il sole con i suoi primi raggi dall'orizzonte comincia ad
illuminare la spianata creando fantastici riflessi di luci sul piccolo laghetto, i primi uccelli
cominciano a cinguettare sugli alberi. Risvegliato dal cinguettio degli uccelli che si lucidano le
piume bagnandosi sul laghetto, il lupo comincia a stiracchiarsi e ancora sotto l'effetto di
quell'erba, cerca di capire il perché e il come è mai si trova con una pecorella tra le braccia. La
situazione è confusa pur sentendosi sazio il lupo non capisce perché la pecorella al suo fianco è
ancora viva, pochi secondi ancora e il lupo riprende a pieno il suo ruolo di lupo cattivo, sveglia la
pecorella e la informa di ciò che le sta per accadere. "Ma …….." con voce flebile e nello stesso
tempo via via più decisa Chiaretta chiede al lupo " vuoi vuoi ….. almeno dirmi come ti senti? Di la
verità hai dormito bene e stamani ti senti tutto arzillo, perché rovinare questo momento, se mi
mangi pensa cosa perdi, torneresti subito un brutto e sporco lupo e non avresti più un'…… amica
pronta a farti apprezzare le altre belle cose oltre della vita. Il lupo "bello" a questo punto non sa
più che fare, riflette sull'accaduto e pensa che tutto sommato l'idea della pecorella non gli
dispiaceva e pertanto decide di approfondire la materia e per non dare soddisfazione a
Chiaretta, le dice "senti, tutto sommato mi sento ancora sazio della cena di ieri, e poi
quell'insalatina non era nulla male, ogni tanto pure a noi lupi fa bene mangiare vegetariano. La
giornata prosegue nella spianata con il lupo che affianco alla pecorella impara a riconoscere le
erbe ed i fiori buoni da mangiare fino a tarda sera quando, stanchi ma ambedue soddisfatti per
la bella giornata trascorsa assieme ambedue si accasciano nei pressi di una quercia per il
meritato riposo. Ambedue sono già appisolati, le margherite hanno fatto subito effetto, qualche
raggio di luce fende ancora il vicino bosco colorando di rosso intenso il vicino laghetto c'è ancora
luce abbastanza perché ………… ….. un altro lupo possa scorgere le due sagome appisolate sotto la
quercia, con passo da lupo (non poteva essere altrimenti) si avvicina silenziosamente alla coppia e
come sa fare un lupo, alza la zampa del lupo bello, e sfila via la pecora senza fare il minimo
rumore. Presa ben saldamente la pecorella tra le zampe, il lupo "Brutto", a passo sempre più
svelto, comincia ad allontanarsi pregustando i gustoso banchetto che farà di li a poco. Ancora
una volta un silenzio di tomba scende su tutta la spianata, cala il vento e gli uccellini smettono di
cantare quasi per dare la possibilità al lupo bello di sentire il rumore causato dal calpestio delle
foglie del lupo brutto in fuga nella speranza che si possa destare dal profondo sonno e correre i
aiuto alla pecorella bella. Svegliatasi e ripresasi dallo spavento la pecorella bella comincia a
gridare "lupo bello aiuto, aiutoooo c'è un lupo brutto e cattivo che mi vuole mangiare, aiutoo….",
grazie al silenzio di tomba le grida della pecorella fanno svegliare di soprassalto il lupo bello che
subito accortosi dell'accaduto prende con se tutte le energie e parte alla carica del lupo brutto
per riprendersi Chiaretta. Fiero della necessità di correre in salvo della pecorella che tante cose
gli aveva insegnato correndo sempre più velocemente si avvicina sempre più con passo deciso
verso il lupo brutto che accortosi dell'inseguimento grida "ma dai facciamo metà per uno la
prossima volta penso io a portarti una pecorella in cambio tu non ce la farai mai a mangiarla tutta
in un boccone". Il lupo bello, che nel frattempo aveva raccolto da per terra un nodoso ramo di
quercia, raggiunge il lupo brutto, ed a suon di legnate lo costringe a lasciare la pecorella ed a
darsela velocemente a gambe. I due finalmente si trovano nuovamente assieme, contenti per il
pericolo scampato, e felici e contenti (le favole finiscono sempre così) decidono di restare amici
per sempre.

Morale della favola: Affronta il pericolo con la massima calma e trasformi un nemico in un tuo
alleato.
Sole del mattino

Sole, sole del mattino


entri piano dal giardino
fai un giro intorno al letto
e mi svegli con un buffetto.

sole, sole del meriggio


giochiam tutto il pomeriggio
poi felici ed affamati
a merenda stiam accocolati.

sole, sole della sera


dopo i pasti della cena
fra sbadigli ed occhi stanchi
buonanotte a tutti quanti.

Luna, luna della notte


tu che vegli senza soste
ad ogni bimbo che fa la nanna
dagli un bacio,un bacio di mamma.
Il chicco di grano

C'era una volta un chicco di grano. Mentre lo trasportavano in un grosso sacco di tela con i suoi
fratelli, era scivolato fuori da un minuscolo buchetto ed era atterrato su una strada polverosa,
tra i sassi. Una strana creatura nera con lunghe penne lucenti sulle ali, lo aveva prelevato per
portarlo nella sua tana, sull'albero più alto del campo lì vicino. Mentre volava tra le zampe del
corvo, era riuscito a fuggire tra un'unghia ed un polpastrello, atterrando nel mezzo del campo.
La soffice terra bruna lo aveva accolto, dandogli il rifugio ed il calore di cui aveva bisogno per
calmare i timori e lenire la tristezza dell'improvviso atterraggio tra le pietre. Dov'erano i suoi
fratelli? Loro, tutti insieme, avrebbero continuato a ridere e cantare come prima dell'inizio del
suo viaggio solitario mentre lui, in quel pur comodo nido, che fine avrebbe fatto? Tutto preso dai
suoi pensieri, quasi non si accorse di un piccolo schianto quando, tutto ad un tratto, gli
spuntarono delle piccole cose sotto; come dei piccoli fili. Mentre era ancora intento a
meravigliarsi della novità, quelle strane protuberanze cominciarono a muoversi nella terra, come
animate da vita propria. Spaventato, cercò di fermarle, ma quelle non gli diedero retta, e
continuarono a penetrare la terra. D'improvviso un grande piacere sconvolse il piccolo chicco,
che sentì fluire in sé la linfa, veicolata dalle radici fino alla parte più profonda del suo essere,
quella che non sapeva di possedere. Un improvviso respiro gli gonfiò il corpo, frantumandogli
l'armatura; e così il chicco si trovò libero, avvolto nel nero che lo sfiorava, inducendolo a
crescere sempre più. Così, dal desiderio che provava, spuntarono le ali, che lo condussero fuori
dal terreno, oltre la superficie del campo, su nel cielo. E sotto di sé, il chicco mai più triste, vide
la sua trasformazione definitiva in fusto, foglie e poi spiga colma di chicchi come lui. Ecco, senza
l'iniziale ruzzolone sulla strada polverosa, senza la perdita dei suoi fratelli, senza il corvo dalle
lunghe ali lucenti e dalle unghie ricurve, il chicco non avrebbe sentito il respiro della terra che lo
aveva spinto fin lassù e non avrebbe saputo che crescere significa provare paura e tristezza, ma
anche amore, desiderio e piacere.
Stellina e il Paese dell'allegria

Una notte Stellina incuriosita da una luce lontana


Che guardava da una settimana
Decise di allontanarsi dalla sua " tana "
E di avventurarsi nell'universo …
Verso quel pianeta lontano , forse diverso…..
Allora facendo piano piano per non disturbare,
decise di volare verso quella lucina,
e superati monti, valli ed il mare
arrivò finalmente su quel pianeta
dove tra le montagne scorse un paese colorato, da un bagliore
illuminato…
decise subito di andarlo a visitare
ed all'ingresso del paese lesse queste righe:
"C'era una volta nel blue dell'universo,
tra le stelle, tra i pianeti, un pianeta di nome ALLEGRIA
dove tra le stelle
e le caramelle
c'era una città, anzi un paesello,
posizionato su un monte assolato,
tra fiumi e colline, montagne e valli …
era il Paese dell'ALLEGRIA.
Qui tutti erano felici
Perché erano tutti amici!
La mamma giocava con il suo bambino
La gatta sorrideva all'uccellino
Ed il sole giocava con la luna dalla sera al mattino…
E tutti abitavano in case colorate …
E Stellina iniziò a scoprire ….
La casa del pasticcere,
la casa del macellario,
la casa del giocattolaio
e dell'ombrellaio.
"Che bello questo paese - "disse Stellina" - Sono tutti indaffarati,
mentre dove abito io le stelle sono tristi …
forse perché stanno sempre a dormire?????
Devo fare qualcosa per farle divertire!"
Allora Stellina tornò dalle sue amche
Nel blue tra i pianeti e disse alla sua mamma:
"Mamma ho visto un pianeta
dove non si dorme ma le persone stanno bene lo stesso,
anzi sono felici!!!"
Allora la mamma rispose:
"Che dici Stellina,
un paese non è divertente se non si dorme
dalla sera alla mattina!"
Allora stellina durante la notte prese delle cordicine
E legò insieme i cuscini delle sue sorelle
E delle amiche stelline, alla coda di STELLA COMETA,
che per la notte di Natale
sarebbe andata verso il Paese dell'allegria.
Così in un baleno
Si ritrovano tutte niente meno
A rischiare il cielo del Paese dell'allegria,
che si era un bel mondo…
ma mancavano le stelline
a fare luce sui sonni delle bambine…
che quel giorno videro entrare nella loro stanza
una luce giallina e profonda…
E così tutti i bambini del paese
Si affacciarono alle finestre
E videro nel cielo le stelle tanto desiderate!
Allora tutti mandarono un bacino,
le stelle fecero capolino, si svegliarono,
e con un inchino ringraziarono
i loro nuovi amici e le loro amichette
per avere fatte sentire importanti!
Così decisero di rimanere tutte nel Paese dell'Allegria
Dove finalmente le notti erano serene
E le stelle di gioia erano piene!
Tutto grazie a Stellina…
Dolce e sensibile pianeta…
Che aveva capito bene
Che per essere felici bisogna avere tanti amici!
Filastrocca dei numeri
(antico dialetto siciano)

Unzi
d'runzi
trinzi
quara
quaquazzi
gniffi gnaffi
cunta
ca
dreci
su
salute a tutti
Due bambine

Questa è la storia di due bambine, che nascono in tempi lontani, non


sappiamo dove, non sappiamo perché, sappiamo solo che loro e solo loro
hanno cambiato il destino di un intero mondo e di milioni di persone.
Sembravano così simili alla nascita, tutte e due così belle, così
ubbidienti e curiose di conoscenza e di verità. Due bambine gemelle con
gli stessi colori e la stessa freschezza, ma dentro di sé ognuna portava
una propria volontà, propri sogni in cui credere, da rafforzare e da
raggiungere. Ma mentre Pace, coi suoi occhi pieni di luce, cercava,
crescendo, di apprendere il significato di parole come fratellanza e
generosità, la piccola Guerra, con le cupe ombre che lasciava al suo
passaggio, riusciva solo a creare ambigui malesseri intorno a sé... ma era
solo una bambina! Pace era amata perché, si diceva, al suo passaggio,
lasciava un raggio di sole nei cuori di chi la guardava, e mentre parlava,
coi suoi gesti pieni di grazia e di dolcezza, non si poteva non essere
trasportati verso la sua anima così pura ed esserne invasi. Guerra
rimaneva in disparte, con i suoi oscuri pensieri, che nessuno riuscì a
capire e modificare, a covare dentro di sé rabbia e rancori per la sua
solitudine, e per quanto amasse sua sorella, non poteva fare a meno di
pensare che se lei non ci fosse mai stata magari qualcuno si sarebbe
accorto di lei, magari qualcuno avrebbe apprezzato quel poco di bello
che aveva da offrire, ma Pace c'era, e non si poteva non amarla.
E così fece la sua promessa: "crescerò odiando perché è l'unica cosa che
so far bene e migliorerò il mio odio e lo espanderò, imparerò a
distruggere, annienterò tutto ciò che somiglia a lei, a Pace, perché io
come lei non potrò mai essere, cercherò solo la sofferenza negli occhi di
chi guarderà nei miei".
Pace non sapeva cos'era il rancore e il disprezzo perché dentro di lei
non ve n'era traccia alcuna, viveva libera da ogni repressione, amando
sua sorella e cercando di insegnarle cos'era l'amore, ma Guerra era
ormai troppo ferita e troppo oppressa da tanta rabbia per cambiare il
corso della sua vita e del dolore che avrebbe causato, imparò così a
diventare anche subdola, facendo ricorso all'inganno per ottenere la sua
vendetta.
Un giorno prese la sua valigia la riempì di tutte quelle cose preziose che
su di lei perdevano tutto il loro valore, e andò a salutare sua sorella,
pianse quella giovane donna perché l'amava davvero, nell'unico modo che
conosceva di amare, ma sapeva che con Pace accanto non ci sarebbe mai
stato nulla per lei, le disse solo "il destino mi ha voluta come tua sorella
ma la vita mi vuole come tua eterna nemica" e se ne andò.
Pace provò per la prima volta il dolore di una perdita e soffrì così tanto
che conobbe per prima la disperazione che sua sorella sapeva infondere
e catapultare nel cuore di chiunque si trovasse sul suo cammino, ma il
dolore riuscì in qualche modo a rafforzare il suo sorriso e la sua volontà
di trovarlo in ognuno passasse accanto a lei. Pace partì e seguì sua
sorella, decise di proteggerla, di aiutarla a non dissipare altro odio, e di
preservare chi l'avesse accolta inconsapevole dei suoi propositi di sola
violenza ."Ma lei non è cattiva, lei è stata solo ferita dalla nostra
indifferenza" continuava a rimproverarsi Pace.
Il tempo passò e quello che Pace vide e trovò sulle tracce lasciate da
Guerra fu solo la disperazione che lei stessa aveva conosciuto, in rare
occasioni Pace riusciva ad arrivare per prima, laddove captava che la
sorella avrebbe inondato di morte, e riuscì a preservarne la vita, perché
nonostante tutto Guerra la temeva e ne sentiva la nauseante presenta
d'amore anche a enormi distanze.
Quanto tempo passò, anni, secoli, millenni, e di quelle due bambine che
giocavano insieme mi piacerebbe dire che si sono incontrate di nuovo, e
ritrovate e amate che si sono prese per mano e finalmente capite, e
invece sono invecchiate amandosi sempre ma come Guerra aveva
predetto per sempre nemiche e hanno chiuso gli occhi dalla vita lo
stesso giorno, Pace con lo stesso identico amore negli occhi e Guerra
con la sua eterna rabbia nel cuore. Solo che nel tempo hanno formato
dei grandi eserciti di seguaci, che si inseguono instancabilmente per
imporre l'una la guerra, nome che è stato dato nel tempo alla vera
distruzione, al raggiungimento del potere schiacciando chi non lo
riconosce in onore di chi ne ha respirato le prime esalazioni, e per
cercare la pace, nome che è stato donato alla ricerca per la libertà e per
la vita, in virtù di chi, per tutta la sua vita non ha cercato altro.
A volte mi sembra, pensando a quelle due sorelle, che tutto questo non
potrà mai avere fine…..
Pace non cercherà mai di distruggere Guerra perché lei non sa uccidere,
e Guerra non annienterà mai la vera Pace perché senza di lei non
rimarrebbe più nulla da distruggere.
La papera Betta

C'era una volta la papera Betta, che viveva in una pccola casetta sul
laghetto Smeraldino pieno di Ninfee insieme ai suoi due fratellini, tre
sorelline, la mamma, il papà e i nonni paperi. Il giorno del suo compleanno
decise di andarsene in giro per il mondo: prati, laghetti, fiumi e mari per
conoscere nuovi amici. Davanti ad un'enorme torta piena di panna e
cioccolata che le aveva prepartato la nonna disse " Grazie per la
buonissima torta e per tutti i regalini, ma io ho deciso di andare via dal
laghetto Smeraldino per un pò di tempo perchè voglio vedere cose
nuove". La mamma paperina scoppiò a piangere e non voleva far partire
Betta. Il papà invece abbracciò la figlia e disse " ti lascerò andare
perchè devi fare le tue esperienze ma non sarà facile". Così Betta dopo
aver baciato tutti se ne andò.
Durante il suo viaggio incontrò molti amici come il rospo Bibò,
l'anatroccolo Arturo, l'oca Pamela ed anche animali poco socievoli, ma
non di certo cattivi. Un giorno mentre si trovava nel mare fu attratta da
una macchia marrone non appena si fu avvicinata si sentì le ali incollate e
non riusciva più a muoversi... quando non aveva più forze arrivò il
Gabbiano Lorena e presa Betta con il becco la posò in terra e le disse "
Stai attentà perchè ci sono molti pericoli come questi". Allora Betta
pensò che doveva evitare tutte le macchie marroni. Mentre pensava, le
venne fame: camminava in mezzo ad un prato pieno di violette, ranuncoli
e panzè, quando vide un piccolo tronco marrone e bianco con l'estremità
bruciacchiata, pensò che doveva provare un cibo nuovo. Lo beccò e capì
immediatamente che era disgustoso, dopo un pò la sfortunata Betta
cominciò a stare male... per fortuna arrivò Bibò, che la portò dal medico
Agata che le diede come medicina petali di margherita e foglie di
tulipani rossi. Quando si sentì meglio Betta decise di tornare a casa
perchè capì che c'erano molti pericoli contro cui non poteva difendersi
invece lì nel laghetto smeraldino non c'erano macchie marroni collose o
tronchetti velenosi. Così tornò nella sua casetta dove venne accolta da
tutta la famiglia con molta gioia e baci.

L'amore è per l'eternità

C'era una volta un piccolo villaggio, dove le persone vivevano felici e


serene, un paese che non conosceva cosa fosse la guerra e ogni tipo di
cattiveria, dove gli abitanti conoscevano solo l'amore, il sorriso e la
cordialità. Un giorno però, passò di lì una vecchia strega cattiva, che
viveva nel bosco, e vedendo tutte quelle persone felici fu morsa
dall'invidia e pensò di fare un incantesimo cosicché anche quel villaggio
sarebbe piombato nel buio della tristezza. La vecchia strega, una volta
tornata nella sua casa nel bosco, che nessuno mai aveva osato avvicinare,
raccolse tutti gli ingredienti necessari per l'incantesimo e cominciò a
mescolarli nel suo pentolone: "bratacal, bratacal, fa che scappi il bene e
venga il mal "-questo pronunciava la strega, era una delle sue formule
segrete, e ancora: "Scatapin, scatapa, che il male rimanga là" -"patacar,
patacar che sorrisi e baci volino via per il mar".
La strega aveva un gran libro nero, che conservava in un vecchio
ripostiglio buio e pieno di ragnatele, con tutte le formule magiche,
quest'incantesimo lo aveva già fatto tante volte, infatti, tutti i villaggi
della zona erano sotto il suo influsso e le persone vivevano nel buio della
tristezza e della cattiveria.
Preparata la pozione e chiusa in una boccetta, la vecchia strega si
diresse verso il villaggio e dette le ultime parole magiche, sparse la
polvere nell'aria, il cielo a quel punto si oscurò, un vento forte cominciò
a soffiare spargendo l'incantesimo su tutte le case: tutti i sorrisi delle
persone e i baci scomparvero e la strega li racchiuse in un gran
recipiente di terracotta, lo tappò per evitare che uscissero e tornò
sghignazzante e soddisfatta nella sua casa.
Sul villaggio piombò il buio, le persone cominciarono a litigare fra loro,
nessuno andava più d'accordo, non c'era più l'amore, non c'erano più i
baci, nessuno sapeva più cosa fossero, le mamme non davano più il bacio
della buona notte ai figli, che non si addormentavano, anche i fratelli non
si amavano più e litigavano continuamente.
Un giorno Nila,che era una giovane, la più bella ragazza del villaggio
sognò nella notte che un principe venuto per lei, sorridendo la prendesse
con lei e la baciasse, vivendo per sempre felici. Al suo risveglio,
ripensando al sogno, si ricordò che esistevano i baci e i sorrisi, l'amore,
ma che nessuno più sapeva nel villaggio cosa fossero. Nila, decise allora
di chiedere aiuto, immaginando che quello che stava accadendo fosse
frutto di qualche incantesimo. Prese il suo piccolo piccione e legò alla
sua zampina un piccolo foglio con la richiesta di aiuto -"Va piccolino,
cerca qualcuno che possa aiutarci, fa presto".
Il piccione volò per due giorni e due notti, fino a quando non trovò un
cavallo vicino ad una fontana fuori dal bosco, e vicino al cavallo un
giovane; gli si avvicinò : "Ehi, tu, ascoltami",disse.
"Chi è che parla?" rispose stupito il cavaliere.
"Sono io, sono qui, ma non hai proprio immaginazione? Sono il piccione,
senti ho un messaggio per te, leggilo, sbrigati e vieni a salvare il
villaggio", concluse il piccione.
Letto il messaggio, il cavaliere disse: "Di alla tua padroncina che io, Bory
correrò da lei e verrò a salvare il villaggio".
Il piccione partì, per dare la notizia alla sua padroncina.
Bory, salì a cavallo e come una furia, corse disperatamente verso il
villaggio, vi ci giunse dopo un giorno e una notte di cammino, cercò la
casa di Nila, la trovò, bussò..."Salve, dolce fanciulla, mi chiamo Bory,
sono al vostro servizio e a quello dei vostri paesani, ditemi come posso
aiutarvi, davanti a cotanta bellezza m'illumino di gioia".
"Grazie, bel principe, siete la salvezza del paese, siamo stati colpiti da
un incantesimo della vecchia strega, ci ha tolto l'amore, il sorriso" disse
la giovane.
"Ma voi, non avete perso l'amore, lo vedo dai vostri occhi, voi amate,
sapete cos'è l'amore".confidò il cavaliere.
"Oh, che animo dolce avete, sapeste come il mio cuore ha bisogno di
amare e di essere amata, quanto affetto ho da donare, ma sapete qui nel
villaggio sono tutte persone anziane, non come voi..".
A quel punto la giovane arrossì e il cavaliere visto l'imbarazzo di lei, la
confortò dicendole: "Non vergognatevi, mia principessa, è il fato che mi
ha condotto da voi, io sono solo, non ho mai trovato una ragazza dolce,
tenera come voi, i vostri occhi mi dicono che anche voi provate qualcosa
per me, ditemi che è vero".
"Si, ma non sono una principessa" rispose con un filo di voce Nila, che
era ragazza molto timida, ma che sentiva dentro di provare qualcosa di
speciale per quel ragazzo. Ma era amore! Amore infinito, unico e anche
Bory provava le stesse cose per lei.
"Per me lo siete, siete la principessa più bella che ci sia al mondo". Disse
con trasporto Bory. "Ma allora l'incantesimo su di me non funziona, io
provo amore e sento l'amore che mi viene donato, grazie mio principe,
avete vinto l'incantesimo", e mentre diceva quelle parole i due si
baciarono e promettendosi eterno amore, Bory chiese la mano de Nila,
che accettò.
"Ora dobbiamo liberare tutto il villaggio" disse la ragazza.
"Troveremo la casa della strega e romperemo l'incantesimo". Disse Bory.
"Si, ma come faremo, e poi nessuno si è mai avvicinato alla sua casa, si
dice che chi c'entra non ne esca più". Rispose, un pò preoccupata Nila.
"Salite sul mio cavallo e insieme riusciremo a vincere l'incantesimo". E
partirono per la foresta. "Eccola, la casa è quella laggiù". Disse Nila.
"Bene, cerca di attirare la vecchia strega fuori e distrarla, le daremo
queste fragole con un potente sonnifero, io entrerò in casa per cercare
qualche pozione, o qualche rimedio, tutte le streghe hanno un libro di
incantesimi, devo trovarlo". Sentenziò Bory.
Nila, si avvicinò alla casa e bussò: "Buongiorno, Signora, mi sono persa,
potreste aiutarmi? E le donò il cesto di fragole con il sonnifero.
La vecchia fece entrare Nila, e non fidandosi annusò di nascosto le
fragole, accorgendosi della presenza del sonnifero: "Adesso ti faccio
vedere io". Pensò minacciosamente la vecchia strega. Nel frattempo
Bory di nascosto era entrato da una finestra dal retro e cercava il libro
degli incantesimi.
La strega allora, accortasi dell'inganno, offrì a Nila una porzione di
frutta, cui aveva aggiunto anche una fragola contenente il sonnifero, e
una sua pozione, Nila, per cortesia, la mangiò e dopo poco cadde in un
sonno profondo.
"Volevi farla a me,eh?" Disse la strega.
Bory, arrivato nello scantinato, vide sopra uno scaffale, un grande libro
nero, lo prese ed era, in effetti, il libro degli incantesimi, una volta
preso corse via velocemente, riuscendo dalla finestra.
"Ce l'ho fatta, adesso riusciremo a far svanire la maledizione, ma prima
voglio togliermi una soddisfazione, cercherò un incantesimo per far
diventare la strega una innocua vecchina". Pensò con entusiasmo Bory.
Bory attendeva il ritorno di Nila, ma le ore passavano e cominciò a
preoccuparsi: "Deve essere successo qualcosa, la strega si deve essere
accorta di qualcosa, adesso andrò dentro, ma prima...". Ma prima Bory,
aprì e cercò nel libro le parole per un incantesimo da fare alla vecchia
strega, poi andò a bussare alla sua porta. Toc,Toc.
"Che cosa volete bel giovane". Disse la vecchia, avendo capito che i due
fossero insieme d'accordo. Bory, in quell'istante pronunciò la formula e
la vecchia in un batter d'occhio, si trasformò in una dolce vecchina.
"Bene, così state meglio, e da oggi non farete più male a nessuno, anzi
ripagherete tutto quello che avete fatto con l'amore che non avete mai
dato" e poi disse un 'altra formula: "Tutto quello che farà, solo con
l'amore sarà". Così la vecchia divenne una dolce e buona vecchina, piena
d'amore per tutti.
Bory, sistemata la vecchia, entrò in casa per cercare la sua Nila, quando
la vide distesa, in un sonno profondo, venne preso dallo sconforto : "Nila,
Nila, sveglia, cosa ti ha fatto quella brutta strega".
Poi continuò:"Adesso dovete dirmi come posso salvare la mia Nila".
"C'è solo un modo. Solo il bacio dell'uomo della sua vita, colui che amerà
per sempre, la risveglierà, altrimenti...". Disse la vecchia.
Bory, prese Nila in braccio e adagiatala sul suo cavallo, la ricondusse al
villaggio. Arrivato al villaggio e preso il libro, Bory cercò un antidoto per
Nila, ma non trovò nulla, allora cercò e trovò quella per liberare il paese
dall'incantesimo, e formulate le parole magiche, il cielo tornò di nuovo
azzurro, e il vecchio contenitore dove erano i riposti i baci e l'amore, si
frantumò e tutti poterono così riacquistare il sorriso.
Ma per Nila, non si era trovato l'antidoto, allora Bory, adagiò la sua
amata sul prato e chiusi gli occhi, la baciò.
Nila, per incanto, dopo poche istanti aprì gli i suoi splendidi occhi.
"Dove siamo?". Disse Nila.
Tutto intorno a loro era mutato, non esisteva più nulla, si trovavano in un
mondo dove il tempo non scorreva, abitato solo da loro due, era il premio
del loro grande amore che durò per l'eternità.

Miki e Kiara, storia di un'amicizia

C'era una volta, e forse c'è ancora, una bambina dall'età imprecisata.
Nessuno sapeva quanti anni avesse veramente… ma questo non è
importante… Insomma c'era una volta una bambina che adorava andare
in giro con la sua biciclettina gialla oppure con i pattini. Abitava in una
piccola città che un tempo era stata una colonia romana e che
conservava ancora con cura i resti della sua storia. Era una bella città di
mare dove spesso il cielo era limpido grazie ad un vento forte e freddo
che spazzava sempre via le nuvole e che permetteva al sole di brillare di
un'intensità quasi irreale. La bambina adorava il mare e amava il sole ed
era capace di trascorrere intere giornate a guardare la grande distesa
azzurra con aria sognante. Viveva in una piccola casa in cima ad un colle.
Accanto alla sua casetta si trovava la scuola, una bella scuola, che la
bambina frequentava. Vicino alla scuoletta c'era un grande parco verde
dove i bambini potevano giocare liberi. Tutto intorno vi era una bella
pineta. Un pomeriggio, con la sua bicicletta, la bambina si era spinta
oltre il limite del parco che la mamma aveva fissato. - Kiara - le aveva
detto la mamma - quando arrivi in fondo al viale dei tigli, gira la
bicicletta e torna indietro. Non inoltrarti nella pineta perché potresti
perderti. Bene, quel giorno Kiara commise una disobbedienza perché…
era una bambina molto curiosa. Si lasciò alle spalle il viale alberato e le
grida dei bambini che giocavano felici e combattuta tra la curiosità e il
timore, si inoltrò sotto gli alti pini. La prima cosa che la colpì fu il
grande silenzio che regnava nella pineta. Un silenzio che però non la
spaventava, anzi faceva scendere nel suo cuore una profonda pace.
Lasciò allora la sua bicicletta e incominciò a camminare piano piano sugli
aghi di pino perché non voleva sciupare con la sua presenza quel silenzio
surreale, quella quiete. Dopo un po', si trovò di fronte a una casetta
bassa i cui muri erano dipinti di bianco, un bianco candido. La porta e le
finestre erano colorate di un azzurro brillante. Ad un tratto le sembrò
di capire che era proprio là che doveva arrivare e che la disobbedienza
alla mamma poteva essere un'obbedienza a qualcun altro. Così le parve
naturale tirare la catenella della piccola campana d'argento fissata al
muro. Qualcuno venne ad aprire. "Qualcuno", proprio "qualcuno", perché
non si sa se sarebbe meglio dire un angelo, oppure un bambino o un
uomo… Possono essere tutte e tre le cose riunite in una sola persona?
Non si sa. Forse non in questo mondo. Ma in quella pineta era possibile.
In quella casetta trascorse uno dei pomeriggi più belli della sua vita e
senza dubbio doveva essere un mercoledì… Miki, così si chiamava chi le
aveva aperto, fu molto gentile. Fu un pomeriggio indimenticabile. Non si
sa cosa rese effettivamente così unico quel pomeriggio. Forse fu il
silenzio. Scambiarono poche parole e molti sorrisi anche perché quattro
piccoli folletti entravano ogni tanto furtivi nella casetta. Insieme
colorarano con delle bellissime matite ricoperte di carta a fiorellini,
ascoltarono una bellissima musica, fecero merenda con i pop corn che
Miki aveva preparato con uno speciale apparecchio e, prima di
riaccompagnarla alla porta, l'uomo, il ragazzo, l'angelo le donò un libro di
favole. Quando Kiara tornò a casa, la mamma non disse nulla. Non si era
accorta della sua lunga assenza. Forse, mentre Kiara era stata in quella
magica pineta, il tempo si era fermato. Ci sono momenti nella vita, e
questo Kiara l'avrebbe capito più tardi, in cui ci è dato di vivere oltre lo
spazio e il tempo: sono i momenti di felicità intensa in cui sembra di
toccare il cielo con un dito. Da allora, la bambina passò molti pomeriggi
di pace, sempre colorati dai quattro folletti, con quel qualcuno così
speciale. Un giorno Kiara si azzardò a chiedere ad un'amica se era mai
stata nella pineta, se sapeva se ci abitasse qualcuno. Le rispose che ci
era stata e che nella pineta abitava una persona un po' particolare, che
preferiva stare in silenzio, amava la musica e dicono avesse una
sensibilità tutta particolare. Una persona un po' fuori dal mondo che
poco aveva in comune con tutte le persone che abitavano nei dintorni. -
Così disse l'amica. L'amica non fece domande, ma sospettava che Kiara
fosse andata nella pineta. Poi altri amici e tanti, troppi adulti
confermarono le parole che aveva già sentito. Sembrava che tutti si
fossero coalizzati per riportarla alla realtà della vita e a vivere con
meno intensità il rapporto che si era instaurato con Miki. Cercavano di
farle capire, anche molto gentilmente, che non era razionale! Tutto
questo creò in Kiara un po' di confusione. Lei che non era mai stata
molto razionale faceva fatica a vivere la vita meno intensamente e
soprattutto non riusciva, ma forse in fondo non voleva, rinunciare
all'affetto che aveva per Miki o almeno a ridimensionarlo nella logica
della realtà degli uomini. Era un affetto speciale, sincero quello che li
legava e che forse nessuno avrebbe mai potuto capire. Erano entrambi
molto sensibili e riuscivano a cogliere stati d'animo e sensazioni che
andavano oltre alle parole degli uomini. E poi si parlavano con gli occhi.
Qualcuno avrebbe anche potuto pensare che erano innamorati, ma non
era questo e loro lo sapevano molto bene… Comunque Kiara fu travolta
dalla razionalità che la circondava, una realtà molto più fredda e
distaccata… molto, forse troppo per lei… razionale! Così per un periodo,
non andò più alla pineta: un po' perché si sentiva spiata, un po' perché
aveva paura che gli adulti avessero ragione. Aveva paura di scoprire che
Miki non era quello che credeva che fosse. Intanto passava il tempo, la
bambina cresceva e a volte doveva ammettere che quello di cui aveva
bisogno non erano le favole di Miki, ma la scuola, la famiglia…; non era
estraniarsi dal mondo, ma il coinvolgersi in esso che riempiva la sua vita;
non era il silenzio, ma la discussione, il confronto con gli altri che la
faceva crescere. Divenne grande si sposò, ebbe anche dei figli. La sua
vita era felice. Solo in un angolino del suo cuore avvertiva talvolta un
vuoto, una nostalgia… Finchè un giorno, incontrò di nuovo Miki, sapeva
che anche lui si era sposato e che aveva avuto due belle bambine. La sua
vita, dicevano, era felice. Stava in piedi alla fermata di un autobus:
indossava un giaccone rosso che spiccava in mezzo ai colori scuri degli
abbigliamenti invernali e non era per niente cambiato. Era solo e
sorrideva. Non si sapeva a chi. Forse a tutti. Forse a qualcuno che
nessuno poteva vedere. Ma in quel momento Kiara capì che di quel
sorriso aveva bisogno. Un sorriso ed uno sguardo che erano come una
porta spalancata su un altro mondo. La bambina si avvicinò a lui e gli
disse: - Ora so chi sei: quello che ho sempre creduto che tu fossi! Miki
l'angelo, il bambino, l'uomo le sorrise e non disse nulla… non ce n'era
bisogno!

Memorie di un alieno

E' strano come in certi momenti tutta la tua vita riesca a passarti
davanti all'occhio. Forse non proprio tutta, ma solo quella frazione che
ti ha portato ad essere quello che sei; di solito sono errori, cose di cui ti
penti, che avresti fatto in un altro modo, e ti trovi a desiderare di avere
una seconda possibilit…, perch‚ adesso ti sembra possibile. Adesso a un
minuto alla fine della tua vita, ti sembra possibile, concreta e tangibile
la possibilità di poter diventare un essere migliore. Ma il tuo tempo è
scaduto e l'unica speranza che ti rimane è quella di far tesoro delle
peggiori azioni che hai commesso, per non ripeterle la prossima volta...
sempre che ci sia una prossima volta.
Rivedo i miei genitori, rivivo il loro amore. Amore che forse non mi sono
mai meritato. Tutto, tutto quello che vorrei avere la possibilità di
rivivere in modo diverso, è iniziato il giorno in cui mi diplomai...
"Chip", mi disse la mamma, "lo sai che non versiamo in condizioni
economiche invidiabili. Quindi, non abbiamo potuto mantenere la
tradizione di regalarti per questo giorno speciale la galassia che tanto
desideravi. Però, ci sarebbe il pianeta Aseter...". Conoscevo la situazione
drammatica delle nostre finanze, tutta via ero rimasto un po' deluso. Io
le promesse le mantengo sempre, loro no. Tuttavia accettai il loro dono e
dopo neanche 2 anni luce, mi trasferii nella mia nuova dimora. Forse
avevo giudicato troppo in fretta i miei, il pianeta era davvero bello,
piccolo, intimo e soprattutto tutto e solo mio. I primi tempi furono
davvero superlativi. Potevo fare tutto ciò che volevo, senza sentire i
rimproveri di nessuno, ma presto la noia prese il sopravvento. Io, solo e
sempre io! Certo, telefonavo alla mamma, papà passava a trovarmi, ma mi
sentivo molto solo lo stesso. I pianeti vicino al mio erano disabitati, se
finivo lo zucchero dovevo montare sulla macchina a reazione nucleare e
percorrere più di due costellazioni, due e mezzo per la precisione, prima
di trovare un pianeta abitato. Non ero io che abitavo fuori mano, è che
nello spazio c'è così tanto spazio che è veramente difficile avere dei
dirimpettai. Soffrivo di una solitudine cosmica. Dovevo trovare una
soluzione.
Avevo sentito di un tizio che riusciva a penetrare i sogni di chiunque e
con loro viveva fantastiche avventure. Io non avevo quella capacità
straordinaria, ma iniziavo ad avere un'idea di come potevo risolvere il
mio problema. Sapevo che in un pianeta lontano dal mio di almeno 14352
galassie esistevano degli esseri, gli uomini, che non credevano alla vita su
altri pianeti - non tutti almeno - , avrei potuto lavorare in incognito. Così
comprai tutti i Cd-Rom che trattavano l'argomento e cominciai a
studiare i comportamenti umani, affascinato e sconvolto da tanta
stupidità! Sembrava facile introdursi tra loro, ma c'era un grosso
problema da risolvere: il mio aspetto. Ero verde, con un solo occhio e
due grosse antenne sulla testa sproporzionata. Ritenevo impossibile
vivere tra di loro, si sarebbero sicuramente accorti della differenza tra
di noi, non avevo dubbi in proposito! La popolazione era quella giusta, io
dovevo solo stendere un piano efficace per avere un po' di compagnia.
La risposta arrivò in sogno, un po' influenzato, forse, dal personaggio
che mi aveva ispirato. L'unico modo per non stare più da solo sul mio
pianeta non era trasferirmi personalmente, ma trasferire loro. E se non
volevano? Non gli avrei chiesto il permesso!!!
Iniziai con questo piano, senza sapere bene cosa fare. Per prima cosa
decisi di fare un sopralluogo, per capire un po' come vivevano quelle
strane creature. Per dieci giorni consecutivi montai sulla mia macchina a
reazione nucleare e osservai gli uomini, prendendo appunti e studiandoli
a casa.
Capii subito che i bersagli più facili sarebbero stati i bambini. Iniziò così
la mia carriera di rapitore, il Cavaliere Verde che rapiva e poi
riconsegnava alle famiglie i pargoli. La cosa stravagante era che questi
bimbi non si stupivano affatto del mio aspetto, in realtà vedendo i loro
giochi nelle camerette capivo bene anche il perchè. Io ero decisamente
più bello dei loro pupazzi, nonostante il mio occhio singolo e la mia pelle
verde.
Fu così che conobbi Laura, una bimba dagli occhioni azzurri e i capelli
biondi. Mi raccontò favole meravigliose che io non conoscevo. Stava bene
con me, ma dopo un po' iniziò a chiedere della mamma. Ogni giorno era
sempre più triste e io sempre più nervoso, infine la riportai a casa sua,
ma io non tornai sul mio pianeta con le mani palmate vuote. Tornò con me
Riccardo che mi parlò degli orchetti, dei troll, delle epopee fantasy. Il
genere non era quello che più mi attraeva, ma il suo entusiasmo era
contagioso. Era sempre così allegro e pieno di iniziative, cosa
decisamente in contrasto con il mio carattere. Lo riportai a casa per la
disperazione, la solitudine era terribile, ma molto meglio del
sovarccarico emotivo.
Mi sembrava di aver risolto totalmente il mio problema, ma alla fine di
ogni incontro i miei giovani ospiti volevano tornare a casa loro. Nessuno
voleva stare con me. Era questa la realtà.
Rapii mille e più bambini, ma il finale si ripeteva sempre e io mi sentivo
disperato. Talvolta alcuni di loro si ricordavano di me e mi scrivevano
lunghe letterine colme d'affetto, ma io ero comunque destinato a stare
solo. Fu durante uno dei miei giri di ricognizione sulla terra, mentre
meditavo un nuovo rapimento che scoprii di avere un cuore. Non volevo
rapire più nessun bambino, loro dovevano stare a casa con i loro genitori
e io sarei rimasto solo con il loro ricordo. Passai a salutare tutti i miei
giovani amici. Mi abbracciarono e mi baciarono tutti.
Quando andai da Riccardo, lui mi diede una letterina. "Leggila quando
sarai arrivato a casa, e rispondimi se ti è possibile!". Fu il nostro ultimo
incontro, avvenuto non più di tardi di due giorni fa.
Appena arrivato a casa aprii la busta. La lettera era scritta in
stampatello da un bambino che non conosce ancora bene la differenza
tra le lettere:
Caro Chip, grazie per avermi portato via con te. Sono stato bene, ti voio
bene. Ieri ho sentito la mamma piangere, io sono corso da lei e mi ha
detto che è troppo tardi, che ora è finito tutto.
Non ho capito bene, ma diceva qualcosa sul sole, che si spegne.
Puoi aiutarmi tu a capire?
Un bacio
Richi.

Non avevo capito bene il suo discorso, forse perchè‚ anche lui non lo
aveva capito affatto, ma mi misi subito il collegamento con la base
stellare dell'energia gratuita. "Sì, signor Chip, il sole si spegnerà tra 36
ore." fu la risposta alle mie domande. "Scusi colonnello, se la disturbo
ancora, ma la popolazione della terra?". "La terra morirà con tutti i suoi
abitanti." e interruppe il collegamento.
I miei bambini moriranno? Non riuscivo a cancellare questa domanda dal
mio cuore, guardavo il mio pianeta e mi spremevo le meningi per trovare
una soluzione...
Avevo la risposta, dopo qualche ora, avevo la risposta. Andai a trovare i
miei genitori, li baciai e dissi loro che mi sarei trasferito in un altro
posto e che non sarei più tornato. Mamma piangeva, papà aveva le
lacrime agli occhi. "Papà," gli chiesi "mi presti il tuo trasportatore
planetario?". "Certo, Chip, ma sei veramente convinto?". "Si papà, grazie
di tutto a tutti e due!". Agganciai il mio pianeta al gancio traino del
trasportatore di papà e iniziai il mio viaggio. Raggiunsi in fretta il sole.
Programmai il trasportatore in modo che tornasse dai miei genitori
evitando buchi neri e meteoriti e misi una lettera sul sedile, dove
spiegavo a loro il motivo della mia scelta e il mio vero obiettivo. Poi salii
sulla mia macchina a reazione nucleare e mi allontanai dal mio pianeta.
Quando lo vidi piccolo piccolo, ingranai la marcia e mi precipitai a
velocità supersonica verso di esso.
E adesso sono qui, a poche decine di metri dal mio pianeta e procedo con
una velocità al limite delle capacità della mia vettura. Tra poco ci sarà lo
schianto, spero solo che funzioni e che ripari al male che ho fatto a
tutti quelli che amavo. Ciao!
Un'esplosione e la vettura di Chip si perse nel suo pianeta in fiamme.
E fu così, che per amore, nacque un nuovo sole!
Mirmi e Paco

Mirmi e Paco vivono in un paese incantato, dove i colori sono più colori
del normale ed i profumi così intensi da inebriare. Abitano su di una
nuvola sopra il pino maestro della pineta d'Allilibi, in un palazzo di
cristallo. Tutti gli esseri fantastici che popolano questo mondo hanno un
compito da svolgere, loro si occupano di mantenere alto l'umore delle
creature di Fanfan, le campanule dorate svegliano dolcemente gli
abitanti al termine della notte, i centauri alati proteggono la Foresta di
Cristallo e gli uccelli dalle piume argentate scandiscono le ore del giorno.
Sono già 1200 anni, però, che dalla nuvola sopra il pino maestro si ode
una canzone malinconica che influenza anche l'umore dei fanfaniani. E'
Mirmi a cantare, la rana rosa con pois gialli, dotata di una voce magica,
ricca di poteri sorprendenti. Mirmi è triste perché il suo amico Paco, il
cavallo violetto con la stella sulla fronte, è scomparso.

"Paco dove sei?


Come faccio a farti tornare?
Sono triste
Fanfan è triste.
Non so dove cercarti
Mi manchi…"

Sono 1200 anni che canta queste canzoni, ma Paco non torna. Paco fu
rapito da un uragano impazzito e nessuno è mai riuscito a trovarlo,
Mirmi non ha mai avuto la forza di reagire ed è solo riuscita, in tutti
questi anni, a cantare. Un giorno Astora, la stella più brillante di Fanfan,
andò a far visita a Mirmi.
"Mirmi, è tempo di trovare Paco.".
"Astora, non riesco a muovermi, è così forte il mio dolore da
paralizzarmi.".
"Se non riesci a farlo né per te, né per Paco, fallo per Fanfan. Guarda in
che stato si trova.".
Mirmi uscì dalla sua casa di cristallo dai mille colori e si affacciò. Era
primavera inoltrata ma nessun albero era ancora fiorito, nessun fiore
sbocciato e gli uccellini non erano ancora tornati dai luoghi lontani; gli
unici animali presenti erano ancora in un profondo letargo. Mirmi iniziò a
capire, per 1200 anni aveva pianto il suo dolore senza prestare
attenzione al suo compito: tenere alto l'umore dell'intero mondo magico.
"Astora è colpa mia. Hai ragione è tempo di trovare Paco, andiamo!".
Mirmi ed Asta scivolarono sull'arcobaleno di collegamento con la terra,
direzione FORESTA INTRICATA. Mirmi si sentiva tranquilla con Astora
che essendo la stella più luminosa era un'ottima compagna di viaggio, con
un gran senso dell'orientamento: impossibile perdersi con lei. Iniziarono
a chiedere a tutti quelli che incontravano, se avevano visto Paco, ma
nessuno le degnò d'attenzione. Dopo una ricerca a palmo a palmo di
tutta la foresta, Mirmi perse le speranze. Cercò un grosso albero e lì
sotto intonò una delle sue canzoni:

"Paco, Paco
Se solo sapessi che stai bene.
Paco, Paco
Se solo sapessi trovarti.
Paco, Paco…"

"E chi è questo Paco?".


Mirmi alzò gli occhi, il vecchio castagno sotto cui stava, forse sapeva
qualcosa.
"Paco è il mio miglior amico. E' Un cavallo violetto, con una stella sulla
fronte, l'hai visto?".
"Certo che l'ho visto. E' stato circa 900 anni fa, si stava dirigendo
verso la fine della foresta. Si sentiva sperduto, ho provato a parlargli
ma non mi ha risposto.".
"Grazie vecchio saggio, ora so che è vivo e inizierò le ricerche. Astora,
andiamo!".
Si diressero verso la fine della foresta, Mirmi gracidava all'impazzata
per la gioia che provava nel cuore. Raggiunsero presto la terza cascata
del fiume che disse:
"Hai detto un cavallo viola? Certo che l'ho visto; quando è venuto da me
aveva una sete davvero invidiabile. Tra l'altro ho notato che zoppicava.
Aveva un'aria così triste, ho provato a parlargli, ma lui è rimasto in
silenzio e se n'è andato."
"Hai visto in che direzione è andato?".
"Sì, e mi sono stupita molto perché è andato in direzione sud est, verso
la zona più brutta che circonda la foresta: la palude spettrale.".
Dopo essersi salutati, Mirmi ed Astora, anche se ormai esauste, si
rimisero in viaggio. Era quasi sera ed era importante riuscire a
percorrere più strada possibile. Trascorsero la notte ai limiti della
foresta, si poteva già percepire l'olezzo della palude e il ronzare degli
insetti era talmente forte che fecero fatica a prendere sonno.
Dormirono profondamente, forse per riuscire a riposarsi il più possibile,
la giornata successiva sarebbe stata molto faticosa e loro lo sapevano
bene! Si svegliarono molto presto e si misero in cammino subito.
Accidenti, la palude era proprio spaventosa: rovi, erbacce, l'odore
insopportabile si faceva più forte ad ogni passo e gli insetti erano molto
fastidiosi.
"Toh, una rana dai colori irreali e una stella che le fa compagnia. Che ci
fate in un posto come questo?"
"Stiamo cercando un amico.".
"Scommetto che si tratta di un cavallo viola con una stella sulla fronte.".
"Come fai a saperlo?".
La salamandra, con cui le nostre amiche stavano parlando, fece
un'espressione sorniona, tipica di chi conosce parecchie cose… o almeno
crede!
"Lo so perché", ma era buona e sincera e non riuscì a prendersi gioco di
loro "qui non passa mai nessuno e poi è evidente che fate parte dello
stesso mondo. Non possono esistere due luoghi dove le rane sono rosa a
pois gialli e i cavalli viola.".
"Hai mica visto dove si è diretto?".
"Prima l'ho curato e poi l'ho accompagnato fuori da questa palude
infernale, indicandogli il percorso per raggiungere la collina dorata.".
"L'hai curato?".
"Sì, aveva un brutto rametto conficcato nel suo zoccolo. Era così tanto
che zoppicava che aveva male a tutta la zampa; ma tolto il rametto è
stato subito meglio.".
"Per fortuna! Senti, da che parte dobbiamo andare per arrivare alla
collina dorata?":
"Se volete vi ci porto.".
"Grazie, sei molto gentile.".
La salamandra si sentiva così sola, costretta dalla sua natura a rimanere
tutta la vita nell'ombra della palude e poi quella palude, talmente
spaventosa da far cambiare direzione a chiunque ci dovesse passare
attraverso. Così, quando qualcuno si addentrava, lei cercava sempre di
fare un po' di conversazione. Mirmi ed Astora, insieme alla giovane e
simpatica salamandra, non sentirono la fatica dell'attraversata. Si
congedarono alle soglie della palude, mentre la salamandra già tornava
indietro un po' amareggiata dalla separazione. Dopo pochi salti, Mirmi,
entrò nella terra che circondava la collina dorata e fu subito abbagliata
dalla gran luce. Capirono subito, lei ed Atsora, il motivo per cui veniva
chiamata così: le foglie e l'erba erano fili d'oro, la terra polvere d'oro,
l'acqua era oro fuso e piovevano scagliette d'oro. La luce del tramonto
rendeva questo spettacolo ancora più suggestivo. Mirmi ed Astora
salirono sulla cima della collina e rimasero senza fiato; sembrava già
stupendo prima ma ora che vedevano tutto l'orizzonte potevano
ammirare cose mai viste.
"Astora, ma qui non ci abita nessuno.".
"Certo, questo è un posto meraviglioso, ma non è in grado di ospitare
nessun essere vivente. Come può offrirgli acqua, cibo e tutto ciò di cui
ha bisogno?".
"Mi dispiace ammettere che hai ragione, perché questo ci riporta al
punto di partenza con la ricerca di Paco. E' vero, dev'essere passato di
qui ed è vivo, questo è tutto quello che sappiamo e nient'altro e per di
più non c'è nessuno cui chiedere sue notizie.".
Si sedettero sulla collina ad ammirare il paesaggio; sapevano che
sarebbero dovute tornare a casa.

"Eri così vicino


Finalmente,
Dopo tanto tempo
Ero ad un soffio da te,
Quasi ti avevo trovato
E adesso che fare?
Dove cercare?"

"Un soffio? Hai detto un soffio?".


Un alito di vento accarezzò la pelle umida della rana Mirmi. La sua
canzone era così triste, che il vento risvegliandosi, non era riuscito a
non rispondere.
"Vento, come sono felice di sentirti!".
"Chi vai cercando rana dagli strani colori?".
"Paco, il mio migliore amico, un cavallo viola. Dev'essere passato di qui,
ma davanti a noi c'è la gola di pietra, a sinistra il deserto di cactus e a
destra il paese degli orologi. Non sapevamo a chi chiedere ma ora ci sei
tu!".
"Sono molto dispiaciuto, mia piccola rana dai colori divertenti, non ho
visto passare il tuo amico per questa valle.".
"Capisco, ma ti ringrazio comunque.".
"Però aspetta. Io non ti posso aiutare, ma forse il Principe Masso della
gola di pietra l'ha visto, è talmente alto che se il tuo amico è passato in
una qualsiasi zona di questo regno l'ha visto.".
"Questa sì che è una splendida notizia. Correrò subito da lui. Grazie
ancora alito di vento.
Astora, mettiamoci in cammino!".
"Mirmi, si sta facendo buio e io sono molto stanca, tu no?".
Mirmi rifletté per un attimo.
"Sì, sono molto stanca anch'io. Pensi che sarebbe meglio continuare
domani?".
Non sentì risposta, si voltò e vide Astora che dormiva già, "Buonanotte"
pensò nel suo cuore e anche lei crollò in un sonno profondo.
Le prime luci dell'alba, nella valle della collina dorata, erano così intense
che Mirmi si svegliò presto. Si guardò intorno cercando l'amica, ma di
Astora non c'era nemmeno un raggio. Era sola, nella valle della collina
dorata, circondata da regni sconosciuti e adesso non c'era più nemmeno
la sua amica a confortarla. La chiamò più di 1000 volte, poi con gli
occhioni pieni di lacrime, iniziando a saltellare, abbandonò quella valle
molto lentamente. Ogni tanto si girava, convinta di avere Astora alle
spalle, perché aveva visto i suoi raggi, ma si rendeva sempre conto che
erano solo i sassolini dorati della collina, colpiti dal sole.

"Astora dove sei?


Anche tu rapita nella notte,
Anche tu in cerca di salvezza?
O mi hai abbandonata
Amica mia?"
E così cantando, raggiunse la gola di pietra. Si guardò attorno e
rabbrividì, solo sassi nella gola di pietra: sassi dritti, tondi, sassi penduli
e a punta, solo sassi. Scrutò tutto in cerca del Principe Masso ed infine
lo vide. Lo raggiunse a fatica. Era molto stanca ma la forza le veniva dal
cuore; sentiva che Paco era vicino. Si accostò al grande sasso ed iniziò a
parlargli, ma non sentì alcuna risposta. Niente, nemmeno dopo il decimo
tentativo; il Principe Masso non mosse un sasso. Lo guardò cercando di
trovare la combinazione giusta.

"Parlami re dei sassi,


Solo tu sai dov'è Paco.
Muovi gli occhi
E indicami la strada.".

Mirmi era veramente stanca, nemmeno più le sue canzoni sembrava


funzionassero. Il silenzio era incredibile e la soluzione sembrava
lontana. Iniziò a saltellare intorno al principe, pensando continuamente.
"Non c'è soluzione!" e posò una delle sue zampine umide sul masso.
Rimase lì un po', osservando il panorama così statico da sembrare morto.
"Dovrò visitare tutti i regni della zona!".
Giunse a questa conclusione ed allontanandosi vide che il segno lasciato
dalla sua zampina aveva tolto la polvere dal masso, lasciando intravedere
una scritta. Si riavvicinò al masso e lo pulì bene.
"SE RISPOSTE VUOI TROVAR, LA MIA SUPERFICIE DEVI FAR
BRILLAR!".
Ecco cosa diceva l'incisione. Mirmi pulì tutto il grande masso, gli parlò,
ma niente, ancora silenzio. Fu colta da un momento di disperazione ma
subito tornò con la mente alla collina dorata. Cercò di raggiungere il
pendio della collina il più in fretta possibile, ma lei, essendo una rana
poteva solo saltare e quindi arrivò dopo un bel po' di tempo. E come
trasportare la polvere d'oro? Le sue zampe erano troppo piccole e
comunque i salti avrebbero fatto cadere tutto.

"Vento, alito di vento,


Tu che mi hai dato speranze
Non lasciarmi sola adesso.
Vento, vento, alito di vento.".

"Eccomi piccolo essere, ti aiuterò, dimmi tutto.".


Mirmi gli spiegò la situazione e il Vento le portò tutta la sabbia d'oro
che aveva bisogno, ai margini del masso. Lei cosparse il re sasso e lo
fece brillare, lui ringraziò.
"Scusa, hai mica visto un cavallo da queste parti?"
"Sì, si è diretto verso il villaggio degli orologi.".
"Grazie Principe, grazie di cuore!".
"Grazie a te!".
Mirmi riprese il suo viaggio. La strada per il villaggio, però, sembrava
allungarsi sempre più. Ad ogni salto, Mirmi, vedeva le case più vicine, i
contorni più definiti, ma non riusciva mai ad arrivare. Il ticchettio era,
per di più, assai fastidioso. Era stanca di cercare risposte a strani
enigmi e questa volta non sapeva proprio cosa fare. Paco era vicino e lei
non sapeva come raggiungerlo.

"Paese straniero
Fammi arrivare da lui.
E' così tanto che viaggio.
Paese straniero,
Non ostacolarmi più!".

Sembrava che la sua voce avesse perso tutti i poteri, doveva trovare
un'altra soluzione; era sera, si appoggiò ad un albero a cuccù e si
addormentò. Durante la notte fece uno strano sogno, forse influenzata
dal ticchettio fastidioso ed insistente. Immaginò di spaccare tutti gli
orologi e di rimanere per un attimo in silenzio. Si svegliò di colpo, era già
l'alba, forse aveva risolto l'enigma del paese degli orologi. Iniziò a
cantare e a saltare verso il villaggio.

"Tempo non correre


Che fretta hai.
Orologio, le tue lancette
Sono sudate,
Lasciale riposare un po',
Lavoreranno meglio.".

Continuò così, e al suo passaggio tutti gli orologi smettevano di


funzionare per poi riprendere a scandire i secondi. Funzionava,
fermando il tempo riusciva a bloccare l'incantesimo, raggiungendo le
porte della città. Il suo cuore sentiva che Paco era davvero lì. Iniziò a
cercare a destra e a manca notizie sul suo amico. Pochi le rispondevano e
quei pochi non riuscivano a darle delle risposte esaurienti, finché non
incontrò un vecchi pendolo.
"Sono stato, poco tempo fa, dal medico: l'Orologiaio. Sono molto vecchio
e ogni tanto è bene fare dei controlli. In quell'occasione mi è parso di
vedere il suo amico che faceva girare il grande ingranaggio del tempo
mondiale.".
"Mi sa indicare la casa dell'Orologiaio?".
"Deve prendere un appuntamento.".
"Ah!", disse Mirmi decisamente sconsolata. Il Batacchio, che era vecchio
e saggio, intuì la sua preoccupazione.
"Senta, ci vada subito. Le prenotazioni per gli appuntamenti sono ancora
aperte a quest'ora. Se poi dice che è importante, sono sicuro che la
riceverà il prima possibile.".
Sul musetto di Mirmi comparve un sorriso.
"Grazie signor Batacchio e arrivederci!".
S'incamminò verso il grande palazzo e riuscì a prendere appuntamento
con il padrone di casa già per il giorno dopo. Girò per il paese. Che posto
curioso, tutto era un orologio: le piante non avevano i fiori, ma vecchie
cipolle pendule; le fontane spruzzavano acqua battendo i secondi; sul
naso degli abitanti c'erano delle lancette…insomma era impossibile non
accorgersi del passare del tempo. E di tempo Mirmi ne doveva ancora
aspettare tanto prima di rivedere Paco e quel posto certo non l'aiutava.
Ad un tratto un lampione parlò a Mirmi.
"Senti piccola rana, si dice in giro che grazie ad una canzone magica sei
riuscita ad arrestare il tempo lungo il viale del Tempo Eterno, è vero?".
Mirmi guardò verso l'alto ed annuì. Il lampione era esterrefatto, non
aveva mai sentito una storia così.
"Vede, sto cercando un mio amico che ho scoperto essere qui. Non
potevo entrare in nessun altro modo!".
"Dev'essere un caro amico se con la tua voce sei riuscita a fermare il
tempo.".
"E' il mio più caro amico, sono ormai 1200 anni che è scomparso. Fanfan
era in pericolo e non potevo più aspettare così sono scesa sulla terra e
ho iniziato a cercarlo.".
"Perché da dove vieni giovane ranetta, dov'è questa Fanfan?".
"Si trova al di là dell'arcobaleno ed è fatta di natura e cristallo. Paco ed
io ci occupavamo insieme dell'umore del mondo, ma da quando lui è stato
rapito non sono più riuscita a cantare una sola canzone allegra. Spero
solo che per i fanfaniani non sia troppo tardi.".
Il lampione non aveva capito molto bene, mi aveva accettato volentieri di
spegnere la sua luce quando Mirmi si addormentò a fine racconto. Si
vedeva che era esausta!
Ma anche se la stanchezza era veramente molta, già alle prime luci
dell'alba Mirmi aprì gli occhi. Era il giorno dell'appuntamento con
l'Orologiaio, il giorno in cui avrebbe saputo se Paco era veramente in
quel paese oppure no. I suoi salti erano lenti ed insicuri, la paura di
dover ricominciare da zero le ricerche era tanta; per di più l'insistente
ticchettio degli orologi non la metteva per nulla a suo agio. Raggiunse il
grande portone sul quale la faceva da padrone la scritta OSPEDALE
OROLOGI. Raccolse tutto il coraggio che le era rimasto e suonò il
campanello.
Lontana da Mirmi, quasi cinque mondi più lontana, Astora cercava di
risanare Fanfan, ma ogni suo sforzo era vano. Con la partenza di Mirmi,
l'umore di Fanfan era svanito. La notte della scomparsa di Astora , un
giovane grillo volante era andato in cerca di aiuto. Dopo aver sentito il
suo racconto, Astora si era precipitata nel suo paese e l'aveva trovato
quasi morto. Capì che le canzoni che Mirmi aveva cantato durante
l'assenza di Paco erano sì malinconiche ma comunque in grado di
infondere speranza, speranza che si era portata via nel viaggio alla
ricerca dell'amico.
Gli alberi stavano già seccando, il respiro degli animali in letargo sempre
più affaticato e la terra iniziava ad inaridirsi. "Dovete resistere amici
miei, tra poco Mirmi tornerà e con lei ci sarà anche Paco.", cercava di
splendere il più possibile e gli abitanti, da parte loro, si sforzavano di
reagire.
La situazione stava precipitando, desiderava volare da Mirmi,
informarla, farla tornare e continuare lei le ricerche; ma sapeva
benissimo che se si sarebbe allontanata, il mondo di Fanfan sarebbe
scomparso.
Mirmi, intanto, percorse il lungo corridoio saltando ed ogni orologio a
cuccù batteva il ritmo del suo cuore. Di colpo si aprì la porta davanti a
lei, e vide un uomo vecchi che sorrideva. Indossava un camice bianco, i
capelli erano arruffati e la barba lunga di qualche giorno.
"E lei sarebbe Mirmi!?".
"Buongiorno signor Orologiaio.".
"Mi chiami pure Gaio. Ho saputo il motivo della sua visita. Sono felice
che sia qui.".
Mirmi aspettava speranzosa.
"Sono ormai 700 anni che sento pronunciare il suo nome. E' il suo amico,
il cavallo viola che di notte la chiama. Poi di giorno non ricorda più niente
e non ho mai voluto turbarlo con domande personali.".
"Lei vorrebbe dirmi che Paco ha perso la memoria?", Mirmi aveva gli
occhi colmi di lacrime, la gioia di aver ritrovato il suo Paco però, lasciò
spazio alla tristezza delle sue condizioni. "Paco, finalmente conosco il
suo nome, è convinto di vivere qui da sempre, ed è anche un gran
lavoratore. Un po' mi dispiace perderlo, ma sono felice di sapere che ha
qualcuno che lo ama. Venga con me.".
A Mirmi tremavano le zampe e i suoi salti erano insicuri. Era passato
così tanto tempo, e poi lui non ricordava, cosa avrebbe potuto fare?
Entrarono in una grande stanza riservata al caricamento. Paco era lì,
imbragato, che s'impegnava a far girare l'ingranaggio. Mirmi voleva
corrergli incontro, ma lui non l'avrebbe riconosciuta. "Io l'ho portata fin
qui, e non so nemmeno dirle cosa fare per portarlo a casa. L'unica cosa,
forse, è farlo ricordare. Se ha bisogno di me, sono di là. Arrivederci!".
Gaio l'Orologiaio si voltò, ma Mirmi riuscì a vedere, per un secondo, i
suoi occhi colmi di lacrime e comprese che era un brav'uomo e che si era
occupato con cura di Paco in tutti quegli anni.
Paco continuò il suo lavoro senza mai voltarsi, il suo portamento era
fiero e si vedeva che stava bene. "Paco" Mirmi provò a chiamarlo, ma non
ci fu risposta.
"Mirmi sbrigati, non c'è più molto tempo". Astora pregava con forza, ma
Fanfan era quasi sull'orlo della scomparsa.
Mirmi si avvicinò a Paco che la vide. "Stai attenta tu. Così piccola, qua
dentro, rischi di venire schiacciata.".
Non l'aveva riconosciuta.

"Mirmi e Paco,
L'umore di Fanfan"

Iniziò ad intonare Mirmi. La sua voce faceva cose prodigiose ed era


l'unico modo per far ricordare a Paco il suo passato.
"I fiori attendono
Le nostre voci
Per sbocciar…"

"E anche gli uccellini


Per tornar…"

Continuò Paco. C'era riuscita, Paco iniziava a ricordare. E poi insieme.


"Il sole e le stelle
Brillano su noi,
Alimentano il nostro cuor
E tutta Fanfan gioisce"

Lo sguardo di Paco era perplesso, non capiva, ma iniziava a ricordare dei


piccoli frammenti del suo passato. Guardò quella buffa rana rosa.
"Mirmi?"
"Sì, Paco; sono io. Finalmente ti ho ritrovato.".
Si abbracciarono. Paco era frastornato.
"Senti Paco, dobbiamo andare via subito. Fanfan è in pericolo di vita. So
che non ti è molto chiara tutta questa faccenda, ma non c'è più un
minuto da perdere!".
"E Gaio?".
"Gaio capirà. Andiamo a salutarlo.".
Fu un addio molto triste, ma nel suo cuore Gaio era felice, Paco aveva
finalmente ritrovato la sua vita.
Fermò gli orologi per permettere all'arcobaleno di raggiungere il centro
città e quando i due si allontanarono fece suonare i cuccù a festa in
segno di saluto.
In pochi istanti furono a Fanfan; all'ingresso i due grandi girasoli verdi
stavano con il viso abbassato, l'aria intorno era pesante.
"Che c'è, dov'è la gioia?
Paco è tornato
E con noi resterà.".

I girasoli guardarono Paco e gli sorrisero. Paco e Mirmi percorsero il


viale cantando e al loro passaggio, gradualmente, tornava la vita a
Fanfan. Le felci di cristallo tornarono a splendere sotto i raggi solari
che poco a poco si facevano più luminosi, gli uccelli d'argento a fatica
ripresero a battere le ali. Anche i ragni di platino e pietre preziose,
tentennanti sulle loro zampe, ripresero a tessere tele di filigrana. Mirmi
e Paco continuarono a camminare e con loro si muoveva anche il sole,
tornando a far splendere Fanfan, immersa da molti giorni nel buio.
Paco ricordava quasi tutto. "Eccovi qui, meno male!".
Astora brillava pochissimo tanto era stanca.
"Ma dove sei scomparsa? Mi hai lasciata sola in un posto sconosciuto,
non è stato gentile !".
"Non ti ho abbandonata. Fanfan stava morendo e sono dovuta tornare
per far resistere i fanfaniani fino al vostro arrivo.". Si addormentò.
Mirmi e Paco intonarono la loro canzone "Filù-filà":
"Filù, filà.
Fanfan, è ora di brillar,
Filù, filà,
Filù,filà.
Il sole è sorto
E splende già sull'orto,
Le voci di Mirmi e Paco
Vi danno il buongiorno
Filù, filà
Fanfan è ora di brillar
Filù, filà
Filù, filà.".
Tutti ballavano e cantavano con loro. Mille fiorellini d'argento
accompagnarono Astora sotto il pino maestro e un dolce vento la
rinfrescava. I fanfaniani aspettarono il suo risveglio per iniziare la
festa di bentornato a Paco, ma il posto d'onore era per lei, per Astora
che era riuscita a farli resistere ed evitargli, così, una morte sicura.
"E per Astora…Filù filà!!!", urlarono tutti in coro.
La storia di nonno Cici e nonna Tè

C'era una volta il nonno Cici e la nonna Tè che volevano andare a trovare
il loro piccolo Michele. Decisero quindi d'incamminarsi, ma la strada era
troppo lunga e faticosa. Presero allora l'autobus; ma l'autobus si
fermava ad ogni fermata e non arrivavano mai. Presero allora il treno
ciuf ciuf; ma il treno era troppo lento e non arrivavano mai. Presero
allora l'aereo; ma nel cielo c'era troppa nebbia e non si poteva volare.
Decisero allora di prendere un missile super e finalmente in un'attimo
arrivarono dal loro nipotino. Suonarono alla porta e quando videro
Michele lo abbracciarono forte forte, poi gli portarono tanti doni e
rimasero tanto tempo a giocare con lui.
I giorni della merla

Una volta, tanto tempo fa, i merli erano bianchi come la neve. Un anno,
gli ultimi tre giorni di gennaio furono molto freddi e gli uomini non
osavano uscire per la paura di morire assiderati: i rami degli alberi
scricchiolavano dal gelo cadendo e spezzandosi, i fiumi erano ghiacciati,
gli uccellini si rifuggiarono nelle case sperando di ricevere un po' di
briciole e un po' di calore. Una merla, che si era allontanata dal suo nido
per raccogliere provviste nel granaio ma a far ritorno fu sorpresa da
una vampata di neve, si rifuggio' nel comignolo di una casa e le sue piume
diventarono nere come la notte. Dopo tre giorni la neve cesso' di cadere
cosi' la merla pote' tornare al suo nido. I merlotti non la riconobbero e
la cacciarono via; lei cerco' di ripulirsi ma tutto fu inutile. Da allora,
tutti i merli divennero neri e gli ultimi tre giorni di gennaio si chiamano i
giorni della merla.
Buon Natale

Quest’anno, accipicchia, il freddo è


polare
anche per noi che viviamo in pianura
e pur coprendoci fino a esagerare
il ghiaccio ed il gelo ci fanno paura.
Ma se stiamo a casa c’è un bel calduccio

e col plaid di lana sopra il divano


vedendo il meteo del colonnello
Ferruccio
ci sentiamo meglio di un gran sultano.
Pensiamo al Natale e ne discutiamo,
abbiam fatto l’albero e pure il presepe,
parliamo di doni e di dove andiamo,
se nel timballo ci va o no il pepe.
Ma vi prego fermiamoci solo un
momento
e attenti osserviamo la capannella,
cambiamo pensiero e con struggimento
concentriamoci ora sulla buona novella.
Quel piccolino sulla paglia adagiato
che tanti han visitato con devozione
col sangue ogni peccato ha cancellato
e merita certo la nostra attenzione.
Pacchi, pacchetti, un pranzo regale,
nemmeno il tempo di una preghiera,
ecco che cosa è diventato il Natale :
abbiamo smarrito la strada più vera.
Quest’anno facciamo qualcosa di nuovo,
preghiamo per i paesi distrutti da
guerre,
pei bimbi che non mangiano neppure un
uovo
perché possano vivere in fertili terre.
Priviamoci appena di una fettina
di ciò che abbiamo e doniamola loro,
Gesù Bambino già domani mattina
ci riempirà il cuore con un grande
tesoro.
I re passavano a cavallo

I RE passavano a cavallo
NEl loro regno di cristallo,
I RE solenni, biondi e maestosi,
NEri, terribili e luminosi.
I RE tonanti sui loro destrieri
NEi loro lunghi abiti austeri,
I RE che andavano a far la guerra
NE' sulla luna, né sulla terra.
I RE lontani dalle regine,
NErvosi e timidi come bambine,
I RE con tutti i trombettieri,
NE' troppo finti, né troppo veri.
Chiara è la notte

Chiara è la notte,
Chiara è la luna,
Chiara la luce della laguna,
Chiara la neve, chiara la nave,
Chiara la spuma in alto mare.
Chiara la piuma del gabbiano,
Chiara la coda dell'aeroplano,
Chiara la linea dell'orizzonte,
Chiara l'acqua della fonte.
Chiara la voce della sera,
Chiara la cera della candela,
Chiara la lacrima di nostalgia
quando la mamma spegne e va via.
Linda

Viveva, tempo fa, in un regno del nord Europa la bella


Linda. Abitava in una delle tante piccole casette
costruite all'interno delle mura del regno di Re
Goodman e qui si guadagnava da vivere tagliando e
cucendo, giorno e notte, bellissimi abiti per la corte
del Re; Linda infatti era una sarta, anzi, la sarta più
brava di tutto il regno, tanto che la fama della sua
abilità nel cucito era arrivata ai regni vicini. "La "bella
Linda" tutti la chiamavano, perché era davvero una
bella ragazza dai lineamenti del viso gentili, dolcissimi
occhi color nocciola e capelli così particolari che
nessuno ne aveva mai visti di simili, di un rosso così
caldo ed intenso che tutti li definivano capelli "color
tramonto". Abitava con lei la vecchia zia Adele, che
l'aveva cresciuta da quando, come le raccontò, i suoi
genitori morirono travolti da un calessino trainato da
un cavallo imbizzarrito, e le aveva insegnato le arti del
cucito. Era una fredda notte d'inverno, Linda cuciva
vicino al camino:
"E' mezzanotte passata, sono più di sei mesi che
lavori quasi senza sosta su quell'abito! Riposa un po'!"
disse zia Adele a Linda.
"Adesso, adesso lo metto da parte" rispose Linda
senza convinzione e continuò a cucire.
"Certo che è proprio un bell'abito, ma perché proprio
color pesca?" chiese zia Adele.
"Perché è il mio colore preferito e sono riuscita a
farlo piacere anche alla principessa Zaira" rispose
Linda.
"Sembra che quell'abito lo stia confezionando per te,
bambina mia" continuò zia Adele.
"Magari zia! Ma questo è un abito da nozze regali, non
è adatto ad una povera sarta come me" concluse.
E l'abito era davvero bello, color pesca, ricco di seta,
pizzi e merletti; l'avrebbe indossato la principessa
Zaira, la maggiore delle due figlie del Re Goodman, il
prossimo aprile in occasione delle nozze compromesso
sposo dall'infanzia, il principe Oscar del Bluesky,
unico figlio dei Signori del Bluesky. Re Goodman era
un buon sovrano e adorava le sue due uniche figlie,
Zaira e Maura, non particolarmente buone ne belle ed
entrambe in età da marito. Quella sera, seduto in loro
compagnia vicino al grande camino, fingendo di leggere
un libro le ascoltava parlare sotto voce:
"Oh cara! Certo che sei proprio fortunata! Oscar è
proprio un bel giovane, educato e unico erede del
meraviglioso regno del Bluesky!" disse Maura.
"Si, lo so, ma tu puoi esserlo altrettanto, cara; ho
notato che Eduard usa verso di te delle maniere fin
troppo cortesi, oserei dire che gli piaci, e pure molto!
Devi solo assecondarlo un po'" le rispose Zaira con un
sorrisetto malizioso stampato sulle labbra.
"Oh! Il cielo lo voglia!" sospirò Maura.
Sir Eduard di GreenMountain era quasi un fratello per
Oscar; primogenito del nobile e ricco Conte di
GreenMontain, era un giovane bello e simpatico; erano
spesso ospiti l'uno dell'altro ed il Re e la Regina del
Bluesky amavano Eduard come l'altro figlio che non
avevano mai avuto. Il divertimento più grande dei due
amici a Bluesky era stato fin da piccoli quello di dare
noia alla pazza che viveva nella parte più alta del
castello e che parlava solo col mago di corte, il buon
Crisante, mentre a GreenMontain si divertivano a
giocare a tiro con l'arco col bucato delle povere
lavandaie. Erano ormai entrambi dei giovanotti e, un
po' spinti dai genitori, prossimi al matrimonio. Oscar
si sarebbe sposato in primavera con la principessa
Zaira e Eduard, più per saldare il vincolo con l'amico
che per vero amore, faceva una corte distratta a
Maura. Spesso nei lunghi pomeriggi d'inverno i quattro
giovani si riunivano nella grande sala dei giochi del Re
Goodman: Zaira dava sfoggio della sua mediocre
abilità nel suonare il piano, accompagnata dalla sorella
altrettanto presuntuosa e mediocre nel cantare.
"Brave! Mi mandate in estasi" disse Oscar.
"Si, anche a me, e quando riuscirete a distinguere le
sette note, sarà davvero il paradiso!" sghignazzò
Eduard verso l'amico.
"Voi siete proprio incorreggibile!" esclamò stizzita
Maura verso Eduard.
"Ma cara, sapete bene che mai ho udito una
esecuzione che eguagli quella delle Vostre due
Altezze!" rispose lusinghiero Eduard per farsi
perdonare, quando si sentì bussare alla porta ed un
servitore annunciò.
"Vostra Altezza Zaira è attesa per provare l'abito
nuziale".
"Dì a Linda di attendermi nelle mie stanze" ordinò
Zaira.
"No, ti prego! Fai portare il vestito qui, voglio
mostrarlo a Eduard" esclamò Maura e Eduard, benché
non avesse la minima curiosità di vederlo, per
compiacerla disse:
"Si, di grazia. Lo vorrei ammirare!".
"Vi accontenterò a condizione che Oscar esca dalla
stanza" disse Zaira e poi rivolta ad Oscar continuò:
"Caro, potete uscire per qualche minuto?"
"Come voi desiderate" le rispose, ed uscì.
Poco dopo Linda entrò accompagnata da due servitori
che portavano un grande baule; fece un inchino ed
alzò il viso verso i presenti ma, non appena il suo
sguardo incontrò quello di Eduard, il cuore, senza
controllo, prese a batterle forte e, non riuscendosi a
controllare, arrosì in volto. Eduard, invece ebbe la
reazione contraria, il sangue gli si ghiacciò nelle vene,
smise quasi di respirare e fu preso da un pallore niveo
che cessò un po' quando la voce di Zaira, accortasi
delle reazioni dei due, lo fece trasalire:
"Buondì mia cara, hai fatto quelle modifiche allo
strascico?" chiese a Linda
"Si, Vostra Altezza, e ho portato qui il disegno
dell'acconciatura" e togliendolo fuori dalla borsa
glielo porse e continuò:
"Sono dei nastri da inserire tra le trecce che formano
lo chignòn, con dei piccoli fiori di pesco appuntati qua
e là fra i capelli" spiegò.
Zaira lo guardò un secondo poi, consegnandolo alla
sorella, disse sprezzante:
"Guarda Maura, non lo trovi di pessimo gusto?"
Maura lo guardò e, pur piacendole, per assecondare la
sorella disse:
"Concordo con te sorella nel dire che è
un'acconciatura adatta ad una contadina, guarda
anche tu, Eduard " e gli consegnò il foglio.
Lui lo osservò attentamente, si meravigliò dell'abilità
e dell'arte con cui era stato fatto il disegno e
sentenziò:
"Trovo che sia una delle più belle ed eleganti
acconciature che meritino di fregiare il capo di una
bella dama, la semplicità ne esalta l'eleganza e l'idea
dei fiori è una felice allegoria della freschezza della
giovane sposa. Mi complimento con Voi, donna Linda"
concluse Eduard guardandola con occhi innamorati, e
subito Linda ringraziò con un inchino mentre il suo
cuore continuava a palpitare, gonfio d'amore.
"Acconsento che questa sia l'acconciatura, solo per
l'affetto e la stima che nutro per Voi, Eduard; ora per
favore scusateci, continueremo le prove dell'abito
nelle mie stanze" e senza aspettare cenno di risposta,
Zaira girò di spalle e uscì dalla stanza seguita da
Maura, i due servitori e Linda che non potè fare a
meno di voltarsi un attimo per vedere, una volta
ancora, il bell'Eduard, che la fissava incantato.
Era stato amore a prima vista, Linda vestita di un
grazioso abito verde era bellissima e col suo sguardo
dolce, aveva incantato Eduard che, spinto da una
forza misteriosa, sentiva già di esserne perdutamente
innamorato.
Subito Eduard corse dall'amico; lo trovò in biblioteca
intento a leggere un libro:
"Mi sono innamorato!!" gridò all'amico, chiudendo la
porta alle sue spalle.
"Finalmente!!!!" esclamò Oscar "E posso sapere qual è
stata l'astuzia femminile che Maura ha ingegnato per
darti il colpo di grazia?"
"Uno sguardo, solo un sguardo e il mio cuore è stato
subito di Linda" sospirò Eduard
"Linda?" chiese stupito Oscar
"Si! Un angelo dai capelli color tramonto! Ah!" e
sospirando nuovamente si accasciò su un sofà e
raccontò all'amico le circostanze dell'innamoramento.
La sera sul tardi, Linda raccontava a zia Adele le
stesse cose con uguale trasporto:
"Toglitelo da quella testolina! Questo incontro non ti
porterà nulla do buono!" la rimproverò zia Adele.
Passò qualche giorno ed Eduard, preso dalla voglia di
rivederla, con l'aiuto di Oscar cercava un modo per
avere sue notizie, ma a nulla erano valse le domande
alle due sorelle o ai servitori: nessuno aveva
informazioni sulla sua amata. In verità Zaira
sospettava sull'interessamento di Eduard nei
confronti di Linda e con ogni stratagemma impedì che
i due si potessero incontrare. I due amici, così, ogni
mattina presero l'abitudine di girare a cavallo per le
vie del regno, ma Linda era sempre chiusa in casa a
lavorare e a nulla valsero i loro sforzi. A Oscar venne
in mente un piano: chiese alla madre, la regina del
Bluesky, di mandare un biglietto a Zaira con la
personale richiesta di far venire alla sua corte la
sarta Linda per farle confezionare un abito.
"Che sventura! Non posso rifiutare" disse stizzita
Zaira a Maura dopo aver letto il biglietto.
"Purtroppo per me, dovrai esaudire la richiesta di sua
maestà la regina" disse sconsolata Maura
"Non è ancora detto, ci sarebbe un modo per
evitarlo…" disse misteriosa Zaira e si sedette
silenziosa accanto alla sorella, poi continuò:
"Se la poveretta dovesse fatalmente morire, io sarei
sciolta dall'impegno e i nostri guai sarebbero finiti!"
eclamò trionfalmente Zaira.
Maura tacque pensierosa, e pochi minuti dopo già le
due sorelle avevano tramato il modo per uccidere
Linda; trascorsero l'intera notte in una delle torri del
castello dove viveva la perfida strega Dolores: era
davvero brutta, vestita con un abito grigio e consunto,
aveva grigi capelli crespi sciolti sulle spalle, viso
rugoso con occhi neri, semichiusi, e la bocca
sormontata da neri e lunghi pelacci; aveva sempre
vissuto lì, allevata e istruita dallo stregone Maal,
morto anni prima.
"Vogliamo che Linda la sarta muoia domani" dissero in
coro le sorelle a Dolores
"Vi posso esaudire, ma avrò bisogno di un suo oggetto
personale" rispose Dolores
"Ecco!" disse Zaira porgendole un paio di forbici che
Linda aveva scordato l'ultima volta che era stata a
palazzo.
"Bene, stanotte dovrete aiutarmi a preparare il
maleficio" e così dicendo le condusse in una parte
della stanza dove si trovava un grande pentolone,
accese il fuoco e ci mise dentro le forbici, acqua,
aglio, un dente cariato di Maal, polvere di lucertola
essiccata al sole mentre schiacciava un pisolino,
capelli di giullare morto dal ridere e sbadigli di
sentinella morta di sonno, e così, facendo i turni, le
tre passarono la notte a mescolare quella brodaglia
nel pentolone ripetendo:
"LA MORTE CHE PRESTO VERRA'
CON FORBICI DI SARTA
LA SUA VITA RECIDERA'"
All'alba Dolores tolse le forbici dal pentolone, le fece
raffreddare e le consegnò a Zaira che subito le ripose
in un cofanetto e le consegnò ad un servitore
orinandogli di portare immediatamente il cofanetto a
Linda. Linda ricevette le forbici, le prese in mano e
subito:
"Ahi! Mi sono punta!" urlò, e a nulla valsero gli sforzi
di zia Adele, del medico e dei vicini accorsi: il sangue
continuò a uscire senza rimedio fino a quando, ormai
esangue, la povera Linda spirò nel suo letto. La notizia
della sua morte fece presto il giro di tutto il regno e
giunse anche nel Bluesky, portata da un biglietto di
scuse di Zaira per la regina, nel quale la informava che
la sua sarta era venuta meno e che avrebbe fatto in
modo di trovarle, al più presto, un'altra sarta ancora
più abile.
Quando Eduard apprese dall'amico la triste notizia,
fuori di sé, montò sul suo cavallo e cavalcò per ore; poi
tornò, e come un fulmine si diresse nelle stanze di
Crisante. Lo trovò come al solito, in compagnia della
pazza, che dava da mangiare ai piccioni viaggiatori:
"Ti prego, devi assolutamente aiutarmi!" lo implorò
Eduard gettandoglisi ai piedi.
"Alzati Eduard" gli disse amichevolmente aiutandolo a
sollevarsi"Spiegami cosa è successo"
"Devi riportare in vita la donna che amo, per favore!
La mia vita non ha più senso senza di lei!" disse
scoppiando in lacrime.
"Farò quello che mi chiedi ma devi portarmi una ciocca
dei suoi capelli" gli disse e Eduard, senza rispondergli,
corse via accompagnato da Oscar e giunse nel regno di
Re Goodman la sera stessa:
"Dove si trova la casa della sarta Linda?" chiedevano i
due a tutte le persone che incontravano per le vie del
regno, fino a quando un bambino rispose:
"E' proprio in fondo a questa strada" e, in un tiro di
schioppo i due furono lì; si fecero largo fra la gente e
scorsero Linda, bellissima, adagiata sul letto ricoperto
di fiori profumati:
"Linda, amore mio!" disse tra le lacrime Eduard
stringendola a sé mentre Adele li guardava incredula,
poi prese le forbici, le stesse che l'avevano uccisa, e
le tagliò una ciocca di capelli, poi rivoltosi ad Adele:
"Voglio che sia lasciata qui sino al mio ritorno" disse e
ripartì con l'amico.
A notte inoltrata Eduard consegnò la ciocca a
Crisante che, appena la vide, sbiancò in viso mentre la
pazza, che era lì, scoppiò a gridare:
"Fiamma! Fiamma!" e a strapparsi i capelli graffiandosi
nello stesso tempo il viso; venne subito legata e
Crisante disse:
"Vi spiegherò" e si rinchiuse nel suo laboratorio a
preparare strani intrugli e a recitare formule magiche
per tutta la notte. All'alba uscì, si sedette vicino ai
due amici e disse:
"La ragazza è stata vittima del maleficio delle forbici
che sono state usate per reciderle la ciocca, e presto
si risveglierà, ma c'è una storia che devo raccontarvi:
vent'anni fa, il principino Oscar che aveva due anni,
giocava nel prato vicino al fiume con la tata e sua
sorella gemella Fiamma"
"Sorella?" ripetè, sbiancato in viso, Oscar
"Si , Oscar! Tu avevi una sorella dai capelli color
tramonto proprio come questi" disse Crisante
mostrando la ciocca
"E poi cosa successe?" chiese Eduard ansioso
"La buona tata non si accorse che Fiamma si era
avvicinata troppo al fiume, se non quando era troppo
tardi, e la vide caderci dentro; dal giorno non si seppe
più nulla della bambina e si credette che fosse
annegata e trascinata chissà dove dalla corrente. I
tuoi genitori, Oscar, vinti dal dolore, ordinarono che il
nome di Fiamma non venisse più fatto, e, questa
povera pazza è stata la tua tata!".
"Quindi Linda è Fiamma!! Devo correre a dirlo ai miei
genitori!" esclamò festante Oscar e, prima di andare
disse all'amico:
"Ora hai la tua principessa!"
Eduard rimase per un po' senza parole, poi decise di
tornare dalla sua amata, ormai ristabilita; la baciò e le
raccontò la storia della sua vera identità confermata
dal racconto di Adele sul suo ritrovamento sulle rive
del fiume.
Linda, anzi, principessa Fiamma, tornò a casa nel
Bluesky festeggiata da tutti, ma non vi dimorò a lungo,
perché presto sposò Eduard, indossando l'abito color
pesca, e andò a vivere con lui nel GreenMountain.
Oscar riuscì a smascherare le trame di Zaira e Maura
che vennero rinchiuse a vita in convento…ma Oscar
riuscì a trovare moglie? Si! E' colei che vi ha
raccontato questa storia!
Fermo e Scappa

C'era una volta un ragazzino molto sveglio e che stava


sempre in movimento, come una trottola. Andava e
veniva in continuazione e correva e saltava… insomma
era un vero terremoto. Aveva un solo grande problema
al mondo… il suo ridicolo nome. Infatti, si chiamava
Fermo. Vi immaginate? Dovunque andasse, sentiva
pronunciare il suo nome. Vigili che vedendo ragazzini
in motorino senza casco gridavano "fermo!" e lui si
girava pensando che lo stessero chiamando. Un
ragazzino con il suo cane giocavano al parco ed il cane
si allontanava troppo? "Fermo!" gridava il ragazzino al
cane… e lui ci ricascava! Insomma la faccenda era
diventata insopportabile! "Fermo!" - gridava una
madre al suo bambino che stava attraversando la
strada da solo - e lui sempre si voltava. Alla fine non
ci badava neanche più e tutti quelli che lo chiamavano
sul serio pensarono che fosse diventato sordo o che
non volesse più avere a che fare con loro. Un giorno
era particolarmente in vena di correre e, correndo
correndo, si ritrovò nel bosco. Un bosco pieno di
alberi alti e maestosi. Arrivato in una piccola radura si
ritrovò di fronte ad un signore alto, ma così alto, che
sembrava un albero pure lui. Anzi, guardandolo bene,
Fermo vide che non aveva i piedi e che le sue braccia
assomigliavano proprio a rami ed erano pure ricoperte
di foglie. La sua voce era bella e profonda e disse:
"Ciao, ragazzino. Come ti chiami?" E Fermo rispose:
"Il mio nome è Fermo, Signore. E lei? Come si
chiama?" "Oh mio caro Fermo, io non ho più un nome!
Da quando una strega mi ha trasformato in albero
nessuno mi chiama più e vorrei tanto parlare con
qualcuno, ogni tanto. E invece, gli unici che mi vengono
a trovare sono i cani randagi. Si avvicinano, alzano la
zampa, mi fanno la pipì sui piedi e se ne vanno tutti
contenti! Sono felice che tu sia qui, oggi. Almeno la
mia solitudine qui nel bosco è meno grande."
"Signore", rispose Fermo "io sono molto felice di
poterle fare compagnia. Sa, anch'io ho un problema.
Con il nome che ho, non è che sia tanto facile fare
conversazione. Ogni volta che mi dicono 'Fermo' non
so mai se mi stiano chiamando o se vogliono che stia
buono." Il ragazzo e il signor Albero, come Fermo lo
chiamò da quel giorno, diventarono grandi amici e si
videro spesso. Parlavano dei tempi in cui il signor
Albero era un re rispettato e giusto e di quando, un
giorno, egli incontrò la strega cattiva, mentre era nel
bosco, e come questa, tramutatasi in ruscello, gli
avesse fatto bere dell'acqua avvelenata, che lo
tramutò in albero e gli fece dimenticare il suo stesso
nome. Il signor Albero era molto gentile ed educato e
non fece mai nessun gioco di parole con il nome del
ragazzo. Anzi, evitava di pronunciare 'fermo',
utilizzando altre parole come "buono" o "quieto" o
"stop!" o "alt!" e lo chiamava semplicemente 'ragazzo'.
A quel tempo, in città, viveva anche una ragazzina
molto carina ma anche molto, molto pigra. La sua
principale attività era quella di stare in poltrona a
leggere favole mangiando enormi gelati. Che disgrazia,
però, era il suo nome! Difatti, ella si chiamava Scappa.
Ve lo immaginate? Quando un ragazzino senza casco
passava davanti ad un vigile, il suo compagno gli
gridava "scappa!" e lei si girava. Quando un altro
tirava la palla al suo cane per fargliela prendere e gli
diceva "scappa!" lei ci ricascava… Insomma, anche lei
non ne poteva più! Un giorno Scappa, vincendo per una
volta la sua innata pigrizia, si mise a passeggiare
senza meta, pensando al destino che gli aveva dato un
nome così ridicolo. Camminando camminando, Scappa si
ritrovò proprio nel bosco, mentre Fermo stava
parlando con il signor Albero. Fermo, sentendo il
rumore che i passi di lei facevano sulle foglie cadute
si voltò, pensò che non aveva mai visto una ragazzina
più carina di quella e se ne innamorò subito. Lei pure si
disse che quel ragazzino con gli occhi grandi non era
per niente male, anzi!. Fermo disse: "Ciao, io sono
Fermo e tu?" E lei: "Lo vedo che sei fermo, mica sono
scema, come ti chiami, piuttosto?" "Ehi, non
cominciamo!" - disse lui - "Non stavo dicendo che sono
immobile. Il mio nome è Fermo. E il tuo?" "Scappa"
rispose lei semplicemente. Non lo avesse mai detto!
Fermo fuggì terrorizzato, pensando che dietro di lui
ci fossero un lupo o un orso o tutte e due gli animali
feroci assieme. Lei gli gridò dietro: "Ma dove vai? E' il
mio nome! Scappa è il mio nome!" Fermo tornò
indietro, si guardarono negli occhi e si misero a ridere
e risero tanto che anche il signor Albero, che era
sempre molto serio, iniziò a ridere. Nel farlo muoveva
le braccia e le foglie facevano un bellissimo rumore,
come di campanelle. Parlarono e risero a lungo dei loro
nomi. Si prendevano in giro e più lo facevano più si
innamoravano l'uno dell'altra. Il signor Albero suggerì
loro di fare una cosa che gli innamorati facevano da
tempo immemorabile. Incidere nella corteccia del suo
lunghissimo tronco i loro nomi. Essi lo fecero e
Scappa, per finire, disegnò un bellissimo cuore intorno
ai nomi, attraversato da una lunga freccia. Appena
ebbe finito, si alzò un vento fortissimo, tanto forte
che la polvere sollevata entrò negli occhi di tutti e
due i ragazzini, impedendogli di vedere. "Fermo!"
chiamò lei e lui rispose: "Non scappo mica via,
Scappa!". "Voglio rimanere con te, Fermo!" "Ma se ti
ho detto che non scappo, Scappa!"… e sarebbero
andati avanti così per un sacco di tempo fino a che il
vento cessò di colpo e, aprendo gli occhi si ritrovarono
mano nella mano… e videro che il signor Albero non
c'era più… Era sparito! Al suo posto c'era un signore
molto meno alto con i piedi, le braccia ed una
bellissima corona in testa. "Grazie, ragazzi" - disse -
"con il vostro amore mi avete salvato. Il sortilegio
della strega è stato sconfitto per sempre" disse il
signore. Poi, con un inchino, si presentò. "Io sono Re
Sta e, per favore, non cominciate a dire - resta qui o
resta lì, fermo là o scappa su - altrimenti mi viene
subito il mal di testa". E risero di nuovo a crepapelle
tutti e tre. Ritornarono insieme in città, dove il Re
Sta riprese a fare il re e Fermo e Scappa, avendo
capito che non è il nome che fa una persona, ma quello
che c'è dentro di essa, dopo tanto tempo si sposarono
ed ebbero due bambini. Uno lo chiamarono Su e l'altro
Giù. Ma questa è un'altra storia…
Ivy e i piccoli folletti

C'era una volta una bimba con grandi occhi blu e


morbidi riccioli color del rame che abitava in una
casetta che si trovava in un immenso bosco pieno
di alberi grandi e di animali di ogni specie. La
bimba viveva con la sua mamma e il suo papà ma
purtroppo non aveva amici con qui giocare e
divertirsi; il suo papà si alzava molto presto la
mattina per andare a badare agli animali, la
mamma aveva sempre molte cose da fare in casa e
lei poverina si annoiava da morire. Un giorno
vagando per il bosco sconsolata e senza far nulla si
ritrovò a parlare da sola chiedendosi cosa mai
avrebbe potuto fare per poter divertirsi un po';
ma mentre parlava bla…bla…bla… sentì come degli
strani suoni attorno a lei, un po' impaurita girò lo
sguardo intorno per capire cosa stesse
succedendo ma non vide nulla e così pensando che
magari era stata una sua impressione continuò a
camminare e parlare blablabla…..blablabla….. ma
ecco di nuovo quegli strani suoni, ma cosa
succede? Rimase ferma immobile e ad un tratto
vide saltare fuori qualcosa dai cespugli, erano
piccoli e colorati saltavano da un fiore all'altro di
qua e di là; che carini, erano dei piccoli gnomi con i
loro cappuccetti colorati di rosso di giallo di verde
e si divertivano come pazzi! La bimba voleva
afferrarli tutti, loro gridavano un po' per paura e
un po' per divertimento perché non era la prima
volta che vedevano quella dolce bimbetta andare
per boschi, ed era stata tanta la tenerezza
suscitata in loro che decisero di apparire per farle
un po' di compagnia. Uno di loro che si chiamava
follettino pinciolino gli saltò sulla manina e gli
disse "ciao piccolina che cosa fai nel bosco e come
ti chiami?" "Io mi chiamo Ivy e vengo sempre a
giocare qui nel bosco; a casa mi annoio e nessuno
vuol divertirsi con me ma adesso devo scappare la
mamma mi chiama, ciao folletto pinciolino!" Appena
a casa la mamma le chiese dove fosse stata , la
bimba le disse che era andata nel bosco ma non
raccontò dei folletti. Il giorno dopo Ivy andò
nuovamente nel bosco e incominciò a chiamare il
folletto ma lui non rispondeva e lei continuava a
chiamare ma nulla; ad un tratto poco lontano vide
tanti uomini con grosse seghe che gridavano
"coraggio oggi dobbiamo tagliare almeno cinquanta
alberi". La bimba disse gridando "fermi , non
tagliate gli alberi lì ci vivono i folletti"! Il capo dei
tagliaboschi scoppio a ridere e disse " ma piccola
credi ai folletti; loro vivono solo nella fantasia di
voi bimbi ma nella realtà non esistono!" Ivy rispose
"Vi dico che ci sono ieri li ho visti , ci ho parlato" e
scoppiò a piangere. Si guardò in giro con la
speranza di vedere follettino pinciolino; ma nulla e
così continuando a guardare tra i cespugli lo
chiamava con tutta la voce che aveva in gola ma
niente da fare . Vagando di qua e di là alla ricerca
dei folletti ad un tratto si accorge che qualcosa
andava storto ai boscaioli, infatti loro sistemavano
la sega ma questa ad un tratto si spostava, si
perdevano gli attrezzi da lavoro, insomma i poveri
boscaioli non riuscivano a capire che stesse
succedendo ma Ivy sapeva benissimo che tutto ciò
era opera di quelle strane creature e allora sgranò
gli occhi e scoppiò a ridere. I boscaioli non si
rendevano conto, erano strabiliati e
arrabbiatissimi, ma ad un tratto follettino
pinciolino saltò sul naso di uno di loro e disse " che
peccato abbattere questi alberi, loro s ono utili a
voi uomini perché vi fanno respirare aria più pura,
loro sono utili alla natura, loro sono belli e
immensi. Il boscaiolo rimase immobile senza poter
dire una parola incantato da quella strana
creatura, credette di sognare e disse "ma non può
essere, i folletti non esistono; cosa diavolo sta
succedendo!". Ivy divertita e felice saltellava dalla
gioia; il capo dei boscaioli prese follettino
pinciolino e lo adagiò sul palmo della sua mano e
con voce tremante disse "stupenda creatura
questo è il tuo regno, questo è tutto ciò che
appartiene a voi abitanti del bosco, ma credimi
purtroppo gli alberi servono a fare tante cose utili
all'uomo non posso non abbatterli, ma non voglio
neanche distruggere il mondo dove voi sieti nati,
come posso fare?" Ad un tratto si sentì un'altra
voce forte e secolare parlava l'albero più anziano
del bosco "Ascolta boscaiolo, sono secoli che io
vivo e sono stato molto bene qui ma ormai sono
vecchio e stanco e come me tanti altri alberi;
butta giù noi che abbiamo già vissuto abbastanza,
questo è il circolo della vita, ogni cosa ha un inizio
e una fine ed è giusto che sia così!" Ci fu uno
strano silenzio attorno, si sentivano solo strani
sfruscii e il battere d'ali delle farfalle; era la
natura che parlava, furono momenti di intensa
emozione e per una volta non era stato l'uomo ha
decidere ma la vita stessa di ogni essere vivente
che circonda il nostro vivere! Ivy tornò a casa
felice, quell'esperienza le aveva insegnato tante
cose, non si sentiva più sola; aveva capito che ogni
cosa e ogni persona al mondo esisteva per un suo
scopo, e capì che se voleva avere un po' di
compagnia bastava andare nel bosco e in silenzio
ascoltare……………….!!!!!!

PANDOLFO PIE' DI ZOLFO

Era il dì lunedì cantò il gal chicchirichì.


E' così che fu svegliato Sir Pandolfo il
gran soldato. Con l'elemetto e
l'armatura cominciò la sua avventura,
con la spada messa al fianco salì sul
cavallo bianco. Intraprese il suo
cammino fino al regno lì vicino dove,
tutti avean detto, c'era un mostro
maledetto e la domenica mattina si
mangiava una bambina, come pan con
marmellata.
... Solo una ne è restata.
La più piccola lei è delle tre figlie del
Re. "Ah che gran maledizione" piange la
popolazione; "così triste è la sorte" è
quel che si dice a corte. Il Re intanto,
disperato, un editto ha emanato:
SARA' DATA OGNI RICCHEZZA
A CHI COMPIE LA PRODEZZA
A COLUI CHE CON MAESTRIA
SALVERA' LA BIMBA MIA
Arrivati a venerdì il gran drago è
ancora lì, urla forte e col suo fiato
tanti prodi ha già bruciato. Ride, ride e
con la zampa schiaccia chi incauto
avanza. Con la coda fa volare chi lo
prova ad assaltare. Ma torniamo a
Padolfo ed al forte odor di zolfo che
dal piede suo sale quando leva lo stivale.
Nelle notti del cammino ogni erba lì
vicino per la puzza appassiva mentre lui,
seren, dormiva e poichè per tutto il
viaggio veder acqua fu miraggio, il
piedone di Pandolfo ancor più darà di
zolfo.
Di domenica, al mattino, arrivò al suo
destino. Superato il ponte in legno il
soldato entrò nel regno Cavalcando il
suo destriero calpestò il suol straniero
e quel che a lui si presentò di spiegarvi
tenterò. C'eran tante bancarelle con le
loro merci belle e la gente, mamma mia!!
che veloce andava via; verso casa, nelle
stalle, al ripar delle cavalle. Anche il
cane e la gallina si nascosero in cantina
mentre il porco Grugnostorto fece
finta d'esser morto. Corse il prè dalla
badessa al finire della messa e anche
gli uomini più forti si nascoser nelle
corti mentre il gallo Zampalesta sotto il
fieno zitto resta. In men che non si
dica, nelle vie non ci fu vita, nelle case
fu paura scoccò l'or della tortura. Cielo
e terra, tremò tutto, al venir del drago
brutto. Canticchiava uno stornello sulla
strada del castello:
E’ domenica mattina
a colazione una bambina
uno due, un due tre
questa volta tocca a te.
Questa volta dopo messa
mangerò la principessa
delle tre la più piccina
ed il re va in rovina
questo non importa a me
uno due, un due tre.
apri presto quel portone
che ti mangio in un boccone
proprio a te oggi tocca
dolce bocca d'albicocca
uno due, un due tre
questa volta tocca a te!
Visto questo Sir Pandolfo, con la sua
puzza di zolfo, alla tana andò del
mostro per attenderlo nascosto e
tirargli un bel tranello al ritorno dal
paesello. Ahimè questi tornando la
presenza andò fiutando di Pandolfo
intraprendente con il piede puzzolente
e, nascosta la bambina nella grotta lì
vicina scoprirà il soldato in un cespuglio
riparato. Grande fu la sicurezza,
decisione ed esattezza di Pandolfo nel
lanciare al bestione un alveare. Salti,
pianti e grande urlare e Pandolfo andò a
scalciare così forte da far volare e di
schiena atterrare. Per effetto del
rimbalzo lui, Pandolfo, restò scalzo ed
un piede, guardacaso, finì proprio sotto
il naso del dragone dolorante steso al
fianco agonizzante. Al sostegno
puzzolente non ci volle proprio niente a
stecchire il monumento nel passare di
un momento col suo acre, forte odore
senza fare alcun rumore. Il vento, poi,
la puzza prese per portarla giù al paese
attirando l'attenzione della gran
popolazione. Fu così che la gente, per
scoprir l'odor fetente, salì fino alla
collina ritrovando la bambina, il dragone
avvelenato e Sir Pandolfo
addormentato. Ci fu festa per sei
giorni con ciambelle e suon di corni. Sir
Pandolfo fu osannato e dal Re poi
premiato. Grandi dame e cavalieri
tintinnarono i bicchieri e non per scelta
e non per caso ben tappato avean il
naso, così chiuso in sofferenza fino al
dì della partenza quando, con starnuti
vari, fecer festa anche le nari che con
Pandolfo acclamato anche il puzzo se ne
è andato.

STRETTA LA FOGLIA LARGA LA VIA


DITE LA VOSTRA CHE HO DETTO LA
MIA
E' successo a Sciacca

A sciacca, abitava una bella famigliola formata


da 4 persone: Papà, Mamma e i loro due
bambini Paolo e Rossella. La mamma aveva
l’abitudine di uscire ogni giorno per andare al
supermercato a fare la spesa, infatti, ogni
giorno appena arrivava a casa il papà,
rivolgendosi ai suoi figli diceva: "Paolo e
Rossella restate un pochino con papà che la
mamma va al supermercato a comprare il
prosciutto". Il giorno dopo, stessa storia:
"Paolo e Rossella state un poco con papà che la
mamma va un momento a comprare il salame" e
così via per tutta la settimana. Dopo qualche
giorno che la storia si ripeteva, alla solita
frase della mamma, Paolo gli rispose: "mamma,
ma al posto di comprare le cose una alla volta,
non le puoi comprare tutte insieme ed eviti
così di andarci più volte?". La mamma, in un
primo momento resto’ a bocca aperta, poi con
un sorriso rispose: "vero, Paolino, da domani
faro’ così". Ma dopo qualche giorno, la mamma
riprese il solito hobby, quello di fare la spesa
giornalmente. Un giorno, mentre la mamma era
fuori a fare shopping, Paolo disse a papà:
"Papà, facciamo un dolce così appena viene la
mamma le facciamo una sorpresa?". "Buona
idea" replicò il papà ed iniziarono: ½ kg di
farina, tre… quattro… cinque uova, "Paolo
prendi l’acqua", "papà prendi lo zucchero",
insomma chi più ne aveva più ne metteva. Tutto
ad un tratto, Rossella che aveva appena 1 anno,
con le sue dolci manine, tira la tovaglia e
splash… tutto per terra. Rimasti in silenzio per
qualche minuto, papà e Paolo si misero a pulire,
ma più pulivano più casino combinavano: dolce
attaccato alle pareti, olio per terra, farina
sulle sedie ect…. Nel frattempo rientrò la
mamma con in mano una busta di latte che
aveva appena comprato, apre la porta e nel
vedere il tutto si mise le mani tra i capelli e
gridò: "AHHHHHH!!! cosa avete combinato!".
Paolo ed il suo papà non avevano nemmeno il
coraggio di fiatare e prima l’uno poi l’altro si
ritirarono in camera da letto. La mamma non
potendo fare altrimenti si mise a pulire senza
mai smettere di lamentarsi e rimproverare
Padre e figlio. Da quel giorno in poi la mamma
fa la spesa una volta a settimana, e quando
Paolo ed il suo Papà non sono in casa.

P.S. dopo ogni racconto mia nonna diceva


sempre: “Favula ritta, favula totta lu nasu toi
appizzatu a la potta”.

Il piccolo pesciolino
C'era una volta, tanto tanto tempo fa in un mare
lontano, un piccolo pesciolino, molto piccolo e molto
colorato. Vagava per i sette mari alla ricerca di
tranquillità, dato che tutti i pesci più grossi di lui
volevano mangiarselo. Un giorno incontrò un grande
squalo, forse il più grande di tutti i sette mari, si
avvicinò a lui e con un filo di voce gli chiese se poteva
difenderlo dagli altri pesci più grandi di lui. Lo squalo si
girò per vedere chi era che parlava, quando scorse un
piccolissimo pesciolino, si mise a ridere e gli chiese:
"perché non posso mangiarti io?". Il pesciolino rispose:
"non riusciresti neanche a sentire il mio gusto, invece io
posso accompagnarti per i sette mari alla ricerca di
cibo". "Va bene" esclamò lo squalo. Girovagando per i
sette mari un bel giorno arrivarono vicino a una
profondissima fossa di cui non si riusciva neanche a
vederne il fondo. Mentre i due amici scrutavano la
fossa all'improvviso uscì una gigantesca balena che alla
vista dei due pesci aprì la bocca e li mangiò in un
boccone. Il pesciolino piccolo molto spaventato
chiedeva allo squalo "ma dove stiamo andando?".
"Guarda che neanche io so dove finiremo" esclamò lo
squalo. All'improvviso in lontananza videro una lucina e,
avvicinandosi, notarono le figure di due persone. Ad un
tratto il pesciolino riconobbe una sagoma famigliare a
molti bambini: era Pinocchio. Il piccolo pesciolino chiese
a Pinocchio come mai era nella pancia della balena.
Pinocchio rispose che per salvare il suo babbo finirono
tutte e due nella pancia della balena, però oramai non
avevano più legna per scaldarsi tranne che due enormi
tronchi che erano gli alberi della nave dove erano
imbarcati. Il pesciolino si girò verso lo squalo e disse
"rompili tu con i tuoi denti che, se riusciamo a fare un
grande falò, forse riusciamo ad uscire tutti dalla pancia
della balena, però tu devi promettere che non cercherai
di mangiarti i nostri nuovi amici". Lo squalo diede il suo
assenso e cominciò a rompere i tronchi. Geppetto diede
fuoco a tutti i pezzettini di legno e un grande fuoco si
sviluppò nella pancia della balena, la quale cominciò a
tossire e sputare fuori tutto quel fuoco che aveva nella
pancia. Uscirono anche i nostri amici. A quel punto i
quattro abitanti della balena furono in mare aperto. La
balena fuggi via, ma lo squalo cominciò ad avere fame e
rivolgendosi verso Pinocchio e Geppetto disse ora ho
fame e penso che vi mangerò. Allora il pesciolino si mise
davanti allo squalo e disse "dovrai passare su di me per
mangiare i miei amici". Lo squalo si mise a ridere e aprì
la bocca in modo spaventoso, ma a quel punto arrivò la
fata dei sette mari e guardando il piccolo pesciolino gli
si rivolse con dolci parole "caro piccolo pesciolino il tuo
coraggio verrà premiato anche per tutto l'amore che
risiede dentro di te". Con un colpo di bacchetta magica
trasformò il piccolo pesciolino nella più grande balena
bianca di tutti i tempi, la quale mise in fuga lo squalo, e
salvò i due suoi nuovi amici portandoli a riva. Pinocchio e
la balena bianca si ritrovavano tutti gli anni nelle stessa
spiaggia, e Pinocchio chiedeva alla sua amica nuovi
racconti marini sulla caccia delle balene, ma questa è
un'altra favola.
La storia di Arlecchino

Gli amici di Arlecchino decisero di vestirsi in maschera


l'ultimo giorno di carnevale con gli abiti cuciti dalle loro
mamme. Arlecchino era triste perchè la madre, che era
vedova e povera, non poteva comperare la stoffa per il suo
vestito. Le mamme degli amici di Arlecchino le regalarono gli
avanzi di stoffa cosi' la mamma di Arlecchino potè cucirgli il
vestino. La mattina del martedi' grasso, quando Arlecchino
entrò in classe lo accolsero con un fragoroso applauso perchè
il suo vestito, non solo era il piu' bello ma anche il piu'
originale.
Il Natale di Lunetto

Lunetto aveva solo 3 mesi, ed era già una piccola


peste! Occhi tondi e vispi giallino-verdi, musetto
impertinente e pelo tigrato color miele; insomma
una simpatica canaglia quando non dormiva, un
dolce cuccioletto quando faceva la nanna! Era il
più giovane del gattile, era stato portato
piccolissimo, da un giovane uomo in una notte di
luna piena, a mamma Giulia. Lei era la bellissima
fanciulla che si occupava, insieme al papà
chiamato il MAESTRO dai paesani perché era un
bravissimo pittore, dei 28 gatti che abitavano nel
gattile, un' ampia e graziosa cascina costruita in
mezzo alle montagne non lontano dal paese. I mici
erano felici; mangiavano, dormivano, giocavano,
gironzolavano nei dintorni, e spesso
accompagnavano mamma Giulia a raccogliere i
frutti nel bosco per preparare gustosissime
marmellate, si acciambellavano affianco al
Maestro quando dipingeva vicino al caminetto nel
grande salone e aspettavano con ansia le visite
delle loro Madrine e Padrini. Le Madrine e i
Padrini dei gatti erano quei paesani che li avevano
raccolti per strada o salvati da qualche pericolo e
portati al gattile, oppure che li avevano adottati
in seguito, e che si erano tanto affezionati ai loro
micetti che li andavano spesso a trovare
portando cibo e giochi per tutti! Tutti i mici
avevano un padrino o una madrina, addirittura
CARLOTTA, una anziana gatta dal pelo di tanti
colori, aveva 2 madrine tanto era dolce e
benvoluta. Solo Lunetto non aveva né un padrino
né una madrina, perché abitava ancora da poco
nel gattile e delll'uomo misterioso che l'aveva
portato da mamma Giulia non si avevano mai avute
notizie. Di questo Lunetto soffriva molto ma non
lo diceva a nessuno e così, spesso, combinava guai
e faceva i dispetti ai suoi amici che però gli
perdonavano tutto perché era il piccolino del
gattile. " Ma come era fatto il mio padrino?"
chiedeva quasi ogni giorno Lunetto a mamma
Giulia. " Oh, era un bel giovane" gli rispondeva
mamma Giulia con gli occhi sognanti accompagnati
da un sospiro " E quando tornerà da noi?
Tornerà? Vero? Vero? Vero? Vero?" insisteva
Lunetto " Certo! Presto, piccolino mio" lo
rassicurava mamma Giulia " Si! Ma quando?
Quando?" continuava lui, balzando sulla tavola
apparecchiata per il pranzo " Ora basta! Scendi
subito da lì e va a lavarti le zampette che è quasi
l'ora di pranzo" diceva lei in un tono che non
ammetteva repliche, ma poi si pentiva subito, lo
prendeva in braccio, gli faceva tante coccole e gli
prometteva : " Se sarai buono, Babbo Natale ti
riporterà il tuo padrino". Si era arrivati al 24
dicembre e mamma Giulia e il Maestro erano
indaffaratissimi per i preparativi del cenone
della vigilia di Natale! C'era l'albero e la casa da
addobbare, i dolci da preparare, le calze da
appendere al caminetto, la grande tavola da
imbandire per tutti i mici e le loro madrine e
padrini, i collarini della festa da far indossare a
tutti i mici,…insomma…un bel gran da fare, e tutti
davano una mano…ops…una zampa! Lunetto come
al solito faceva il pestifero, giocava con le
ghirlande appese all'albero, si mangiava le
mandorle che servivano per guarnire i dolci,
muoveva con una zampina di qua e di là le palline
dell'albero seguendo la danza delle luci colorate
che si riflettevano su di esse. "Ora basta!
Lunetto vai in castigo! Scendi in cantina e
rimanici fino a quando non ti chiamiamo!" sbottò
Carlotta. Lunetto lasciò in pace le povere palline,
abbassò le morbide orecchiette e si diresse
verso la cantina ma poi cambiò idea e, con un
balzo felino, saltò sulla finestra e scappò via! " E'
proprio un discolaccio!" disse sconsolata Carlotta
" Bisogna avere pazienza, è solo un cucciolo!"
replicò mamma Giulia " Anche se combina guai per
10!" aggiunse il MAESTRO, e tutti risero di
cuore. Lunetto era arrabbiatissimo . Corse senza
fermarsi fino al laghetto ghiacciato, si accucciò
stremato nell'incavo di un grande albero. Aveva
le zampette e le orecchiette gelate e mentre
piangeva come una fontanella, pensava: " Non
tornerò più a casa! Nessuno mi vuole bene!
Aspetterò che stanotte Babbo Natale mi faccia
rincontrare il mio padrino e poi andrò via con lui!
Si Si! " continuò piangendo " Nessuno mi vuole
bene! Sigh! Nessuno mi vuole bene!" e stanco
stanco per il tanto piangere, si addormentò.
Intanto si fece sera, i padrini e le madrine
iniziavano ad arrivare al gattile per il gran cenone
di Natale con tanti pacchi pieni di dolci e regali.
Allora Carlotta decise di scendere il cantina a
chiamare Lunetto: " Lunetto! Piccolo birbante,
sali a prepararti per la festa!Ti devi ancora
mettere il collarino di Natale!" Ma non ricevette
alcuna risposta, allora lo cercò dappertutto,
continuando a chiamarlo. Disperata tornò nel
salone e avvisò mamma Giulia e gli altri della sua
scomparsa. " Vedrai che appena sentirà il
profumino delle prelibatezze che abbiamo
preparato, lo troveremo già seduto a tavola con
le zampette lavate, il tovagliolo appeso al
collarino e la linguetta di fuori!!AH AH!" disse
mamma Giulia ridacchiando. Ma il tempo passò, la
tavola era già apparecchiata, tutti gli ospiti erano
arrivati, fuori iniziava a nevicare ma di Lunetto
nessuna traccia. " Sono preoccupata, Lunetto non
è ancora tornato, bisogna andare a cercarlo"
disse mamma Giulia e subito i gatti più grandi, si
misero una calda cuffietta di lana, una sciarpina e
andarono a cercarlo. " Vado anch'io!" disse
Carlotta " Non andare, fuori nevica, ti
ammalerai!" la esortarono tutti ma la vecchia
gatta prese la sua mantella rossa e uscì dicendo:
" E' colpa mia! Se è successo qualcosa a quel
cucciolo non potrei mai perdonarmelo!" e uscì.
Passò qualche ora, anche i padrini si unirono alle
ricerche, e finalmente lo trovarono,
acciambellato dentro il tronco dell'albero, che
dormiva come un angioletto. Tornarono tutti al
gattile che mancava un ora alla mezzanotte, tutti
erano felici per aver ritrovato il piccolo Lunetto
e nessuno lo sgridò, solo mamma Giulia si fece far
promettere che non l'avrebbe fatto mai più, e lui
obbedì subito…aveva un languorino al pancino…: "
Prometto che non scapperò più…ma ora si
mangia?" Tutti scoppiarono in una risata e
iniziarono a sedersi a tavola, quando mamma
Giulia esclamò: " E Carlotta? Non era con voi
Carlotta?" Chiese ai padrini e ai mici che avevano
partecipato alle ricerche di Lunetto " No, non
l'abbiamo vista!" dissero loro " Mio Dio!" disse
pallida in volto, " Cosa le potrà essere successo?
Bisogna andare subito a cercarla, fuori c'è una
tormenta di neve!" ordinò, e quasi tutti si
coprirono bene e uscirono. Anche mamma Giulia
uscì con Lunetto. La cercarono per un ora e ormai
era quasi mezzanotte, Lunetto aveva pianto tutto
il tempo mentre la cercava in braccio a mamma
Giulia fino a quando si era buttato in lacrime sulla
gelida neve e aveva gridato tra i singhiozzi : "
Mamma Giulia, dillo tu a Babbo Natale…diglielo
che non voglio più che mi porti in dono il mio
padrino! Digli che ci riporti Carlotta! Digli che gli
prometto che diventerò buono e non farò più i
capricci!" E le saltò in braccio continuando a
piangere. Mamma Giulia lo strinse dolcemente, poi
guardò in cielo e gli occhi le brillarono " Guarda
lassù" disse " Ora torniamo a casa, c'è qualcuno
che ci sta aspettando!" Lunetto guardò in cielo e
vide una luce splendente nel buio, e in mezzo alla
luce risplendeva la magnifica slitta di Babbo
Natale trainata da 8 bellissime renne e sulla
slitta, lui, il dolce vecchino più amato del mondo!
Mamma Giulia con Lunetto corse fino ad arrivare
al gattile dove era atterrata la slitta con Babbo
Natale, e lo stesso fecero tutti gli amici e presto
si trovarono nel grande salone, caldo e luminoso,
dove, vicino al grande camino, li attendeva Babbo
Natale. Lunetto non ci pensò due volte, con un
balzo saltò sul caminetto per essere più vicino a
Babbo Natale e inizio: " Babbo Natale, per
favore, io…io…" ma non riuscì a continuare perché
scoppiò a piangere, e allora lui lo prese in braccio
e lo accarezzò dicendogli: " Non preoccuparti,
piccolo, le tue lacrime e le tue parole mi sono
arrivate perché venivano dal cuore, così esaudirò
il tuo desiderio! Guarda!" e così dicendo gli indicò
una cesta coperta con uno scialle rosso,vicino al
caminetto, la scoprì, e sorpresa! Dentro c'era
Carlotta!! Tutti gridarono di gioia e
l'abbracciarono! E iniziò finalmente la festa,
vennero serviti gli antipasti mentre, a turno,
Babbo Natale consegnò i regali, e tutti erano
felici!! Arrivò il turno di mamma Giulia e Babbo
Natale le disse: " Vai, mia cara, e apri il portone.
C'è qualcuno per te!" Mamma Giulia corse al
portone, l'aprì e…sorpresa…il misterioso bel
giovine…il padrino di Lunetto la salutò con un
inchino galante e un bacio sulla mano e le disse: "
La luce dei suoi bellissimi occhi, dolce Giulia, mi
ha ricondotto qui!" Giulia non riuscì a parlare per
l'emozione, ma a rompere il silenzio ci pensò il
piccolo Lunetto che, con uno dei suo spericolati
balzi, irruppe tra la coppietta gridando: " Padrino
mio! Sei tornato da me!!" E il padrino lo prese in
braccio, lo baciò e lo salutò con affetto mentre
tutti nella grande sala restavano fermi in silenzio
per l'emozione fino a quando mamma Giulia,
rianimatasi dalla sorpresa, prese il suo bel giovine
misterioso a braccetto e, conducendolo alla
tavola, in tono scherzoso disse: " Ora, mio caro
Lunetto, te lo porto via, in fondo…è il mio
regalo!!!!" Tutti risero a crepapelle, si risedettero
a tavola e la festa continuò allegramente, come
allegra continuò la vita di quella grande
inseparabile famiglia!

FINE
BEPPINO SENZA CAPELLI VENDITORE DI
OCCHIALI

Beppino era il venditore di occhiali più bravo di tutta la


regione. Certo che la sua abilità era solo una parte del suo
successo, l'altra riguardava l'articolo che lui vendeva.
Occhiali magici! Non proprio magici, ma con gli occhiali di
Beppino le persone potevano vedere il mondo, non così
com'era, ma più bello. Se il cielo fosse stato grigio sarebbe
bastato infilare gli occhiali viola ed in cielo splendeva subito
un caldo sole giallo. Veniva a trovarti un vicino antipatico e tu
con gli occhiali blu vedevi un volto sorridente e dei modi
gentili. Insomma una vera manna. Beppino viaggiava di paese
in paese, si sistemava sulla piazza principale e dall'alba
vantava le doti dei suoi occhiali colorati. Mostrava gli occhiali
prova, ed ogni tanto li infilava ai paesani che si fermavano per
ore a sentirlo parlare. Quel giorno che successe il "fatto" era
capitato in un paese nel quale non era mai stato prima e
questo era già strano, perché aveva girato in lungo ed in largo
tutta la regione. Arrivò di buon mattino e trovò subito la
piazza, con la chiesa da una parte, la caserma dei carabinieri
dall'altra ed un bel bar che stava già aprendo per i primi
avventori; c'erano solo poche persone, ancora insonnolite e,
vicino alla fontana, una bambina che guardava verso di lui. Da
buon venditore le sorrise e continuò a preparare i suoi
preziosi articoli. Finalmente la piazza cominciò ad animarsi.
Bambini che correvano a scuola, donne piene di pacchi e
uomini corrucciati, ma tutti si fermavano almeno un momento
da lui e compravano al volo una paio di occhiali rosa per
vedere il bicchiere mezzo pieno o un paio di occhiali lilla per
vedere che c'era ancora tempo per sbrigare tutte le
faccende importanti. E lei era ancora lì. Lei chi?! La bimba
della mattina, quella che si era seduta vicina alla fontana.
Continuava a guardarlo con una strana espressione sulla
faccia e lui cominciava a diventare nervoso. Forse...no...non
era possibile...ma se...nessuno sapeva....a meno che...no
nessuno sapeva il suo segreto. Ma lei lo guardava dritto negli
occhi e sembrava non stancarsi. Quando poi si alzò dal suo
posto vicino alla fontana e si avvicinò a lui, Beppino cominciò a
tremare e quando aprì bocca fu molto contento che quasi
tutti se ne fossero andati. "Io preferisco l'asino" Beppino si
sedette di colpo e rimase a bocca aperta. "Che cosa hai
detto?" "Io preferisco l'asino" ripeté la bimba " ha gli occhi
buoni." Quella piccola bimba bionda conosceva il suo segreto.
Perché tutti hanno un segreto, bello o brutto, ma tutti hanno
un segreto. Qualcosa che non ti va di far sapere agli altri.
Perché un segreto è questo, un mondo dentro il quale
facciamo entrare solo chi vogliamo noi. E questa bimba non
era stata invitata nel suo. "Spiegati meglio; quale asino?"
"Quello vecchio e stanco. Il cavallo alato è bello, ma lui lo
preferisco" Senza dubbio sapeva tutto. Non aveva mai saputo
se quella che aveva incontrata molti anni prima fosse stata
una strega od una fata, in ogni caso, da allora, se faceva una
gentilezza si trasformava in un bellissimo cavallo alato e
poteva osservare le bellezze del mondo dal cielo, ma quando
dimenticava di sorridere, diceva una parola sgarbata, non
offriva un fiore ad una persona triste si trasformava in un
puzzolente vecchio asino pieno di dolori. All'inizio era stato
difficile. Si trasformava così spesso in asino che aveva quasi
rinunciato a fare gentilezze, tanto finiva sempre e comunque
a mangiare carrube e a grattasi le orecchie sui tronchi degli
alberi. E da un po' di tempo non faceva niente, tanto per non
sbagliare. "Non lo so, io vedo nel tuo occhio destro un
bellissimo cavallo alato e nel tuo occhio sinistro un vecchio
asino , però così dolce. Da l'idea di averne viste tante, è
gentile con tutti e ha gli occhi più buoni del mondo" "Come ti
chiami?" disse Beppino. "Lidia" rispose "e tu?" "Beppino" e
volendone sapere di più la prese per mano portandola fino alla
fontana dove era stata tutta la mattina. "Perché non ti piace
il cavallo alato?" chiese dolcemente. "Perché è solo nel cielo.
Fa tante cose belle, ma le guarda da lontano. L' asino invece è
sempre preoccupato per gli altri, sta attento a non ferire
nessuno e tutti gli sono grati". Beppino non sapeva che cosa
dire. Infatti era proprio così. Ogni volta che si era
trasformato in asino aveva imparato qualcosa. Non faceva
cattiverie o scortesie; invece quando si trasformava in
cavallo era perché voleva farsi bello e finiva solo nel cielo.
Guardò con tenerezza Lidia e pensò che quella bimba non
aveva bisogno dei suoi occhiali. E neanche di fare gentilezze
per volare in cielo. Era semplicemente felice facendole. Penso
a quante volte non si era fermato con la gente perché aveva
paura di diventare asino e quando per diventare cavallo era
stato gentile con chi non gli piaceva. "Grazie" "Per che cosa?"
disse Lidia. "Per gli occhiali che mi hai venduto" Lidia piegò la
testa di lato come per dire che non gli era molto chiaro quello
che Beppino stava dicendo. Beppino cominciò a raccogliere
tutte le sue cose, prese la valigia con gli occhiali e la diede ai
signori delle immondizie che passavano di lì. "Venderò
fisarmoniche. Sono più pesanti degli occhiali, però danno
tanta gioia" Questa lezione l'aveva imparata e andandosene si
voltò solo un attimo per salutare la piccola bimba bionda che
gli sorrideva dal bordo della fontana.
Le pecorelle unite ed il lupo solitario
C'era una volta una pecora di nome Francesca che stava in
un ovile insieme alle altre pecorelle. All'improvviso venne
un lupo affamato che voleva mangiare qualche pecora.
Allora Francesca disse alle altre pecore di non uscire
perché il lupo era molto affamato e cattivo. Ma una pecora
superba, di nome Isabella, che pensava di essere la più
forte e coraggiosa, non ascoltò i consigli di Francesca e
uscì fuori. Il lupo in un attimo saltò addosso alla povera
Isabella che belava disperatamente. Ma le altre pecorelle
si fecero coraggio e tutte insieme uscirono dall'ovile per
salvare Isabella. Il lupo, vedendo un sacco di pecore che gli
stavano saltando addosso, scappò via e non si fece vedere
mai più.

Questa storia ci insegna che l'amicizia è molto importante


e che gli amici superano tante difficoltà rimanendo sempre
uniti.
LA STANZA MAGICA

Un violento temporale svegliò Rich nel cuore della notte e


tutto divenne buio all'improvviso. Rich aprì gli occhi, ma da
qualunque parte guardasse era tutto nero, ma così nero che li
richiuse subito. Si nascose sotto le coperte e si raggomitolò
stringendosi le braccia intorno al corpo. Ricordò che un
giorno a scuola si era divertito molto a giocare con il buio,
esisteva sì “il buio pesto” e chi “barcollava nel buio”, ma c’era
anche chi era “tenuto al buio”, oppure chi faceva “i salti nel
buio”... La maestra aveva fatto sorridere tutta scolaresca
con quell’allegra e simpatica filastrocca! Così provò ad
addormentarsi, ma il pensiero di quel nero non gli lasciò
prendere sonno. Rich si sentiva avvolto, inghiottito,
risucchiato con il letto, la stanza, l'intera casa e tutti i suoi
sogni dalla notte. Sbirciò da sotto le coperte in cerca della
luce, tossì per svegliare qualcuno, ma la stanza era tutta
immobile e silenziosa. Si udiva solo il rumore della pioggia
battere con un TIC-TAC intermittente contro i vetri. - Manu,
Manu... - chiamò sottovoce timoroso persino di ascoltare la
sua voce. Rimase qualche istante con l'orecchio in attesa di
un segnale, ma la sorellina non rispose. Forse il buio l'aveva
già portata via e così avrebbe fatto anche con gli altri e lui
sarebbe rimasto solo? Doveva fare qualcosa, proteggerli!
Velocemente scivolò dal letto e raggiunse ginocchioni lo
scrittoio. Tastò con le mani sul piano del tavolo, cercò di qua
e di là, poi afferrò la scatola dei colori. In tutta fretta aprì
un tubetto, lo schiacciò, vi immerse la setola di un pennello e
con la punta grondante di colore diede la prima pennellata nel
buio. Era l'azzurro! Rich affondò nuovamente il pennello nel
tubetto e colorò fin quando non finì. Poi ne cercò un altro e
riempì il buio che era rimasto con larghe e profonde
pennellate verdi. Tra una passata e l'altra, per coprire il nero
che era rimasto, disegnò macchie di fiori rossi, arancio, blu e
bianchi. L'ultimo tubetto era il giallo. Rich salì sulla sedia
dello scrittoio e colorò un sole grande, caldo ed alto, fin
quando il giallo non finì. Svuotò tutti i tubetti, mise colori
dappertutto, riempì ogni angolo buio e nero della stanza,
dipinse persino maglietta e calzini con i colori della sua
squadra del cuore. Infine con le mani pasticciate si pulì
nell'azzurro e tracciò il profilo di un arcobaleno dalle mille
sfumature colorate. Ora la stanza era un magico bazar di
sogni e di colori. Rich stanco e abbagliato dalla luce, si
stropicciò gli occhi, ritornò a letto e si addormentò tra il
caldo tepore delle coperte. Dedicata a tutti i bambini... ma
anche ai grandi che hanno ancora paura del BUIO!
Vita da cane

C'era una volta un cane che viveva tutto felice presso


una famiglia, lo trattavano bene, gli davano cibi ottimi,
lo portavano a spasso e lo coccolavano tutti. Il cane
voleva tanto bene ai suoi padroni, loro lo portavano dal
parrucchiere per cani e lui era tanto bello, ai concorsi
di bellezza arrivava sempre primo e i suoi padroni
vinsero tanti trofei, coppe, medaglie, diplomi.
Passarono alcuni anni e il cane invecchiò, perse il suo
bell'aspetto; i suoi padroni lo volevano abbandonare, si
partì per la campagna, una trentina di chilometri,
arrivati scesero e stettero lì per un po', al momento di
partire lasciarono il cane a terra. Il povero cane pensò:
"mi hanno dimenticato" e corse dietro la macchina
finché poté, abbaiando per farsi sentire, ma la perse e
il cane preoccupato che i suoi padroni lo avessero
perso, piano piano prese a cercare la strada di casa e,
cammina, cammina, dopo due giorni di stenti, stanco e
affamato, vide di nuovo la sua casa, contento raccolse
le forze e si fece quei metri correndo felice, arrivò
dietro la porta e si fece sentire tutto felice, ma i suoi
padroni non erano felici come lui e lo scacciarono; lui
scappò via ma appena richiusero la porta tornò dietro
ad essa a guaire senza capire perché lo trattassero
così e dopo averlo scacciato dieci, venti volte, infine il
suo padrone lo chiamò, lo rimise in macchina, prese
l'autostrada e, fatti tantissimi chilometri lo lasciò in un
posteggio senza fargli capire che voleva abbandonarlo
un'altra volta. Il povero cane cercò di nuovo la via di
casa, sempre pensando che fossero in pensiero con lui
e, cammina cammina, schivando continuamente le
macchine e i camion che sembravano volerlo travolgere
a tutti i costi. Ma il povero cane si perse, non trovò più
la via del ritorno e vagò per giorni e giorni, mangiando
rifiuti o addirittura non mangiando, in quell'autostrada
finché una macchina lo investì e gli ruppe una gamba: il
povero cane, stanco e ferito, lasciò l'autostrada e vagò
ancora per giorni, per campagne, paesi, scacciato da
tutti a legnate e pietrate, ma non trovò più la via di
casa, la sera si lasciava cadere dov'era e si trascinava
appena. Una di quelle sere cadde in un fossato, cercò
disperatamente di uscire, poi stanco si lasciò cadere e
si addormentò; la notte fu svegliato da una pioggia
gelida, cercò con tutte le sue forze di uscire da quel
fosso, ma le sue tre gambe scivolarono su quelle pareti
e più provava, più scivolava: il fosso si riempì di acqua
ed il povero cane, ormai era convinto di dover morire,
chiuse gli occhi.. Si risvegliò piano, sentì un tepore, una
mano lo accarezzava, stava sognando, si fanno bei sogni
prima di morire pensò: sentì una voce di bambina che
chiamava, Papà si muove si sta svegliando ,vieni. Ciao
cagnolino..un'altra mano lo accarezzò.. Aprì
completamente gli occhi, era su un divano, aveva la
gamba ingessata , era pulito.. Aveva una bella bambina
bionda accanto, un uomo e una donna intorno.. Dunque
non era un sogno, era confuso, felice, mosse la coda
sollevò la testa, cercò quella mano, la leccò.. Sai,
continuò la bambina, ti ho trovato quasi morto, ti
abbiamo fatto le flebo, il veterinario ha detto che puoi
farcela! Sono felice sei il mio cane ora. ci vorremmo
bene lo so..

4 uova e un cagnolino
Questa che vi racconto è una storia vera...o quasi. Mi
presento io sono Lorenzo, poi c'è mia sorella Bea, la
mamma, il papà e il" leone"...o meglio il cagnone di casa
Chicco. Chicco è il protagonista di questa storia.
E' sabato pomeriggio, uffa, finalmente sto concludendo
i compiti, mia sorella gioca , il papà lavora in giardino e
la mamma .....la mamma dov'è? Ah sì è fuori sul terazzo,
ma eccola sta entrando in casa e................
-venite!! venite a vedere !-grida la mamma
-Cosa ?! -dico io
-Uscite!!!!!!!!!!!!!
-Ma che c'è un ufo in giardino? un iguana nel cortile???-
dico io
-Guardate,ma sì un NIDO!!!
-un nido? MA mamma non abbiamo alberi sul terrazzo!
-infatti,l'uccellino ha costruito il nido nel vaso
dell'edera-continua la mamma
intanto sono arrivati anche il papà e mia sorella e tutti
osserviamo incuriositi il nido..e il suo prezioso
tesoro.....4 UOVA.
-ma allora l'uccellino è vicino,sarà spaventato-dice il
papà
-rientriamo in casa -continua la mamma-così potrà
tornare al nido.
-Capirai-dico io- dopo le urla che hai fatto tu ,mamma!
Non tutti avevano partecipato con emozione
all'evento,infatti c'è chi beatamente ha continuato la
pennichella pomeridiana,sonnecchiando sdraiato in
mezzo al cortile....
Vi presento Chicco. Chicco è il "canleone" della casa
soprattutto per la sua mole ,tuttaltro per il suo
carattere.L'altro leone è mia sorella che di tanto
intanto si diletta a ruggire,ma questa è un altra storia.
Ma presto Chicco avrebbe fatto conoscenza dei nuovi
inquilini.
L'indomani è'una bellissima mattina piena di sole,Chicco
si sveglia,con aria di chi non ha voglia di concludere
niente per tutto il giorno,apre un occhio apre l'altro
esce dalla cuccia, sale lungo la scala che porta davanti
alla ciotola, pronto per gustare una ricchissima
colazione quando vede il nido. lo vede attraverso un
cancello che gli impedisce un' analisi più approfondita di
quella strana "cosa".
-Ma che cos'è? pensa-una ciambella ,no..no...non
profuma,bè penserò meglio con gli occhi chiusi- e si
addormenta.
Al risveglio scopre che sopra la strana "cosa"c'è un
uccellino,allora.........
-Bau!! Bau!! hei tu!!
-Ma ..dici a me.. -risponde l'uccellino sorpreso- non
abbaiare tanto!!!
-Scusa non volevo disturbarti,ma senti un pò ,che ci fai
seduto lì sopra?domanda incuriosito il cane.
-E' un nido....sussurra dolcemente l'uccellino
-un nido cos'è? incuriosito domanda Chicco
-E'un rifugio per le mie uova..le tue dove
sono?.....domanda l'uccellino
-ma veramente io posseggo solo ossa che sotterro... in..
un posto ..segreto del... giardino.-gli confida il cagnone
-Anche per me era segreto ...mi raccomando non dirlo a
nessuno..sstt! -si preoccupa l'uccelino
Il giorno dopo Chicco si sveglia ,apre un occhio, ma
ahimè... piove,e sembra che non voglia propio smettere,
quando ad un tratto sente....
Cip!!Cip!!!! Cip!!!!!!!
-Questa è una richiesta di aiuto-dice fra
sè-...corro.Appena esce dalla cuccia vede
l'uccellino,spaventato e infreddolito-
-Ma perchè piangi piccolo uccelino? gli domanda,Perchè
cip..cip.. aiuto..il nido,il vento di questa notte l'ha fatto
cadere a terra e se le uova si bagnano e prendono
freddo moriranno!!
Il cagnone non perde un secondo di più con un balzo,
arriva vicino al nido,lo prende in bocca con estrema
delicatezza e lo porta dentro la sua cuccia...........
-Vieni pure uccellino, questa è la mia casa, spaziosa e
accogliente ,potrai stare con il tuo nido quanto vorrai.
-Oh grazie come sono felice di averti incontrato, per
ripagarti allieterò le tue giornate con il mio canto-
disse l'uccellino
-grazie a te, sono propio contento di avere un nuovo
amico.
La giornata dopotutto era diventata una giornata da
ricordare.
Fine
Giorgetto e l'albero

Giorgio, per gli amici Giorgetto, era un ragazzino


vivace, fantasioso ma un pò sfaticatello. Non andava
volentieri a scuola, considerandola come un luogo in
cui gli insegnanti chiedono ai ragazzi cose che gli
stessi professori già sanno. Era inutile rimproverarlo
e tantomeno convincerlo; se doveva proprio andarci, lo
faceva per scambiare quattro chiacchiere con gli
amici o per divertirsi a disegnare o meglio, a
sfigurare i volti dei professori. Che discolo! Un giorno
nel quale aveva marinato la scuola gli capitò
un'avventura incredibile. Mentre sgranocchiava
golosamente delle squisite noccioline e dei voluminosi
pop-corn, si sedette in una panchina del parco dove
spesso andava quando non metteva piede a scuola.
Pensava fra sè:" che bello starsene qui seduti all'aria
aperta, senza libri di storia o di aritmetica! Poverini i
miei compagni: non sono ancora riusciti a rendersi
conto della gravità della situazione.Ma arriverà un
giorno...". Mentre bisbigliava queste parole, Giorgetto
udì una voce amica, che proveniva da dietro la
panchina: "Verrà un giorno in cui ti deciderai ad
imparare qualcosa dai libri di scuola". " Chi ha
parlato?" sussultò Giorgetto " qui intorno non c'è
nessuno, oltre a me e a questo vecchio albero...". " Alt!
Albero sì, ma vecchio no davvero: ho appena 11 anni"
rispose la voce. Era proprio l'albero a parlare, ma
Giorgetto, non capendo chi fosse l'interlocutore,
balbettò: "11 anni! La mia stessa età; sei davvero tu a
parlare?". "Andiamo con calma. Come vedi sono un
albero bello e robusto, modestamente" disse l'albero
con orgoglio socchiudendo gli occhi."Parlo perchè
Madre Natura ha deciso di farmi questo dono".
Giorgetto allora, resosi conto che si era imbattuto in
un albero parlante, disse:" Che cosa vuoi da me?" " Bè,
proprio niente, stavo solo ascoltando le tue parole,
che non ritengo giuste. Come ho ben capito il fatto in
questione è la scuola e la poca voglia che tu hai di
frequentarla". Giorgetto ribattè: " Albero, non mi
dire che anche tu la pensi come gli altri: siete tutti
strani...". " No Giorgetto, sei tu che sei diverso da
tutti. Ma ti capisco; non è che sia così invogliante la
scuola, ma penso che ci si vada per imparare,
altrimenti perchè credi che sia stato costruito un
edificio simile? Per inserirci i professori con gli
alunni?". Giorgetto ribattè:" Bè, non la penso proprio
come te, ma in un certo senso non so il motivo... ma è
inutile conoscerlo, tanto poi che si risolverebbe? Io
per esempio, ho provato ad andare di seguito per ben
3 giorni a scuola ( che sacrificio!) ma ho notato che la
professoressa continuava a ripetermi la parola
ASINO e insistentemente scriveva sul mio quaderno
un mucchio di cerchietti...". L'albero, che fino a quel
momento era rimasto pensieroso, sorrise e così
rispose: "Quei cerchietti sono il frutto del tuo non
fruttuoso impegno. Scommetto che tu a casa non
scrivi e non leggi mai. Per esempio, sai scrivere il tuo
nome?" Giorgetto imbarazzato fece no con il capo ed
arrossì come nella mela che era appesa ad un ramo
dell'albero, il quale amichevolmente consigliò al
ragazzo di cominciare a chiedersi che cosa farà da
grande. "Hai deciso che mestiere svolgerai? No
suppongo. Lo credo bene. Anche se decidessi di fare
l'idraulico, mestiere che con la scuola non ha alcuna
attinenza, dovresti per forza scrivere il conto da far
pagare al tuo cliente. Cosa gli diresti?" Giorgetto
disse sottovoce:" Direi che deve pagarmi una cifra
pari al costo dei pop-corn con le noccioline..." L'albero
scoppiò in una sonora risata e riuscì a dire:" Bè, non
penso proprio che ti capirebbe! Non credi sia meglio
imparare a contare? Vedi come ti servirebbe?
Inoltre, anche se dovessi scrivere una lettera, un
telegramma o qualsiasi altra cosa, non puoi cavartela
con le sole parole che sai scrivere: POP-CORN e
NOCCIOLINE!". Giorgetto riflettè a lungo; non aveva
mai pensato a quanto gli aveva fatto notare l'albero, il
quale continuò dicendo: " Ah! Caro mio, quanto vorrei
essere anch'io un umano e poter camminare, imparare.
Fossi in te, non ci penserei due volte a tornare a
scuola: pensa ai vantaggi che ne potrei avere..."
Giorgetto, ormai convinto, disse: " Caro albero, non so
come ringraziarti dei tuoi buoni consigli. Senza il tuo
aiuto non avrei capito l'importanza dell'istruzione
scolastica. Ti auguro tanta salute e prosperità a te
e ... alle tue mele!". I due risero felici e Giorgetto da
quel giorno smise di marinare la scuola, anzi, divenne il
più bravo e diligente della classe. La sua più grande
gioia fu quella di vedere sul suo quaderno dei
bellissimi" 10 e lode": ricordava le parole dell'albero e
, per ringraziarlo, andava ad innaffiarlo ogni giorno,
anche nei più caldi giorni d'estate.

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