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La Nucleosintesi.
Fig. 11.1. Curva delle abbondanze solari con indicati i relativi principali processi di nucleosintesi.
1
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Fig. 11.2. Confronto tra le abbondanze relative dei nei Raggi Cosmici (cerchi aperti) e nel Sole
(cerchi pieni), normalizzate all’abbondanza di He
sizione anche il campione locale costituito dalla Terra, dai meteoriti e dai corpi del sistema
solare resi accessibili dai veicoli spaziali.
Il risultatp di una tale indagine è che, tenuto conto dei processi selettivi che hannno
certamente operato nella formazione dei corpi planetari, la materia dell’Universo sembra
aver mantenuto nel tempo una tipica distribuzione delle varie specie nucleari. Infatti se è
pur vero che, ad esempio, nella Galassia il contenuto di elementi pesanti pu ò variare tra
Pop.I e Pop.II anche di un fattore 100, la distribuzione delle abbondanze relative non si
discosta sensibilmente da quella ricavata er il Sole, riportata a suo tempo in Fig. 1.5.
Come mostrato in Fig.11.1, avendo in mente la storia delle reazioni nucleari nelle strut-
tura stellare, non è difficile riconoscere in tale distribuzione l’impronta del funzionamento
della ”macchina stella”. La peculiare scarsezza degli elementi leggeri Li, Be e B, è quanto ci
si attende dalla combustione dell’idrogeno: la natura di elementi secondari nella catena pp
assicura infatti che tali elementi - ove presenti - debbano ridursi ai loro infinitesimali valori
di equilibrio. Le reazioni termonucleari possono quindi al più distruggere il litio cosmologico
(Li/H ∼ 10−10 ) emerso dalla nucleosintesi del Big Bang.
La successiva serie di picchi di abbondanze che si spingono sino al grande picco del Fe
portano un’indubbia testimonianza delle serie di reazioni che portano sino al Fe attraverso
essenzialmente un progressiva agglutinazione di particelle α. E, infine, il picco stesso del Fe
è l’attesa conseguenza dei processi di equilibrio che sappiamo dominare le ultime fasi della
vita delle grandi masse stellari. La prima porzione della curva delle abbondanze ci parla
dunque senza ambiguità di una storia di interni stellari e dei loro successivi riciclaggi nella
materia interstellare. Resta peraltro da indagare l’origine dei nuclei oltre il ferro, che non
possono essere prodotti nelle reazioni termonucleari che sostengono le strutture stellari.
Prima di affrontare un tale argomento notiamo qui che gli elementi leggeri Li, Be e B
pongono peraltro un particolare problema. L’abbondanza di Litio nel Sole è infatti, ad esem-
pio, superiore a quella cosmologica misurata nelle atmosfere di stelle di Pop.II. Deve quindi
essere stato efficiente un meccanismo di produzione di Li che, per quanto abbiamo detto,
non può risedere nelle reazioni termonucleari dalle quali tale elemento viene invece distrutto.
Oggi si ritiene che tale elemento venga almeno in parte prodotto dall’interazione dei Raggi
Cosmici con i nuclei di materia interstellare, attraverso processi di spallazione. Misure ef-
3
Fig. 11.3. Sezione d’urto per cattura neutronica indunzione del numero atomico . E’ evidente
la forte diminuzione in corrispondenza dei numeri magici. Si noti anche l’effetto pari-dispari. La
sezione d’urto è in mb (1 b= 1 barn = 10−24 cm2 ) per neutroni di 25 keV
fettuate sia da Terra che dallo spazio mostrano infatti come la Galassia sia attraversata da
flussi di particelle di alta e altissima energia (sino a oltre 1020 eV), di gran lunga superiori
a quanto ottenuto sinora nei più potenti acceleratori di particelle.
Tali particelle, in gran parte protoni, inducono reazioni di impatto con i nuclei della
materia interstellare, reazioni che, a causa delle altissime energie in gioco, si traducono nella
frantumazione (la ”spallazione) dei nuclei più pesanti. La peculiare abbondanza di elementi
leggeri nella radiazione cosmica, mostrata in Fig. 11.2, fornisce una chiara testimonianza
dell’efficienza di un tale processo. Non pare peraltro che tale meccanismo possa renedere
intera ragione della abbondanze osservate, talché si è ipotizzato l’intervento di ulteriori
meccanismi, quali reazioni indotte dai neutrini nell’esplosione di Supernovae di tipo II (infra)
o l’efficienza di reazioni del tipo
3
He(α, γ)7 Be(e+ ν)7 Li
sia nei raggi cosmici stessi, come negli inviluppi convettivi delle Giganti Rosse e, in
particolare, nelle periodiche esplosioni di stelle Novae.
Fig. 11.4. Esemplificazione della tipica traiettoria dei processi S nel piano N (numero di neutroni)
Z (numero di protoni). Le ”isole” sulla sinistra della valle di stabilità schermano i nuclei della stessa
dal contributo dei processi r. I nuclei possono così essere distinti in r-puri (r), S-puri (S) o do origine
mista (S,r).
una shell, e la stabilità dei corrisponedenti nuclei sarebbe l’analogo della stabilità mostrata
dagli atomi dei gas nobili. Come mostrato in Fig. 11.3, quel che qui ci interessa è che a tali
nuclei corrisponde un brusca diminuzione della sezione d’urto per cattura neutronica. La
correlazione tra abbondanze in natura e sezioni d’urto per cattura neutronica rende plausi-
bile la supposta efficienza di tali processi e, come vedremo, renderà ragione della anomale
abbondanze dei picchi ”S”.
Il neutrone è peraltro particella instabile, che decade in un protone (più e+ ν) con tempo
di dimezzamento di circa 15 minuti(→ A1.10). Perchè il processo possa essere efficiente
dobbiamo quindi richiedere non solo una sorgente di neutroni, ma anche che tale sorgente
sia immersa in materia sufficientemente densa perchè i neutroni possano interagire prima
di decadere. Tali condizioni sono spontaneamente realizzate ancora all’interno delle stelle,
dove abbiamo visto che durante la combustione di elio diventa efficiente la produzione dei
neutroni tramite la catena dell’ 14 N. Le stelle si presentano dunque spontaneamente come
luoghi in cui, a fianco delle reazioni termonucleari, devono diventare efficienti processi di
cattura neitronica che, pur non contribuendo all’energetica della stella, pssono portare un
contributo sostanziale alla nucleosintesi degli elementi pesanti.
Poichè la considerazione o meno di tali processi non influisce sull’evoluzione delle strut-
ture, le valutazioni dell’efficienza dei processi stessi viene sovente eseguita sulla base di una
sequenza di strutture evolutive opportunamente memorizzzate. Se ne ricava l’evidenza che
i neutroni prodotti dalla catena dell’ 14 N possono venir catturati da preesistenti nuclei di
elementi pesanti (Nuclei ”seme”), nuclei che a seguito di una serie di tali catture neutron-
iche si spostano progressivamente lungo la valle di stabilità (→ ....) andando a formare gli
elementi oltre il Ferro.
Nel caso della combustione dell’H avevamo già visto come una serie di catture protoniche
su nuclei stabili finisca inevitabilmente col produrre elementi instabili per eccesso di protoni,
nuclei che vengono richiamati sulla valle di stabilità da decadimenti β + . Ora una serie
di catture neutroniche finisce inevitabilmente col produrre elementi instabili per eccesso
di neutroni, che vengono richiamati sulla valle di stabilità da decadimenti β − . Poichè i
neutroni vengono prodotti su tempi scala termonucleari, il loro flusso rimane contenuto
e si può assumere che il processo sia ”lento” (S = Slow) nel senso che il tempo tra due
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successive catture neutroniche sia in ogni caso maggiore dei tempi di decadimento degli
elementi instabili β − prodotti. Cioè che i nuclei instabili abbiano il tempo di decadere prima
di catturare un ulteriore neutrone.
Nel piano N,Z ne segue la caratteristica traiettoria illustrata in Fig. 11.4, tramite la
quale i nuclei seme vengono spinti lungo la valle di stabilità a numeri atomici A sempre più
alti. Notiamo peraltro subito che una traiettoria ”S” non può raggiungere i nuclei stabili (le
isole) separati, sia a destra come a sinistra, dalla sequenza centrale. Poichè tali nuclei sono
presenti in natura, per essi dunque dovremo investigare diversi meccanismi di produzione.
Per ciò che riguarda i processi S, motiamo che ogni nucleo lumgo la traiettoria si presenta
come elemento ”secondario”, nel senso che ogni nucleo risulta prodotto da una cattura
neutronica e distrutto dalla successiva cattura. Se n è il numero di neutroni nell’unità di
volume e V la loro velocità, potremo dunque scrivere per il generico nucleo di numero atomico
A nell’unità di tempo
Si vede subito come ad una sezione d’urto di cattura neutronica σA peculiarmente bassa,
quale quella che caratterizza i nuclei magici, debba corrispondere una abbondanza NA pecu-
liarmente elevata, dando ragione dei picchi S osservati in natura. Al limite, a sezioni d’urto
nulle corrisponde una indefinita crescita di abbondanza del nucleo A.
Notiamo infine come, a fianco della catena dell’14 N e al molto minor contributo prove-
niente da reazioni più avanzate, quali
16
O +16 O →31 S + n
siano state suggerite anche altre possibili fonti di neutroni. In particolare, nel caso di rimesco-
lamento parziale di una zona in combustione di He con strati ancora ricchi di idrogeno, i
protoni si combineranno con il Carbonio, come avviene nel ciclo CNO
12
C + p →13 N + γ
13
N →13 C + e+ + ν
Una successiva cattura protonica è però inibita dalla scarsità di protoni, e segità invece
13
C + α → (17 O)∗ →16 O + n
che potrebbe risultare una notevolissima fonte di neutroni da affiancare a quelli prodotti
dalla catena dell’14 N .
Fig. 11.5. La traiettoria S (linea spezzata) e i nuclei di attesa nei processi ”r” (zone a tratti).I
cerchi indicano le zone di accumulazione che decaderanno β − a formare i ”bump”. In basso a destra
la tipica traiettoria di accumulazione in corrispondenza di un numero magico di neutroni.
isotopo instabile formato. Il luogo naturale per tali processi è ovviamente l’esplosione di una
Supernova.
Notiamo anche che i processi S rendono ragione dei picchi S in Fig. 11.1, ma non dei
”bump” di abbondanza che precedono regolarmente i picchi stessi. Sono infatti processi
rapidi ”r” di cattura neutronica che giustificano non solo l’esistenza di nuclei isola sulla
destra della valle di stabilità, ma anche una tale caratteristica nella distribuzione delle ab-
bondanze. Dobbiamo dunque assumere che a causa dell’improvviso e intensissimo flusso di
neutroni prodotto nel collaaso di una supernova i nuclei preesistenti inizino una serie di
successive catture neutroniche, spostandosi nella zona instabile β − sulla destra della valle di
stabilità. L’allontanamento non può però essere indefinito: all’aumentare del numero di neu-
troni diminuisce l’energia di legame degli stessi e la catena di catture finisce col giungere ad
un punto in cui il neutrone aggiunto è subito espulso dai fotoni del bagno termico. Il nucleo
(nucleo di attesa) finisce quindi col decadere β − , passando da Z a Z+1, e può ricominciare
ad accogliere neutroni sino a formare nuovamente un nucleo di attesa.
Le aree tratteggiate in Fig. 11.5 mostrano indicativamente le aree popolate da tali nuclei
di attesa. Il flusso di neutroni è peraltro un fenomeno molto rapido: al cessare del flusso
tutti i nuclei instabili subiranno una catena di decadimenti β − sino a raggiungere una con-
figurazione stabile. Avendo in mente tale meccanismo, in Fig. 11.4 si possono riconoscere
tre tipi di nuclei
1. Le isole ricche di neutroni, che possono essere popolate solo da processi ”r”
2. I nuclei schermati da un isola ”r”, che non possono essere raggiunte dai processi rapidi e
sono quindi prodotte esclusivamente dai processi ”S”
3. I nuclei r,S la cui abbondanza risulta dal contributo di ambo i processi.
Si ha così tutta una serie di nuclei S-puri o r-puri che portano un importante testimoni-
anza del contributo alla nucleosintesi dei vari processi.
L’esistenza di numeri magici di neutroni introduce infine in tale quadro generale un ul-
teriore elemento: nuclei instabili con numero magico di neutroni hanno sezioni d’urto di
cattuta molto basse. Quindi sono nuclei di attesa che decadono β − . Il prodotto del dacadi-
mento non è più magico, ma può prendere un solo neutrone che lo fa ritornare magico. Come
7
Fig. 11.6. Abbondanza in numero degli elementi pesanti formati ripettivamente da processi S, r o
p, normalizzata a 106 atomi di Si. Si notino i picchi e ”bump” nelle abbondanze S e r.
Fig. 11.7. Curva di luce della variabile cataclismica SS Cyg, del tipo U Geminorum.
Fig. 11.8. Curva di luce composita ottenuta sovrapponendo i dati osservativi di 38 SN di tipo I.
Confuse per molto tempo con le Novae, le Supernovae (SN) rappresentano infine un
evento esplosivo di gran lunga più energetico. Al picco di luminosità una SN può aumentare
di 20 magnitudini (100 milioni di volte) e raggiungere 1010 luminosità solari, emettendo
quindi come un intera galassia. Che si sia di fronte ad un fenomeno distruttivo è rivelato ,
oltre cha dall’enorme quantità di energia emessa, dalle osservate velocità di espansione che
si aggirano attorno ai 104 km/sec. L’esplosione di SN non è peraltro un fenomeno inatteso.
L’evoluzione stellare ci ha infatti insegnato che le grandi masse devono terminare la loro vita
con un collasso gravitazionale in cui vengono messe in gioco energie tipiche delle SN. E in
questo stesso capitolo abbiamo trovato chiare tracce di un tale accadimento nella produzione
degli isotopi ”r” e ”p”. Il quadro osservativo appare perlatro più complesso, e dovrà essere
discusso con qualche dettaglio.
Le caratteristiche della curva di luce hanno innanzitutto consentito di evidenziare due
distinte classi di SN, Come mostrato in Fig. 11.8 le Supernovae di Tipo I (SNI) hanno curve di
luce ben caratteristiche e praticamente sovrapponibili, con una prima rapida discesa di circa
tre magnitudini seguita da un più lento e regolare declino. Le SNII hanno invece un continuo
regolare declino (SNII lineari) in alcuni casi interrotto da un periodo in cui la luminosità
cessa quasi di decrescere (SNII plateau). A tali differenze nella curva di luce si accomu-
nano anche caratteristiche spettroscopiche: nelle SNI sono assenti le righe dell’idrogeno, che
appaiono invece nelle SNII.
Le SNII hanno le caratteristiche attese per il collasso finale di grandi masse. Esse ap-
paiono infatti solo in galassie a spirale e solo in regioni ove sono evidenti fenomeni di recente
formazione stellare (Regioni H II). Quindi le SNII sono quelle predette dall’evoluzione stel-
lare, tipiche di una Pop. I. Ci si attende che nell’esplosione tali N eiettino nello spazio
gli starti che contornano il nucleo centrale neutronizzato, lasciando come ”remnant” o una
stella di neutroni o una buca nera. Le SNI sono invece oggetti inattesi, che vediamo esplodere
anche in galassie ellittiche, quindi in popolazioni antiche ove stanno ancora evolvendo solo
piccole masse. Un più accurato studio di questo tipo di SN ha infine portata ad una ulteriore
suddivisione delle SNI in tipo ”a” (SNIa) nel cui spettro è presente la riga di assorbimento
del SiII a λ=6150 A, e SNIb ove tale riga è assente. La tabella 1 riassume la corrispondente
situazione osservativa:
Cosa può produrre l’inattesa evidenza di SN in una popolazione antica? La domanda
trova una naturale risposta quando si mediti sul fatto che le Nane Bianche di CO sono
dei potenziali detonatori se e quando qualche meccanismo le porti a superare la massa di
Chandrasekhar. E il meccanismo di trasferimento di massa che vediamo all’opera nelle bina-
rie cataclismiche e nelle Novae si adegua perfettamente a tale compito. Per completezza
aggiungiamo che a fianco di tale meccanismo è stata anche proposta la coalescenza di
due Nane Bianchie mutuamente orbitanti, a causa della perdita di energia per emissione
10
Tab. 1.
SNII Si – Si No I
SNIa No Si Si Si II
SNIb No No Si No I
di onde gravitazionali. Resta in ogni caso l’identificazione delle SNIa come prodotte dalla
detonazione-deflagrazione del C, con incinerimento e totale dispersione della struttura.
Non sorprendentemente, si trova che la curva di luce delle SNIa è cosı̀ regolare perchè
governata, in sequenza temporale, dall’energia emessa dai due decadimenti
56
N i →56 Co + e+ + ν (τ = 6d)
56
Co →56 F e + e+ + ν (τ = 77d)
Valutazioni quantitative mostrano come in queste esplosioni vengano sintetizzate da 0.5
a 1 M dell’isotopo multiplo di α 56 28 N i. La buona analogia tra le curve di luce delle SNIa e
SNIb indica infine che anche le SNIb devono corrispondere all’incenerimento termonucleare
di una nucleo degenere. L’assenza di tali SN nelle galssie ellittiche indica peraltro che in
questo caso tale incinerimento deve trarre origine dal nucleo degenere di una stella di massa
intermedia. Anche in quest’ultimo caso la binarietà dovrebbe giocare un ruolo importante,
producendo stelle con nuclei degeneri privi del loro inviluppo, osservate nella Galassia, note
come oggetti di Wolf Rayet. Non è peraltro escluso che almeno nelle primissime generazioni
stellari deficienti in metalli, a causa del combinato aumento di MU P con la possibile dimin-
uzione della perdita di massa (diminuita opacità radiativa), il limite di Chandrasekhar possa
essere stato raggiunto anche da stelle isolate di massa intermedia.
Fig. 11.9. Produzione di elementi (in frazioni di massa stellare) per stelle di varie masse. La regione
a tratti indica la porzione di struttura ”congelata” sotto forma di stelle degeneri o collassate.
sull’andamento temporale della formazione stellare per ricavare l’evoluzione temporale della
composizione chimica del gas interstellare e, da qui, due diversi osservabili:
1. la composizione chimica del gas interstellare al tempo presente, in generale con particolare
riguardo ad uno o più selezionati componenti.
2. la distribuzione delle relative composizioni chimiche ”fossili” testimoniata nelle atmosfere
delle stelle della varie generazioni che sono sopravvissute sino al tempo presente.
Fig. 11.10. Distribuzione cumulativa S/S0 con abbondanza metallica non superiore a Z, al variare
di Z/Z0 . La linea a tratti riporta le previsioni del modello semplice con consumo trascurabile di gas.
Le curve continue simili previsioni ma al variare della frazione di massa del gas rimasta all’epoca
Z0 .
dMZ ∝ dMS ∝ dM
e potremo porre dMZ = k dM, da cui il contributo a Z di ogni generazione stellare
dMZ dM
dZ = = −k
M M
da cui, partendo dal gas cosmologico privo di metalli
M − M0
Z = lnM0 − lnM ∼ per M → M0
M0
dove M0 è la massa iniziale di gas. Nel caso di consumo trascurabile di gas la metallicità
risulta dunque, come atteso, proporzionale alla massa di gas andat in stelle e quindi anche
al numero di stelle ancora sopravviventi.
Si noti che tale derivazione assume implicitamente un continuo e regolare processo di
formazione stellare. Nelle assunzioni fatte, ad un ”burst” di formazione stellare corrispon-
derebbe un salto ∆Z con la contemporanea assenza di stelle in quell’intervallo di metallicità.
Il modello semplice che abbiamo descritto rappresenta un punto di riferimento che può es-
sere perfezionato introducendo assunzioni adeguate, quale ad esempio l’intervento ritardato
delle SNIa. Modelli così perfezionati sono chiamati a rendere ragione dellae abbondanze
chimiche osservate nella nostra come nelle altre galassie. Tra i vari problemi ricordiamo qui
solamente l’interessante evidenza secondo la quale nella nostra Galassia le stelle povere di
metalli mostrano di avere una chiara sovrabbondanza di elementi multipli α (C, O, Mg, Si,
Ca, Ti) rispetto al Fe. E’ stato suggerito che ciò sia la conseguenza del ritardato intervento
delle SNIa, produttrici di Fe, rispetto alla rapida sintesi di elementi α nelle SNII.
11.6. Conclusione
Da quanto siamo andati sviluppando nel corso di queste pagine, si evince quanto l’evoluzione
stellare fornisca una fondamentale chiave interpretativa dell’Universo, quale oggi lo speri-
mentiamo. Attraverso tale chiave ci è oggi possibile delineare lo sfondo sul quale inquadrare
la storia dell’Universo, aprendo la strada ad un campo di ricerche che atende ancora di essere
completato e perfezionato, ma le cui linee generali appaiono ormai saldamente acquisite.
13
In tale ricostruzione della storia dell’Universo è già stato compiuto un passo fondamen-
tale: oggi sappiamo di poter leggere questa storia non solo nelle stelle ma anche nei nuclei
della materia che ci circonda. Apprendendo dalla materia ciò che nel passato deve essere
avvenuto ma anche comprendendo che la materia non può essere diversa da quello che è in
base a quello che sappiamo dover essere stata la storia delle stella e dell’Universo.
14
Approfondimenti
(18 F )∗ →14 N + α
18
In realta, anche se molto raramente, il nucleo di F nello stato eccitato può decadere nel suo stato
fondamentale,
(18 F )∗ →18 F + γ
dando inizio alla complessa catena catture protoniche riportata qui di seguito
18
F →18 N + +e+ + ν
18
O + p →15 N + α ⇑ ma anche 19
F +γ
19 16 20
F +p→ O + α ⇑ ma anche Ne + γ
20
N e + p →21 N a + γ
21
N a →21 N e + e+ + ν
21
N e + p →22 N a + γ
22
N a →22 N e + e+ + ν
22
N e + p →23 N a + γ
23
N a + p →20 N + α ⇑ ma anche 24
Mg + γ
24 25
Mg + p → Al + γ
25
Al →25 M g + e+ + ν
25
M g + p →26 Al + γ
26 26 + 26
Al → M g + e + ν ma anche Al + p →27 Si + γ
26
M g + p →27 Al + γ 27
Si →27 Al + e+ + ν
27 24 28
Al + p → M g + α ⇑ ma anche Si + γ
Come indicato dal simbolo ”⇑”, che segnala il ritorno ad un nucleo precedente, in queta catena
esistono motli cicli. Ciononostante un piccolo numero di nuclei, inessenziale sotto ogni altro ripetto,
può filtrare sino ai nuclei più massicci, alterandone le abbondanze.
Si ritiene che tali catture protoniche siano all’origine di una serie di anomalie di composizione che
riguardano elementi quali Ne, Na, Mg, Al nelle atmosfere di Giganti Rosse, anomalie da mettersi in
relazione anche con l’efficienza di rimescolamenti profondi in grado di portare in superficie i prodotti
di combustione elaborati nei pressi della shell di idrogeno.
15
Fig. 11.11. Andamento delle linee equipotenziali nel piano dell’orbita di una binaria. Si è assunto
µ=0.4
GM1 GM2
Φ = −( + )
r1 r2
dove M1,2 e r1,2 sono ripettivamente le masse e le distanze di un generico punto materiale dai due
oggetti. Poniamoci ora in un sistema corotante, assumendo il piano dell’orbita come piano x,y e
assumendo anche come origine il centro della stella 1 e asse x la congiungente i centri delle due
stelle. In tale sistema le coordinate (x, y, z) del baricentro risulteranno (µa, 0, 0), dove ”a” e la
distanza (separazione) tra le due componenti e
M2
µ=
M1 + M2
e il potenziale nell’approssimazione di Roche si esplicita nella forma
GM1 GM2 1
Φ = −( + ) − ω 2 [(x − µa)2 + y 2 ]
(x2 + y 2 + z 2 )1/2 ((x − a)2 + y 2 + z 2 )1/2 2
dove ω = 2π/P e l’ultimo termine rappresenta il potenziale della forza centrifuga.
La Fig. 11.11 mostra il complesso andamento delle linee equipotenziali Φ = cost nel piano
dell’orbita nel caso µ=0.4. In prossimità delle stelle predomina il campo dei singoli oggetti mentre,
al crecere della distanza, si vanno intrecciando i contributi della gravitazione e della rotazione. A
distanze ancora maggiori prevarrà il contributo della rotazione. I cinque punti marcati in figura
come Li rappresentano i cinque punti lagrangiani di equilibro, sluzioni particolare del problema dei
tre corpi. Una particella di massa trascurabile ripetto alle altre due componenti, posta in uno dei
punti percorrerà orbite circolari mantenendo immutata la sua posizione ripetto alle due componenti
principali. I punti L4 e L5 , posti ai vertici di un triangolo equilatero con base ”a”, sono di equilibrio
stabile se M2 M1 . Una tale configurazione è realizzata in natura dal sistema Sole-Give- Asteroidi
”Troiani”.
Alla superficie equipotenziale passante per L1 si da il nome di Lobi di Roche. La Fig. 11.12
mostra l’andamento del potenziale lungo la linea congiungente il centro delle due stelle, illustrando
16
Fig. 11.12. Andamento del potenziale lungo la linea congiungente i centri delle due stelle. La
zona ombreggiata indica la regione occupata dalla materia stellare. E’ mostrato come al crescere
del raggio di una stella si inneschi un meccanismo di trasferimento di massa attraverso il punto
lagrangiano L1 .
nel contempo il principio fondamentale dei meccanismi di trasferimento di massa che regolano
l’evoluzione delle stelle nei sistemi bibnari stretti. Sinchè le dimensioni delle singole stelle restano
inferiori a quelle dei rispettivi lobi di Roche . l’evoluzione delle strutture segue il cammino delle
strutture isolate. L’evoluzione guida peraltro inevitabilmente le strutture verso la fase di Gigante
Rossa, con aumenti notevoli di raggio. Se il sistema èsufficientemente stretto (lobi di Roche di
dimensioni ridotte) la componente primaria, la più massiccia, evolvendo per prima finirà col riempire
il proprio lobo. Ogni tentativo di aumentare ulteriormente il proprio raggio avrà solo l’effetto di
reasferire materia sul proprio compagno, ”scortecciando” la struttura originale.
E’ di grande importanza notare che il trasferimento di massa è fenomeno reazionato positi-
vamente. Ricordando infatti come la traccia di Hayashi si sposti verso il rosso al diminuire della
massa, ricaviamo che una gigante, a fissata luminosià, ha raggi tanto maggiori quamto minore è
la massa. Per il solo fatto di perdere massa la gigante tende quindi ad espandere ulteriormente il
proprio raggio e, come conseguenza, il trasferimento avviene con tempi scala termodinamici anzichè
nucleari.
Può cosı̀ avvenire che l’originale secondaria finisca col diventare la stella più massiccia del sis-
tema, accelerando di conseguenza la sua evoluzione. Al progredire delle fasi evolutive, ogniqualvolta
una delle componenti riempi il proprio lobo di Roche si innescheranno fasi di trasferimento di massa.
La Fig. 11.12 mostra le tre caratteristiche configurazioni di fatto riscontrate nei sistemi binari
1. Sistemi staccati (detached): le due componenti sono ognuna all’interno del proprio lobo di Roche.
Ogni strutura segue una propria caratteristica evoluzione.
2. Sistemi semi-staccati (semi-detached): una delle due componenti riempie il proprio lobo, trafer-
endo materia sull’altra.
3. Sistemi a contatto (common envelope): tutte e due le componenti riempiono contemporanea-
mente il proprio lobo. La Fig. 11.12 mostra come in simili condizioni il sistema possa perdere
massa verso l’esterno attraverso il punto lagrangiano L2 .
Nei sistemi semi-distaccati o a contatto almeno una delle strutture risulta sensibilmente defor-
mata rispetto alla forma sferica, deformazione che si riflette in precise caratteristiche della curva
di luce. A titolo esemplificativo, la Fig. 11.13 mostra la struttura del sistema a contatto AW UMa
come derivabile proprio dall’analisi della complessa curca di luce.
17
Fig. 11.13. La forma della binaria a contatto AW UMa come ricavata della analisi della curva di
luce osservata.
Il calcolo dell’evoluzione delle stelle in un sistema binario può essere agevolmente eseguito con
solo alcune semplici implementazioni dei normali codici evolutivi per tener conto della presenza
dei lobi di Roche, del conseguente fenomeno di travaso delle masse e delle conseguenti variazioni
nei parametri orbitali. I risultatisono peraltro molto variegati a fronte dei molti parametri che
caratterizzano tali sistemi, quali non solo le masse iniziali delle due componenti ma anche la loro
originale separazione. La Fig. 11.14 riporta a titolo di esempio, la storia evolutiva di un sistema
con masse iniziali M1 =1.0 e M2 =2.0 M . Nella fase (a) ambedue le componenti hanno raggiunto
la loro sequenza principale. La primaria M1 evolve per prima sino a riempire il proprio lobo di
Roche (fase (b)), iniziando il trasferimento di massa. Nella fase (c) l’originaria secondaria è ormai
diventata la componente più massiccia e il sistema è formato da una gigante di 0.8 M che orbita
attorno ad una massiccia stella di MS di 2.2 M . Nella fase (d) la gigante ha completato la sua
evoluzione e il sistema è composto da una Nana Bianca e la massicia stella di MS. L’evoluzione di
quest’ultima porta ora al trasferimento di massa sulla Nana, producendo prima esplosioni di Nova
(fase (e)) e, infine, una SN di tipoI (fase (f)).
Tab. 2. Le Supernovae galattiche registrate storicamente. Per ogni evento viene data la costellazione
in cui è apparso, seguita da stime -quando disponibili- della magnitudine al massimo e dal tipo di
evenyo.
Fig. 11.15. Proiezione sul piano galattico della collocazione delle Supernovae registrate storica-
mente .
né immediata, dovendosi cercare di selezionare le SN da una vasta categoria di ”stelle visitatrici”
nella quale i cinesi registravano indifferentenmente comete, novae e supernovae. Si vede anche come
l’Europa immersa nelle tenebre del Medio Evo abbia ignorato ben due SN su tre. In particolare la
SN1054 doveva probabilmente essere visibile di giorno ad occhio nudo, ma non interessò un mondo
che aveva abbandonato l’antica astronomia per l’astrologia. Ricordiamo qui che a questa SN cor-
rispone oggi il ”remnant” noto come Crab Nebula al cui interno è stata osservata una stelle di
neutroni ruotante (Pulsar). Straordinario il caso di SN1667 che, inspiegabilmente, non è stata os-
servata da nessuno, ma la cui esplosione sembra indiscutibilmente testimoniata dalle caratteristiche
del remnant rivelato in tempi relativamente recenti.
In base agli eventi storicamente accertati la frequenza di Supernovae galattiche risulterebbe
quindi dell’ordine di 1 ogni 250 anni. Lo studio delle SN si basa peraltro sulla ricerca di tali eventi
nelle galassie esterne, ricerca che nel solo anno 2003 ha prodotto oltre 300 eventi. Dalle stime
eseguite sulla base si tali ricchi campioni si ricava che in una galassia quale la nostra ci si attende
1 evento ogni 80-100 anni, con una frequenza quindi circa tre volte superiore a quella osservata.
La discrepanza risulta peraltro facimente spiegabile : come mostrato in Fig. 11.15le SN storiche si
collocano tutte attorno al Sole, in un settore angolare di circa 60 gradi centrato sul centro galattico.
Se ne trae l’evidenza che in una larga porzione della Galassia le SN sono passate e passano in realtà
inosservate a causa del forte assorbimento della bamda ottica prodotto dalla materia interstellare.
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Fig. 11.16. Pannello di sinistra: abbondanza di 7 Li nelle atmosfere di stelle di MS negli ammassi
delle Iadi e Pleiadi. La freccia indica il ”dip” presente nelle Iadi, attribuito ad ulteriori effetti di dif-
fusione microscopica e levitazione radiativa. Pannello di destra: la distribuzione di abbondanze nelle
Pleiadi confrontata con le previsioni teoriche per due diverse assunzioni sul valore della lunghezza
di rimescolamento.
E’ stato stimato che la magnitudine visuale più probabile per la prossima SN galattica sarà
attorno a magnitudine 21. Questo non è il caso quando si osservi in bande infrarosse: ad esempio in
banda K una qualunque SN galattica risulterebbe con alta probabilità tra gli oggetti più luminosi
del cielo. Un controllo dela Galassia in banda IR sarebbe quindi altamente augurabile, in sinergia
con i rivelatori che hanno mostrato di essere in grado di rivelare i neutrini emessi da una SN
extragalattica, quale fu la 1986a nella Grande Nube di Magellano. Nell’occasione ricordiamo infine
come le supernovae vengano ”targate” in ordine di scoperta, con il numero dell’anno seguito da
a, b...z per le prime 26, poi da aa, ab... az, ba, bb etc. La 1986a fu quindi la prima SN osservata
nell’anno 1986.
del Li solare risulta minore di quello misurato negli ammassi, anche se le metallicità sono analoghe
e la teoria non prevede tale sensibile diminuzione con l’età. Terminiamo qui questi brevi cenni che
intendono solo attirare l’attenzione sul più generale problema degli elementi leggeri nelle atmosfere
stellari, problema ancora meritevole di approfondite indagini.
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