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Indice

1 La nascita della Meccanica Quantistica. 3


1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.1.1 Aree di crisi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.2 Radiazione di corpo nero. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2.1 La legge di Planck. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.3 Il fotone. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
1.3.1 Effetto fotoelettrico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.4 Livelli energetici discreti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
1.4.1 Conteggi e spazio delle fasi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.5 Emissione e assorbimento: coefcienti di Einstein. . . . . . . . . . . . . . 17
1.6 Statistica e dualit onda-particella. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
1.7 Impulso del fotone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
1.8 Impulso e sue uttuazioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
1.8.1 Lmpulso nei processi di emissione e assorbimento. . . . . . . . . . 31
1.9 Il problema dei calori specici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
1.10 Alcune nozioni elementari sugli spettri atomici. . . . . . . . . . . . . . . . 41
1.11 Modello di Bohr. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
1.11.1 Motivazioni delle ipotesi di Bohr. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
1.11.2 Formulazione alternativa della quantizzazione delle orbite. . . . . . 50
1.11.3 Quantizzazione del momento angolare. . . . . . . . . . . . . . . . 51
1.11.4 Osservazioni e prime generalizzazioni. . . . . . . . . . . . . . . . 52
1.11.5 Lesperimento di Franck ed Hertz. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
1.12 Regole di quantizzazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
1.12.1 Invarianti adiabatici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
1.13 Moti periodici unidimensionali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
1.13.1 Esempi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62
1.14 Moti quasi periodici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
1.14.1 Invarianza adiabatica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
1.15 Sistemi integrabili: oscillatore. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
1.16 Sistemi integrabili: atomo di idrogeno. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
1.17 Esperimento di Stern e Gerlach. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
1.18 Conferme e smentite del modello. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84
1.19 Interazione luce materia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
1.19.1 Diffusione della luce e legge di dispersione. . . . . . . . . . . . . . 89
1.19.2 Relazione di Thomas e Kuhn. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
1.19.3 Principio di corrispondenza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
1.20 La transizione alla meccanica quantistica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94
1
2 INDICE
Appendici e Complementi 99
1.A Termodinamica del corpo nero. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
1.A.1 Legge di Wien. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102
1.A.2 Entropia e spettro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
1.B Fluttuazioni classiche del campo di radiazione. . . . . . . . . . . . . . . . 108
1.C Assorbimento di un oscillatore. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111
1.D Entropia di Sackur-Tetrode. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113
1.E Regole di quantizzazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114
1.E.1 Sistemi periodici unidimensionali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115
1.E.2 Esempi espliciti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118
1.F Calcolo di alcuni integrali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119
1.G Calcolo perturbativo del dipolo elettrico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122
Capitolo 1
La nascita della Meccanica
Quantistica.
1.1 Introduzione
La nascita della meccanica quantistica nella sua forma odierna ha una fase di gestazione che
si pu convenzionalmente ssare fra la data della prima comunicazione di Planck[Pla00a]
in cui viene presentata la formula per la distribuzione spettrale della radiazione di corpo
nero, 9 Ottobre 1900, e la stesura dellarticolo di Heisenberg[Heis25], Luglio 1925, in
cui si delineano le linee guida della meccanica quantistica. Questo processo, innescato
da una profonda crisi della sica classica a fronte del nuovo mondo microscopico che le
tecniche sperimentali cominciavano a disvelare, ha costituito uno dei pi profondi sconvol-
gimenti culturali nella storia della scienza, coinvolgendo il concetto stesso di realt sica
ed imponendo un cambiamento radicale nel paradigma interpretativo della natura.
In questo breve capitolo non vogliamo fare una storia di questi eventi, cosa per la quale
non ci sentiamo competenti, quanto presentare nella maniera pi semplice possibile alcuni
li conduttori che permettano di seguire la logica di questa evoluzione.
Uno dei motivi di questa presentazione la convinzione degli autori che una compren-
sione, almeno parziale, del retroterra teorico - sperimentale della meccanica quantistica
possa far capire meglio alcuni concetti della teoria. Una seconda motivazione la constata-
zione che levoluzione della meccanica quantistica non pu certo dirsi conclusa, quindi la
conoscenza dei fondamenti su cui poggia pu aiutare a capire alcuni degli sviluppi futuri.
Qualche precisazione per il lettore.
1) La lettura di questo capitolo non tecnicamente necessaria per la comprensione del
testo principale, una buona idea sarebbe una rilettura di questa parte dopo aver letto
il resto del libro, alcune cose appariranno sotto unaltra luce.
2) In questo capitolo, necessariamente, daremo per scontate moltissime cose di si-
ca classica. Un minimo di conoscenza della meccanica statistica pu essere uti-
le. Daremo delle dimostrazioni per alcuni punti che potrebbero non far parte delle
conoscenze di base del lettore. Le dimostrazioni non strettamente necessarie alla
comprensione del testo saranno messe in appendice.
1.1.1 Aree di crisi.
Si soliti indicare in tre questioni principali i punti di crisi della sica classica. In parole
semplici:
a) Il problema della radiazione del corpo nero: la teoria elettromagnetica classica non
capace di spiegare il colore della luce emesso da un corpo caldo.
3
4 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
b) Il problema dei calori specici: secondo la meccanica statistica classica ogni grado
di libert contribuisce in ugual misura al calore specico di un corpo, questo in
palese contraddizione con levidenza sperimentale, come commenteremo fra breve,
ed piuttosto imbarazzante da un punto di vista logico, pregurando un limite
alla possibile struttura interna dei corpi (allaumentare della struttura aumentano di
sicuro i gradi di libert).
c) Il problema degli spettri atomici: losservazione sperimentale mostra che la luce
emessa, e assorbita, dai vari elementi chimici ristretta a ben denite frequenze,
caratteristiche di ogni elemento. Lo spettro, cio linsieme delle frequenze, e le sue
regolarit sono incomprensibili classicamente.
Bench questi problemi siano gravi, connare in questo modo la problematica una
ottimistica sottovalutazione. Quello che i dati sperimentali sempre pi precisi della se-
conda met dellottocento andavano svelando era la struttura microscopica, atomica, della
materia. La sica classica assolutamente incompatibile con lesistenza stessa di strutture
microscopiche stabili legate da forze di tipo elettrico (le uniche conosciute allepoca), non
essendo capace nemmeno di stabilire lordine di grandezza delle dimensioni atomiche. I
problemi precedenti sono una conseguenza di questa situazione. Il problema fondamentale
cinematico, come emerger a poco a poco nel primo quarto del novecento: non sono pre-
senti forze sconosciute, sono i concetti stessi di posizione, impulso, energia a dover essere
rivisti. Accanto a questi aspetti cinematici appariranno anche delle nuove forze, rivelate
dalla scoperta della radioattivit, ma queste questioni avranno uninuenza marginale nella
prima fase di sviluppo della teoria.
Non basta. La sica classica poggia su una dicotomia fra particelle, denite da pochi
gradi di libert, ad esempio la posizione e limpulso, e campi che necessariamente hanno
inniti gradi di libert: se vogliamo ad esempio conoscere levoluzione temporale di un
campo elettromagnetico dobbiamo assegnarne il valore su unintera supercie. Matemati-
camente questa differenza si riette nel fatto che le equazioni per il campo elettromagnetico
sono equazioni alle derivate parziali, mentre le equazioni di Newton, per i supposti costi-
tuenti elementari, sono equazioni ordinarie. Questo punto connesso al precedente nel
senso che qualunque tentativo classico di immaginare una struttura interna agli elettroni
(le uniche particelle abbastanza conosciute allepoca) era fallito, quindi questi costituenti
andavano trattati come puntiformi. La coesistenza quasi pacica di queste due rappresen-
tazioni del reale comincia ad entrare in conitto con lanalisi teorica ed i dati sperimen-
tali, risolvendosi inne nellabbandono delle due visioni, che diventano un caso limite di
rappresentazione dello stesso oggetto quantistico.
Uno dei campi in cui tutte queste problematiche vengono per prime alla luce lo stu-
dio della radiazione di corpo nero, ed da questo fenomeno che partiamo per la nostra
presentazione.
1.2 Radiazione di corpo nero.
Un importante risultato della sica classica, dovuto a Kirkhhoff, afferma che in condizioni
di equilibrio termico il rapporto fra il potere emissivo di un corpo ed il potere assorbente
universale ed porporzionale alla densit spettrale di energia in una cavit. Per la di-
mostrazione rimandiamo allappendice 1.A ed al libro di Planck sullargomento[Pla-H.R.].
Consideriamo una cavit a pareti perfettamente riettenti, di volume V , (per semplicit
supporremo un cubo) e tenuta a temperatura T. Le pareti di questa cavit sono in equi-
librio termico con la radiazione elettromagnetica emessa ed assorbita dalle pareti. Sia U
lenergia elettromagnetica totale, u = U/V la densit di energia e u

(, T) la sua densit
spettrale, cio u

(, T)d la quantit di energia elettromagnetica per unit di volume e di


1.2. RADIAZIONE DI CORPO NERO. 5
frequenza
1
. Naturalmente
u =


0
u

(, T)d (1.1)
Un corpo nero denito come un corpo che assorbe completamente la luce di tutte le
frequenze, cio con potere assorbente 1. In forza del risultato citato sopra il potere emissivo
di questo corpo direttamente proporzionale alla funzione u

. Il teorema di Kirkhhoff
afferma appunto che la funzione u

(, T) universale, il potere emissivo di un corpo nero


non dipende cio dal tipo di corpo, dalla sua composizione chimica etc, e la densit di
radiazione non dipende dal tipo di cavit.
Una affermazione cos generale f capire che la determinazione della funzione u

(, T)
coinvolge solo costanti universali e riette qualche importante propriet sica. Dal punto
di vista visivo la determinazione della funzione permette di capire il colore della luce
emessa: la dipendenza dalla temperatura provocher una diversa distribuzione in frequenza
della luce, e quindi un colore (cio una frequenza) diversi.
La situazione teorica dellargomento alla ne dell800 pu essere riassunta nei seguenti
fatti:
Legge di Stefan Boltzmann. La densit di energia proporzionale alla quarta potenza
della temperatura:
u(T) = aT
4

4
c
T
4
J(T) = T
4
(1.2)
detta costante di Stefan-Boltzmann, c la velocit della luce, e J lenergia
radiante emessa al secondo dallunit di supercie di un corpo nero a temperatura
T. Si pu pensare di misurare J considerando un forno a temperatura T con un pic-
colo foro da cui esce la radiazione. La (1.2) una conseguenza diretta del secondo
principio della termodinamica e della relazione p = u/3 che lega la densit di ener-
gia elettromagnetica e la pressione di radiazione. Come sottoprodotto si ha anche
lespressione dellentropia della radiazione
2
S =
4
3
u
T
V
4
3
U
V
(1.3)
Legge di Wien. La funzione u

(, T) ha la forma
u

(, T) =
3
f(

T
) (1.4)
Dalla (1.4) segue la legge di Stefan-Boltzmann
u =


0
u

(, T)d =

3
f(/T)d = T
4


0
x
3
f(x)dx = aT
4
La (1.4) racchiude la legge dello spostamento di Wien: il massimo della funzione
spettrale soddisfa alla relazione

max
/T = cost. ovvero
max
T = cost. (1.5)
Basta infatti scrivere lequazione du

/d = 0: si ottiene unequazione nella sola


incognita /T.
La situazione fenomenologico-sperimentale era la seguente:
1
Nella speranza di ridurre la possibile confusione dovuta al proliferare delle quantit, cercheremo di usare in
modo consistente la seguente convenzione tipograca, Qindica una quantit globale, q la sua densit, cio Q/V ,
e q la densit spettrale.
2
Ricordiamo che la dimostrazione di tutte queste affermazioni pu essere trovata nel paragrafo 1.A
6 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Sulla base di analogie con la distribuzione di Maxwell, Wien aveva proposto la forma
seguente per la funzione u

(, T):
u

(, T) = a
3
e
b/T
(1.6)
Non ci sono giusticazioni teoriche ragionevoli per questa legge, pu essere pensata
come una descrizione fenomenologica dei dati.
I dati sperimentali, limitati a piccole lunghezze donda, si accordano bene alla eq.(1.6).
La situazione cambia rapidamente alla ne dell800 con lafnarsi delle misure e lesten-
sione delle stesse verso linfrarosso, cio a grandi lunghezze donda: i dati sperimentali
mostrano una deviazione signicativa dalla legge proposta da Wien, e la teoria non ha al-
cuna predizione n per la proposta fenomenologica di Wien, n tantomeno per le deviazioni
misurate. a questo punto che Planck scopre la corretta forma di u

(, T) e per giusticare
questa forma, che si adatta perfettamente ai dati sperimentali, costretto a introdurre il
concetto di quanto, cio la possibilit di una discontinuit nei processi sici.
1.2.1 La legge di Planck.
chiaro che la determinazione della funzione u

(, T) un problema di equilibrio stati-


stico, ma bisogna tener conto del fatto che la meccanica statistica era una parte della sica
relativamente nuova e non universalmente accettata, in particolare Planck non ne era certo
un sostenitore. Lapproccio usato da Planck perci, almeno inizialmente, termodinamico:
una metodologia ben suffragata dal fatto che gli unici risultati noti allepoca, la legge di
Wien e la legge di Stefan-Boltzmann, erano stati ottenuti appunto in questo modo.
Il risultato nale la formula di Planck per la radiazione di corpo nero
u

(, T) =
8h
3
c
3
1
e
h
kT
1
(1.7)
h la costante di Planck e k la costante di Boltzman. Per quanto detto sulluniversalit
della radiazione di corpo nero, h e k sono due costanti universali. Dimensionalmente:
[h] = energia tempo = azione
interessante notare che la costante di Boltzmann fa la sua prima comparsa proprio nel
lavoro di Planck [Pla00a], ritorneremo pi avanti su questo punto. In questo capitolo deri-
veremo la (1.7) in diversi modi, ma interessante seguire la logica originale della deduzione
di Planck
3
.
Lequilibrio termico della radiazione mantenuto da uno scambio continuo di energia
con le pareti della cavit, la prima idea di Planck di trasformare la ricerca di u

(, T)
nello studio dellequilibrio termico del materiale della cavit. Per il teorema di Kirkhhoff
la scelta del materiale arbitraria, quindi Planck sceglie il modello pi semplice: oscillatori
armonici che mantengono lequilibrio assorbendo e riemettendo radiazione. Un oscillatore
con frequenza propria
0
assorbe ed emette luce a frequenza
0
. Come noto la potenza
emessa da una carica accelerata
I =
2
3
e
2
c
3
a
2
dove a laccelerazione. La potenza assorbita fornita dal lavoro del campo elettrico
della radiazione eE v. Lampiezza di oscillazione proporzionale al campo elettrico,
quindi il lavoro proporzionale a E
2
, cio alla densit di energia. Allequilibrio lenergia
emessa uguale allenergia assorbita ed un semplice calcolo, riportato per comodit nel
3
Lo studio della radiazione di corpo nero costituiva da anni linteresse scientico di Planck, nel lavoro del
1900 vengono utilizzate molte idee sviluppate in lavori precedenti.
1.2. RADIAZIONE DI CORPO NERO. 7
paragrafo 1.C d la relazione fra lenergia media delloscillatore di frequenza , E

, e la
densit spettrale:
u

(, T) =
8
2
c
3
E

(1.8)
Notiamo che, in accordo col teorema di Kirkhhoff, nella (1.8) non compaiono i parametri
delloscillatore, e, m. Se si riesce a calcolare lenergia media termica delloscillatore, E

,
si ha la soluzione del problema
4
. La (1.8), assieme alla legge di Wien, assicura che a sso
, E

una funzione solo di T:


E

= E

(T) (1.9)
ben noto, ed era noto da oltre 30 anni nel 1900, che un oscillatore armonico in equi-
librio termico ha classicamente unenergia media E

= kT: il teorema di equipartizione


dellenergia, ad ogni grado di libert che compare in forma quadratica nellHamiltoniana
associata unenergia
1
2
kT e loscillatore ha un grado di libert traslazionale, p
2
/2m, ed
uno vibrazionale,
1
2
m
2
0
q
2
. Probabilmente Planck non crede alla validit del teorema di
equipartizione e non lo applica, per fortuna, alla (1.8): se lo avesse fatto non avrebbe sco-
perto la legge (1.7). Planck parte dal secondo principio della termodinamica applicato agli
oscillatori. Lentropia una quantit estensiva, se consideriamo sso il volume della cavit
possiamo considerare lentropia per oscillatore come funzione dellenergia E

e scrivere il
secondo principio nella forma
dS
dE
=
1
T
(1.10)
Siccome nel discorso che segue sso tralasceremo di indicarlo. S indica lentropia
per oscillatore ed E lenergia media per oscillatore. Nella (1.10) la temperatura T va
pensata come funzione di E, ottenuta invertendo la (1.9). Viceversa se si conosce dS/dE
in funzione di E si pu trovare la (1.9).
Consideriamo ad esempio la legge fenomenologica di Wien. Dalla (1.8) segue
E = e
/T

T
= log(
E

) (1.11a)
d
2
S
dE
2
=
d
dE

1
T

=
1

1
E
(1.11b)
Ripetiamo: i fattori sono costanti, sono stati messi in evidenza per sottolineare che i due
coefcienti , sono costanti universali, indipendenti da .
Viceversa assumendo lequazione (1.11b) si ricava la legge di Wien. Notiamo che in
questo modo la costante una costante di integrazione. Una relazione del tipo d
2
S/dE
2

1/E era stata ipotizzata da Planck in base ad un modello piuttosto complicato, ma i dati
sperimentali indicavano una violazione della legge di Wien e quindi la non validit di que-
sta equazione. Dalla (1.11a) vediamo che per T 0, oppure , E 0. In questo
regime la (1.11a) in accordo con i dati, quindi la correzione deve consistere in qualcosa
che si annulla pi rapidamente di E quando E 0. Lipotesi pi semplice
d
2
S
dE
2
=
1
a
1
1
E(a
2
+E)
(1.12)
Integrando la (1.12) si ha:
1
T
=
dS
dE
=
1
a
1
a
2

dE

1
E

1
a
2
+E

=
1
a
1
a
2

log
E
a
2
+E
+c

(1.13)
Un punto da sottolineare ora il seguente: per T , lenergia media delloscillatore
deve divergere, quindi il limite E della (1.13) deve essere nullo, questo ssa la
4
Per evitare malintesi le energie che compaiono nella (1.8) sono energie termiche, lo zero dellenergia cio
ssato a T = 0. Eventuali altre forme che non dipendono dalla temperatura sono escluse.
8 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
costante additiva c = 0. Si hanno quindi ancora 2 costanti, come nel caso della legge di
Wien. Notiamo che il vincolo E per T incompatibile invece con la (1.11a).
Imponendo ora che per E 0, cio T 0 si recuperi la (1.11a) si ottiene
a
1
a
2
= a
2
= (1.14)
Invertendo la (1.13) e usando la (1.8)
E =
e
/T
1 e
/T
=
1
e
/T
1
u

(, T) =
8
3
c
3
1
e
/T
1
(1.15)
Cambiando nome alle costanti
= h =
h
k
si ha la legge di Planck nella notazione usuale. Lidenticazione della costante di Boltz-
mann segue dal limite di alta temperatura:
E

T (1.16)
Notiamo due cose molto importanti:
Il teorema di equipartizione classico non un optional della sica classica, se
violato, come nella (1.15), qualche principio fondamentale deve venire a mancare.
Dai dati sperimentali, piuttosto precisi, Planck ricava il valore delle due costanti h, k.
Dal valore di k si possono ricavare il numero di Avogadro, usando la costante dei gas,
e, dal valore del Faraday, la carica dellelettrone:
N
A
= R/k F = N
A
e (1.17)
i valori ricavati sono i migliori per lepoca in esame, solo diversi anni dopo, ad
esempio, la misura di e stata migliorata. Lo stesso si pu dire per il valore di
N
A
.
Dal valore di u

possibile ricavare la costante di Stefan-Boltzmann


=
2
5
k
4
15h
3
c
2
a =
4
c
=
8
5
k
4
15h
3
c
3
(1.18)
Usando lintegrale
I =


0
x
3
e
x
1
dx =

4
15
si ha
u =


0
ud =
8h
c
3

3
e
h/kT
1
d =
8k
4
h
3
c
3
T
4
I
da cui segue la (1.18).
La conclusione che si pu trarre dalle previsioni (1.17) che la formula di Planck qualcosa
di pi di un semplice accordo fenomenologico, mentre lindicazione teorica che qualcosa
di rilevante deve essere sbagliato nella sica classica.
Quanto rilevante sia lo scostamento dalla sica classica lo si capisce nella proposta di
spiegazione che Planck avanza nel lavoro[Pla00b]. Riscrivendo la (1.13) con il valore delle
costanti (1.14) e integrando si ha
S =

1 +
E

log

1 +
E

log

+S
0
1.2. RADIAZIONE DI CORPO NERO. 9
Per T 0, E 0. Imponendo
5
S(0) = 0 si ha S
0
= 1 e, sostituendo il valore noto delle
costanti
S = k

1 +
E
h

log

1 +
E
h

E
h
log

E
h

(1.19)
Naturalmente dallespressione (1.19), derivando si ottiene la formula di Planck, come vi-
sto precedentemente. Si tratta quindi di dimostrare la (1.19). Ricordiamo che in termini
statistici lentropia di un sistema data da
S = k log W (1.20)
dove W, nel linguaggio usuale, il numero di microstati corrispondente al macrostato di
equilibrio. Confrontando la (1.20) con la (1.19) naturale provare a calcolare S valutando
W allequilibrio. Il ragionamento di Planck il seguente. Consideriamo N oscillatori.
Sia E
N
lenergia di equilibrio e S
N
la corrispondente entropia. Allequilibrio lenergia
E
N
in qualche modo distribuita fra gli N oscillatori e lenergia media per oscillatore
E = E
N
/N. Supponiamo di considerare lenergia come composta da tante piccole parti,
, si avr E
N
= P, P il numero di pezzetti di energia. Planck afferma che W il
numero di modi in cui questa energia pu essere distribuita, il nome tecnico usato per un
microstato, allepoca, era complessione. Quindi W il numero di modi in cui P palline
identiche possono essere distribuite in N cassetti. facile calcolare questo numero: se si
tracciano N 1 righe verticali, si delimitano N cassetti, comprendendo lo spazio a sinistra
della prima riga e a destra dellultima. Si distribuiscono ora P palline nei cassetti, il numero
delle distribuzioni possibili si ottiene permutando fra di loro linsieme delle palline e degli
oggetti, (N + P 1)!. Le (N 1)! permutazioni che scambiano fra loro le righe sono
ininuenti, e lo stesso dicasi delle P! permutazioni delle palline, quindi
W =
(N +P 1)!
(N 1)!P!
(1.21)
Essendo N 1, P 1, possiamo trascurare il termine 1 nella espressione precedente
ed applicare la formula di Strirling log(n!) n(log n 1), ottenendo
S
N
= k [(N +P)(log(N +P) 1) N(log N 1) P(log P 1)] =
= kN

1 +
P
N

log

1 +
P
N

P
N
log
P
N

Ricordando che P = E
N
/ = NE/ si ha, per lentropia per oscillatore
S =
S
N
= k

1 +
E

log

1 +
E

log

(1.22)
Che identica alla (1.19) se si identica il pezzetto minimo di energia con h.
Il problema che non si pu fare il limite 0, questo corrisponde al limite 0
nella (1.19), cio E ed in questo caso si ricade nel caso classico in cui E = kT.
Quindi la formula di Planck si ottiene assumendo una discretizzazione dellenergia in
quanti di grandezza h.
ovvio che questo in contrasto con tutta la meccanica classica, non solo, rischia di
entrare in conitto con le stesse equazioni di Maxwell nella cavit, cio nel vuoto. Co-
munque a questo livello la situazione perlomeno ambigua. Si pu ad esempio pensare a
qualche, oscuro in verit, meccanismo dinamico che provochi a livello effettivo una discre-
tizzazione del tipo (1.22). Il vero problema la violazione del principio di equipartizione
dellenergia. Un altro problema allapparenza tecnico che il conteggio usato per dedurre
la (1.22) non il conteggio di Boltzmann, o almeno non sembra il conteggio di Boltzmann.
Le differenze sono due
5
Lannullarsi dellentropia per T = 0 il contenuto del Teorema di Nerst.
10 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Nel normale conteggio combinatorio per il calcolo del numero di microstati, si con-
siderano gli stati di oggetti distinguibili, le particelle di un gas, mentre le quantit
usate da Planck sono oggetti indistinguibili.
Nel conteggio di Boltzmann occorre scrivere la realizzazione di un macrostato gene-
rico e trovare S allequilibrio massimizzando questa espressione, questo identica lo
stato di equilibrio come lo stato pi probabile. Nel risultato (1.22) non si effettuata
nessuna operazione di massimizzazione, quindi non molto chiaro in che senso il
conteggio fatto descriva lo stato di equilibrio, non avendo specicato quali sono gli
altri stati possibili. Queso conteggio fu ampiamente discusso, e criticato, nei primi
anni del 900, vedremo pi avanti qual la spiegazione corretta.
Il problema del principio di equipartizione dellenergia viene sollevato in varie forme
da Raleigh, Einstein, Jeans. Ponendo E

= kT la formula (1.8) diventa


u

(, T)
8
2
c
3
kT (1.23)
e prende il nome di formula di Raleigh-Jeans. Un punto interessante che pu essere
dedotta senza far ricorso agli oscillatori materiali. Se consideriamo una cavit a pareti
riettenti, possiamo decomporre il campo elettrico, e quello magnetico, in onde stazionarie,
diciamo che si annullano ai bordi. Per annullarsi ai bordi, x = L, una funzione del tipo
sin(2
x

)
deve avere =
2L
n
, cio per ogni lato occorre sistemare un numero intero di semilunghezze
donda. Queste lunghezze donda corrispondono a frequenze
=
c

=
nc
2L
n = 1, 2 . . .
Questo vale per ognuna delle 3 direzioni spaziali. Il numero di frequenze possibili, o
modi di vibrazione, allora il volume individuato dalle triplette di interi positivi n =
(n
x
, n
y
, n
z
), tutti in un ottante dello spazio tridimensionale. Lelemento di volume in
questo spazio
1
8
4n
2
dn = 4

2
c
3
L
3
d = [n[
c
2L
Tenendo conto che per ogni modo di vibrazione del campo elettrico ci sono due modi di
polarizzazione, il numero di modi in frequenza, per unit di volume,
Z

d = 8

2
c
3
d (1.24)
Ogni modo di vibrazione un modo armonico, quindi a tutti gli effetti un oscillatore. La
densit di energia di radiazione allora
u

(, T) = Z

(1.25)
dove E

lenergia media di un oscillatore di campo ( nel 1900, per Raleigh, un oscillatore


delletere): la (1.25) coincide con la (1.8). Questo modo di procedere ha il vantaggio di
focalizzare lattenzione sulla radiazione.
a questo punto che compare un rivoluzionario lavoro di Einstein[Ein05], che da una
parte ribadisce la validit in meccanica classica del principio di equipartizione, dallaltra
segna la nascita del concetto di fotone.
1.3. IL FOTONE. 11
1.3 Il fotone.
Vogliamo capire quali sono le implicazioni della formula di Planck per la radiazione elettro-
magnetica, cio cosa dice sulla luce. Seguiremo essenzialmente la logica usata da Einstein
in una serie di lavori scritti a partire dal 1905: in questi lavori vengono delineati molti dei
concetti che costituiranno lossatura della meccanica quantistica.
Nella regione infrarossa della radiazione di corpo nero, per h < kT, la legge di
Planck riproduce la legge di Raleigh-Jeans, (1.23). Quindi almeno nella zona di grandi
lunghezze donda le previsioni della sica classica funzionano. Daltra parte la stessa legge,
non pu avere validit generale. Infatti se fosse sempre valida si avrebbe, per lenergia
totale
u =


0
u

d =


0
8
2
c
3
kTd = (catastrofe ultravioletta) (1.26)
un risultato palesemente assurdo[Ein05]. Quindi nella regione h kT non possono va-
lere le leggi della meccanica classica e/o dellelettromagnetismo classico. Il fatto che la
stessa legge (1.26) possa essere ottenuta considerando gli oscillatori di campo, indipenden-
temente quindi dai particolari meccanismi di interazione, induce a ritenere che lopzione
e/o vada intesa come un e, cio non possono valere le equazioni di Maxwell. Faccia-
mo notare di nuovo che si tratta dele equazioni di Maxwell nel vuoto, cio una delle cose
meglio vericate della sica.
Sia la formula di Planck, sia la legge fenomenologica di Wien, indicano una modica
della (1.23) per h kT, quindi la domanda : come si descrive la radiazione elettro-
magnetica in questo regime? La deduzione di Planck suggerisce una discretizzazione dei
processi di emissione ed assorbimento, quindi naturale pensare che uno stesso tipo di
discretizzazione possa avvenire a livello di radiazione, per la radiazione questo signica
interpretare la luce in termini di particelle, che saranno chiamate fotoni. Quanto questo sia
in contrasto con tutta levidenza dei fenomeni di interferenza, diffrazione, etc., cosa facile
da immaginare.
Ogni fotone dovrebbe avere una certa energia e, vista lanalogia della legge di Wien
con la distribuzione di Maxwell di un gas perfetto, o in generale con la distribuzione di
Boltzmann, exp(E/kT), ci si aspetta che questa energia cresca con la frequenza. Nella
zona h kT la densit di energia tende rapidamente a zero con la frequenza, quindi,
se di fotoni si tratta, in questo regime si deve avere un gas rarefatto di fotoni. Se il gas
non fosse rarefatto ci potrebbero essere problemi a distinguere una distribuzione continua
di energia, come quella aspettata classicamente, da una distribuzione discretizzata ed orga-
nizzata in quanti elementari. Se invece il gas rarefatto la cosa relativatemente semplice:
dividiamo il volume della cavit in piccoli elementi, se distribuiamo lenergia in forma
discretizzata ci saranno delle cellette vuote e delle cellette piene, come se distribuissimo
delle palline. Il punto essenziale che una pallina o c o non c, non pu esserrci mezza
pallina, mentre non si hanno vincoli per una distribuzione continua. In un normale gas que-
sto semplice concetto geometrico tradotto in una propriet dellentropia. Se dividiamo
il volume V in cellette di dimensioni v la probabilit di trovare una particella in una data
celletta proporzionale a v/V , la probabilit di trovarne N sar proporzionale a (v/V )
N
,
se supponiamo che le particelle siano statisticamente indipendenti (lo sono di sicuro se il
gas rarefatto). Se consideriamo due diverse suddivisioni, la probabilit relativa sar
P
N
=

v
2
v
1

N
(1.27)
P
N
il rapporto fra la probabilit di trovare N particelle in un volumetto v
2
e la probabilit
di trovare N particelle in un volumetto v
1
. Ma sappiamo che la relazione di Boltzmann S =
k log W lega lentropia alla probabilit di un dato stato di equilibrio, quindi considerando
12 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
lentropia di un volumetto v
2
e quella di un volumetto v
1
si ha
S
2
S
1
= k log P
N
= k log

v
2
v
1

N
S = kN log(V ) +f (1.28)
con f indipendente da V .
Se i fotoni esistono lentropia della radiazione di corpo nero, per h kT, deve
soddisfare ad una relazione come la (1.28). Lentropia della radiazione pu essere scritta
nella forma
S = s V = V


0
s

(u

, ) d (1.29)
La (1.29) una decomposizione spettrale per lentropia. Il volume a fattore indica la
propriet estensiva, le variabili u

sono intensive. Noi vogliamo estrarre dalla (1.29) solo


la parte ad alta frequenza. Se consideriamo un volume unitario, quindi sso, il secondo
principio della termodinamica mette in relazione
6
s

e u

:
ds

du

=
1
T
(1.30)
Nel limite h kT possiamo usare la relazione di Wien per ricavare 1/T
ds

du

=
1
T
=
k
h
log
u

3
da cui integrando
s

=
k
h
u

log
u

3
1

(1.31)
Consideriamo ora lenergia, dovuta ad un intervallo di frequenza, E = V u

e la
corrispondente entropia, S = V s

, dalla (1.30) si ha
S(V, E) =
k
h
E

log
E
V
3
1

quindi considerando due diversi volumi


S
2
S
1
= k
E
h
log

V
2
V
1

(1.32)
confrontando questa espressione con la (1.28) si ha che la radiazione di corpo nero ad
alta frequenza si comporta come un gas rarefatto di particelle di energia h, in modo che
E/h sia il numero di particelle (fotoni). In altre parole[Ein05], lecito ipotizzare che la
radiazione elettromagnetica sia costituita da particelle. Notiamo che questa interpretazione
a particelle indipendenti valida nella regione h kT, cio lontano dalla zona di
validit della legge di Raleigh-Jeans. Nel lavoro del 1905[Ein05], ed in quelli successivi,
Einstein propone diversi esperimenti che possono convalidare questa interpretazione. Il pi
noto leffetto fotoelettrico, ed il suo inverso, leffetto Volta.
1.3.1 Effetto fotoelettrico.
Se si invia della radiazione elettromagnetica su un metallo, si osserva una emissione di
elettroni, questo effetto si chiama effetto fotoelettrico. noto che per estrarre degli elet-
troni da un metallo occorre fornire una certa energia, il cosiddetto potenziale di estrazione,
W, caratteristico del metallo. La spiegazione classica delleffetto fotoelettrico chiara: il
campo elettrico dellonda incidente accelera lelettrone e quando la sua energia supera W,
6
Le affermazioni (1.29) e (1.30) anche se intuitive, non sono in realt banali, ne diamo una dimostrazione in
appendice 1.A.2.
1.4. LIVELLI ENERGETICI DISCRETI. 13
lelettrone viene emesso. Lenergia trasferita proporzionale allintensit della radiazione,
quindi ci si aspetterebbero degli elettroni energetici per onde di alta intensit, mentre non ci
si aspetta nessuna dipendenza signicativa dalla frequenza della radiazione incidente. La
situazione sperimentale, come evidenziato da Lenard nel 1902[Len02], completamente
opposta
1) C una frequenza caratteristica
min
al di sotto della quale, qualunque sia lintensit
della radiazione, non vengono emessi elettroni.
2) Lenergia degli elettroni dipende dalla frequenza ma non dipende dallintensit.
3) Gli elettroni vengono emessi a qualunque intensit della radiazione, anche a bassisi-
me intensit. Al descrescere dellintensit ne vengono emessi meno.
La spiegazione di questi fatti immediata se si considera la luce come composta da fotoni.
Un fotone di energia h pu al massimo cedere tutta la sua energia ad un elettrone del
metallo, questo ne pu perdere eventualmente una parte per attrito (urti col materiale),
uscendo dal metallo stesso. Quindi lelettrone estratto dal metallo solo se h > W,
il che spiega la soglia in frequenza, anzi mette in relazione la soglia con il potenziale di
estrazione. Lenergia, massima, dellelettrone estratto
E
max
= h W (1.33)
Lintensit dellonda proporzionale al numero di fotoni, quindi al variare dellintensit
lunica cosa che varia il numero di elettroni emessi, non la loro energia. Tutti questi
effetti ed in particolare la relazione (1.33) sono stati vericati sperimentalmente negli anni
fra il 1905 ed il 1920[Mil14], facendo a poco a poco accettare lidea dellesistenza dei
fotoni.
Leffetto Volta linverso delleffetto fotoelettrico: se un facio di elettroni incide su
un metallo e viene assorbito, si ha unemissione di radiazione. La (1.33) in questo caso
predice che la frequenza della luce emessa h = E +W. Anche questo effetto ha avuto
conferma sperimentale in quegli anni[Dua15]. Per le altre prime applicazioni del concetto
di fotone il lettore pu consultare gli articoli[Ein05, Ein06].
Ci occuperemo pi avanti delle altre caratteristiche del fotone.
1.4 Livelli energetici discreti.
Facciamo il punto della situazione: la formula di Planck descrive in modo perfetto la ra-
diazione di corpo nero, la sua spiegazione teorica richiede in qualche modo una discretiz-
zazione degli scambi di energia fra radiazione ed atomo, daltra parte linterpretazione di
Einstein della radiazione presuppone una discretizzazione della radiazione stessa. Entram-
be queste cose, ovviamente, sono inconsistenti con la meccanica classica. merito ancora
di Einstein[Ein06], nel 1906, avere messo in luce i problemi e proposto in modo chiaro la
necessit di unulteriore rottura con la meccanica classica: la quantizzazione dellenergia
per i corpi materiali, oltre che per la radiazione.
Cominciamo col notare che nellambito dellelettromagnetismo classico non natural-
mente possibile che un oscillatore assorba energia a salti, quindi se si assume corretta la
deduzione di Planck ci signica che linterazione oscillatore-atomo non descritta dalle-
lettromagnetismo classico. Ma lelettromagnetismo classico stato usato nella derivazione
della (1.8)! La conclusione che in realt la (1.8) unipotesi. Il secondo punto che
in meccanica classica, qualunque sia linterazione delloscillatore col campo elettroma-
gnetico, lenergia termica media di un oscillatore kT, si ricade cio nella formula di
Raleigh-Jeans.
Questa conclusione estremamente generale. La distribuzione statistica, in energia, di
un sistema data dalla legge di Boltzmann
dP = Ce
E/kT
(E)dE (1.34)
14 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
(E) la densit degli stati, C una costante di normalizzazione. Questa formula, per
oscillatori indipendenti, implica E = kT, lo sappiamo gi. Il lettore, se vuole, pu trovare
la dimostrazione dettagliata a partire dalla (1.34) nel paragrafo 1.4.1. Il punto importante
che questa conclusione dipende solo dalla densit degli stati delloscillatore, in ultima
analisi dalla forma quadratica dellHamiltoniana, non dallinterazione elettromagnetica.
Lunico modo per non ottenere la formula di Raleigh-Jeans che la densit degli stati non
sia quella classica. Per un oscillatore classico (E) = 1, cio tutte le energie, a parte
il fattore di Boltzmann, sono pesate uguali. La chiave per capire come cambia (E)
lipotesi dei fotoni di Einstein.
La descrizione di Einstein della radiazione di corpo nero descrive la luce come un in-
sieme di particelle di energia h: questa conclusione non fa uso della (1.8), quindi non
presuppone nessun meccanismo particolare
7
. Se lenergia di radiazione discretizzata pu
essere assorbita solo in forma di quanti di grandezza h, ma allora lenergia delloscil-
latore pu variare solo di h. Questo compatibile con la descrizione di Planck ma la
richiesta della possibilit di una descrizione statistica impone qualcosa di pi: queste ener-
gie sono le sole possibili per loscillatore, a meno di una costante additiva. In altre parole
le uniche energie possibili, per il singolo oscillatore, sono:
E
n
= E
0
+nh n 1 (1.35)
Trascuriamo lenergia E
0
, che come vedremo in seguito non va in effetti considerata per
questo problema. Dimostriamo[Ein06] che dalla (1.35) si riottiene la legge di Planck. Si
possono dare diverse versioni di questo fatto, la pi semplice la seguente. Per oscillatori
indipendenti la (1.34) pu essere applicata al singolo oscillatore. Se sono possibili solo i
livelli energetici (1.35) la densit degli stati , in notazione moderna, a meno di una costante
moltiplicativa inessenziale per le medie,
(E) =

n
(E E
n
) (1.36)
Per il lettore che non conosce la distribuzione di Dirac : se sono presenti solo livelli
discreti invece degli integrali sullenergia bisogna fare delle somme. Per lenergia media si
ha allora
E =

EdP

dP
=

n=1
nh e
nh/kT

n=1
e
nh/kT

1
Usando

1
x
n
=
x
1 x

1
nx
n
= x
d
dx

1
x
n
=
x
(1 x)
2
(1.37)
si ha
E = h
e
h/kT
1 e
h/kT
= h
1
e
h/kT
1
(1.38)
Usando la (1.8):
E

= h
1
e
h/kT
1
u

= 8h
3
1
e
h/kT
1
(1.39)
cio la formula di Planck. Nel paragrafo seguente brevemente analizzata la relazione fra
discretizzazione dellenergia e conteggio degli stati.
Se fossero presenti altri livelli cambierebbe la densit (E), cio la (1.36), e non si
otterrebbe la formula di Planck.
7
Nella deduzione si fatto uso della legge di Wien, non dimostrata se non si usa la legge di Planck, ma a
questo livello lesistenza dei fotoni lipotesi di partenza, non va vista come una conseguenza di unaltra legge.
1.4. LIVELLI ENERGETICI DISCRETI. 15
Una dimostrazione formale pu essere questa. In una distribuzione di Boltzmann, effettuando le
derivate rispetto a T di E, si possono ricavare i valori medi di E
2
, E
3
etc. cio i momenti della
distribuzione. Una distribuzione di probabilit regolare individuata univocamente dai suoi momenti,
quindi la soluzione trovata unica.
La conclusione che si pu trarre a questo punto che la dinamica microscopica deve
essere tale da imporre una discretizzazione dellenergia, quindi la meccanica classica
esclusa.
Lunico punto (relativamente) insoddisfacente, per ora, il fatto che si sia dovuta as-
sumere, nella deduzione, la validit della (1.8), cio della relazione fra energia della ra-
diazione ed energia delloscillatore, cosa opinabile, vista la dimostrata non validit della
descrizione classica. Un altro fondamentale lavoro, sempre di Einstein, del 1917[Ein17]
rimedia a questo punto, introducendo il concetto di emissione spontanea ed emissione in-
dotta, e dando, in ultima analisi, la prima derivazione consistente della legge di Planck
basata sullo scambio di energia radiazione-materia.
1.4.1 Conteggi e spazio delle fasi.
Presentiamo due modi diversi, ma equivalenti, di ricavare i risultati (1.21), (1.22), entrambi
basati sulla discretizzazione dellenergia.
Probabilit massima. Per calcolare lenergia media di un oscillatore a frequenza con-
sideriamo N oscillatori. Se lenergia discretizzata ognuno di essi pu assumere un mul-
tiplo del quanto elementare . Sia N
k
il numero di oscillatori con energia k. Il numero di
modi in cui possono essere suddivisi N oscillatori indipendenti e distinguibili
W =
N!
N
1
!N
2
! . . .
N
k
= # oscillatori con energia k (1.40)
i vincoli macroscopici che individuano lo stato sono: il numero di oscillatori (N) e lenergia
totale del sistema, (U):
N =

N
i
U =

N
k
k (1.41)
In meccanica statistica si mostra come nel limite termodinamico, N , nellipote-
si di equiprobabilit di tutte le congurazioni, lo stato di equilibrio macroscopico si pu
ottenere come lo stato di probabilit massima, che corrisponde allo stato con il maggior
numero di realizzazioni possibili. Si tratta perci si massimizzare lespressione (1.40), o
pi semplicemente log(W), soggetta ai vincoli (1.41), cosa che si pu fare introducendo
dei moltiplicatori di Lagrange:

N
s

log W +
1
(

N
s
N) +
2
(

N
s
s U)

= 0
usando lapprossimazione di Stirling
log(n!) = n(log n 1) (1.42)
si ricava
N
s
= e
1
e
2s
I moltiplicatori di Lagange sono ssati dalle condizioni ausiliarie (1.41). Usando le (1.37):
e
1
= N(1 e
2
) N
e
2
1 e
2
= U NE e
2
=
E/
1 +E/
16 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Lentropia denita da S = k log(W
max
) quindi
S
k
= N(log(N) 1)

s
N
s
(log(N
s
) 1) =
= N log(N)

s
N
s

s
N
s

1
s = N log(N) N
1

2
NE
da cui
S
k
= N log(1+
E

)N
E

log
E/
1 +E/
= N

(1 +
E

) log(1 +
E

)
E

log
E

(1.43)
Insieme microcanonico. I valori medi in meccancia statistica sono calcolati su ensem-
bles, cio su misure di probabilit che forniscono una termodinamica. Il pi semplice
lensemble microcanonico, che denito assegnando uguale probabilit a tutti gli elementi
dello spazio delle fasi del sistema compresi fra energia U e U + U, dove U lenergia
totale. Lentropia denita, a meno di una costante che qui non interessa:
S = k log

U+U
U

k
(dp
k
dq
k
) (1.44)
il prodotto sulle variabili canoniche del sistema. Per un oscillatore armonico di energia
E:
p
2
2m
+
1
2
kq
2
= E (1.45)
La curva (1.45) unellisse di area proporzionale ad E, per cui passando a coordinate
radiali
dpdq dE (1.46)
e quindi
S = k log

U+U
U

k
dE
k
+S
0
(1.47)
Se lenergia discretizzata al posto dellintegrale occorre fare una somma e ponendo U =
si ha che lintegrale (1.47) si riduce a
S = k log

Ej=U
1 = k log W
dove W il numero di punti sulla superie U =

j
E
j
, cio il numero di modi di
ottenere un intero U = P a partire da N (il numero di oscillatori) interi n
i
, dove E
i
= n
i
,
cio il numero di modi di scrivere
N

i=1
n
i
= P
ma questo esattamente il valore gi calcolato (1.21): corrisponde a porre n
i
unit in
ogni cassetto costituito dalloscillatore i-esimo:
W =
(N +P 1)!
(N 1)!P!
(1.48)
si riottiene perci il risultato di Planck.
1.5. EMISSIONE E ASSORBIMENTO: COEFFICIENTI DI EINSTEIN. 17
NOTA. Entrambe le derivazioni presentate in questo paragrafo sembrano una derivazio-
ne consistente con il conteggio di Boltzmann, o equivalentemente con lensemle classico
microcanonico di Gibbs (che Boltzmann naturalmente conosceva e chiamava ergodo). In
realt in entrambi gli approcci la distribuzione di equilibrio denita a partire dallasse-
gnazione a priori di stati equiprobabili. Banalizzando: alla domanda qual la probabilit
che gettando due dadi si possa ottenere un dato numero, 10 diciamo, possibile rispon-
dere solo assegnando per via empirica o teorica una distribuzione di probabilit per tutti
gli eventi che costituiscono lensemble, qui i possibili risultati. In molti casi, in particolare
nei dadi ed in meccanica statistica per sistemi non interagenti, questo si fa decidendo quali
sono gli eventi elementari ed assegnando una probabilit uguale ai diversi elementi. Nel
caso dei dadi si suppone che dadi non siano truccati, si assegna la probabilit 1/6 al risul-
tato di ogni faccia e si costruiscono le probabilit dellevento risultato del lancio di due
dadi, come il rapporto fra i casi favorevoli e quelli possibili. Notiamo che in ogni caso
dobbiamo avere un procedimento per contare i possibili riultati del lancio, cio dobbiamo
denire cosa intendiamo per evento. Nel caso della meccanica statistica classica gli stati
equiprobabili, corrispondenti alle facce dei dadi, sono le coppie posizione-impulso di ogni
particella, cio i punti nello spazio delle fasi del sistema. assegnate queste come equipro-
babili, nellinsieme microcanico, dobbiamo contare in quanti modi possibile costruire
uno stato macroscopico dato, che qui levento, cio il lancio dei dadi. Assumere che gli
stati equiprobabili siano gli intervalli di energia non la stessa cosa che assumere come
equiprobabili i punti nello spazio delle fasi. Torneremo sullargomento nel paragrafo 1.9.
1.5 Emissione e assorbimento: coefcienti di Einstein.
Come vedremo nei prossimi paragra il quadro delineato nel paragrafo precedente per
loscillatore armonico si generalizza agli altri sistemi: lenergia di un sistema legato, come
una molecola, un atomo etc., ha valori discreti: E
1
, E
2
. . ..
La differenza rispetto al caso semplice delloscillatore armonico di due tipi:
a) I livelli non sono necessariamente equispaziati.
b) Ad ogni livello possono corrispondere pi stati interni delloggetto, g
n
. Il coef-
ciente g
n
detto degenerazione del livello. Genericamente g
n
dovuto al fatto che
diverse congurazioni del sistema possono corrispondere alla stessa energia, quello
che succede ad esempio ruotando nello spazio una molecola. Come vedremo lin-
troduzione della teoria dei quanti permette il calcolo di g
n
, ma per le considerazioni
seguenti il valore di g
n
inessenziale.
Questo quadro presenta una grave lacuna: come si tratta il campo elettromagnetico? Sap-
piamo dal paragrafo precedente che possibile trattare la luce in termini di fotoni, ma non
abbiamo ancora nessun modello preciso che sostituisca le equazioni di Maxwell e, a mag-
gior ragione, nessun indizio su come debba essere trattata linterazione elettromagnetica.
In questo paragrafo, seguendo la prima parte del lavoro[Ein17], dimostreremo che da
alcune ragionevolissime e molto generali ipotesi sullinterazione elettromagnetica e dallo
schema precedente sulla struttura dei livelli energetici discendono due cose:
a) Una precisa relazione fra assorbimento ed emissione di luce.
b) La formula di Planck per la radiazione di corpo nero.
Per concretezza possiamo considerare un gas, rarefatto, di molecole
8
allequilibrio ter-
mico. La probabilit di avere una molecola nel livello energetico n-esimo proporzionale
al corrispondente fattore di Boltzmann
g
n
e
En/kT
P
n
= Cg
n
e
En/kT
(1.49)
8
Qui molecole un nome generico dato ai sistemi microscopici.
18 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
C una costante di normalizzazione, ssata da

n
P
n
= 1. La (1.49) data dalla
generalizzazione della (1.36): tenendo conto della molteplicit dei livelli si pu scrivere
(E) =

n
g
n
(E E
n
) (1.50)
da cui segue la (1.49). Consideriamo ora una particolare coppia di livelli, u, d (up,down),
con
E
u
> E
d
(1.51)
A causa dellinterazione elettromagnetica la molecola pu effettuare delle transizioni fra i
due livelli, e, in questo processo, pu cedere o assorbire energia dalla radiazione, ad una
frequenza caratteristica che per ora lasciamo arbitraria.
Le molecole quindi assorbono ed emettono radiazione in continuazione. Supponiamo
che il sistema sia completamente isotropo, la radiazione sia isotropa, e lorientazione stessa
delle moleocole sia isotropa, nel senso che quandanche ci fossero, nei singoli processi,
direzioni privilegiate per questa o quella molecola, prenderemo una media sugli angoli;
questa la situazione normale allequilibrio termico: non ci sono direzioni privilegiate.
Le ipotesi fatte sullinterazione luce-materia sono le seguenti:
a) La molecola nello stato di energia pi alta pu decadere allo stato di energia pi
bassa emettendo radiazione. Questo processo lanalogo della radiazione classica di
una carica accelerata. Ogni molecola avr una certa probabilit per unit di tempo di
effettuare questa transizione. Indichiamo questa probabilit con
A
ud
Prob. al secondo per u d (1.52)
b) Il sistema nello stato u pu decadere nello stato d sotto linusso della radiazione
esterna, si avr una probabilit di transizione per unit di tempo
B
ud
u

(1.53)
c) Il sistema nello stato d pu assorbire un fotone e passare allo stato u, con una
probabilit al secondo:
B
du
u

(1.54)
Il coefciente B
ud
chiamato coefciente di emissione indotta, e quello B
du
coef-
ciente di assorbimento. Il coefciente A ha il nome, per ovvi motivi, di coefciente di
emissione spontanea.
La (1.52), nella sua semplicit, ha un elemento molto peculiare. In meccanica clas-
sica lenergia viene emessa in modo continuo, la dinamica deterministica ssa un tempo
iniziale ed un tempo nale per il processo. Il fotone trattato come una particella, quindi
lemissione sicuramente discontinua nel tempo. Qui non stiamo facendo nessuna ipotesi
sullesistenza o meno di un tempo denito di emissione, lunica cosa che stiamo richie-
dendo che ci sia una probabilit che levento si verichi. Questa procedura identica
a quanto si fa fenomenologicamente per descrivere la probabilit di un decadimento ra-
dioattivo. Formalmente la (1.52) il primo punto in cui incontriamo una rinuncia ad una
descrizione strettamente deterministica dei processi sici.
Ci chiediamo ora sotto che condizioni si possa vericare una situazione di equilibrio
termico. In condizioni di equilibrio termico il usso di transizioni al secondo fra i due
livelli si deve equilibrare, altrimenti non si avrebbe equilibrio, quindi
(prob. di essere in u) (prob./sec u d) = (prob. di essere in d) (prob./sec d u)
cio
g
u
e
Eu/kT
(A
ud
+B
ud
u

) = g
d
e
E
d
/kT
B
du
u

(1.55)
1.5. EMISSIONE E ASSORBIMENTO: COEFFICIENTI DI EINSTEIN. 19
Innanzitutto ad alta temperatura la densit di radiazione deve divergere, quindi facendo il
limite T si ha
g
u
B
ud
= g
d
B
du
(1.56)
Quindi il coefciente di emissione e di assorbimento sono legati, in particolare sono uguali
per livelli non degeneri. Dividendo membro a membro la (1.55) per g
u
B
ud
si ha
e
h(EuE
d
)/kT
(
A
ud
B
ud
+ u

) = u

Da cui
u

=
A
ud
/B
ud
e
h(EuE
d
)/kT
1
(1.57)
La legge di Wien (1.4) impone due cose
E
u
E
d
= c
1
(1.58a)
A
ud
B
ud
= c
2

3
(1.58b)
Luniversalit della legge di Wien impone che le due costanti c
1
, c
2
siano universali. Iden-
tichiamo ovviamente c
1
con la costante di Planck h. La costante c
2
pu essere espressa
in funzione di altre costanti note se si effettua il limite T , in cui si deve recuperare la
legge di Raleigh-Jeans
u

c
2

3
kT
h
= 8

2
c
3
kT c
2
=
8h
c
3
quindi
u

= 8
h
3
c
3
1
e
h/kT
1
(1.59)
che proprio la legge di Planck. In conclusione:
1) Lunico modo per avere equilibrio termico che la luce che interagisce con la coppia
di stati deve avere frequenza determinata dalla (1.58a), cio si ha la conservazione
dellenergia in termini di fotoni, come visto nel precedente paragrafo.
2) I coefcienti di emissione e assorbimento sono legati dalla (1.56).
3) Il coeciente di emissione spontanea legato a quello di assorbimento dalla (1.58b).
4) La densit spettrale della radiazione quella di Planck.
Quindi la teoria dellinterazione elettromagnetica luce materia, bench ancora non formu-
lata, ha le caratteristiche su esposte, in particolare vale la legge di Planck.
Notiamo che u

proporzionale al rapporto A
ud
/B
ud
che non si riferisce ad uno
stato di equilibrio della molecola ma ad una probabilit di transizione fra stati diversi,
questo il motivo per cui nella deduzione del paragrafo precedente si era trascurato il
fattore E
0
nellenergia delloscillatore.
Emissione indotta e legge di Wien. interessante capire quale delle ipotesi fatte re-
sponsabile della sostituzione della legge fenomenologica di Wien con quella di Planck:
lipotesi b), cio lipotesi che esista una emissione indotta, eq.(1.53). Infatti se non ci fosse
questo termine si avrebbe per lequilibrio:
g
u
e
Eu/kT
A
ud
= g
d
e
E
d
/kT
B
du
u

=
g
u
g
d
A
ud
B
du
e
(EuE
d
)/kT
(1.60)
20 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
La legge di Wien (1.4) impone ancora i vincoli (1.58) e si ottiene cos la distribuzione di
Wien (1.6), u

= C
3
exp(h/kT). Quindi lesistenza dellemissione indotta , dal pun-
to di vista dei fotoni, il fattore responsabile della non classicit della formula di Planck.
Il motivo il seguente: se i fotoni fossero particelle classiche, la probabilit di emissione
delloscillatore non dovrebbe dipendere dallesistenza o meno dei fotoni esterni. Viceversa
lemissione indotta esattamente quanto ci si aspetta se vale un discorso classico in termini
di onde: in presenza di un campo esterno il sistema posto in oscillazione e irraggia. La
forma dellemissione cos ottenuta, proporzionale allintensit della radiazione incidente,
quella suggerita dal calcolo classico. Questo , in nuce, un esempio di un concetto che ve-
dremo apparire molto spesso: la forma dellinterazione quantistica suggerita dal calcolo
classico, in una forma un p pi precisa sar il cosiddetto principio di corrispondenza.
1.6 Statistica e dualit onda-particella.
Come si visto nei paragra precedenti lipotesi di quantizzazione dei livelli energetici
conduce alla formula di Planck. Nelle due deduzioni presentate la differenza fondamentale
la seguente:
a) Usando come sistema un oscillatore armonico sia nella deduzione di Planck, sia in
quella di Einstein, si usa lipotesi (1.8)
u

(, T) =
8
2
c
3
E

che lega la densit di radiazione alla energia media di un oscillatore. Notiamo che
questa formula dimostrata solo in teoria classica e, in pi, loscillatore armonico
quantizzato ha una struttura dei livelli molto particolare: sono equidistanti fra loro.
b) Nella deduzione di Einstein del paragrafo precedente si generalizza la questione ad
un sistema qualunque, non ci sono pi ipotesi particolari sui livelli energetici del si-
stema, ma si fanno solo delle ipotesi molto generali sulle propriet di assorbimento ed
emissione. Queste propriet, bench ragionevoli, non sono dimostrate, non avendo
ancora sviluppato una teoria per linterazione quantistica fra radiazione e materia.
Per certi aspetti questo stato di cose non molto soddisfacente: sarebbe come voler ricavare
la legge di distribuzione di Maxwell per un gas perfetto partendo da unanalisi degli urti
con un sistema allequilibrio termico, le pareti della cavit ad esempio. Si pu fare, ma
pi semplice, e pi logico, trattare un gas perfetto come sistema a se stante, debolmente
interagente, a cui applicare la meccanica statistica.
Lanalisi di Einstein sullinterpretazione a fotoni della radiazione elettomagnetica sem-
bra andare in questa direzione; fra laltro non prevedendo alcuna interazione diretta fotone-
fotone si dovrebbe essere esattamente nel caso ideale in cui poter applicare tutte le note
tecniche della statistica dei gas perfetti. Ci si convince subito per che la proposta presenta
delle difcolt, e non sono difcolt tecniche, ma profonde. Una breve analisi di questa
questione ci permetter di evidenziare il problema che n dallinizio aleggia sulla questio-
ne: come si conciliano i fotoni con le equazioni di Maxwell ed in che senso assomigliano
a particelle? La risposta sar piuttosto spiazzante: i fotoni non si comportano n come
particelle classiche n come onde classiche, ma hanno contemporaneamente entrambe le
caratteristiche!
Lidea di base molto semplice: consideriamo un piccolo volume v allinterno della
cavit. Lo stato di equilibrio, ricordiamo, uno stato di equilibrio statistico, il che signica
che accanto al valor medio delle grandezze osservate, possono esserci delle uttuazioni
dal valor medio. Se lenergia distribuita in maniera continua, come nella descrizione
ondulatoria, si avr un certo tipo di uttuazioni, se lenergia corpuscolare un altro tipo,
1.6. STATISTICA E DUALIT ONDA-PARTICELLA. 21
quindi misurando le uttuazioni dalla media possiamo decidere in che forma si presenta la
radiazione elettromagnetica.
Una misura delle uttuazioni si ha considerando lo scostamento dellenergia dal suo
valor medio. Sia 'E` lenergia media nel volumetto, la media dello scarto quadratico
'E
2
` '(E 'E`)
2
` = 'E
2
` 2'E`'E` +'E`
2
= 'E
2
` 'E`
2
(1.61)
fornisce la misura cercata. Noi considereremo lenergia in un intervallo di frequenze ,
quindi
E = v u

(1.62)
Vediamo innanzitutto cosa ci si deve aspettare nei due casi, quello ondulatorio e quello
corpuscolare.
Caso ondulatorio. In questo caso la radiazione descritta da un campo elettromagnetico,
soluzione delle equazioni di Maxwell nel vuoto, cio una sovrapposizione di onde piane
corrispondenti ai modi di vibrazione della cavit. Il fatto di essere allequilibrio termico,
quindi in uno stato completamente disordinato, signica che le fasi relative di tutte queste
onde sono distribuite casualmente. Perch si hanno uttuazioni di energia? La densit di
energia elettromagnetica proporzionale al quadrato del campo elettrico: u E
2
, il cam-
po elettrico che va a formare lenergia nellintervallo una sovrapposizione di onde a
frequenze vicine, nellintervallo appunto: nel fare il quadrato si hanno fenomeni di bat-
timento fra onde di frequenza quasi uguale. Misurare il valor medio statistico allequilibrio
la stessa cosa che misurare il valor medio temporale, quindi il valor medio dellenergia
misurata dovuto al risultato di tutti questi battimenti. La posizione di questi battimenti
nel volume considerato uttua nel tempo, cos come il loro numero, e questo provoca una
uttuazione dellenergia attorno alla media. Sperimentalmente se si fanno molte misure si
otterranno una serie di risultati con media 'E` ed una certa incertezza parametrizzata da
'E
2
`.
Ora lenergia dipende dal quadrato dellampiezza, cos come i battimenti fra due onde,
quindi la uttuazione 'E
2
` 'E`
2
dipende dalla quarta potenza dellampiezza, cio
proporzionale allenergia al quadrato
'E
2
` 'E`
2
(1.63)
C per un altro fattore da considerare. Come abbiamo visto dallanalisi della legge
di Raleigh-Jeans, la radiazione elettromagnetica nellintervallo di frequenza, attorno
ad una frequenza , corrisponde ad un numero di oscillazioni della cavit vZ()d =
v8
2

2
/c
3
d che sono i gradi di libert del sistema, cio il numero di ampiezze stati-
sticamente indipendenti che possono uttuare. La uttuazione sar proporzionale a questo
numero, come anche lenergia media, che per nella (1.63) compare al quadrato, quindi
deve essere
'E
2
` = C
('E`)
2
vZ()
(1.64)
C una costante adimensionale. Il calcolo esatto, riportato nel paragrafo 1.B mostra che
C = 1, ma questo non importante per il seguito del discorso.
Caso corpuscolare. Qui il meccanismo delle uttuazioni completamente diverso. Pos-
siamo prendere v abbastanza piccolo in modo che la probabilit di avere pi di una par-
ticella nel volume sia trascurabile, in questo modo lorigine delle uttuazioni chiara: se
si fanno molte misure alcune volte si trova una particella, altre volte non si trova niente,
raramente si trovano due particelle etc. Se ogni particella ha energia h il valor medio
dellenergia ssato dal numero medio di particelle che si trovano nel volume. Per un
22 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
gas rarefatto, o per volumi abbastanza piccoli, la distribuzione statistica per n la classica
distribuzione di Poisson e si ha
'n
2
` = 'n` (1.65)
La probabilit di trovare una particella nel volu-
metto v x = v/V . Chiamata = N/V la
densit numerica, si ha x = v/N. Le proba-
bilit di trovare n particelle in v sono elencate
nella tabella a anco, ad esempio la probabilit
di trovare una sola particella la probabilitit di
trovare una particella moltiplicata per la proba-
bilit che le altre N 1 si trovino al di fuori di
v.

N
1

= N il numero di modi di scegliere


una particella fra le N a disposizione. Nel limite
N si ha
(1 x)
N
= (1
v
N
)
N
e
v
e applicando la formula di Stirling, per n <N

N
n

1
n!
N
N
e
N
(N n)
Nn
e
(Nn)

N
n
n!
Probabilit
0 particelle (1 x)
N
1 particella

N
1

x(1 x)
N1
2 particelle

N
2

x
2
(1 x)
N2
3 particelle

N
3

x
3
(1 x)
N3
. . . . . .
n particelle

N
n

x
n
(1 x)
Nn
Quindi
Pn =
1
n!
(v)
n
e
v
Da cui immediatamente
'n) = v ; 'n
2
) = 'n)
2
+'n)
e quindi la (1.65).
'n` il numero di fotoni in v, quindi E = hn e
'E
2
` = (h)
2
'n
2
` = hE (1.66)
Calcolo della uttuazione. Le due stime precedenti possono essere confrontate con il
valore esatto della uttuazione dellenergia, che pu essere facilmente calcolato. Consi-
deriamo infatti il volumetto v, la radiazione al suo interno in equilibrio termico con la
radiazione allesterno, nel volume V v v. Questo grande volume esterno funziona
come un bagno termico, perch la sua capacit termica, proporzionale al volume, inni-
tamente pi grande di quella della radiazione nel volume v. Un sistema in equilibrio in un
bagno termico a temperatura T ha una distribuzione statistica nota, proprio la denizione
di insieme canonico:
p(E)dE =
1
Z
e
E/kT
(E)dE Z =

e
E/kT
(E)dE (1.67)
(E) la densit degli stati. Dalla denizione di media segue

(E 'E`)e
E/kT
(E) = 0
Effettuando la derivata rispetto a T
0 =
1
kT
2

(E 'E`)Ee
E/kT
(E)
d'E`
dT

e
E/kT
(E)dE =
=
1
kT
2
Z('E
2
` 'E`
2
)
d'E`
dT
Z
1.6. STATISTICA E DUALIT ONDA-PARTICELLA. 23
quindi
'E
2
` = kT
2
d'E`
dT
(1.68)
La uttuazione in energia perci calcolabile una volta che sia nota lenergia media in
funzione della temperatura.
Consideriamo ora la distribuzione di Planck ed i suoi casi limite:
E = vu

= v
Z()h
e
h/kT
1

v Z()kT h <kT Raleigh-Jeans


v Z()he
h/kT
h kT Wien
La derivata (1.68) si scrive
kT
2
d'E`
dT
= kT
2
v Z()h
h
kT
2
e
h/kT
(e
h/kT
1)
2
=
= vZ()(h)
2

1
(e
h/kT
1)
2
+
1
e
h/kT
1

=
'E`
2
vZ()
+h'E`
Mentre pi semplicemente, nei casi limite:
R.-J.: kT
2
d'E`
dT
= kT
2
v Z()k =
'E`
2
v Z()
W.: kT
2
d'E`
dT
= kT
2
v Z()h
h
kT
2
e
h/kT
= h'E`
Quindi
Planck: 'E
2
` =
'E`
2
vZ()
+h'E`

c
3
8
2
u
2

+hu

v (1.69a)
R.-J.: 'E
2
` =
'E`
2
vZ()
(1.69b)
Wien: 'E
2
` = h'E` (1.69c)
Si ha quindi che la radiazione di corpo nero nel limite di basse frequenze si comporta
come unonda, nel limite di alte frequenze, viceversa, come un insieme di particelle, ma
genericamente ha entrambe le caratteristiche.
Il risultato (1.69a) assolutamente incomprensibile nellambito della sica classica:
Le equazioni di Maxwell sono lineari, non ci sono interazioni delle onde elettroma-
gnetiche nel vuoto, cio nella cavit. I fenomeni di battimento esprimono appunto la
linearit delle equazioni, quindi se le equazioni di Maxwell descrivono la radiazione,
deve essere vericata la (1.69b).
Se si interpreta la luce come un insieme di particelle classiche non interagenti, deve
valere la (1.69c): abbiamo visto che semplicemente una conseguenza del contare
le particelle, cio della distribuzione di Poisson.
La distribuzione di Planck, che quella vericata sperimentalmente, impone invece che la
luce si comporta nello stesso tempo come onda e come particella. Insistiamo sulla con-
giunzione e, non vero che la luce si comporti o come onda o come particella, si comporta
in entrambi i modi contemporaneamente. solo nei casi limite di basse frequenze, rispetto
a kT, o di alte frequenze che si recupera il limite classico di onda o particella.
Come vedremo la soluzione che dar la meccanica quantistica piuttosto sottile:
I fotoni, trattati come particelle quantistiche, si comportano come particelle libere
nella cavit, ma nonostante ci la costruzione degli stati quantistici di molti fotoni
implica delle correlazioni, non classiche, che provocano una deviazione dalla stati-
stica di Poisson. Ripetiamo non questione di interazione fra fotoni, il concetto di
stato di N particelle che cambia.
24 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Se si usa il campo elettromagnetico direttamente si trova che questo non un normale
vettore numerico ma un operatore; in termini di sviluppo in onde piane
E(x) =

E
k
e
ikx
+E

k
e
ikx

i coefcienti dello sviluppo di Fourier, E


k
, non sono numeri ma operatori che agi-
scono su uno spazio di Hilbert. Le regole di commutazione di questi operatori danno
luogo ad un termine aggiuntivo nel calcolo delle uttuazioni che origina il termine
lineare in 'E` nellespressione di 'E
2
`.
Fluttuazioni del numero di fotoni. Chiamiamo n
k
il numero di fotoni per unit di vo-
lume che hanno impulso in direzione k e frequenza . A causa delle uttuazioni n
k
una
variabile stocastica. Lenergia per unit di volume e per unit di frequenza si scrive
=

k
hn
k
2 =
[k[
c
(1.70)
le variabili corrispondenti a impulsi diversi sono statisticamente indipendenti, ed noto
che la varianza di una somma di quantit statisticamente indipendenti la somma delle
varianze. Quindi si ha
'
2
` =

k
(h)
2
'n
2
k
` (1.71)
Considerando un piccolo intervallo di frequenza e sommando sulle direzioni (si assume
che la distribuzione in k sia isotropa) sappiamo che i modi indipendenti sono
Z

d = 8

2
c
3
d
quindi abbiamo
'` = Z

d'n
k
` '
2
` = Z

d'n
2
k
`
Confrontando con la (1.69a) ricaviamo limportante relazione
'n
2
k
` = 'n
k
` +'n
k
`
2
(1.72)
che mostra chiaramente la diversit dalla statistica di Poisson.
1.7 Impulso del fotone
La radiazione elettromagnetica trasporta energia ed impulso. noto che ad una densit di
energia u associata una densit di impulso u/c, e quindi ad una energia E un impulso
E/c. Se crediamo allipotesi della quantizzazione della radiazione dobbiamo dedurre che
allenergia h, associata ad un quanto di luce, deve corrispondere un impulso [p[ = h/c.
Usando la relazione m
2
c
2
= E
2
/c
2
p
2
si ha che i fotoni devono essere particelle a massa
nulla. Come si fa a vedere questo impulso? Normalmente per misurare limpulso di un
oggetto si trasferisce questo impulso ad un altro oggetto per cui facile misurare la veloci-
t, che diventa allora lo strumento di misura dellimpulso. La cosa pi semplice quindi
trasferire limpulso della luce ad una particella e misurare limpulso di questultima. La
radiazione trasferisce impulso anche nella teoria classica di Maxwell, in cosa dovrebbe
consistere allora levidenza sperimentale dellimpulso di un fotone? Occorre mettere in
luce la granularit del trasferimento di impulso, analogamente a quanto fatto per lener-
gia con leffetto fotoelettrico. La prima idea potrebbe essere, appunto, quella di sfruttare
leffetto fotoelettico, ma lidea non molto brillante. Se scriviamo leffetto fotoelettrico
come una reazione:
+A A

+e

1.7. IMPULSO DEL FOTONE 25


in cui A

latomo ionizzato, A latomo neutro, capiamo immediatamente che una parte


rilevante dellimpulso assorbita dallatomo, quindi se non misuriamo questa parte, non
possiamo misurare limpulso del fotone.
La cosa pi semplice da vedere nel centro di massa. In questo sistema il fotone ha unenergia
leggermente pi piccola dovuta alleffetto Doppler,

(1V/c) e la velocit V determinata da


h

/c = MV , dove M la massa dellatomo, V h/Mc. In seguito alla ionizzazione lelettrone


e latomo si muovo in direzioni opposte e la conservazione dellimpulso impone M

= meve,
dove M

M la massa dellatomo ionizzato. Limpulso dellatomo quindi uguale a quello


dellelettrone. Passando nel sistema di riferimento del laboratorio si ha una differenziazione dei due
impulsi, dipendente dallangolo di uscita dellelettrone, ma restano dello stesso ordine. Diverso il
discorso sullenergia. Lenergia cinetica dello ione
1
2
MV
2
=
1
2
M
m2v
2
e
M
2
=
m
M
Ee <Ee
Anche passando al sistema del laboratorio questa energia cambia di un termine dellordine MV Vcm
MV
2
. In tutti i casi il contributo dellenergia (cinetica) dello ione al processo trascurabile, il con-
tributo allimpulso no. Il caso limite ovviamente quello di un atomo di massa innita che assorbe
il fotone ed emette un elettrone: si pu trasformare lenergia del fotone in energia dellelettrone ma
limpulso del fotone viene perso completamente: un processo cinematicamente simile allurto di
una palla di gomma contro un muro.
Bisogna allora considerare un processo in cui latomo fa da spettatore. Questo sem-
plice da immaginare: il fotone, o la radiazione elettromagnetica in termini classici, pu
diffondere sullelettrone invece di venire assorbito dallatomo, quindi la reazione del tipo
+A A

+e

+
Classicamente il processo il seguente. Possiamo schematizzare lelettrone come legato
elasticamente allo ione. Se la frequenza della luce incidente grande rispetto alla frequenza
caratteristica del sistema, lelettrone entra in oscillazione con la frequenza del campo elet-
trico dellonda incidente, cio si comporta come un elettrone libero. Se oscilla a frequenza
, riemette luce alla stessa frequenza: il cosiddetto Thomson scattering (diffusione di
Thomson). Consideriamo allora un atomo con frequenze di oscillazione di tipo ottico, o
inferiori, cio che diffonde la luce tipicamente a lunghezze donda di qualche migliaio di
. Se inviamo dei raggi X sullatomo dobbiamo aspettarci dei raggi X diffusi alla stessa
frequenza della luce incidente.
In termini di fotoni invece il fenomeno completamente diverso: si ha un urto, elastico,
fra fotone ed elettrone, lenergia, e quindi la frequenza, della luce diffusa dipende dallurto.
Il processo stato analizzato per la prima volta da Compton e Debye[Comp23, Deb23]
ed il primo esperimento effettuato da Compton. Possiamo supporre che lelettrone prima
dellurto sia fermo, chiamando p, E, limpulso e lenergia dellelettrone dopo lurto, k, k

gli impulsi del fotone prima e dopo lurto, la conservazione dellenergia e dellimpulso
impongono:
h +mc
2
= E +h

c
2
(p
2
+m
2
c
2
) = (h +mc
2
h

)
2
k = p +k

p
2
= (k k

)
2
=
h
2
c
2
(
2
+

2
2

cos )
dove langolo di diffusione del fotone, vedi gura 1.1. Sostituendo il valore di p
2
nella
prima equazione si ricava:
h
mc
2

(1 cos ) =

=
h
mc
(1 cos ) (1.73)
= c/ la lunghezza donda. La relazione (1.73) predice un risultato completamente di-
verso da quello classico: nella diffusione si ha cambiamento di energia. Sperimentalmente
26 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
il segnale molto chiaro: qualunque sia la lunghezza donda della luce incidente, ad angolo
sso si deve osservare uno spostamento in lunghezza donda. Quindi non c bisogno di
selezionare in modo particolare il fascio di raggi X: se ci si pone, ad esempio, ad angolo
retto rispetto al fascio incidente si deve osservare, per qualunque lunghezza donda, uno
spostamneto di h/mc per lo spettro in funzione di 1/. Lesperimento, ideato e realizzato
da Compton[Comp23] verica perfettamente la previsione (1.73), vedi g.1.2.

e
Figura 1.1: Cinematica delleffetto Compton.
Figura 1.2: Risultati schematici
dellesperimento di Compton.
Rapidamente lesperimento stato rafnato, da Wilson e Bothe. Se una particella ca-
rica attraversa una camera piena di gas soprassatura di vapor dacqua (camera a nebbia),
le molecole di gas vengono ionizzate e funzionano da nuclei di condensazione per il va-
pore. In questo modo possibile visualizzare la traiettoria (traccia) della particella. Dalla
lunghezza della traccia possibile risalire allenergia della particella. In questo modo
possibile visualizzare direttamente gli elettroni di rinculo nella diffusione.
Si pu fare anche di meglio: talvolta, anche se raramente, il fotone diffuso pu subire
una seconda deviazione. Unendo i punti in cui iniziano le traccie dei due elettroni diffusi si
pu determinare langolo della gura 1.1. Misurando langolo di diffusione del primo
elettrone e la sua energia possiamo predire langolo e confrontarlo con il valore misurato,
avendo cos una verica diretta delle leggi di conservazione (1.73), che dimostrano oltre
ogni ragionevole dubbio che il fotone esiste e si comporta come una particella elementare
a tutti gli effetti.
I dubbi sullesistenza del fotone, prima dellesperimento di Compton, erano molto dif-
fusi: non esagerato dire che in pratica solo Einstein e pochi altri sici erano convinti
della sua esistenza. Il motivo, come abbiamo pi volte sottolineato, era la naturale ritrosia
a dichiarare che le equazioni di Maxwell nel vuoto non erano una buona descrizione della
realt microscopica.
Nel parlare dellimpulso del fotone abbiamo sovvertito la cronologia degli eventi. Nei
lavori di Einstein dal 1906 al 1917 la necessit dellimpulso del fotone, e quindi la sua esi-
stenza come particella, e non semplicemente come modo fenomenologico di considerare
una qualche pacchetto discretizzato di energia, messa pi volte in evidenza. Il metodo
usato ancora una volta lo studio delle uttuazioni, qui le uttuazioni di impulso. Pre-
sentiamo brevemente le argomentazioni, sia per il loro indubbio valore metodologico sia
perch in questa analisi emerge di nuovo una caratteristica che si era incontrata nello stu-
dio dei coefcienti di emissione e assorbimento. In quel contesto non si facevano ipotesi
sullistante di emissione dei fotoni nellemissione spontanea, rinunciando di fatto ad una
descrizione deterministica del processo (anche se a priori, per quanto abbiamo visto, po-
trebbe esserci una dinamica deterministica, incognita, dietro al processo di emissione). Se
ora aggiungiamo un impulso denito al fotone, dobbiamo assegnare una direzionalit alla
radiazione emessa: questo chiaramente in contrasto con la visione intuitiva di unonda pi
o meno sferica emessa per radiazione da un oggetto miscroscopico, ma la cosa veramente
rilevante che, analogamente a quanto succedeva per il tempo di emissione, qui si trover
che per la direzione di emissione del fotone si possono fare solo affermazioni di tipo sta-
1.8. IMPULSO E SUE FLUTTUAZIONI. 27
tistico. Questo, unito a quanto vedremo per lemissione di radiazione nella teoria di Bohr
degli spettri atomici, linizio della rinuncia, forzata, della descrizione deterministica, nel
senso classico, dei fenomeni sici.
1.8 Impulso e sue uttuazioni.
Consideriamo un corpo qualunque, una molecola ad esempio, in equilibrio termico con la
radiazione, allinterno di una cavit a temperatura T. Sappiamo che allequilibrio termo-
dinamico la sua energia cinetica media deve essere
3
2
kT. Daltronde se ad un certo istante
il corpo ha velocit v, questo urta in continuazione con la radiazione elettromagnetica. La
radiazione che viaggia in direzione opposta al corpo vista, nel sistema di riferimento del
corpo, con una frequenza maggiore, per effetto Doppler; viceversa quella che procede nella
stessa direzione ha frequenza minore. Sappiamo che la radiazione produce una pressione di
radiazione, quindi la pressione sui due lati del corpo diversa, questo provoca una sorta
di forza di attrito, che dovrebbe portare il corpo in quiete: come fa a mantenere unenergia
cinetica
3
2
kT? La risposta che esistono delle uttuazioni nella radiazione e queste devono
essere tali da compensare, statisticamente, la forza di attrito. Ci che vogliamo vericare
che questa descrizione in accordo con linterpretazione della radiazione come composta
da fotoni.
Consideriamo per semplicit il moto lungo un unico asse, lasse x diciamo. Ad un certo
istante il corpo abbia velocit v. Dopo un piccolo tempo limpulso
mv Pv +Q (1.74)
Pv indica la forza di attrito, Q il contributo casuale delle uttuazioni di impulso. In
media naturalmente 'Q` = 0. Allequilibrio termico lenergia cinetica media non deve
cambiare quindi
1
2
m'v
2
` =
1
2m
'(mv Pv +Q)
2
`
1
2m

m
2
'v
2
` 2mP'v
2
` +'Q
2
`

Avendo trascurato gli ordini superiori in e usato il fatto che 'Q` = 0. Per il moto lungo
lasse x, allequilibrio termico deve essere
1
2
m'v
2
` =
1
2
kT
Abbiamo quindi il vincolo[Ein09]
'Q
2
` = 2mP'v
2
` 'Q
2
` = 2kTP (1.75)
Per esemplicare il contenuto di questa relazione consideriamo uno specchio, di supercie
f, che si muove con velocit v nel verso positivo dellasse x. Lo specchio sia trasparente a
tutte le radiazioni eccetto quelle comprese in un intervallo attorno alla frequenza ; in
questo modo possiamo selezionare la densit spettrale della radiazione.
Previsione. Essendo Q
2
piccolo, possiamo valutarlo per uno specchio fermo, trascuriamo
cos termini di ordine Q
2
v/c. Se la uttuazione di impulso dovuta ad urti elementari si
pu scrivere:
Q = Q
1
+. . . Q
N
Dove Q
i
il trasferimento di impulso nellurto i-esimo e N il numero medio di urti
nellintervallo . Per urti statisticamente indipendenti
'Q
i
Q
j
` = 0 per i = j
28 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
quindi
'Q
2
` = N'Q
2
1
` (1.76)
In pratica si ha un random walk nello spazio degli impulsi. Se limpulso dei fotoni
legato allenergia dalla relazione p = E/c possiamo scrivere
'Q
2
`
1
c
2
N'E
2
` (1.77)
La radiazione che pu interagire con lo specchio in questo intervallo quella compresa in
un volume 2f c, met di questa urta contro lo specchio, laltra met diretta in direzione
opposta. N quindi coincide col numero medio di fotoni in un volume f c. N'E
2
` la
uttuazione in energia in questo volume, data, secondo la legge di Planck, dalla relazione
(1.69a). Dobbiamo quindi avere
'Q
2
` =
1
c
2

hu

+
c
3
8
2
u
2

f c = f
1
c

hu

+
c
3
8
2
u
2

(1.78)
Un modo pi corretto di ottenere il risultato (1.78) il seguente. In una riessione un fotone con
angolo di incidenza trasferisce un impulso 2h/c cos La variazione totale di impulso, chiamando
n
k
il numero di fotoni corrispondenti alla direzione k per unit di volume,
Q =

vol

k
2
h
c
cos n
k
la somma fatta sul volume in cui sono presenti i fotoni che vengono assorbiti dallo specchio. La
media di Q zero per isotropia, varia su tutto langolo solido perch i fotoni possono assorbiti
da entrambi i lati dello specchio. Consideriamo statisticamente indipendenti sia le variabili n
k
sia i
singoli urti, quindi la varianza di Q, somma di variabili staticamente indipendenti
9

'Q
2
) =

vol

k
4
h
2

2
c
2
cos
2
'n
2
k
)
Il volume interessato , per ogni , f [ cos [c La media sulle direzioni d

d
4
cos
2
[ cos [ =
1
4
quindi
'Q
2
) = f c

k
h
2

2
c
2
'n
2
k
)
Utilizzando lespressione (1.71) per la variazione di densit di energia si ha
'Q
2
) = f
1
c
'
2
) (1.79)
che coincide con la (1.78).
Calcolo della forza di attrito. La forza di attrito data dalla variazione di impulso nel-
lunit di tempo, ed un invariante per trasformazioni di Galileo (lo specchio si muove con
velocit v < c) quindi si pu calcolare nel sistema di riferimento in cui lo specchio a
riposo. Questo fra laltro permette di esprimere in modo semplice la selezione sulle fre-
quenze della radiazione: lo specchio riette la luce a frequenza nel sistema di riferimento
a riposo, la stessa luce ha frequenza diversa nel sistema di riferimento in cui la cavit
ferma (laboratorio).
9
Vedi lequazione (1.70) e seguenti per un procedimento analogo.
1.8. IMPULSO E SUE FLUTTUAZIONI. 29
Nel sistema dello specchio la radiazione di corpo nero non pi isotropa, ed ha una
diversa distribuzione in frequenza, che fra poco scriveremo, in questo modo la pressione
di radiazione ai due lati dello specchio diversa, questo provoca una forza netta contraria
al moto. Sia (, ) la densit spettrale nel sistema dello specchio. Sappiamo che per
riessione di un raggio proveniente da un angolo solido d vi un trasferimento di impulso
lungo lasse x, sullo specchio:
2
(, )
c
d
4
cos [f cdt cos ] (1.80)
La (1.80) il modo usuale in cui viene calcolata la pressione di radiazione, infatti /c la
densit di impulso per unonda elettromagnetica, vedi eq. (1.340b),(1.341). Integrando su
tutte le direzioni, a destra e a sinistra dello specchio, e facendo la differenza otterremo la
forza risultante.
Si tratta quindi di scrivere . Nel sistema del laboratorio la densit spettrale isotropa,
ed data da u

(
0
), indicheremo con lindice 0 le quantit che si riferiscono al laboratorio.
(, )dd la densit di energia, quindi per cambiamento del sistema di riferimento
deve trasformarsi come E
2
, dove E il campo elettrico. Per trasformazionidi Galileo ( o
per trasformazioni di Lorentz a bassa velocit):
E = E
0
H
0

v
c
E
2
E
2
0
2E
0
(H
0

v
c
) = E
2
0
2(E
0
H
0
)
v
c
per unonda [E
0
[ = [H
0
[, la direzione di E
0
H
0
la direzione di propagazione
dellonda, quindi se chiamiamo langolo di incidenza sullo specchio:
E
2
E
2
0
(1 2
v
c
cos
0
) (1.81)
Deve quindi essere
10
(, )dd = u

(
0
)d
0
d
0

1 2
v
c
cos
0
)

(1.82)
La legge dello spostamento Doppler e la legge di aberrazione della luce forniscono la
relazione fra le frequenze e gli angoli nei due riferimenti. Al primo ordine in v/c
=
0

1
v
c
cos
0


0
=

1 +
v
c
cos

(1.83a)
cos = cos
0

v
c
+
v
c
cos
2

0
cos
0
= cos +
v
c

v
c
cos
2
(1.83b)
Un modo semplice per ricavare le (1.83) di applicare una trasformazione di Lorentz, con piccola
velocit, ad una particella di massa zero, con E = h, p = h/c
E

= (E
v
c
cpx)

= (1
v
c
cos )
p

x
= (px
v
c
E
c
)

cos

= (cos
v
c
)
Dalla prima equazione /

(1 +
v
c
cos ) e sostituendo nella seconda
cos

= (cos
v
c
)(1 +
v
c
cos ) cos
v
c
+
v
c
cos
2

Non stiamo assumendo lesistenza del fotone, facendo un ragionamento circolare, questa dimostra-
zione semplicemente un modo veloce di ricavare i risultati (1.83), sfruttando il fatto che le propriet
di trasformazione di un fotone devono essere uguali a quelli di un raggio luminoso. Vediamo infatti
che la costante di Planck non gioca alcun ruolo nella derivazione, in realt stiamo sfruttando solo il
10
Diamo per scontata la simmetria assiale, cio lindipendenza per rotazioni attorno allasse x, direzione di
moto dello specchio.
30 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
fatto che il numero donda k, [k[ = 2/, e la frequenza formano un quadrivettore. Il lettore pu
facilmente dimostrare la cosa o consultare in merito un qualunque testo di elettromagnetismo.
Dalle (1.83) si ha al primo ordine in v/c, e ricordando che d = dd cos :
d
0
d

1 +
v
c
cos

d
0
d

1 2
v
c
cos

Allordine pi basso in v/c possiamo scrivere al posto di


0
nella (1.82) ed ottenere
(, ) = u

(
0
)(1 3
v
c
cos )
Esprimendo
0
in funzione di con la (1.83a) e sviluppando in serie di Taylor:
(, ) =

() +
v
c
cos
u

(13
v
c
cos ) u

+
v
c
cos

3u

(1.84)
che esprime lanisotropia della radiazione. Integrando la (1.80) in un semispazio, /2
si ha limpulso trasferito da un lato (quello davanti allo specchio):

+
=

<
2f dt cos
2

d
4

+
v
c
cos

3u

Usando

<
d
4
cos
2
=
2
4

/2
0
cos
2
sin d =
1
6

<
d
4
cos
3
=
1
8
si ha

+
= f dt

1
3
u

+
v
c
1
4

3u

Si riconosce il fattore u/3 della pressione di radiazione. Analogamente, integrando sullal-


tro lato, quindi per /2 si ha il traferimento di impulso per pressione di radiazione
dal lato posteriore lo specchio:

= f dt

1
3
u


v
c
1
4

3u

Per la forza ed il coefciente di attrito si ha quindi


F =

+

dt
= f
v
c
1
2

3u

P = f
1
2c

3u

(1.85)
Per la distribuzione di Planck

3u

=
8h
c
3

3

3
e
h/kT
1

3
e
h/kT
1

=
8h
c
3

h
kT

3
e
h/kT
(e
h/kT
1)
2
=
h
kT

+
u
2

8h
c
3

3

=
1
kT

hu

+
c
3
u
2

8
2

e quindi[Ein09]
P = f
1
2c
1
kT

hu

+
c
3
u
2

8
2

(1.86)
Dalla relazione (1.75), 'Q
2
` = 2kTP ricaviamo perci
'Q
2
` = f
1
c

hu

+
c
3
u
2

8
2

(1.87)
che coincide con la (1.78), confermando cos la interpretazione corpuscolare della radia-
zione.
1.8. IMPULSO E SUE FLUTTUAZIONI. 31
1.8.1 Lmpulso nei processi di emissione e assorbimento.
Una descrizione analoga a quella del paragrafo precedente ma pi dettagliata ed interes-
sante, pu essere fatta se si considera un processo microscopico, come fatto a proposito
dellenergia nel paragrafo 1.5. Si tratta di studiare il processo di trasferimento dellimpul-
so dalla radiazione ad una molecola. Limiteremo la nostra attenzione a soli due stati u, d
che corrispondono allemissione e assorbimento di luce a frequenza .
Notiamo innanzitutto che nel processo di assorbimento, allenergia E
u
E
d
= h deve
necessariamente corrispondere un trasferimento di impulso h/c, nella direzione del fascio
di luce incidente. Visto il ruolo simmetrico dei due stati per quanto riguarda la radiazione
esterna, ragionevole assumere che nel processo inverso di emissione indotta, u d, ven-
ga trasferito lo stesso impulso alla radiazione. In altre parole la luce emessa per emissione
indotta ha la stessa energia e lo stesso impulso di quella incidente. Questo uno dei punti
cruciali: lemissione direzionale. Se lemissione e lassorbimento sono discretizzati, co-
me nel caso dei fotoni, questo signica che in ogni singolo processo si ha unemissione in
una direzione ben denita, questo compatibile con lipotesi dei fotoni ma chiaramente
contrario a quanto aspettato in termini di una teoria classica dellirragiamento.
Per quanto riguarda lemissione spontanea, questa non dipende dalla radiazione esterna,
quindi, nellipotesi di completa isotropia fatta nel paragrafo 1.5, dobbiamo assumere che la
direzione della luce in questo caso abbia, in media, simmetria sferica. Questo compatibile
con lemissione direzionale se si assume che un fotone possa essere emesso in una direzione
particolare in ogni decadimento, ma la direzione sia casuale.
Ci che vericheremo qui di seguito[Ein17], che la distribuzione di Planck compa-
tibile con queste ipotesi, viceversa qualora una di queste ipotesi venisse a cadere occorre-
rebbe fare delle ipotesi molto ad hoc per poter ottenere la distribuzione di Planck come
distribuzione di equilibrio.
La sica semplice ed analoga a quella analizzata per lurto con lo specchio. Conside-
riamo una molecola in equilibrio termico con la radizione. Sia v la velocit della molecola
ad un certo istante. Come nel caso dello specchio considereremo solo il moto lungo lasse
x. Questa molecola pu assorbire o emettere luce solo a frequenza . La luce emessa dalla
molecola ha frequenza nel suo centro di massa. Quindi un fotone emesso in avanti, ad
esempio, ha, nel laboratorio, frequenza (1 +v/c) per effetto Doppler. Viceversa un foto-
ne assorbito, in senso contrario al moto, ha nel laboratorio frequenza (1 v/c), in modo
che nel centro di massa abbia frequenza . Associando un impulso h/c ad ogni fotone,
se vede che c uno sbilanciamento di impulso, 2h/c, che tende a frenare la molecola.
Lo stesso ragionamento pu essere fatto per le altre direzioni. Si crea quindi una forza di
attrito. Nel sistema di riferimento del centro di massa la distribuzione della radiazione
anisotropa, lassorbimento e lemissione quindi hanno una anisotropia ed un corrisponden-
te trasferimento di impulso, cio una forza di attrito. Afnch la molecola non si fermi,
cosa contraria allequilibrio termico, questa forza dattrito deve venire compensata dalle
uttuazioni della radiazione. Nella stessa notazione del paragrafo precedente possiamo
scrivere, per limpulso dopo un piccolo tempo
mv Pv +Q (1.88)
P il coefciente di attrito. Allequilibrio termico deve essere
1
2
mv
2
=
1
2
kT e quindi,
analogamente alla (1.75):
'Q
2
`

= 2kTP (1.89)
Calcoliamo ora separatamente il coefciente di attrito e la uttuazione dellimpulso.
Calcolo di P. Consideriamo il sistema di riferimento di quiete per la molecola. Lassor-
bimento di un quanto di energia, che dora in poi chiameremo fotone, con energia h e
angolo di incidenza , rispetto allasse x, trasferisce un impulso h/c cos alla molecola.
32 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Per assorbire il fotone la molecola deve trovarsi nello stato di energia minore, d. Limpulso
trasferito al secondo, per assorbimento, dalla radiazione :
h
c
cos

probabilit di
transizione al sec.

probabilit di
trovare la
molecola in d

Nel sistema di riferimento considerato la radiazione di corpo nero ha una densit spettra-
le (, ), quindi secondo la denizione di coefciente di assorbimento, la probabilit di
transizione per angolo solido :
prob. trans./sec. = B
du
(, )
d
4
Ogni molecola, allequilibrio termico ha una probabilit di trovarsi nei due stati, u, d, data
dalla distribuzione di Boltzmann:
P
u
=
1
S
g
u
e
Eu/kT
P
d
=
1
S
g
d
e
Eu/kT
S = g
u
e
Eu/kT
+g
d
e
E
d
/kT
(1.90)
Quindi limpulso assorbito dalla molecola al secondo , integrando sullangolo solido:

+
=

h
c
cos B
du
(, )
g
d
e
E
d
/kT
S
d
4
(1.91)
In emissione la molecola cede impulso alla radiazione. Per lipotesi fatta di isotropia le-
missione spontanea non contribuisce in media a questo processo, quindi, analogamente
alla (1.91) limpulso perso dalla molecola dovuto solo allemissione indotta. Nellipotesi
fatta anche questa emissione direzionale, quindi in presenza di radiazione ad angolo ,
limpulso perso h/c cos . Si ha allora
h
c
cos

probabilit di
transizione al sec.

probabilit di
trovare la
molecola in u

cio

h
c
cos B
ud
(, )
g
u
e
Eu/kT
S
d
4
(1.92)
La variazione di impulso al secondo la forza, quindi:
F =
+

=

g
d
e
E
d
/kT
S
B
du

g
u
e
Eu/kT
S
B
ud

h
c
cos (, )
d
4
Usando le relazioni di equilibrio (1.56), g
u
B
ud
= g
d
B
du
, la forza si pu scrivere nella
forma
F =
g
d
e
E
d
/kT
S
B
du

1 e
h/kt

h
c
cos (, )
d
4
(1.93)
Abbiamo gi calcolato la distribuzione spettrale (, ), (1.84):
(, ) = u

+
v
c
cos

3u

(1.94)
Effettuando lintegrale angolare
F =
g
d
e
E
d
/kT
S
B
du

1 e
h/kt

v
c
h
c


1
3

(1.95)
1.8. IMPULSO E SUE FLUTTUAZIONI. 33
quindi il coefciente di attrito dato da
P =
g
d
e
E
d
/kT
S
B
du

1 e
h/kt

h
c
2


1
3

(1.96)
Per la distribuzione di Planck


1
3

=
8h
c
3


3
e
h/kT
1

1
3

3
e
h/kT
1

=
8h
c
3
1
3

h
kT

3
e
h/kT
(e
h/kT
1)
2
e per P segue
P =
g
d
e
E
d
/kT
S
B
du

1 e
h/kt

h
c
2
8h
c
3
1
3
h
kT

3
e
h/kT
(e
h/kT
1)
2
=
=
1
3
1
kT
g
d
e
E
d
/kT
S
B
du

h
c

2
u

(1.97)
Calcolo di 'Q
2
`. Come nel caso dello specchio limpulso totale trasferito si pu scrivere
nella forma
Q = Q
1
+. . . Q
N
essendo gli eventi casuali e statisticamente indipendenti si ha un random walk nello spazio
degli impulsi e quindi
'Q
2
` = N'Q
2
1
` (1.98)
In ogni processo limpulso scambiato h/c cos , quindi
'Q
2
1
` =

h
c

2
'cos
2
` =
1
3

h
c

2
(1.99)
Il numero di eventi il numero di processi al secondo per il tempo preso in considerazione
N = ^
sec
. Allequilibrio si hanno tante emissioni quanti assorbimenti, quindi il numero
di eventi al secondo il doppio del numero si assorbimenti:
^
sec
= 2

probabilit di
transizione al sec.

probabilit di
trovare la
molecola in d

= 2
g
d
e
E
d
/kT
S
B
du

In questa approssimazione possiamo considerare come la distribuzione di equilibrio, cio


quella di corpo nero, quindi
'Q
2
` =
2
3

h
c

2
g
d
e
E
d
/kT
S
B
du
u

(1.100)
Notiamo che nel calcolo di 'Q
2
` hanno contribuito anche le emissioni spontanee. Il numero
degli assorbimenti uguale al numero delle emissioni indotte pi il numero delle emissioni
spontanee. Se si fossero trascurate queste ultime non si sarebbe ottenuto il fattore costante
2 nella (1.100), ma un termine complicato, dipendente dalla temperatura e dalla frequenza.
Risultato Dalla (1.100) e dalla (1.97) si vede subito che la relazione di equilibrio (1.89),
'Q
2
` = 2kT P, soddisfatta per la radiazione di Planck. Dalla derivazione dovrebbe
essere chiaro che se qualche ipotesi venisse meno la speranza dellaccordo sarebbe molto
tenue. Ad esempio se lemissione indotta non avvenise nella direzione della radiazione
34 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
incidente, il coefciente relativo nei due termini della forza sarebbe diverso, non si potreb-
be cancellare il quadrato a denominatore nella espressione di (u

1/3

) e non si
potrebbe allora trovare accordo con la (1.100), che lineare nella densit spettrale. Della
necessit della emissione spontanea si gi detto. Anche questa deve essere direzionale.
Se lemissione spontanea fosse a simmetria sferica, come nel caso classico, non potrebbe
contribuire alle uttuazioni: si deve invece avere una isotropia media, che permette quindi
delle uttuazioni.
sotto certi aspetti sorprendente che anche dopo questa dimostrazione da parte di Ein-
stein, nel 1917, lidea del fotone non fosse ancora accettata dalla gran maggioranza dei
sici. Pur di non accettare questa spiegazione si anche proposta una conservazione so-
lo statistica dellenergia e dellimpulso[BKS24] nei processi radiativi. Anche questultima
opzione, alquanto stravagante nellottica odierna, caduta solo con il progredire degli espe-
rimenti sulleffetto Compton: si potuto vericare evento per evento la conservazione del-
lenergia e dellimpulso misurando contemporaneamente limpulso dellelettrone diffuso e
quello del fotone in un singolo processo.
Lultimo punto da chiarire la costruzione di una statistica per questo gas di fotoni.
La relazione di Einstein sulla uttuazione di energia, soprattutto nella forma (1.72), indica
che i fotoni, anche se particelle libere, non soddisfano ad una statistica di tipo Poissoniano,
e questo abbastanza misterioso nella sica classica. La soluzione denitiva sar trovata
da Bose ed Einstein nel 1924[Bos24, Ein24a]. Il problema parallelo per gli elettroni sar
risolto da Fermi[Fer26]. La spiegazione di queste statistiche nellambito della meccanica
quantistica dovuta a Dirac[Dir26b].
1.9 Il problema dei calori specici.
La seconda area di crisi menzionata nel paragrafo 1.1.1 riguardava i calori specici.
Il problema, si pu ben dire, coevo alla stessa meccanica statistica ed in sostanza la
riproposizione del principio di equipartizione. Consideriamo ad esempio un gas perfetto
monoatomico, nella schematizzazione di un insieme di oggetti puntiformi. LHamiltoniana
dei singoli atomi si scrive
H =
p
2
2m
Questa una forma quadratica in 3 variabili, che corrispondono a 3 gradi di libert, quidi
lenergia media per atomo
3
2
kT. In un gas perfetto le molecole sono statisticamenete in-
dipendenti e debolmente interagenti, quindi lenergia interna di una mole di gas, contenente
N
A
atomi ( N
A
il numero di Avogadro)
U = N
A
3
2
kT =
3
2
RT R = N
A
k = Costante dei gas
Questo corrisponde ad un calore specico per mole, a volume costante, di
C
V
=

U
T

V
=
3
2
R
Si pu fare un modello analogo per una molecola poliatomica, schematizzata come un
corpo rigido: vi sono 3 gradi di libert traslazionali e 3 rotazionali, e questo d un calore
specico molare C
V
= 3R. Schematizzando inne una molecola lineare, in particolare
biatomica, come un corpo rigido con due soli momenti dinerzia, e quindi solo due termini
di energia rotazionale, si ha, per queste molecole, un calore specico molare di C
V
=
5/2R. Il problema che appena si introduce un grado di libert interno, sotto forma ad
esempio di oscillazione degli atomi attorno alla posizione di equilibrio, si ha un termine
aggiuntivo nellHamiltoniana per descrivere questo moto di oscilazione:
m
2
q
2
+
1
2
kq
2
1.9. IL PROBLEMA DEI CALORI SPECIFICI. 35
Altri due gradi di libert: quindi un termine aggiuntivo di RT nellenergia molare e un
termine aggiuntivo di R nel calore specico. La cosa chiaramente assurda, basta pensare
ad una molecola composta da molti atomi per avere un calore specico enorme. A questo
logicamente bisognerebbe aggiungere quello dovuto ai gradi di libert interni degli stessi
atomi, peggiorando la situazione. Nella seconda met dellottocento la situazione era al-
quanto ambigua, da una parte non si conoscevano i costituenti elementari delle molecole,
e la stessa ipotesi atomica era messa in discussione, dallaltra per diversi gas, ma non per
tutti, i valori dei calori specici sperimentali riproducevano i risultati suddetti. Boltzmann
stesso affermava che il calcolo dei calori specici era uno dei punti fondamentali da capi-
re nella meccanica statistica. Notiamo, come fatto acutamente osservare da Sommerfeld
molti anni dopo, che la situazione piuttosto peculiare: se veramente si crede che un certo
numero, qui il rapporto C
V
/R sia un intero, o un multiplo di 1/2 in generale, non pos-
sibile accontentarsi di un accordo men che perfetto, se il risultato sperimentale per un gas
biatomico fosse C
V
/R = 2.60.02 non si avrebbe un discreto accordo col valore previsto,
5/2 = 2.5, si avrebbe un disaccordo completo! Un numero o un intero o non lo , non ci
sono interi approssimativamente giusti.
Una situazione molto simile si presenta nei solidi. Gi nel 1819 Doulong e Petit ave-
vano osservato sperimentalmente che per i solidi valeva la seguente regola: il calore
specico molare approssimativamente 3R, ed costante con la temperatura. Questo ri-
sultato ha una spiegazione che sembra molto naturale: in un grammoatomo vi sono N
A
atomi, ogni atomo libero di oscillare attorno alla posizione di equilibrio, in questo modo
ad ogni atomo competono 3 modi di oscillazione (uno per direzione) ed una corrisponden-
te energia media termica 3kT. Per un sistema di N
A
atomi questo d un calore specico
C = 3kN
A
= 3R 5.96 cal/K. Notiamo in particolare che in questo contesto assolu-
tamente impossibile avere un calore specico minore di 3/2R, corispondente ai gradi di
libert traslazionali.
La situazione sperimetale per molti materiali conforme, a temperatura ambiente, alla
legge di Doulong e Petit, ma per diversi materiali si trovano fortissime deviazioni, ed in
particolare un calore specico dipendente dalla temperatura. Il problema particolarmente
acuto per materiali come il diamante, per cui, ad esempio, C 0.76 cal/K a temperature
di circa 50

C. Un valore cos basso, minore cio di 3/2R assolutamente incompati-


bile con qualunque modello classico. In generale si trova che il calore specico tende a
zero per T 0. La situazione chiaramente peggiora allinizio del ventesimo secolo: la
scoperta dellelettrone porta ad aggiungere i gradi di libert di questa particella al moto
microscopico, rendendo ancora pi critica la situazione.
Lidea per la soluzione di questo problema di Einstein[Ein07]. Come abbiamo visto
le ricerche precedenti di Einstein indicavano in maniera piuttosto netta la tesi che lener-
gia di un oscillatore armonico potesse assumere solo valori discreti. La tesi, parzialmente
contrapposta, sostenuta da Planck, era che la discretizzazione fosse dovuta a qualche pro-
cesso incognito di emissione della luce da parte di un oscilatore microscopico. Lanalisi
dellequilibrio termico tramite la distribuzione canonica nei lavori[Ein05, Ein06] gi in-
dicava che, invece, il punto essenziale era lo spettro dei valori energetici delloscillatore,
indipendentemente dal meccanismo di interazione. La situazione ideale si pu schematiz-
zare in questa maniera: la radiazione di corpo nero pu interagire elettromagneticamente
con degli oscillatori, in tal modo per non si pu stabilire un equilibrio termico perch
loscillatore ha un sua frequenza propria,
0
ed emette e assorbe solo a questa frequenza.
Lequilibrio termico si instaura quando si permette agli oscilatori di interagire fra loro e
scambiarsi energia, ad esempio attraverso gli urti con un gas. Basta in teoria una singola
molecola di gas, che costituisce il granello di polvere a cui si accennato allinizio della
discussione sulla termodinamica del corpo nero. In questo modo linsieme di oscillatori
allequilibrio, a temperatura T, sia con la radiazione sia con il gas. Lo stato di equilibrio
termodinamico unico, quindi verrebbe mantenuto anche se si spegnesse la radiazione,
e sarebbe mantenuto dallequilibrio col gas. Questo signica che lo stato di equilibrio del-
linsieme di oscillatori non ha niente a che vedere con la radiazione termica, ma dipende
36 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
solo dalla temperatura del sistema, come ogni equilibrio termodinamico.
In formule questo proprio quello che si fa quando si scrive una distribuzione statistica
di equilibrio, come la distribuzione canonica: ci che determina lequilibrio sono i parame-
tri come la temperatura, non il modo in cui si arrivati allequilibrio
11
. Questo discorso,
col senno di poi, sembra ovvio, ma non lo era affatto nei primi anni del ventesimo secolo,
perch, ripetiamo ancora una volta, signicava abbandonare la meccanica classica.
Il problema dei calori specici assume un altro aspetto sotto questa nuova luce. Il risul-
tato C = 3R si basa sul principio di equipartizione, ma gi sappiamo che questo principio
non vero, in generale, per loscillatore armonico. Come abbiamo visto la descrizione
pi elementare di un solido consiste nellassimilarlo ad un insieme di oscilatori armonici.
La cosa pi semplice dire che si hanno 3N oscillatori indipendenti a frequenza , dove
N = nN
A
il numero di atomi (n il numero di moli) e una frequenza caratteristica
dellelemento in esame che esprime quanto fortemente un atomo legato al reticolo cri-
stallino. In questo modo lenergia totale del sistema semplicemente 3N volte lenergia di
un singolo oscillatore, che abbiamo gi calcolato:
E = 3N
h
e
h/kT
1

3Nhe
h/kT
T 0
3NkT T
(1.101)
Dalla (1.101) si ricava il calore specico
C =
dE
dT
= 3Nk

h
kT

2
e
h/kT
(e
h/kT
1)
2

3Nk

h
kT

2
e
h/kT
T 0
3Nk = 3nR T
(1.102)
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8 2
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1
kT/h
C
/
3

R
Figura 1.3: Calore specico per grammoatomo nel modello di Einstein.
11
Qui si suppone che il sistema sia allequilibrio, la cosa a priori potrebbe non essere vera. Alcuni autori, come
Jeans, contestavano il risultato di Planck asserendo appunto che probabilmente non si era raggiunto lequilibrio
termodinamico.
1.9. IL PROBLEMA DEI CALORI SPECIFICI. 37
Quindi nel limite di alta temperatura si riottiene il valore classico 3R, mentre per bassa
temperatura il calore specico tende a zero. Il calore specico classico proporzionale al
numero di gradi di libert: quntisticamente i gradi di libert vengono congelati a bassa
temperatura. Il modello di solido descritto nella (1.101) prende il nome di modello di
Einstein e fu dallo stesso autore confrontato con i dati sperimentali allora disponibili (1907)
sul diamante e su altri elementi trovando una discreta corrispondenza. La frequenza pu
essere stimata dalle caratteristiche del solito e confrontata con quella derivante dai dati sul
calore specico, trovando un certo accordo.
La (1.101) coglie lessenza del problema ma naturalmente un modello troppo sem-
plicato. Come nota lo stesso Einstein in un modello di atomi legati da forze elastiche lo
spostamento di un atomo provoca uno spostamento collettivo, in altre parole unonda elasti-
ca nel mezzo, quindi occorrerebbe parlare di oscillatori accoppiati. A questo naturalmente
vanno aggiunte le correzioni di anarmonicit, cio le deviazioni degli oscillatori dal com-
portamento armonico, etc. Un modello pi realistico stato proposto negli anni seguenti
da Debye[Deb12], e quasi contemporaneamente da Born e von Karman[BornKar].
Modello di Debye. Consideriamo un solido come descritto da N atomi che possono oscillare
attorno alla posizione di equilibrio. Come esempio concreto si pu pensare ad un reticolo cubico in
cui linterazione fra primi vicini ha unenergia potenziale della forma
U =
1
2
k(xi xj)
2
Le equazioni del moto in generale sono della forma
xi = ijxj (1.103)
cio un sistema di 3N oscillatori lineari. Lo spettro vero di oscillazioni possibili si ottiene risolven-
do il sistema (1.103), cio dalla diagonalizzazione della matrice ma possiamo fare semplicemente
lipotesi di avere uno spettro continuo di frequenze da = 0 a = m. Fisicamente chiaro cosa
rappresentano i vari modi di oscillazione: supponiamo di spostare un atomo dalla posizione di equi-
librio, ad esempio fornendogli una certa velocit, questo spostamento si trasmette agli atomi vicini
tramite gli accoppiamenti elastici, i quali a loro volta inducono uno spostamento su altri atomi etc.
quello che si chiama unonda elastica in un solido. Le varie frequenze corrispondono a onde elasti-
che a frequenze diverse. Il lettore noter che la descrizione identica a quella dei modi di vibrazione
elettromagnetici in una cavit. La velocit di propagazione delle onde elastiche la velocit del suo-
no nel mezzo, che prende il posto della velocit della luce. Consideriamo per brevit un cubo di lato
L. Imponendo, ad esempio, condizioni al contorno periodiche per le vibrazioni, si ha che il vettore
donda della forma (vedi anche eq.(1.384))
k =
2
L
(nx, ny, nz) nx, ny, nz : interi positivi e negativi (1.104)
La connessione fra vettore donda e frequenza [k[ = /c. Il numero di oscilazioni corrispondenti
ad interi compresi in un intervallo nxnynz, attorno ad unvalore centrale (nx, ny, nz) si scrive
immediatamente dalla (1.104)
dA
k
= L
3
d
3
k
(2)
3
e passando alle frequenze (integrando quindi sulle direzioni di propagazione dellonda):
dA = L
3
4

2
c
3
d
In un solido possono propagarsi onde sonore trasversali, con velocit ct, ed onde sonore longitudinali,
con velocit c
l
. Notando che esistono due direzioni trasverse per ogni direzione di propagazione
dellonda, il numero totale di modi a ssa frequenza si riscrive:
dA = L
3

2
c
3
t
+
1
c
3
l

4
2
d = L
3
12

2
c
3
s
d
3
c
3
s

2
c
3
t
+
1
c
3
l
(1.105)
38 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Abbiamo introdotto per comodit la velocit media del suono, cs. Il numero totale di modi di
vibrazione 3N, questo ssa il valore della frequenza massima m

m
0
dA = L
3
12
1
3

3
m
c
3
s
= 3N
3
m
=
3Nc
3
s
4L
3
; dA = 9N

2

3
m
d (1.106)
Poich (N/L
3
)
1/3
a = passo reticolare, la frequenza massima corrisponde ad una lunghezza
donda minima = cs/m a, come era lecito aspettarsi. Assumendo ora, come nel modello di
Einstein, uno spettro di Planck per ogni oscillatore, lenergia del solido ha la forma
E =

m
0
h
e
h/kT
1
dA = 9N

m
0
h
e
h/kT
1

3
m
(1.107)
Esprimendo m in termini di una temperatura, la temperatura di Debye
=
hm
k
(1.108)
ed effettuando il cambiamento di variabili x = h/kT, lespressione (1.107) pu essere riscritta
nella forma
E = 3NkTD(

T
) con D(x) =
3
x
3

x
0
z
3
dz
e
z
1
(1.109)
Nella forma (1.109) la diversit rispetto al caso classico parametrizzata da una funzione universale,
D(x) e da un parametro, , che dipende dal materiale. Sviluppando in serie il fattore 1/(e
x
1) si
ricava lo sviluppo per la funzione D(x):
D(x) = 1
3
8
x +. . .
e quindi risulta evidente il limite classico per alte temperature. Lasciamo al lettore vericare che per
basse temperature E T
4
e quindi, per il calore specico C T
3
. Questa dipendenza da T
diversa da quella del modello di Einstein, ed quella in accordo con i dati sperimentali.
La cosa che ci interessa sottolineare che con questa applicazione del concetto di quan-
to di energia al di fuori dellambito della radiazione di corpo nero, la discretizzazione
dei livelli energetici incomincia ad apparire come una propriet generale della materia,
non come un qualche misterioso meccanismo dellinterazione elettromagnetica a livello
miscroscopico.
Nel lavoro[Ein07], la (1.101) ricavata dalla distribuzione canonica, (1.34), come ab-
biamo fatto nel paragrafo 1.4. In questo lavoro come in quello precedente del 1906[Ein06]
e soprattutto nella edizione del 1906 del libro di Planck[Pla-H.R.] lattenzione si sposta
gradatamente dalla discretizzazione dei livelli energetici alla discretizzazione dello spazio
delle fasi del sistema.
Abbiamo gi accennato, vedi (1.46), alla questione. La distribuzione canonica pu
essere vista direttamente nello spazio delle fasi del sistema. Per un singolo oscillatore la
distribuzione di probablit
dP = Ce
H(p,q)
dpdq = e
E/kT
(E)dE (1.110)
Come abbiamo visto la (1.110), usando dpdq dE, implica classicamente (E) = 1.
La quantizzazione dei livelli energetici equivale a sostituire delle somme agli integrali nei
valor medi. Formalmente la distribuzione (E) nulla per tutti valori di E eccetto n,
con = h. Se si vuole evitare luso della distribuzione di Dirac si pu pensare a (E)
come una funzione ovunque nulla eccetto un intervallo innitesimo, diciamo di larghezza
, attorno ai valori n, in modo tale che lintegrale su questi piccoli intervalli sia costante:


0
(E) =

(E) = . . . = A
1.9. IL PROBLEMA DEI CALORI SPECIFICI. 39
In questo modo i valori medi hanno la forma
'f(E)` =

0
f(n)e
n
A

0
e
n
A
(1.111)
Il risultato non dipende dai parametri , A ed quello di Planck.
Guardiamo la stessa cosa dal punto di vista delle variabili canoniche (p, q). La traiet-
toria classica di un oscillatore nello spazio delle fasi del sistema, cio nel piano (p, q)
costituita da unellisse:
E =
p
2
2m
+
1
2
m
2
q
2
(1.112)
Come gi detto nel paragrafo 1.4.1 larea di questa ellisse proporzionale ad E. In effetti
con il cambiamento di variabili, con Jacobiano 1,
p =

mx q =
y

m
dpdq = dxdy
la (1.112) si riscrive
x
2
+y
2
= 2
E

(1.113)
cio un cerchio di raggio R =

2E/ larea perci, usando la regola di quantizzazione


per lenergia:
A = R
2
=
2E

=
2nh
2
= nh (1.114)
Due energie diverse di un oscillatore corrispondono a due diverse ellissi, energie che diffe-
riscono di h delimitano una corona ellittica (circolare nelle variabili x, y) di area
A = (n + 1)h nh = h (1.115)
Ora dpdq lelemento darea nello spazio delle fasi, quindi lintegrale in dpdq che occorre
fare nella denizione classica di media
f

dpdqe
H(p,q)
f(p, q)
un integrale di area sullo spazio delle fasi, dpdq = dA: la prescrizione quantistica sulle
energie signica allora affermare che lintegrale sullo spazio delle fasi va sostituito con una
somma su delle cellette, di area h.
Questo stesso signicato si ottiene, se il lettore ricorda, dalla denizione microcanonica
di entropia (1.44): anche in quel caso si era trasformato il conteggio nello spazio delle fasi
in termini di un conteggio in cellette di energia. Si pu fare anche un passo in avanti: il
numero di microstati un numero puro, quindi, a voler essere precisi, la denizione di
entropia dovrebbe essere (ed in effetti):
S = k log

U+U
U

k
dp
k
dq
k

(1.116)
Dove larea di una celletta nello spazio delle fasi. In meccanica classica questa quan-
tit arbitraria e ci impedisce di denire uno zero per lentropia. Se assumiamo che la
grandezza sia proprio h, poniamo cio
pq = = h (1.117)
otteniamo una normalizzazione assoluta per lentropia. In realt la (1.116) lascia ancora a
desiderare, come vedremo tra poco.
Questa interpretazione ha tre elementi distinti, importanti per motivi diversi:
40 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
1) h ha le dimensioni di unazione: in questo modo si lega il signicato di h ad una
quantit con le dimensioni di unazione che ha signicato meccanico, come cella
dello spazio delle fasi, indipendentemente dalla radiazione elettromagetica.
2) Dal punto di vista statistico si opera una discretizzazione dello spazio delle fasi e si
propone una scelta per lo zero dellentropia.
3) Si opera una scelta sulle celle dello spazio delle fasi.
Gli ultimi due punti sono pi sottili di quanto possa sembrare. Non basta la discretizzazione
dello spazio delle fasi per ottenere la statistica di Planck. Consideriamo ad esempio una
divisione in cellette del tipo
p = p q = nq pq = h (1.118)
Lintegrale sullo spazio delle fasi ha la forma

n
exp(
2
p
2
2mkT
n
2
m
2
q
2
2kT
)
e questo non solo ha poco a che fare con la distribuzione di Planck, ma dipende dalla scelta
esplicita di p, q
12
.
Il punto essenziale invece il punto 3): la scelta di quali celle sommare, in questo
caso celle ellittiche, molto diverse da quadratini come nella (1.118). La scelta delle
celle nellinsieme microcanonico connessa con la scelta degli stati equiprobabili a priori.
Classicamente lo stato di una particella individuato dalle coordinate canoniche (p, q) ed
una cella del tipo (1.118) corrisponde a questa concezione di stato. Scegliendo come celle
elementari le celle determinate dallenergia si opera in realt un grande allontanamento
dal concetto classico di particelle. In effetti questo tipo di scelta sar quella dettata dalla
meccanica quantistica.
Se si assume il punto 3 allora lentropia per un sistema di oscillatori, (1.116), assume
la forma
S = k log

U+U
U

k
dE
k

(1.119)
e questa lespressione che abbiamo visto nel paragrafo 1.4.1. Questo dovrebbe chiarire
il senso della nota posta alla ne del paragrafo 1.4.1. Notiamo cha la (1.119) usata in
un modo o nellaltro sia da Einstein[Ein06] sia da Planck[Pla04, Pla-H.R.], ed entrambi
avevano ben presente il problema. Probabilmente il primo a mettere chiaramente in luce la
differenza fra il conteggio alla Planck e quello alla Boltzmann, fu Ehrenfest[Ehr06], che
era un allievo di Boltzmann.
C comunque un punto abbastanza interessante da notare: ad alta temperatura ci si
aspetta che il regime classico sia valido, come nel caso delloscillatore. La prescrizio-
ne (1.117) ssa la costante dellentropia, e questa pu essere misurata, ad esempio, dagli
equilibri chimici, quindi dovrebbe essere possibile vericare la (1.117) calcolando lentro-
pia di un gas perfetto: quanto fatto da Sackur e Tetrode, nel 1912-1913. Il calcolo, molto
semplice riportato nel paragrafo 1.D.
Queste prime applicazioni della ipotesi dei quanti, effetto fotoelettrico, calori specici,
etc. segnano la chiusura della fase interlocutoria della teoria dei quanti, Nel congresso di
Solvay del 1911, il primo congresso dedicato a questa nuova teoria, ormai chiaro che
la sica classica richiede una revisione. Nello stesso congresso cominciano ad affacciarsi
nuove ipotesi, come la trattazione degli invarianti adiabatici (Einstein) o la quantizzazione
del momento angolare (Lorentz) che saranno sviluppate negli anni a venire. Ci che resta
completamente oscuro su che basi debba poggiare questa svolta nella dinamica. Due
eventi rivoluzionari cambiano la situazione:
12
Il lettore pu vericare che la funzione di partizione un prodotto di funzioni ellittiche
3
e che nel limite
p 0, q 0 si ha il teorema di equipartizione classico per lenergia.
1.10. ALCUNE NOZIONI ELEMENTARI SUGLI SPETTRI ATOMICI. 41
Rutherford rielaborando una serie di esperimenti effettuati nel suo laboratorio, pro-
pone nel 1911, ancor prima del congresso Solvay, lesistenza di un nucleo pesante
di carica positiva negli atomi. Il modello che ne consegue, elettroni leggeri orbitanti
attorno ad un nucleo pesante, come un sistema solare in miniatura, prende il nome di
modello atomico di Rutherford.
La pubblicazione del primo articolo di Bohr sulla meccanica quantistica[Boh13].
la sintesi fra il modello atomico di Rutherford e la teoria dei quanti: viene avanzata
la prima spiegazione dellesistenza delle righe spettrali, si crea la prospettiva per
la formulazione di una meccanica atomica e, inne, si ha un ottimo accordo fra le
previsioni della teoria e lo spettro dellatomo di idrogeno, che no a quel momento
era un mistero.
1.10 Alcune nozioni elementari sugli spettri atomici.
In questo capitolo non discuteremo le motivazioni che portarono Rutherford alla formu-
lazione di un modello planetario dellatomo. Il lettore che non conoscesse largomento
pu consultare, ad esempio, il libro di Born[Born32] o il libro di Ter Haar[TerHaar], dove
ristampato larticolo orginale di Rutherford.
Per motivi di spazio non discuteremo nemmeno le classicazioni dettagliate degli spet-
tri atomici. Unintroduzione allargomento si trova nel testo[Born32] o, in modo pi detta-
gliato, nel libro di G. Herzberg[Herzberg]. Lunica nozione che ci servir nel seguito la
legge di ricombinazione di Raleygh-Ritz, che ora illutreremo sommariamente.
Lo spettro di ogni elemento si presenta come un insieme di righe organizzate in serie,
ogni serie ha un punto nale, o end point che ssa la frequenza massima di quella serie.
Un esempio molto schematico presentato per lidrogeno in gura 1.4.
Si nota che le frequenze di ogni serie possono essere espresse nella forma
= T
2
(n
2
) T
1
(n
1
) (1.120)
n
1
, n
2
sono numeri interi. La serie si ottiene tenendo sso n
2
e cambiando n
1
. I fattori
T(n) sono detti termini della serie, e tendono a zero per n , di modo che il termine
T
2
(n
2
) nella (1.120) individua la frequenza limite della serie.
Nella notazione spettroscopica comune i vari termini sono denotati in questo modo
1s 2s 3s 4s 5s 6s . . .
2p 3p 4p 5p 6p . . .
3d 4d 5d 6d . . .
4f 5f 6f . . .
. . . . . . . . .
Le serie principali hanno nomi particolari, che sono allorigine delle lettere s, p, d . . .:
Serie principale = 1s np
Serie sharp = 2p ns
Serie diffusa = 2p nd
Serie fondamentale = 3d nf
Seconda serie principale = 2s np
Seconda serie diffusa = 3p nd
. . . . . .
Losservazione cruciale, frutto dellelaborazione di una gran quantit di dati spettrosco-
pici la seguente: ogni riga scrivibile come una differenza di termini e, viceversa, ad ogni
differnza di termini possibile associare una riga. In certi casi alcune differenze di termini
42 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
corrispondono a righe molto deboli o completamente assenti, in questo caso si parla di re-
gole di selezione. Questo principio si chiama principio di ricombinazione di Raleygh-Ritz,
ed il vero contenuto dellequazione (1.120).
Qualche esempio pu servire a chiarire le cose. Lo spettro pi semplice quello della-
tomo di idrogeno. Per questo elemento i vari termini T nella (1.120) hanno tutti la stessa
forma e si scrivono
T(n) =
R
n
2
R
c
109 677.581 cm
1
(1.121)
La costante R si chiama costante di Rydberg. Spesso le righe spettrali sono identicate
dal numero donda,
1
= /c, per questo abbiamo scritto il valore di R/c. Le serie
dellatomo di idrogeno sono allora espresse nella forma molto semplice
= T(n
2
) T(n
1
) = R

1
n
2
2

1
n
2
1

n
2
sso n
1
= n
2
+ 1, n
2
+ 2 . . . (1.122)
Queste serie hanno di solito il nome del loro scopritore:
Serie di Lyman n
2
= 1 = 1s np ultravioletto
Serie di Balmer n
2
= 2 = 2p nd visibile
Serie di Paschen n
2
= 3 = 3d nf infrarosso
Serie di Brackett n
2
= 4 = 4f ng infrarosso
Serie di Pfund n
2
= 5 = 5g ne infrarosso
Dovrebbe essere chiaro allora che T(4) T(10) corrisponde alla sesta riga della serie di
Brackett, mentre T(2) T(10) allottava riga della serie di Balmer, etc. Lidrogeno
particolarmente semplice perch i termini T, ovvero le funzioni T(n), sono le stesse per
tutte le serie.
Lyman Balmer Pa. Br.
0 2 4 6 8 10
numeri di onde 10
4
Figura 1.4: Diagramma schematico di una parte dello spettro dellIdrogeno. In ascissa
riportato il numero donda 1/. Le linee verticali tratteggiatate indicano il punto nale
della serie. Sono riportate 4 serie, di Lyman (nellultravioletto), di Balmer (nel visibile), di
Ritz-Paschen e di Brackett (entrambe nellinfrarosso). Si noti che c sovrapposizione fra
alcune serie, nel diagramma fra quella di Brackett e quella di Ritz-Paschen.
Il caso immediatamente pi complicato quello dei metalli alcalini, (Li, Na, K, Rb,
Cs). In questo caso i termini sono ottimamente approssimati dalla semplice formula
R
(n +)
2
(1.123)
dove dipende dalla serie ed chiamata correzione di Rydberg. Si avr cos
1.11. MODELLO DI BOHR. 43
Serie principale = 1s np T
PS

R
(n +
p
)
2
n = 2, 3 . . .
Serie sharp = 2p ns T
SS

R
(n +
s
)
2
n = 2, 3 . . .
Serie diffusa = 2p nd T
SS

R
(n +
d
)
2
n = 3, 4 . . .
Serie fondamentale = 3d nf T
FS

R
(n +
f
)
2
n = 4, 5 . . .
Notiamo che la frequenza limite per la serie sharp e quella diffusa la stessa. Il punto
importante, conseguenza del principio di Raleygh-Ritz che i termini T
PS
, T
SS
, T
FS
sono
termini delle serie adiacenti:
T
PS
=
R
(1 +
s
)
2
T
SS
=
R
(2 +
p
)
2
T
FS
=
R
(3 +
d
)
2
la qual cosa giustica la notazione usata nella tabella.
Se indichiamo con k = 1, 2, 3, 4 . . . le serie s, p, d, f . . . possiamo esprimere in modo
semplice unimportante regola di selezione: sono osservate solo le righe corrispondenti a
k = 1. Ad esempio non si osservano righe della forma 2s 3d.
La procedura di classicazione pu essere estesa agli altri elementi.
Notiamo, a scanso di equivoci, che, misurate con maggiore risoluzione, le righe prece-
dentemente elencate in realt si rivelano costituite da multipletti, i cosiddetti multipletti di
struttura ne. chiaro che per descrivere questi multipletti occorrer avere a disposizione
degli altri numeri quantici, oltre a n, k gi usati.
1.11 Modello di Bohr.
Larticolo di Bohr[Boh13] segna linizio della vecchia teoria dei quanti: si crea uno sche-
ma per la comprensione dei fenomeni microscopici basato sul concetto di quanto. La teoria
ha inizialmente un grosso successo, riuscendo a spiegare quantitativamente e qualitativa-
mente molti fenomeni: per la prima volta la stessa dimensione degli atomi viene dedotta
a partire da costanti universali, quali la carica e la massa dellelettrone. La teoria si basa
su un insieme essenzialmente contraddittorio di ipotesi, cercando di introdurre in qualche
modo la quantizzazione allinterno di uno schema descrittivo e cinematico prevalentemente
classico, queste contraddizioni vengono via via alla luce generando inne, nel 1925, una
nuova cinematica ed una nuova meccanica, la meccanica quantistica.
Malgrado questa premessa pensiamo sia importante avere unidea almeno approssi-
mativa dei metodi e dei risultati ottenuti nella vecchia meccanica quantistica perch in
questambito ancora possibile usare, almeno parzialmente, un linguaggio classico per la
descrizione dei fenomeni: si pu parlare di particelle, di posizione, di impulso, di orbite
etc. Questa possibilit viene meno nella meccanica quantistica, nel cui ambito gli oggetti
saranno descritti in modo molto pi astratto e lontano dallesperienza comune. Partiamo
quindi dallanalisi del lavoro di Bohr.
NOTA In questo paragrafo, come nei paragra 1.2.1 e 1.3, il lettore deve avere ben in
mente che non si tratta di dedurre delle propriet della materia da principi noti, ma di
indovinare quali sono le leggi a partire dai dati sperimentali e da pregiudizi teorici.
Riassumiamo ci che si sa per certo sugli atomi prima del lavoro di Bohr:
1) Esiste, e non spiegata, la tavola di Mendeleiev che indica una qualche periodicit
nella struttura chimica degli elementi.
2) La lunghezza tipica associata ad un atomo, il raggio dellatomo, dellordine di
10
8
cm. La massa atomica abbastanza conosciuta.
44 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
3) Si sono scoperti gli elettroni e se ne conosce il rapporto e/m.
4) Si conosce approssimativamente
13
la grandezza di un elettrone, 10
10
cm.
5) Gli elettroni sono costituenti dellatomo, questa convinzione deriva dallo studio dei
raggi catodici e da altre esperienze. Come conseguenza dei punti 2) e 4) gli elettroni
sono piccoli costituenti del sistema.
6) Lunica vera informazione sulla struttura atomica deriva dagli spettri di emissione
e di assorbimento. Le esperienze di Zeeman, la spiegazione di Lorentz delleffet-
to Zeeman, ed i punti precedenti indicano che i movimenti degli elettroni sono in
qualche modo causa dello spettro.
7) La regola di ricombinazione di Ritz, vedi eq.(1.120), dice che esiste una qualche sem-
plice relazione lineare fra le frequenze della luce negli spettri esprimibile tramite
numeri interi.
8) Il modello di Rutherford suggerisce lesistenza di un nucleo pesante, di carica posi-
tiva e praticamente puntiforme, in cui concentrata la massa atomica.
Lesperienza con la radiazione di corpo nero e con la teoria dei calori specici insegna
che a livello microscopico gli scambi di energia, almeno quelli di tipo elettromagnetico,
avvengono attraverso quanti discreti di energia, e questa energia legata alla frequenza
della luce dalla relazione E = h. Il problema centrale proprio qui: nellelettrodinamica
classica la frequenza della luce emessa legata al periodo di oscillazione delle cariche, se il
moto non periodico si ha uno spettro continuo di luce, se invece periodico, con periodo
T, si avr uno spettro di armoniche con frequenze n/T, multipli della frequenza fonda-
mentale
14
. Le frequenze osservate negli spettri per non sono armoniche. Bisognerebbe
allora immaginare un modo di oscillazione diverso associato ad ogni frequenza. Ma allora
come mai le frequenze soddisfano una relazione come quella di Ritz?
In un oscillatore quantistico la frequenza di emissione della luce ha un duplice ruolo: da
una parte indica la frequenza propria delloscillatore, dallaltra, con la relazione E = h,
indica la differenza di energia fra uno stato e laltro delloscillatore armonico. Il fatto che
la luce sia monocromatica in questo caso dovuto al fatto che le differenze di energia fra
i vari livelli sono costanti e queste differenze coincidono, in frequenza, con la frequenza
classica di oscillazione.
La proposta di soluzione quindi potrebbe essere: la luce emessa dagli atomi connessa
con la differenza di energia fra diversi livelli atomici, h dovrebbe cio indicare la diffe-
renza fra due livelli energetici. Se si vuole fare un modello atomico occorre allora trovare
una regola per costruire questi livelli energetici, in modo tale da riprodurre gli spettri
osservati. questo che fa Bohr nel suo lavoro.
Che il problema non sia banale lo si capisce subito da questa considerazione: se un ato-
mo emette luce perde energia, se perde energia cambia il moto degli elettroni, ad esempio
se oscillano cambia lampiezza di oscillazione. Ma la frequenza del moto dipende dal-
lenergia: lisocronismo si ha, come noto, solo in casi tipo loscillatore armonico. Ma
cambiando la frequenza del moto dovrebbe cambiare la frequenza di emissione della luce,
come mai allora la luce osservata moncromatica, cio le righe sono ben denite?
Unaltra spinosa questione ha a che vedere con le dimensioni dellatomo. Se consi-
deriamo le dimensioni come un dato caratteristico dellelemento, come ad esempio nel
modello di Thompson, abbiamo che come ordine di grandezza lenergia cinetica, e quindi
lenergia totale, devono essere della forma
E
1
2
mv
2

a
2
T
2
(1.124)
13
Questo un concetto puramente classico, il lettore lo consideri tale e non lo prenda alla lettera.
14
Se il moto ha periodo T le coordinate ammettono uno sviluppo in serie di Fourier con frequenze
k
= k/T,
ed ogni armonica si comporta come un oscillatore.
1.11. MODELLO DI BOHR. 45
Come vediamo compare la frequenza 1/T al quadrato. Se si ha una qualche forma di
discretizzazione dellenergia si avr una relazione con numeri interi fra i quadrati delle
frequenze, mentre le relazioni spettroscopiche indicano una relazione fra le frequenze, non
i loro quadrati. Quindi assegnare un signicato fondamentale alla grandezza di un atomo
sicuramente non porta nella giusta direzione.
Il modello di Rutherford da questo punto di vista preferito: non ci sono lunghezze
intrinseche. Bohr usa il modello di Rutherford.
Consideriamo allora latomo pi semplice, latomo di idrogeno. Per questo elemento,
nel 1913, si conoscevano due ben note serie spettrali, la serie di Balmer, nel visibile, e la
serie di Paschen, nellinfrarosso. Le frequenze di queste righe soddisfano, fenomenologi-
camente, alle seguenti relazioni:
=
c

1
2
2

1
n
2

Serie di Balmer
R

1
3
2

1
n
2

Serie di Paschen
(1.125)
R una costante, la costante di Rydberg, comune alle due serie. Si tratta di vedere in
che senso queste due serie possono essere spiegate dallintroduzione di quanti di energia.
Analizzeremo la questione per passi successivi, cercando di mettere in luce quali sono le
ipotesi e i motivi che spingono a farle.
Ipotesi 1 Si assume il modello di Rutherford. Per latomo di idrogeno, o idrogenoide,
signica considerare un nucleo di massa molto grande, praticamente innita rispetto alle-
lettrone, e carica Ze. Classicamente si ha quindi una forza coulombiana fra nucleo ed
elettrone e conseguentemente stati legati del sistema descritti da orbite circolari ed ellitti-
che, esattamente come nellanalogo problema gravitazionale, si ha cio un moto Kepleria-
no. Questo sistema ovviamente inconsistente dal punto di vista classico. Un elettrone in
unorbita (per semplicit circolare) di raggio r ha unaccelerazione a = Ze
2
/mr
2
. Le ca-
riche accelerate emettono radiazione con una potenza P =
2
3
e
2
/c
3
a
2
. Quindi rapidamente
lelettrone cade verso il nucleo: il sistema instabile, al passare del tempo lenergia tende
a . Sappiamo, dallesperienza con il corpo nero, che sicuramente le leggi classiche non
sono valide per quanto riguarda lemissione e lassorbimento della luce, diciamo quindi
per brevit che le leggi dellirragiamento classico devono essere modicate. Ma non pos-
siamo rinunciare a tutto lelettromagnetismo altrimenti non avremmo nemmeno la legge di
Coulomb e non si avrebbe un sistema legato.
Ipotesi 2 I livelli energetici dellatomo sono quantizzati, le transizioni elettromagnetiche
corrispondono a passaggi da un livello allaltro.
Ipotesi 3 Si suppone che lemissione e lassorbimento di radiazione elettromagnetica av-
venga attraverso quanti di energia, quindi non classicamente. Le transizioni sono monocro-
matiche, avvengono cio ad una precisa frequenza. Si suppone invece che valgano, in for-
ma, le leggi classiche del moto per la parte non radiativa. Questa assunzione chiaramente
poco soddisfacente ma riette il fatto che non si ha una teoria completa.
1.11.1 Motivazioni delle ipotesi di Bohr.
Prima analisi. Consideriamo per semplict orbite circolari, di raggio a. Gli stati legati
del sistema hanno energie negative, E = W. W il lavoro minimo necessario per
estrarre lelettrone dallatomo in quello stato, cio lenergia di ionizzazione a partire da
quello stato. Sappiamo anche che in unorbita circolare lenergia cinetica , uguale alla
46 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
met dellenergia potenziale, in modulo
15
. Quindi chiamato T il periodo orbitale e =
1/T la frequenza di rotazione, si hanno le relazioni
E = W = E
cin
+U
pot
= E
cin
=
1
2
U
pot
E
cin
= W
1
2
[U
pot
[ = W
cio
1
2
m(2)
2
a
2
= W
Ze
2
a
= 2W
Quindi
a =
Ze
2
2W
=
1

2
m
W
3/2
Ze
2
(1.126)
Le equazioni (1.126) esprimono i parametri dellorbita tramite una quantit osservabile, il
potenziale di ionizzazione. Dato un valore per W viene ssata lorbita. Se esistono delle
orbite quantisticamente stabili solo alcuni valori di W saranno permessi.
Pensiamo ora a come costruire un atomo nellorbita descritta dalla (1.126): un elet-
trone, inizialmente fermo, viene attirato dal nucleo e nisce sullorbita (1.126). In questo
processo si avr emissione di radiazione. Questo un punto cruciale: in questa transizione,
fra uno stato di elettrone fermo ed uno stato dellatomo la radiazione emessa sotto for-
ma di quanti ed monocromatica. Lipotesi di monocromaticit naturale, nel senso che
lo stato di elettrone libero, e fermo, corrisponde al caso limite di uno stato legato con ener-
gia di legame tendente a zero, quindi quella considerata solo una particolare transizione
fra stati atomici (corrisponde, in termini spettroscopici, alla frequenza limite di una serie
spettrale, come abbiamo visto). Per lipotesi 2) questa energia ha quindi la forma
W = h

(1.127)
dove un numero intero,

la frequenza della luce emessa. Il numero intero ha due in-


terpretazioni possibili: il numero di quanti emessi, oppure si tratta di un singolo quanto di
frequenza -volte una frequenza di base

(lanalogo di una frequenza armonica classica).


Problema: che frequenza

? La congurazione iniziale non periodica, quella nale


si, con frequenza data dalla (1.126). lunica frequenza in gioco, quindi naturale
supporre

= C, dove C una costante, anzi supponiamo che la frequenza sia diretta-


mente la media fra la frequenza iniziale, zero, e quella nale , cio

= /2. Stiamo
solo vericando la consistenza delle ipotesi fra loro, quindi questa non una limitazione.
Sostituendo questo ansatz nella (1.127) ed usando la (1.126) si hanno le equazioni
= 2

= 2
W
h
=
1

2
m
W
3/2
Ze
2
e quindi si ricava per W
W =
2
2
me
4
Z
2
h
2
1

2
=
1
2
Z
2
e
2
a
B
1

2
(1.128)
Abbiamo introdotto per brevit, e per usi futuri, una grandezza con le dimensioni di una
lunghezza, a
B
, il raggio di Bohr:
a
B
=

2
me
2
=
h
2
(1.129)
Abbiamo cio ottenuto una serie discreta di livelli, un livello energetico per ogni . Il punto
importante che 1 quindi il livello con il pi grande livello di ionizzazione possibile,
cio lo stato pi legato, lo stato fondamentale del sistema, ha energia nita:
W
1
=
1
2
Z
2
e
2
a
B
c (1.130)
15
Per orbite ellittiche vale lo steso discorso per le energie medie, il teorema classico del viriale.
1.11. MODELLO DI BOHR. 47
Inserendo i valori noti, anche nel 1913, per le costanti e, e/m, h
e 4.8 10
10
e
m
5.27 10
17
h 6.63 10
27
unit CGS
otteniamo il valore di W
1
ed il raggio dellorbita corrispondente dalla (1.126)
a = a
B
= 0.53 10
8
cm 6.2 10
15
sec
1
W
e
= 13.6 V W = 13.6 eV
(1.131)
Si usata lunit di misura eV che corrisponde allenergia acquistata da un elettrone (di
carica e) che attraversa la differenza di potenziale di 1 V. I valori ottenuti per il raggio
atomico e la frequenza sono molto ragionevoli, e lenergia di ionizzazione dello stesso
ordine di quella misurata (in realt proprio quella misurata). Quindi la procedura sembra
ragionevole.
Per comodit, e per vedere meglio le dimensioni in gioco, useremo dora in poi la
costante c denita nella (1.130). In questo modo possiamo riscrivere le relazioni classiche
(1.126) nella forma
a =
Ze
2
2W
h =
2

c
W
3/2
(1.132)
Seconda analisi. Supponiamo di seguire lo schema precedente. Qualunque livello deve
essere costruibile con la procedura vista: si parte da un elettrone libero, si emette radiazione
quantizzata e si arriva allo stato atomico nale. Allora tutti i livelli dellatomo di idrogeno
devono avere energie date dalla (1.128). naturale ora dire che i processi di emissione e
assorbimento corrispondano a passaggi fra un livello e laltro, con conseguente emissione
di radiazione
h
1,2
= W
1
W
2
(1.133)
In questo modo si assume che le righe spettrali corrispondano allemissione di un unico
quanto. Dalla (1.128) abbiamo allora

1,2
=
1
2
Z
2
e
2
ha
B

2
1

2
2

c
h

2
1

2
2

(1.134)
Ma queste per
1
= 2 e per
1
= 3 hanno proprio la forma delle righe di Balmer e Paschen!
Sono in pi predette molte altre serie, variando
1
16
. Le transizioni per latomo do idrogeno
possono essere espresse ora attraverso un diagramma che lega la frequenza di transizione
ai livelli energetici dellatomo, vedi g. 1.5.
Ora per possiamo predire la costante di Rydberg, dalla (1.125) si ha
R
Z
=
1
2
Z
2
e
2
ha
B
(1.135)
con i valori noti allepoca per le costanti fondamentali Bohr trova (per Z = 1):
(R)
th
= 3.1 10
15
(R)
exp
= 3.290 10
15
Laccordo molto buono, la discrepanza fra i valori era compatibile con lincertezza sui
valori di e e di h.
Il progresso rispetto a quanto si sapeva prima enorme:
1) Si data una stima della grandezza degli atomi. Questo era stato fatto anche pre-
cedentemente, su basi pi o meno dimensionali: si ha ora uno schema teorico per
questo calcolo dimensionale.
16
Naturalmente queste serie sono state successivamente trovate,per
1
= 1 si ha la serie di Lyman, e questo
naturalmente ha signicato un grosso successo della teoria.
48 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Lyman
Balmer
Paschen
Brackett
n=1
n=2
n=3
n=4
Figura 1.5: Livelli energetici e serie spettrali per latomo di idrogeno.
2) Si stabilito un criterio per la stabilit degli atomi: se si assumono le leggi quanti-
stiche si ottiene uno stato fondamentale per il sistema. La cosa non banale, anche
nellipotesi che esistano quanti di energia: lelettrone potrebbe continuare a perdere
energia, seppure in forma quantizzata, e cascare sul nucleo.
3) Si spiegata lorigine delle righe spettrali: sono transizioni monocromatiche, in
linguaggio moderno transizioni ad un fotone, tra livelli energetici discreti dellatomo.
4) Si affrancata la frequenza della luce emessa dalla frequenza propria del moto: le
frequenze
1,2
non sono le frequenze di rotazione degli elettroni in una qualche
orbita.
Resta da chiarire la scelta

= /2 nella deduzione iniziale. La giusticazione di


questa scelta porter un altro importante tassello al modello.
Abbiamo gi detto che per ragioni puramente dimensionali, nel costruire latomo in
una data orbita, si deve avere h

h. Supponiamo in generale che si abbia una relazione


del tipo
h

= f()h (1.136)
Il calcolo dei livelli identico al precedente, semplicemente dove era scritto
1
2
ora va
scritto f(), ovvero 2f(). Si ottiene quindi per le righe spettrali
h
1,2
=
1
2
Z
2
e
2
a
B

1
4f
2
(
1
)

1
4f
2
(
2
)

1
4f
2
(
1
)

1
4f
2
(
2
)

(1.137)
Quindi se si vogliono ottenere delle serie come quella di Balmer, deve essere f = C:
h
1,2
=
1
2
Z
2
e
2
a
B
1
4C
2

2
1

2
2

c
1
4C
2

2
1

2
2

(1.138)
1.11. MODELLO DI BOHR. 49
Se in pi si vuole ottenere accordo con i dati sperimentali si deve avere C = 1/2. Il punto
seguente un punto importante. Consideriamo una transizione fra due livelli contigui,

2
=
1
+ 1, per un livello di base con grande numero quantico,
1
1. Per questi
livelli:
W
1
=
c
4C
2

2
1
W
2
=
c
4C
2
(
1
+ 1)
2
(1.139a)
h
1,2
= W
1
W
2
= c
1
4C
2

2
1

1
(
1
+ 1)
2

c
1
4C
2

3
1

(1.139b)
Le frequenze classiche di rotazione, corrispondenti ai livelli W
1
, W
2
, si ricavano dalla
(1.132):
h
1
=
2

c
W
3/2
1
h
2
=
2

c
W
3/2
2
h
1
(1.140)
cio per grandi numeri quantici i periodi di rivoluzione prima e dopo lemissione sono circa
uguali, ma questo proprio quello che ci si aspetta per lirragiamento classico in un moto
circolare. Daltronde in regime classico la frequenza della luce emessa deve essere proprio
la frequenza di rivoluzione del moto, quindi, in questo regime, deve essere
h
1
= h
1,2

2

c
W
3/2
1
=
c
4C
2
2

3
1

c
4C
2

2
1

3/2
=
c
4C
2
2

3
1
Da cui segue C = 1/2, cio esattamente il valore precedente.
Il ragionamento che abbiamo usato una forma di principio di corrispondenza: per
grandi numeri quantici si deve riottenere la descrizione classica del processo.
Il lettore noter la somiglianza col fatto che nello spettro di corpo nero per alte tempe-
rature si riotteneva il principio di equipartizione classico.
Resta un ultimo punto da interpretare. Nella formula iniziale (1.127), W = h

,
avevamo lasciato una ambiguit sul signicato di , poteva indicare un numero di fotoni o
unarmonica della frequenza

: questultima linterpretazione consistente. Consideria-


mo infatti una transizione, nel regime quasiclassico, con
2
=
1
+ n, n <
1
. In questo
caso, si hanno le formule analoghe alle (1.139), con C = 1/2:
W
1
=
c

2
1
W
2
=
c
(
1
+n)
2
(1.141a)
h
1,2
= W
1
W
2
= c

2
1

1
(
1
+n)
2

2n

3
1

(1.141b)
Vediamo quindi che la frequenza di transizione un multiplo di quella precedente, cio un
multiplo della frequenza di rivoluzione:

1,2
= n
1
(1.142)
Ricordiamo che le formule precedenti vanno considerate valide anche per i moti ellittici,
praticamente infatti non cambia nulla, il ruolo del raggio svolto dal semiasse maggiore
dellellisse, le altre formule, come la connessione fra energia cinetica ed energia potenziale,
seguono dal teorema del viriale. I moti ellittici sono periodici ma non armonici, quindi
nello spettro della radiazione occorre trovare le armoniche della frequenza fondamentale,
vediamo quindi che nel regime semiclassico il prefattore numerico, n, alla frequenza
di rotazione dello stato indica unarmonica. Estendiamo questa interpretazione per tutti i
valori di nella (1.127), giusticando cos lipotesi di emissione di un singolo quanto nella
transizione.
50 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
1.11.2 Formulazione alternativa della quantizzazione delle orbite.
Quanto visto nel paragrafo precedente a tutti gli effetti equivalente ad una dimostrazione
della forma dello spettro per latomo di idrogeno. Abbiamo seguito la procedura, piuttosto
involuta per certi aspetti, della derivazione originale di Bohr per mettere in luce la giusti-
cazione di ogni ipotesi. Chiaramente possibile, a partire dalle ipotesi fatte e dal principio
di corrispondenza operare una derivazione puramente deduttiva, che presentiamo qui di
seguito, e che Bohr nellarticolo[Boh13] d per scontata.
Il punto di partenza che avendo a disposizione unaltra grandezza fondamentale, h,
possibile costruire una quantit con le dimensioni di una lunghezza, a
B
, denito nella
(1.129): a
B
=

2
me
2
. possibile quindi avere una energia tipica, e
2
/a
B
, per comodit
prenderemo come energia tipica la quantit c denita nella (1.130), ripetiamo: la scelta
fatta solo per rendere semplice il confronto con le formule precedenti.
Punto 1 Se i livelli energetici sono quantizzati (ipotesi 2 del paragrafo 1.11) possiamo
sempre scriverli nella forma
E
n
= c
1
f(n)
W
n
(1.143)
n un numero intero e f una funzione per il momento incognita (quindi la fattorizzazione
di c, come predetto, puramente formale). Il segno nella (1.143) dovuto al fatto che
stiamo considerando stati legati del sistema.
Punto 2 Se lemissione avviene attraverso lemissione di un quanto di radiazione (ipotesi
3 del paragrafo 1.11), si ha
h
n1,n2
= W
n1
W
n2
= c

1
f(n
1
)

1
f(n
2
)

(1.144)
Punto 3 Se viene usata la meccanica classica ed il modello di Rutherford per determinare
i parametri delle orbite possibili (ipotesi 1 e 3 del paragrafo 1.11) la frequenza di rivoluzio-
neper lorbita corrispondente al livello con energia E
n
data dalla formula classica (1.126),
che riscriviamo per comodit nella forma (1.132):
h
n
=
2

c
W
3/2
n
(1.145)
Punto 4 Applichiamo ora il principio di corrispondenza. Consideriamo una transizione
n n + 1, con n 1. Per la frequenza della radiazione dalla (1.144) si ha, sviluppando
in serie la funzione f:
h

= c

1
f(n)

1
f(n + 1)

c
f

(n)
f
2
(n)
(1.146)
Nel regime classico questa espressione deve coincidere con la (1.145), quindi
2

c
c
3/2
f
3/2
= c
f

f
2
f

= 2

f f(n) = n
2
(1.147)
Otteniamo cos lespressione del paragrafo precedente.
1.11. MODELLO DI BOHR. 51
1.11.3 Quantizzazione del momento angolare.
Per unorbita circolare di raggio a possiamo scrivere il momento angolare in termini dei
potenziali W, usando le (1.132):
L = mva = ma
2
= m2a
2
= 2m
Z
2
e
4
4W
2
2
h

c
W
3/2
=
mZ
2
e
4
h
1

Wc
Usando il valore quantizzato per lenergia ed il valore di c si ha
L = n = n
h
2
(1.148)
Viceversa, assumendo la quantizzazione del momento angolare e le equazioni del moto si
ha:
ma
2
= n m
2
a =
Ze
2
a
a =
n
2

2
Zme
2
=
n
2
a
B
Z
(1.149)
e quindi per lenergia:
E
n
=
1
2
Ze
2
a
=
1
2
Z
2
e
2
a
B
1
n
2
(1.150)
cio esattamente la formula precedente. Assumendo la quantizzazione del momento ango-
lare non occorre far uso del principio di corrispondenza.
Lidea di quantizzazione del momento angolare trover la sua giusticazione nellestensione dellana-
lisi di Planck sulla discretizzazione dello spazio delle fasi e su analoghe ricerche di Ehrenfest[Ehr13]
e successivamente di Sommerfeld, come vedremo nel prossimo paragrafo. Probabilmente una delle
prime proposte in tal senso stata fatta da Lorentz nelle discussioni del congresso di Solvay del 1911.
Se i fenomeni periodici hanno una quantizzazione, si pu supporre che ci sia una quantizzazione
nellenergia di rotazione di un corpo:
1
2
I
2
=
1
2
I(2)
2
= Cnh I(2) = 2C
h
2
I indica il momento di inerzia. In particolare, in analogia con loscillatore armonico e con alcuni
modelli analoghi sviluppati da Planck, si pu supporre che la differenza di energia fra due livelli
rotazionali sia legata allemissione di un quanto di energia con frequenza media fra le due frequenze
in gioco:
1
2
I

2
n+1

2
n

=
n+1 +n
2
In+1 = In + (1.151)
Dalla (1.151) segue, per il momento angolare In = n. Nel modello proposto da Ehrenfest la
costante C introdotta dalla relazione Erot = nh/2, ed il fattore 1/2 rispetto alloscillatore
attribuito alla presenza della sola energia cinetica: nelloscillatore armonico tale termine contribuisce
alla met dellenergia totale.
In entrambe le interpretazioni la quantizzazione del momento angolare implica per i livelli ener-
getici:
En =
L
2
2I
=
1
2I

2
n
2
=
h
2
8
2
I
n
2
(1.152)
e per le frequenze di transizione
En+1 En = n,n+1 =
h
2
8
2
I

(n + 1)
2
n
2

=
h
2
4
2
I

n +
1
2

(1.153)
Lo spettro quindi consiste in righe equispaziate, un cosiddetto spettro a bande, che effettivamente
quello osservato per molecole biatomiche. Dai dati sperimentali possibile valutare I e si trovano dei
numeri ragionevoli. Per inciso la quantizzazione del momento angolare automaticamente d unidea
del tipo di spettro: due nuclei di massa M = Amp e distanza relativa d, dellordine di aB, o qualche
, hanno un momento di inerzia I Md
2
, quindi le frequenze caratteristiche sono dellordine di

L
I


Ma
2
B

10
3
A
2
sec
1
=
c

A
2
3 10
5

52 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.


e la radiazione cade nella regione dellinfrarosso.
Modelli atomici in cui si prevedevano delle variazioni di in momento angolare nelle transizioni
erano stati precedentemente elaborati da Nicholson[Nich12].
Come vedremo nel seguito questo tipo di approccio pu essere generalizzato e formalizzato
e dar luogo ad una procedura di quantizzazione applicabile a molti sistemi.
Luso del principio di corrispondenza richiede una analisi classica del problema e, so-
prattutto, bisogna capire come applicare questo principio, la seconda procedura invece
pi formale. Il principio di corrispondenza ha trovato maggiore applicazione nella scuola
di Bohr a Copenhagen, mentre la procedura canonica stata pi sviluppata a Monaco da
Sommerfeld e Born a Gottinga.
1.11.4 Osservazioni e prime generalizzazioni.
ovvio che la spiegazione dello spettro dellidrogeno da parte di Bohr apre la porta al-
lindagine della struttura atomica e molecolare. Vedremo alcuni degli sviluppi nei paragr
successivi. Qui vogliamo solo notare un paio di punti interessanti.
1) Lespressione per il raggio dellorbita stazionaria, vedi es.(1.149), indica come la
grandezza effettiva di un atomo dipenda dal livello energetico. La rapida crescita
con n, spiega immediatamente alcuni aspetti qualitativi degli spettri. Abbiamo visto
che a
B
0.5 10
8
cm, quindi per n = 10 20 si raggiungono raggi dellor-
dine di 10
6
cm, abbastanza rilevanti. Questo spiega perch righe corrispondenti a
transizioni verso stati molto eccitati si vedono solo in gas abbastanza rarefatti.
2) Un punto importante la dipendenza da m. Abbiamo fatto il calcolo nellipotesi di
massa innita del nucleo. chiaro, trattandosi di un problema a due corpi, che la
massa che determina i parametri dellorbita classica la massa ridotta del sistema
=
mM
m+M
M = Massa del nucleo (1.154)
questo signica che i livelli precedentemente trovati, proporzionali a m via la dipen-
denza 1/a
B
, sono in realt proporzionali a . In uno ione idrogenoide lo spettro
allora scrivibile nella forma

n1,n2
= Z
2
R
M

1
n
2
1

1
n
2
2

R
M
=
M
m+M
R

=
1
2
me
4

2
(1.155)
Si usa il simbolo R

per indicare la costante di Rydberg teorica relativa ad un nucleo


di massa innita. La forma della (1.155) stata uno dei primissimi grossi succes-
si della teoria di Bohr. In alcune atmosfere stellari si erano osservati degli spettri
praticamente identici ai termini della serie di Balmer ma leggermente spostati in fre-
quenza. Bohr correttamente li interpret come dovuti ad una serie spettrale dellelio
ionizzato. Per Z = 2 si pu scrivere

n1,n2
= R
He

1
(
1
2
n
1
)
2

1
(
1
2
n
2
)
2

(1.156)
da cui si capisce la quasi coincidenza dei termini pari con le serie dellidrogeno.
Tuttavia la costante di Rydberg dellelio leggermente diversa da quella dellidroge-
no, a causa della diversa massa del nucleo: lespressione (1.156) era perfettamente
coincidente con i dati spetroscopici.
1.11.5 Lesperimento di Franck ed Hertz.
Un importante esperimento che diede la prima conferma non direttamente spettroscopica
dellipotesi di Bohr sui livelli atomici stazionari, fu quello compiuto nel 1914 da Frank ed
1.12. REGOLE DI QUANTIZZAZIONE. 53
Hertz[FrHe14]. Lo schema dellesperimento mostrato in gura 1.6. Un fascio di elettroni
viene emesso da un catodo, C, tenuto a potenziale x ed accelerato verso lanodo, A,
collegato a terra, Un controcampo generato da una griglia a potenziale +0.5 volt impedisce
agli elettroni con energia minore di 0.5 eV di essere rilevati dal galvanometro G.
C
- x volt
Gas
g
+0.5 volt
G
Terra
A
Figura 1.6: Diagramma schematico dellesperi-
mento di Franck e Hertz. C il catodo, la sor-
gente di elettroni, A lanodo, collegato a terra. G
un galvanometro per misurare la corrente. g una
griglia tenuta a +0.5 volt.
Figura 1.7: Risultati schemati-
ci dellesperimento di Franck ed
Hertz sul Mercurio.
Il fascio elettronico atraversa un ambiente riempito di vapori di Mercurio. Siano E
1
, E
2
. . .
gli stati stazionari dellatomo. A temperatura ambiente praticamente tutti gli atomi sono
nello stato fondamentale.
Lenergia degli elettroni pu essere variata cambiando il potenziale x. A bassa energia
gli elettroni hanno urti elastici con latomo, poich M
Hg
m
e
non si ha praticamente
perdita di energia cinetica. Allaumentare di x aumenta la velocit degli elettroni e quindi
la corrente rilevata da G. Quando lenergia degli elettroni supera la soglia E = E
2
E
1
,
possibile un nuovo fenomeno: lenergia viene trasferita in energia interna dellatomo,
cio si ha un atomo eccitato, e quindi lelettrone diminuisce la sua velocit. Per energia
immediatamente sopra la soglia lelettrone perde praticamente tutta la sua energia cinetica
e la griglia impedisce la rilevazione. Si deve quindi osservare un brusco calo di corrente
in corrispondenza dellenergia elettronica, cio del voltaggio, E
e
= ex = E. lo stesso
meccanismo funziona a energie 2E, 3E etc., corrispondenti a urti multipli degli elet-
troni con il gas. Per il mercurio E
2
E
1
4.9 eV: il risultato dellesperimento, mostrato
nella gura 1.7, conferma in pieno la teoria di Bohr.
1.12 Regole di quantizzazione.
Formulare delle regole di quantizzazione signica avere uno schema per lintroduzione del
concetto di quanto applicabile ad ogni sistema meccanico. Questo signica che occorre
porre la questione in termini delle variabili canoniche p.q, in modo da avere uno strumento
valido per ogni sistema Hamiltoniano. La speranza che, una volte formulate, queste regole
permettano di calcolare i livelli energetici dei sistemi atomici, determinare gli spettri etc.
I primi passi in tal senso sono quelli fatti da Planck e sono quanto visto nel paragrafo
1.9: la quantizzazione pu essere interpretata nello spazio delle fasi delloscillatore armo-
nico assegnando ad ogni cella dello spazio delle fasi un volume pq = h e asserendo
che larea racchiusa dalla curva di fase
p
2
2m
+
1
2
kq
2
= E (1.157)
54 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
racchiuda un numero intero di celle. Questo signica: fra tutte le traiettorie possibili nello
spazio delle fasi, cio fra tutte le ellissi del piano (p, q) descritte dalla (1.157) solo alcune
sono selezionate dal processo di quantizzazione, queste corrispondono agli stati stazionari
quantistici del sistema
17
. Larea racchiusa dallellisse (1.157) pu essere scritta, usando il
teorema di Stokes, o semplicemente applicando la denizione di area, nella forma:
area =

dpdq =

pdq (1.158)
Lintegrale nella (1.158) effettuato sulla curva (1.157). Esplicitamente: si ricava p dalla
(1.157), che allora diventa una funzione di q ed E, ed questa funzione che viene usata
nella (1.158):
p =

2m

E
1
2
kq
2

Chiamate q
1
, q
2
le due radici del radicando, cio i punti i punti di inversione del moto, in
cui p = 0, si ha:
area = 2

q2
q1

2m

E
1
2
kq
2

(1.159)
La regola di quantizzazione si scrive allora

pdq = nh (1.160)
La (1.160) seleziona le traiettorie permesse quantisticamente. Se esprimiamo q, e quindi
p, tramite il tempo, che qui fa le veci di parametro della traiettoria, possiamo riscrivere la
(1.160) nela forma

T
0
p
dq
dt
dt =

T
0
2E
cin
dt = nh
T indica il periodo del moto, cio il tempo necessario a percorrere lintera orbita. Moltipli-
cando e dividendo per T ed usando la frequenza = 1/T si ha anche
T
1
T

T
0
2E
cin
dt =
1

2E
cin
=
E

= nh (1.161)
La sopralineatura indica la media temporale. Lultimo passaggio sfrutta il fatto che per un
oscillatore E
cin
= E/2
18
.
Si tratta ora di capire se una forma analoga alla (1.158) possa essere estesa ad altri
sistemi, ed in particolare a sistemi tridimensionali o con pi gradi di libert. La cosa pi
ovvia sarebbe unestensione del tipo

p
i
dq
i
= n
i
h (1.162)
a tutti i gradi di libert del sistema. La (1.162) in generale non ha molto senso, e sulla stes-
sa scrittura (1.160) potrebbero essere espressi dei dubbi. Le obiezioni principali sorgono
gi nel primo congresso di Solvay del 1911, a cui abbiamo gi accennato. Proviamo ad
elencarle:
17
Questa non la motivazione dello studio di Planck, che era interessato di pi agli aspetti statistici della
questione, qui riportiamo le conseguenze dellanalisi di Planck sul problema che stiamo trattando.
18
La forma

t
0
E
cin
dt = Cnht stata usata anche da Sommerfeld in una proposta di applicazionde della
legge di Planck a fenomeni non periodici, come lemissione di raggi X durante negli urti di elettroni con un
metallo.
1.12. REGOLE DI QUANTIZZAZIONE. 55
1) La prima obiezione, dovuta a Poincar, che la connessione fra la relazione pq =
h e la (1.158) dipende dalla forma che si sceglie per le celle dello spazio delle fa-
si. Abbiamo discusso questo problema nel paragrafo 1.9, vedi discussione dopo
leq.(1.118).
2) La (1.162) non invariante per scelta delle coordinate canoniche e questo porta
a degli assurdi, obiezione sempre di Poincar. Consideriamo infatti un oscillatore
isotropo tridimensionale, si avrebbero tre condizioni:

p
x
dx = n
x
h

p
y
dy = n
y
h

p
z
dz = n
z
h (1.163)
con n
x
, n
y
, n
z
interi. Se si considerano tre altri assi, ottenuti per rotazione da quelli
iniziali, si dovrebbero scrivere le analoghe condizioni con tre altri interi, n

x
, n

y
, n

z
.
Ma ruotando le coordinate con una matrice R:

x
dx

jk
R
1i
R
1k

p
i
dx
k
ed in generale, come facile vericare, questa espressione non un multiplo intero
di h, anche se valgono le (1.162). Il problema quindi quali sono, se esitono, le
coordinate giuste su cui implementare le condizioni (1.162)?
3) Una terza osservazione, sempre sul tipo di scelta delle celle dello spazio delle fasi,
posta da Einstein. Ci si aspetta che un oscillatore tridimensionale abbia il triplo
dellenergia termica di un oscillatore unidimensionale. Ora lequazione (1.157) in
questo caso ha 6 variabili, 3 componenti dellimpulso e 3 coordianate. Riscalando
le variabili come nel caso unidimensionale la (1.157) descrive una sfera in 6 dimen-
sioni, di raggio r

E. Larea dellellisse qui va sostituita con lelemento di


volume
d
3
pd
3
q r
5
dr E
5/2
dE
1/2
E
2
dE
Il valor medio dellenergia nellinsieme canonico dato da:
'E` =

dE E
3
e
E/kT

dE E
3
e
E/kT
Assumendo semplicemente una quantizzazione dellenergia, E = nh, lintegrale
si trasforma in una somma, ma il valor medio corrispondente non il triplo del
valor medio unidimensionale. I vari livelli di energia devono quindi avere un peso
statistico diverso, a differenza di quanto succede nel caso unidimensionale. ci
che si chiama degenerazione del livello. La teoria deve essere capace di predire
questa degenerazione. Se valessero le (1.162,1.163) per le tre coordinate cartesiane la
degenerazione sarebbe dovuta al fatto che un dato intero n pu essere scritto in molti
modi nella forma n = n
x
+ n
y
+ n
z
. Ma cos si d di nuovo un ruolo privilegiato
alle coordinate cartesiane, e non se ne capisce il motivo.
5) Una quarta osservazione, pi che unobiezione, nasce da una discussione di Einstein
e Lorentz, sempre al congresso Solvay. La teoria di Planck ed Einstein sulla radiazio-
ne di corpo nero insegna che sicuramente la teoria elettromagnetica classica non pu
essere usata nel descrivere linterazione luce materia; la selezione di stati stazionari,
per loscillatore armonico, indica anche una deviazione dalla meccanica classica, ma
le orbite sono pur sempre scelte a partire da variabili canoniche classiche, p.q e dal
concetto classico di energia, come espresso nella (1.157). Ora lenergia classicamen-
te pu cambiare, effettuando un lavoro dallesterno sul sistema. In questo processo
possono cambiare i parametri del sistema, in particolare la frequenza di oscillazione.
Consideriamo ad esempio un pendolo di lunghezza . Per piccole oscillazioni si ha
56 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
un oscillatore armonico ideale con frequenza propria 2 =

g/. Se si accorcia il
lo si compie un lavoro sul sistema, quindi lenergia cambia, ma nello stesso tempo
cambia anche la frequenza. Se anche il sistema inizialmente soddisfaceva la relazio-
ne di Planck E = nh come possibile che dopo il processo il rapporto fra la nuova
energia E

e la nuova fequenza

sia ancora un multiplo intero di h? Losservazione


di Einstein che per processi lenti, in cui cio il lo si accorcia lentamente rispetto
alla frequenza di oscillazione,

/ < , il rapporto E/ rimane costante. Questo
tipo di processi lenti saranno chiamati processi adiabatici e forniranno, soprattutto
per merito di Ehrenfest e dei suoi allievi, la chiave per capire quali integrali del tipo
(1.160) vanno considerati e perch.
5) C inne un problema fondamentale: nella formula (1.160) lintegrale esteso ad
un periodo, come si possono scrivere le condizioni di quantizzazione se il moto non
periodico?
1.12.1 Invarianti adiabatici.
Chiariamo innanzitutto che tipo di problema vogliamo risolvere. Si tratta di avere un crite-
rio per la selezione di stati discretizzati di un sistema meccanico, usando lo schema concet-
tuale della meccanica classica, che lunico a disposizione al momento, prima della formu-
lazione della meccanica quantistica. Questi stati devono avere delle energie discrete, E
n
:
le eventuali transizioni elettromagnetiche fra questi stati avvengono tramite lemissione o
lassorbimento di luce (fotoni) con frequenza ssata da h = E
n
E
m
. Di sicuro sappia-
mo che la meccanica classica non pu essere usata per descrivere questo tipo di processi,
ma deve esserci una qualche situazione in cui i ragionamenti classici valgono, altrimenti
non potremmo in alcuna circostanza neppure parlare di orbite, impulsi etc., e tutto lap-
proccio sarebbe privo di senso. Losservazione di Ehrenfest, molto moderna dal punto di
vista di principio, che un modo, lunico in verit, per caratterizzare un sistema quello
di considerarlo accoppiato con lesterno, cio occorre trattare sistemi non isolati. For-
malmente questo signica che lHamiltoniana del sistema ha la forma generica H(p, q, ),
dove , funzione del tempo, linsieme dei parametri che descrivono laccoppiamento.
pu indicare qualunque cosa, ad esempio laccoppiamento con un campo elettromagnetico,
ma soprattutto, ed questo il punto interessante, possiamo pensare che lazione dellaccop-
piamento si traduca in una variazione dei parametri del sistema. Il lettore noter la stretta
analogia con la denizione dei parametri termodinamici: il volume di un gas, ad esempio,
da un lato determina lo stato del gas, dallaltro la sua variazione pu essere provocata da un
agente esterno (una forza che regola lo spostamento di una parete). Non nemmeno neces-
sario che la variazione dei parametri sia sperimentalmente fattibile, basta poterla pensare
come un esperimento concettuale: ad esempio fattibile laccorciamento di un pendolo
come visto nel paragrafo precedente, mentre non sarebbe facilmente realizzabile una va-
riazione continua della carica di un nucleo atomico che regola le orbite elettroniche (oggi
sappiamo che sarebbe impossibile).
Quello che sappiamo dallesperienza con la radiazione che una variazione veloce dei
parametri , come quella del campo elettrico di unonda elettromagnetica, provoca dei
salti quantici non descrivibili dalla meccanica classica. Daltronde lesistenza stessa di
un quanto dazione, h, implica che, ad esempio, i trasferimenti di energia devono essere
quantizzati, ed in generale la quantizzazione signica che le variazioni di certe grandezze
sono regolate da numeri interi, quindi non con continuit. Possiamo allora immaginare che
se consideriamo traformazioni molto lente dei parametri queste grandezze non possono va-
riare. Se esiste una zona di sovrapposizione fra la meccanica quantistica e quella classica
queste grandezze, nelle stesse circostanze, devono essere costanti anche classicamente. Ri-
petiamo: se non esistesse nessuna circostanza in cui possiamo applicare la meccanica clas-
sica e la quantizzazione contemporaneamente tutto lapproccio non avrebbe senso. Queste
1.12. REGOLE DI QUANTIZZAZIONE. 57
grandezze esistono in meccanica classica, si chiamano invarianti adiabatici, e saranno
indicate con la lettera J nel seguito.
Come vedremo fra poco, quando gli invarianti adiabatici esistono possibile scrivere
lenergia del sistema come una funzione E(J). Questo fornisce un criterio ed una logica
alla quantizzazione. Partiamo dalloscillatore armonico, di cui assumiamo di avere capi-
to la quantizzazione, (anche in tre dimensioni considerando il sistema come somma di tre
oscillatori indipendenti). Se abbiamo un altro sistema e troviamo una serie di Hamilto-
niane che al variare di un parametro connettono il nuovo sistema alloscillatore armonico
abbiamo la quantizzazione del nuovo sistema. Ad esempio consideriamo le Hamiltoniane
H
t
=
p
2
2m
+
1
2
kq
2
+
t
T

e
2
r

1
2
kq
2

(1.164)
per t = 0 si ha lHamiltoniana di un oscillatore armonico, per t = T quella di un atomo di
idrogeno. Le energie dei due sistemi sono scritte nella forma
E
0
(J
0
), E
T
(J
T
)
Dove J
0
, J
T
sono i due invarianti adiabatici iniziali e nali. Per trasformazioni lente, cio
T grandi, J
0
= J
T
quindi anche lenergia dellatomo di idrogeno quantizzata. In al-
tre parole qualunque sistema che connesso tramite una trasformazione adiabatica ad un
oscillatore armonico, o ad un insieme di oscillatori armonici, quantizzabile.
NOTA Perch questo ragionamento sia valido le Hamiltoniane Ht devono ammettere invarianti adia-
batici, per ogni valore di t. Questo punto stato particolarmente messo in luce da Fermi[Fer23]
e, sotto un altro punto di vista, da Einstein. Questa richiesta, come vedremo, una delle cause di
incosistenza interna e del fallimento di tutta la procedura.
Se chiamiamo J
i
la collezione di invarianti adiabatici del sistema, la procedura di
quantizzazione consister in pratica nel porre J
i
= n
i
h, con n
i
numeri interi.
Formalmente gli invarianti adiabatici si deniscono in questo modo. Supponiamo di
avere un parametro lentamente variabile (t), e supponiamo di considerare la variazione del
sistema in un tempo T = t
2
t
1
. Per ogni valore di possiamo denire le nostre variabili
dinamiche, e costruire delle grandezze J() che dipendono dal parametro di controllo. Una
variabile dinamica J un invariante adiabatico se
J
2
J
1

J(t
2
) J(t
1
)

cost

T (1.165)
con:

0 ; T

T cost. (1.166)
J
2
J
1
la variazione della nostra quantit,

T lordine di grandezza della variazione del
parametro, quindi la condizione imposta dice che il parametro varia, anche se lentamente.
Per

0 si ha quindi J 0, cio la quantit J resta costante
19
.
La richiesta (1.165) non banale. chiaro che se costante la quantit J resta
costante e quindi la sua variazione proporzionale a

, ma, in generale, si ha J

(t
2
t
1
). La richiesta (1.165) equivale a richiedere che il coefciente di

nella variazione
di J resti nito per tempi innitamente lunghi.
Per capire il signicato sico della (1.165) consideriamo ancora un generico oscillatore
armonico:
H = E
cin
+E
pot
=
1
2
p
2
+
1
2
q
2
2 =

(1.167)
19
In alcune dimostrazioni che seguiranno si opereranno degli sviluppi in serie per la funzione (t), se si vuole
valutare il resto in questi sviluppi, e quindi vericare rigorosamente la (1.165), occorre avere sotto controllo la
derivata seconda di , assumeremo senzaltro che la funzione (t) sia doppiamente differenziabile con derivata
continua, cio di classe C
2
.
58 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Consideriamo ora , come parametri variabili, lentamente, nel tempo. in questo caso
la frequenza istantanea, cio la frequenza che avrebbe loscillatore se , fossero
costanti. Le equazioni di Hamilton per il sistema (1.167) sono sempre
p =
H
q
= q q =
H
p
= p (1.168)
Il valore dellHamiltoniana invece (lenergia) non costante nel tempo, usando le (1.168):
dH
dt
=
H
t
=
p
2
2
+

q
2
2
Quindi per la variazione di energia in un tempo T si pu scrivere
E =

T
0
dt

E
cin
+

E
pot

(1.169)
Il punto cruciale il seguente: nellintegrando della (1.169) ci sono termini veloci,
E
cin
, E
pot
che variano con un tempo dellordine del periodo di oscillazione del sistema,
e termini lenti, le variazioni dei parametri , . In ogni singolo periodo possiamo assu-
mere questi ultimi costanti e quindi, in ogni periodo, lintegrale della (1.169) la media
dellenergia cinetica e dellenergia potenziale, queste sono la met dellenergia totale, per il
teorema del viriale. Al primo ordine in ,

, i termini in , nella (1.169) possono essere
considerati costanti e quindi
E =
E
2

T +O(
2
,

2
) (1.170)
Come chiaro dalla (1.170), E proporzionale alle velocit di variazione ma E non un
invariante adiabatico perch il coefciente delle velocit proporzionale al tempo totale,
quindi diverge per T .
Consideriamo daltra parte la frequenza del sistema:
d
dt
=
1
2

1/2

1/2
+
1
2

1/2

1/2
=

2

Quindi al primo ordine nelle velocit di variazione


=

t2
t1
d
dt
dt =

T +O(
2
,

2
) (1.171)
Dalle (1.170),(1.171) segue, per ,

0:
E
E
=

= 0 (1.172)
Quindi effettivamente E/ un invariante adiabatico. Nel seguito daremo una dimostra-
zione un p pi rigorosa ma la cosa che il lettore deve apprezzare la separazione fra moti
lenti e veloci. Chiaramente questa separazione cessa di valere se 0, e per frequenza
di oscillazione nulla il teorema non vale. Il lettore pu trovare una dimostrazione molto
dettagliata ed istruttiva nel caso di un pendolo nel libro di Tomonaga[Tomonaga].
Non abbiamo fatto nessuna ipotesi sulla natura delloscillatore, se cio descriveva la
piccola oscillazione di un pendolo, una molla o altro. In effetti Ehrenfest, nel suo primo
lavoro sullargomento applica la relazione di adiabaticit appena trovata agli oscillatori
virtuali che descrivono il campo di radiazione in una cavit, ossia al corpo nero.
1.13. MOTI PERIODICI UNIDIMENSIONALI. 59
La motivazione sica di questa applicazione, e lorigine concreta dellinteresse per gli
invarianti adiabatici, la seguente: nella derivazione della legge di Planck abbiamo usato
la legge di Wien, questa legge stata ricavata calcolando, in pratica, il lavoro effettuato
dalla radiazione su una parete mobile, applicando quindi le leggi della meccanica classica,
e la correttezza di questa procedura non pu essere data per scontata. Ehrenfest dimostra
che in effetti la legge di Wien segue direttamente dallipotesi adiabatica.
Consideriamo infatti linsieme degli oscillatori di campo in una cavit, per semplicit
una cavit cubica di lato L. Abbiamo visto che la distribuzione spettrale di energia si pu
scrivere nella forma
u

d = numero di modi energia per modo =


8
2
c
3
d E

(1.173)
E

lenergia di un modo di oscillazione del campo elettromagnetico, cio di un modo


della cavit.
La cavit sia isolata termicamente, lunico parametro di controllo allora il volume.
Consideriamo ora uno spostamento lento delle pareti della cavit. Questo un processo
adiabatico (meccanicamente) quindi, per quanto visto E

/ deve rimanere costante. Se si


suppone che esista una distribuzione spettrale E

, questa deve essere una funzione della


frequenza, e quindi anche E

/: E

/ = f(). Questa funzione deve rimanere costante


nello spostamento. Supponiamo per ssare le idee che le pareti della cavit siano conduttri-
ci, in modo che il campo si annulli su di esse, allora sulla lunghezza L devono trovare posto
un multiplo intero di semilunghezze donda, n/2 = L, cio L e quindi 1/L.
Quindi la quantit L rimane costante nellespansione, allora:
E

= f(L) E

= f(L) u

=
8
3
c
3
d f(L) (1.174)
Notiamo che L = (c/2) n quindi, a parte una costante ssa, multiplo di un intero,
cio quantizzato, questo il motivo per cui f(), non potendo cambiare con continuit,
resta costante.
La trasformazione considerata, oltre che essere lenta anche reversibile, in effetti ab-
biamo visto che al variare lento dei parametri la variazione di energia proporzionale alla
velocit, eq.(1.170), quindi cambiando segno alla velocit leffetto si inverte e si ritorna alla
situazione precedente, sempre a meno di ordini superiori nella velocit. In trasformazioni
di questo tipo (il sistema isolato termicamente) lentropia del sistema non cambia, quindi
la trasformazione adiabatica, in senso termodinamico. Per le trasformazioni adiabatiche
il secondo principio della termodinamica impone, vedi eq.(1.350), T V
1/3
1/L
quindi la (1.172) prende la forma
u

=
8
3
c
3
d f(

T
) (1.175)
che proprio la legge di Wien.
Tornando al problema della quantizzazione, si tratta di trovare una procedura per clas-
sicare gli invarianti J
i
. Consideriamo dapprima il caso unidimensionale.
1.13 Moti periodici unidimensionali.
Consideriamo un moto periodico unidimensionale. Siano p, q le coordinate canoniche e
H(p, q) lHamiltoniana, che supporremo indipendente dal tempo. Supponiamo H nella
forma
H(p, q) =
1
2m
p
2
+U(q)
U lenergia potenziale. Le equazioni di Hamilton si scrivono
p =
H
q
q = p (1.176)
60 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Un moto periodico si pu manifestare in due modi apparentemente diversi:
1) Una rotazione. La variabile q aumenta di una quantit ssa dopo un periodo: q(t +
T) = q(t)+. il caso ad esempio di una rotazione, in cui q rappresenta un angolo e
2. Usiamo il linguaggio degli angoli per essere concreti. Le variabili dinamiche
q, p, che si assumono ottenibili dalla posizione iniziale e velocit iniziale tramite la
soluzione delle equazioni del moto, sono periodiche di periodo T, quindi tutte le
variabili dinamiche f(p, q) hanno la stessa propriet. Formalmente = q R ma
le coordinate q e q + 2 corrispondono allo stesso punto sico, quindi in realt lo
spazio delle congurazioni, cio linsieme delle q, un cerchio, ovvero un segmento
in cui le estremit, diciamo 0, 2 sono identicate: indicheremo tale insieme
20
con
T .
2) Una librazione (oscillazione). Un moto di librazione consiste nelloscillazione di q
fra due estremi, q
1
, q
2
e durante il periodo del moto si ha, ad esempio, q
1
q
2
q
1
.
il classico moto oscillatorio, come esempio si pu considerare loscillazione di un
pendolo, un oscillatore armonico, etc. Formalmente in questo caso lo spazio delle
congurazioni il segmento [q
1
, q
2
].
H indipendente dal tempo, quindi lenergia conservata, ne segue che tutte le orbite,
anche quelle da selezionare per la quantizzazione, hanno energia costante. Consideriamo
le orbite possibili ad energia ssata. Si pu scrivere allora:
H(p, q) =
1
2m
p
2
+U(q) = E p =

2m(E U(q) (1.177)


Chiaramente la regione classicamente permessa quella in cui U(q) E. Bisogna ora
fare attenzione a cosa signica il segno nella (1.177).
1) Il radicando nella (1.177) non ha radici, quindi sempre positivo nella regione clas-
sicamente permessa. q pu assumere qualunque valore, quindi siamo nel caso di un
moto rotazionale. U(q) deve essere una funzione periodica, perch ad angoli che
differiscono di 2 corrisponde lo stesso punto sico, quindi anche p periodico. La
(1.177) denisce allora 2 orbite distinte, nel senso che esistono due orbite distinte per
lo stesso valore dellenergia: lorbita con p > 0 e quella con p < 0, corrispondenti
ai moti di rotazione orario e antiorario
21
. La funzione p(q) una funzione periodica
quindi pu essere utilmente pensata come una funzione denita sul cerchio T , per
motivi che saranno chiari in seguito si dice che denisce un campo vettoriale su T .
2) Il radicando ha due radici, q
1
, q
2
che corrispondono ai punti di inversione del moto e
sono i limiti di variazione per loscillazione. la radice ha quindi la forma

f(q)(q q
1
)(q
2
q) f(q) > 0
I segni nella (1.177) corrispondono ai moti di andata e ritorno sulla stessa
orbita. Quindi vediamo che non possibile in questo caso denire una funzione
univoca p(q) sul segmento [q
1
, q
2
]. Ma il trucco per denire una funzione univoca a
partire da una funzione a pi valori ben noto, ed la costruzione dellanalogo di una
supercie di Riemann. Qui basta raddoppiare il segmento cio considerare lo spazio
delle congurazioni come lunione [q
1
, q
2
] [q
2
, q
1
]: la determinazione +

la
funzione denita sul primo segmento, la determinazione

denita sul secondo.


Nellinsieme considerato, il punto iniziale ed il punto nale sono identicati quindi si
ha ancora un cerchio, T , e la funzione p, per come labbiamo denita, ora periodica
su T : nello stesso senso del caso precedente, denisce un campo vettoriale su T .
20
Di solito si usa la notazione S
1
per un cerchio unidimensionale, non la usiamo per non creare confusione con
lazione S che introdurremo fra poco.
21
Trascuriamo per semplicit il caso particolare in cui E coincide con uno dei valori massimi o minimi della
funzione U(q).
1.13. MOTI PERIODICI UNIDIMENSIONALI. 61
Abbiamo fatto questa breve disamina geometrica perch sar utile per capire il caso con
pi gradi di libert.
Per un sistema con un solo grado di libert esiste un integrale adiabatico ed dato,
come ci si aspettava, da
J =

pdq (1.178)
Nella (1.178) la funzione p(q, E) intesa come denita nella (1.177), con le specche fatte
sopra, quindi nel caso di un moto oscillatorio la (1.178) signica
J = 2

q2
q1
pdq (1.179)
NOTA. Per sso valore dellenergia, esistono due orbite possibili nel caso rotatorio, corri-
spondenti alle due funzioni denite nella (1.177): in questo caso J pu assumere sia valori
positivi sia negativi: larea (con segno) delimitata dal graco della funzione p(q, E) e
lasse delle q nel piano (q, p). Nel caso oscillatorio i due segni nella (1.177) corrispondo-
no alle due determinazioni della stessa funzione, cio lorbita una sola e J assume solo
valori positivi, larea delimitata della curva chiusa E = p
2
/2m + U, nel piano (q, p);
unellisse nel caso delloscillatore armonico.
possibile dare una dimostrazione diretta del fatto che J denito dalla (1.178) un inva-
riante adiabatico, vedi es.[Tomonaga], ma pi utile seguire unaltra strada, generalizzabile
nel caso di pi gradi di libert. Indichiamo i passi della procedura, rimandando alla sezione
1.E le dimostrazioni, che richiedono un minimo di familiarit con i metodi della meccanica
analitica.
1) possibile effettuare una trasformazione canonica di variabili (q, p) (w, J) in
modo tale che lHamiltoniana, nelle nuove variabili, dipenda solo da J. Ricordia-
mo che una trasformazione canonica lascia invariante la forma delle equazioni di
Hamilton. In queste nuove variabili le equazioni del moto si scrivono

J =
H
w
= 0 w =
H
J
(1.180)
Quindi le variabili J sono costanti del moto, mentre le variabili w si comportano
come angoli, crescono linearmente col tempo. La coppia di variabili (J, w) prende il
nome di coppia di variabili di azione-angolo.
2) La variabile w pu essere scelta come una variabile di periodo 1, la grandezza = w
la frequenza del moto, cio linverso del periodo. le variabili canoniche q, p sono
funzioni periodiche di w (nel caso di angoli gli angoli che differiscono di 2 sono
identicati). In questa normalizzazione la variabile J data dalla (1.178).
3) La trasformazione di variabili pu essere espressa da una funzione generatrice, S(q, J)
tale che
p =
S
q
w =
S
J
(1.181)
La (1.181) implica, per una hamiltoniana indipendente dal tempo, che la funzione S
soddisfa lequazione differenziale di Hamilton-Jacobi:
E = H(q, p) = H(q,
S
q
) (1.182)
4) La variabile J un invariante adiabatico. La procedura per calcolare J semplice:
62 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
a) Si esprime p come funzione di q, E attraverso la (1.177).
b) Si calcola lintegrale (1.178) ottenendo cos J in funzione di E. La richiesta
p R o la natura angolare di q ssano i limiti di integrazione. Invertendo la
funzione J(E) si ottiene la nuova Hamiltoniana E(J).
NOTA. Nel caso unidimensionale lequazione di Hamilton-Jacobi unequazione diffe-
renziale ordinaria. La soluzione si ricava immediatamente dalla (1.181):
S(q, J) =

q
0
pdq (1.183)
Una eventuale costante additiva nella (1.183) inessenziale. Nella (1.183) p = p(q, E) ed
E espresso in funzione di J, quindi S funzione di q e J. Notiamo anche che in questo
modo si ottiene subito
w =
S
J
=

q
0
p
J
dq (1.184)
che esprime w in funzione di q, invertendo tale relazione di ha q = q(w).
Procedura di quantizzazione. Le orbite quantisticamente permesse corrispondono a
J = nh n N (1.185)
Una volta ssato J, lenergia data da E = E(J), in questo modo si determinano i livelli
energetici del sistema e, via la relazione h
ij
= E
i
E
j
le frequenze di transizione, cio
lo spettro di emissione e assorbimento del sistema.
Osservazione. Se il sistema ammette un punto di equilibrio, la traiettoria p = 0, q = q
eq
classicamente permessa. La regola di quantizzazione
J =

pdq = nh (1.186)
dice che questa stessa traiettoria quantisticamente permessa, e corrisponde al numero
quantico n = 0. Quindi E = E
min
in questo caso lenergia dello stato fondamentale del
sistema.
1.13.1 Esempi.
In questa sezione presentiamo, in modo succinto, alcuni applicazioni elementari dei con-
cetti espressi nel paragrafo precedente. Questi esempi dovrebbero chiarire alcuni punti
di interesse sico, il lettore che voglia approfondire gli aspetti formali pu consultare il
paragrafo 1.E.
Rotatore.
il modello gi visto per la schematizzazione di un tipo di rotazione per una molecola
biatomica, meccanicamente corrisponde ad una rotazione attorno ad un asse, lasse z per
convenzione, di un sistema rigido con momento di inerzia I, propriamente I
zz
. Lenergia
puramente cinetica:
E
cin
=
1
2
I
2
H =
1
2I
p
2

= I (1.187)
1.13. MOTI PERIODICI UNIDIMENSIONALI. 63
indica langolo azimutale, cio descrive la rotazione attorno a z. LHamiltoniana ciclica
nella variabile , quindi p

una costante del moto, il momento angolare lungo lasse z.


La variabile dazione J si calcola immediatamente:
J =

d = 2p

(1.188)
e la procedura di quantizzazione data da
J = n

h p

= n

h
2
E =

2
2I
n
2

(1.189)
Come gi accennato nel paragrafo 1.11.3 questi livelli energetici si accordano con leviden-
za sperimentale di uno spettro a bande per le molecole. Vogliamo qui sottolineare un punto:
la variabile un angolo, quindi il numero intero n

pu essere sia positivo che negativo,


ci corrisponde al fatto che allo stesso valore dellenergia corrispondono, genericamente,
due orbite: la rotazione oraria e quala antioraria. Se chiamiamo stato lorbita quantistica
selezionata dalle regole di selezione, possiamo dire che ogni livello energetico (1.189)
doppiamente degenere, cio 2 stati corrispondono allo stesso livello, eccetto il livello con
n

= 0. La degenerazione, g
n
, del livello importante perch da una parte determina
lequilibrio statistico via la distribuzione di Boltzmann:
p
n
= g
n
e
En/kT
dallaltra, come vedremo, inuenza lintensit delle righe spettrali.
Classicamente ad ogni momento angolare si pu associare un momento magnetico:
= kL (1.190)
quindi lo stesso sistema, immerso in un campo magnetico B diretto lungo lasse z, ha
unHamiltoniana
H =
1
2I
p
2

kBp

(1.191)
La variabile p

ancora ciclica e, al primo ordine in B lenergia data da


E =

2
2I
n
2

kBn

(1.192)
Vediamo quindi che la degenerazione viene rimossa introducendo un campo magnetico,
ogni livello si scinde due livelli, E
0
n
kB[n

[. La scissione dei livelli e la corrispondente


modica dello spettro prende il nome di effetto Zeeman ed avremo occasione di riparlarne
in seguito. La cosa importante per il momento notare che la degenerazione pu essere ri-
mossa tramite lintroduzione di un campo esterno, quindi il numero di stati ha un signicato
sico.
Oscillatore armonico.
un sistema che abbiamo analizzato pi volte. LHamiltoniana
H(q, p) =
p
2
2m
+
1
2
m
2
q
2
(1.193)
Quindi
p =

2mE m
2

2
q
2
(1.194)
Il moto oscillatorio, i punti di inversione sono dati da
q
1
=

2E
m
2
q
2
=

2E
m
2
[q
1
[ = [q
2
[ = q
L
= Ampiezza (1.195)
64 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Si ricava immediatamente
J = 2

q2
q1

2mE m
2

2
q
2
dq = 4
E

+1
1

1 x
2
dx =
2E

(1.196)
con /2. Segue lormai nota legge di quantizzazione
E = H(J) = J E = nh n N, n 0 (1.197)
Notiamo che in questo caso n 0, essendo il moto unoscillazione. facile anche scrivere
le soluzioni delle equazioni del moto
w =
H
J
= w = t + (1.198)
Dalle equazioni precedenti, vedi in particolare la (1.184), o semplicemente ricordando la
soluzione generale per un oscillatore armonico, si pu ricavare:
q = q
L
cos(2w) p = mq
L
sin(2w) (1.199)
Notiamo che dalla (1.197) e dalla (1.195) segue
q
L
=

J
m
q =

J
m
cos(2w) (1.200)
Le (1.199) sono particolarmente interessanti perch permottono di calcolare immediata-
mente le medie temporali delle variabili dinamiche, trasformando lintegrale sul tempo in
un integrale sulla variabile angolare w, o, come si usa dire, in un integrale sulle fasi.
dw = dt =
dt
T
f =
1
T

T
0
f(q, p)dt =

f(q, p)dw
In particolare si ha
q
2
=
1
2
q
2
L
=
E
m
2
q
4
=
3
8
q
4
L
=
3
2
E
2
m
2

4
(1.201)
Oscillatore anarmonico.
Consideriamo ora il sistema descritto da unHamiltoniana
H =
p
2
2m
+
1
2
m
2
q
2
+q
4
(1.202)
Questo uno dei pi semplici sistemi non armonici, nel senso che il periodo del moto
dipende dallampiezza di oscillazione, cio dallenergia. Abbiamo
p =

2m

E
1
2
m
2
q
2
q
4

(1.203)
Il periodo, esatto, del sistema dato da
T =

dq
v
= m

dq
p
= 2m

q2
q1
dq
p
(1.204)
dove q
1
, q
2
sono i due zeri del radicando nella (1.203), cio i punti di inversione del moto.
Proviamo a stimare, per piccoli valori di , la variazione dei livelli energetici. La
variabile di azione J sempre data dalla (1.179)
J(E, ) = 2

q2()
q1()
p(E, )dq (1.205)
1.13. MOTI PERIODICI UNIDIMENSIONALI. 65
Abbiamo indicato esplicitamente la dipendenza da . Per piccoli la variazione di J ,
dalla denizione di integrale:
J 2 [p(q
2
)q
2
p(q
1
)q
1
] + 2

q2
q1)
p

=0
dq (1.206)
In questa espressione q
1
, q
2
etc. sono le espressioni calcolate con = 0. Il termine di
bordo, il primo, nella (1.206) si annulla, perch nei punti di inversione limpulso nullo,
quindi, effettuando la derivata rispetto a
J 2

q2
q1
dq
p
1
2
2mq
4
=

dq
v
q
4
=

0
q
4
(1.207)

0
= 1/T
0
= /2 la frequenza imperturbata delloscillatore armonico, che in questa
approssimazione pu essere usata al posto del periodo vero, essendo lespressione (1.207)
gi di ordine . Usando la (1.201)
J =
E

0
+J =
E

3
2

0
E
2
m
2

4
Invertendo questa relazione si ottiene, allo stesso ordine in ,
E J
0
+
3
2

E
2
m
2

4
J
0
+
3
2

J
2
(2m)
2

2
(1.208)
I livelli quantizzati sono allora
E
n
= nh
0
+
3
2

n
2
h
2
(2m)
2

4
(1.209)
La (1.208) il primo esempio non banale in cui la frequenza classica del moto, e quindi il
periodo, dipende da J:
w = =
H
J
=
0
+ 3
J
(2m)
2

2
(1.210)
Il lettore pu vericare che lo stesso risultato si pu ottenere sviluppando lespressione
(1.204).
Una generalizzazione del modello (1.202) suggerisce alcune interessanti osservazioni:
H =
p
2
2m
+
1
2
mq
2
+q
4
(1.211)
Ora un parametro, positivo, negativo, o nullo.
Caso 1: > 0. La situazione qualitativamente uguale a quella gi vista.
Caso 2: = 0. In questo caso i punti di inversione sono in q
0
; q
0
= (E/)
1/4
e si ha
J = 2

2mE

q0
q0

q
q
0

4
dq = 4

2mE[q
0
[

1
0

1 x
4
dx = C
1
E
3/4
(1.212)
quindi per i livelli quantizzati: E n
4/3
, uno spettro completamente diverso dalloscilla-
tore armonico.
66 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Caso 3: < 0. Questo un caso molto interessante.
Per < 0 lHamiltoniana ammette due
punti stazionari di minimo, per > 0, le-
nergia potenziale ha la forma di una dop-
pia buca, come illustrato schematicamen-
te nella gura accanto. Quindi tutti i livel-
li energetici compatibili con la condizione
di quantizzazione e con E minore del mas-
simo locale della curva, sono doppiamente
degeneri, e corrispondono al fatto che ci so- -1.5 -1 -0.5 0 0.5 1 1.5
-0.4
-0.3
-0.2
-0.1
0
0.1
0.2
0.3
0.4
U(x)
E
x
no due orbite con la stessa energia, una descrive unoscillazione attorno al minimo di
destra, laltra unoscillazione attorno al minimo di sinistra. La degenerazione deriva dal-
la simmetria U(x) = U(x) dellenergia potenziale. Che la degenerazione sia reale lo
si capisce dal fatto che se aggiungiamo un termine che rompe la simmetria, come kx,
evidentemente i livelli energetici delle due buche cambiano.
Le considerazioni svolte valgono in particolare per lo stato fondamentale, che, come
visto nella (1.186) corrisponde al valore E = E
min
. Quindi lo stato fondamentale dop-
piamente degenere. La situazione sperimentale quindi dovrebbe essere: si hanno dei
doppietti di stati, e in corrispondenza dei multipletti di righe spettrali, questi multipletti
collassano ad una singola riga in assenza di campi esterni che rompono la simmetria. Una
analoga situazione si presenta ovviamente in qualunque potenziale con minimi degeneri:
lo stato fondamentale in particolare dovrebbe essere degenere.
Una situazione assimilabile ad un potenziale del tipo descritto dalla Hamiltoniana (1.211)
si ha nella descrizione di alcune oscillazioni della molecola di ammoniaca, come vedremo
nello studio della meccanica quantistica. La situazione sperimentale completamente di-
versa: lo stato fondamentale non degenere, anche in assenza di campi esterni: si hanno
due livelli vicini e le transizioni al fondamentale danno luogo ad un doppietto di righe
spettrali. Come vedremo esiste un effetto tipicamente quantistico, detto effetto tunnel, che
permette un passaggio da una parte allaltra del potenziale, distruggendo la classica-
zione classica delle orbite. Anche se allepoca, 1913-1925, questo effetto non era ancora
stato messo in luce, proprio la sua esistenza che sta alla base di molti fallimenti della
descrizione alla Bohr-Sommerfeld degli spettri, soprattutto quelli molecolari.
C un altro punto, pi sottile ma fondamentale, che distinguer la meccanica quanti-
stica dalla teoria incompleta che stiamo analizzando: in tutti i modelli che abbiamo visto
lenergia dello stato fondamentale corrisponde al minimo classico dellenergia. Come ve-
dremo in meccanica quantistica si ha normalmente una energia di punto zero diversa da
quella classica. Modelli pi o meno giusticati che suggerivano unenergia di questo tipo
si trovano gi in uno dei modelli di Planck, in cui si scrive lenergia di un oscillatore
22
nella
forma E
n
= (n +
1
2
)h. La ragione profonda che ssa lenergia dello stato fondamenta-
le sar data solo dalla meccanica quantistica attraverso il principio di indeterminazione di
Heisenberg.
1.14 Moti quasi periodici.
La generalizzazione dellanalisi precedente al caso di pi gradi di libert presenta molti
problemi, sia pratici sia di principio.
Il contenuto di questo paragrafo leggermente pi astratto rispetto al resto della trattazione e pratica-
mente nessuno dei risultati riportati provato. Lunico risultato che useremo nel prossimo paragrafo
22
Lo zero dellenergia di un sistemi di oscillatori ha importanza perch contribuisce, ad esempio, al calore di
vaporizzazione in un solido, quindi la questione non accademica.
1.14. MOTI QUASI PERIODICI. 67
il risultato:
Ji =

dqipi(qi, F) (1.213)
che indica le variabili da quantizzare, per i sistemi che prenderemo in esamo. Sono proprio gli
integrali di Sommerfeld che abbiamo gi incontrato. F sono costanti del moto.
Il lettore che voglia approfondire largomento pu consultare dei manuali di meccanica analitica
e i libri riportati in bibliograa [Born25, Arnold, FaMa, Gal86, Graf]. Il libro di Born in particolare
interamente dedicato alla vecchia teoria dei quanti nella formulazione di Bohr-Sommerfeld. Un
articolo utile da consultare quello di Einstein[Ein17b].
Innanzitutto dobbiamo avere almeno unidea di cosa possiamo identicare con uno sta-
to atomico stazionario. Nel caso unidimensionale un sistema legato era automaticamente
periodico, quindi era naturale cercare fra le orbite periodiche quelle da selezionare come
stati quantistici stabili. Un sistema con pi di un grado di libert in generale non perio-
dico, cio lorbita classica non una curva chiusa, quindi questo criterio viene a cadere.
Prima di presentare una soluzione cerchiamo di farci unidea intuitiva della cosa utilizzan-
do il principio di Ehrenfest. Consideriamo un oscillatore tridimensionale o in generale un
sistema di oscillatori con gradi di libert:
H =

i=1
H
i
(p
i
.q
i
) ; H
i
(p
i
.q
i
) =
1
2m
i
p
2
i
+
1
2
m
i

2
i
q
2
i
(1.214)
Il sistema (1.214) semplicemente una copia di quello unidimensionale, quindi per i
singoli oscillatori possiamo introdurre delle variabili azione angolo J
i
, w
i
e scrivere
J
i
=

p
i
dq
i
(1.215)
La posizione (1.215) ha ora per un signicato alquanto diverso da quella unidimensionale:
ad una variazione ciclica della coordinata q
i
non corrisponde pi un periodo del moto.
La soluzione delle equazioni del moto del sistema (1.214) notoriamente:
q
i
= A
i

e
i(it+i)
+e
i(it+i)

(1.216)
Se le frequenze
i
=
i
/2 non sono relativamente razionali il moto non periodico, si ha
lanalogo multidimensionale delle note gure di Lissajous per un oscillatore planare.
Consideriamo le fasi, in unit di 2, dellespressione (1.216): sono le variabili angolari wi. Per ogni
variabile wi, i punti wi e wi +1 sono identicati, rappresentano infatti la stessa variabile qi. In queste
variabili il moto si svolge su un ipertoro T

, ad esempio in due dimensioni su un quadrato di lato 1


con i lati opposti identicati. Levoluzione data da:
wi = wi(0) +it i = 1, . . . , (1.217)
Consideriamo come esempio il caso = 2. Se almeno una delle due frequenze nulla il moto
chiaramente periodico. Se nessuna delle due frequenze si annulla si possono avere due casi:
a) Il rapporto 2/n1 un numero razionale, diciamo k2/k1, allora chiaro che dopo un tempo
t = k1/1 si ha
1t = k1 N 2t =
2
1
k1 = k2 N
quindi il moto periodico.
b) Il rapporto 2/n1 non un numero razionale. In questo caso dopo ogni periodo della prima
variabile, T1 = 1/1, la variabile w2 prende valori w2 = k2/1, ma ben noto dallanalisi
che linsieme [k] ([x] parte frazionria di x) denso in [0, 1], se irrazionale. Quindi
lorbita riempie tutto il quadrato [0, 1] [0, 1].
68 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
La situazione schematizzata nella gura 1.8. Nel caso generale ovvio che se il moto periodico
esiste una sola frequenza vera quindi ci devono essere 1 relazioni fra le frequenze i, se ci
sono k relazioni solo k frequenze saranno indipendenti. Si pu dimostrare il seguente teorema,
vedi es.[FaMa] Chiamiamo modulo di risonanza, linsieme k Z

(cio vettori con componenti


intere) tale che k = 0. Allora
1) Lorbita periodica se e solo se dim = 1, esistono cio 1 relazioni indipendenti,
su Z, fra le frequenze. in questo caso si parla di risonanza completa.
2) Se dim = 0, cio se non esistono relazioni razionali fra le frequenze, lorbita densa in
T

.
3) Se d = dim , 0 < d < 1, lorbita densa su un toro di dimensione d immerso in
T

.
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
w
1
w
2
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
w
1
w
2
Figura 1.8: Triettorie con frequenze
1
,
2
) rispettivamente (1, 1/1.4) e (1, 1/

2) dise-
gnate per un tempo totale di t = 50. Lasterisco indica il punto iniziale delle traiettorie. Si
ha periodicit nel primo caso, non periodicit nel secondo.
Una generelazzazione del sistema (1.214) data dai sistemi con Hamiltoniana sepa-
rabile, cio della forma (1.214), anche se non si tratta di un oscilatore armonico. Lunica
differenza che in questo caso le variabili dinamiche, ed in particolare le q, p non sono
funzioni armoniche delle variabili w
i
, esattamente come accadeva nel caso unidimensio-
nale. Una qualunque variabile dinamica per una funzione F(w
1
, . . . , w
n
), periodica in
queste variabili, essendo periodiche le variabili q
i
, p
i
. Esiste allora uno sviluppo in serie di
Fourier multipla, del tipo
F(J, w) =

(J)e
i(,w)
= (
1
, . . .

) Z

(1.218)
Nella (1.218) si posto (, w) =
1
w
1
+ . . . +

. Funzioni del tipo (1.218) prendono


il nome di funzioni multiperiodiche o condizionatamente periodiche
23
. Per Hamiltoniane
separabili, come la (1.214) le singole variabili q
i
sono periodiche in w
i
, quindi la scrittura
(1.215) ben denita, il ciclo si riferisce ad un ciclo della variabile q
i
, o. il che lo stesso,
ad un periodo della variabile w
i
.
allora naturale, sempre seguendo il principio di Ehrenfest, assumere come sistemi
quantizzabili, in cui cio sia possibile identicare stati stazionari quantistici, sistemi de-
scritti da una dinamica multiperiodica, in cui esistono cio delle variabili w
i
periodiche, ed
i corrispondenti momenti coniugati, le azioni J
i
.
23
Per maggiori dettagli possono essere consultati i testi [Born25, FaMa]
1.14. MOTI QUASI PERIODICI. 69
Una classe un p pi vasta dei modelli con Hamiltoniana separabile si ottiene ricordan-
do la denizione della funzione di trasformazione di Hamilton-Jacobi. Quello che occorre
trovare, per denire delle variabili w
i
, J
i
, un integrale completo della associata equazione
di Hamilton-Jacobi
24
:
H

q
i
,
S
q
i

= E (1.219)
Le nuove variabili canoniche saranno denite esattamente come nel caso unidimensionale
p
i
=
S
q
i
w
i
=
S
J
i
(1.220)
Supponiamo che lequazione (1.220) ammetta una soluzione del tipo
S =

i=1
S
i
(q
i
, F) F
1
. . . F

= costanti (1.221)
ammetta cio una soluzione per separazione di variabili. In questo caso
p
i
=
S
q
i
=
S
i
q
i
= p(q
i
, F) (1.222)
Le funzioni p
i
sono ancora funzioni di una singola variabile, questa variabile multiperio-
dica nelle w
i
, ma ha ancora senso considerare la variabile canonica J, ed anche in questo
caso si pu dimostrare che
J
i
=

p
i
dq
i
(1.223)
Il caso di unHamiltoniana separabile un caso particolare di quanto visto ora, le S
i
in quel
caso possono essere considerate soluzioni delle equazioni distinte:
H
i

q
i
,
S
i
q
i

= F
i
E =

F
i
Ci che dovrebbe trasparire dagli esempi precedenti che una possibilit per realizzare
un moto condizionatamente periodico con gradi di libert avere uno spazio delle con-
gurazioni, variabili w
i
, con la topologia di un ipertoro, T

, e costanti del moto J


i
, che
possano fungere da variabili canonicamente coniugate.
Un importante esempio di sistemi di questo tipo, in meccanica classica, quello dei
sistemi integrabili canonicamente che sono per la precisione individuati dal teorema di
Liouville-Arnold, vedi ad esempio le referenze[Arnold, FaMa, Gal86, Graf].
Teorema Sia H(p, q) unHamiltoniana con gradi di libert canonici. Supponiamo che:
1) Il sistema abbia integrali primi del moto, F
i
(p, q) indipendenti e in involuzione,
cio con parentesi di Poisson nulla F
i
, F
j
= 0.
2) Le superci di livello
F
i
(p, q) = J
i
(1.224)
siano variet compatte, connesse e senza bordo.
Allora:
possibile associare ad ogni integrale primo F
i
una variabile angolo, w
i
in modo tale che:
24
Si chiama integrale completo di unequazione differenziale del primo ordine in variabili una soluzione che
dipende da costanti arbitrarie.
70 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
a) Le variabili (w, J) sono canoniche e sono legate alle (p, q) da una trasformazione
canonica.
b) LHamiltoniana, dopo la trasformazione della forma H = H(J).
Prima di andare avanti sottolineiamo che no agli anni attorno al 1960 i soli sistemi inte-
grabili esplicitamente conosciuti erano quelli a variabili separabili, questo in qualche modo
spiega perch in (quasi) tutti i lavori sulla quantizzazione si siano trattati solo questo tipo
di sistemi.
La procedura di quantizzazione pu essere sintetizzata in questo modo.
Quantizzazione. La quantizzazione di Bohr-Sommerfeld consiste nel restringere la va-
riazione delle variabili di azione a multipli interi di h, cio
J
i
= n
i
h E = E(n
i
h) (1.225)
Non detto che le regole di quantizzazione (1.225) siano tutte indipendenti, e questa
situazione la generalizzazione del caso di degenerazione riscontrato per gli oscillatori
armonici. Le frequenze di oscillazione del sistema sono al solito denite da

i
= w
i
=
H
J
i
(1.226)
Supponiamo che esistano r relazioni del tipo
(k, ) = 0 k Z

(1.227)
allora possibile, tramite una trasformazione canonica, eliminare r variabili J dallHa-
miltoniana, che cos risulta funzione di solo r variabili, solo queste quindi forniscono un
insieme indipendente di quantizzazioni. In pratica comunque pi semplice quantizzare
tutte le variabili J e eliminare a posteriori quelle superue, degli esempi saranno forniti in
seguito.
Per completezza e per uso futuro notiamo che in generale le frequenze sono funzioni
delle variabili J. Se la relazione (1.227) avviene identicamente, cio per ogni valore delle
variabili J si parla di degenerazione intrinseca, se avviene solo per particolari valori di J
di degenerazione accidentale.
utile inne esprimere le variabili J in termini delle variabili di partenza p, q. La
costruzione puramente geometrica, ne diamo un accenno. Consideriamo la forma diffe-
renziale
=

i
p
i
dq
i
(1.228)
questa una forma chiusa ed invariante sotto trasformazioni canoniche, un caso parti-
colare della forma di Poincar-Cartan. Per i nostri scopi attuali basta notare che se esiste la
trasformazione canonica che porta dalle variabili p, q alle variabili J, w, signica che esiste
una funzione S(q, J) tale che

i
p
i
dq
i
=

i
S
q
i
dq
i
(1.229)
quindi la un differenziale totale e, per il teorema di Stokes, lintegrale lungo due curve
chiuse qualunque
1
,
2
deformabili luna nellaltra lo stesso

i
p
i
dq
i
=

i
p
i
dq
i
(1.230)
Quindi lintegrale su tutte le curve contraibili ad un punto nullo. Le curve chiuse corri-
spondono per a cammini chiusi sullo spazio delle w, che un toro. Su un toro esistono
1.14. MOTI QUASI PERIODICI. 71
cammini chiusi che non sono contraibili, sono tutti quelli che si avvolgono sui cerchi
T che deniscono le singole variabili w
i
. Esistono (r < nel caso di degenerazione)
cammini indipendenti
i
, corrispondenti alle variabili w
i
, e si ha
J
i
=

j
p
j
dq
j
cammino:

0 w
i
1
w
j
= cost. per j = i
(1.231)
Nel caso pi semplice di variabili separabili la (1.231) si riduce a
J
i
=

dq
i
p
i
(q
i
, F) (1.232)
perch ogni variabile q
i
dipende dalla sola variabile w
i
. Notiamo che, come probabilmente
il lettore gi s dagli studi di meccanica analitica, la scrittura (1.231) invariante per tra-
sformazioni canoniche, mentre la (1.232) no, vale appunto solo in un sistema di coordinate
in cui lequazione di Hamilton-Jacobi separabile. Laffermazione (1.231) quindi risponde
alla critica di Poincar sollevata durante il congresso Solvay dal 1911 e a cui abbiamo fatto
cenno nel paragrafo 1.12. Il primo ad avere scritto la pi generale (1.231) al posto della
(1.232) stato Einstein[Ein17b].
1.14.1 Invarianza adiabatica.
La dimostrazione dellinvarianza adiabatica delle quantit J
i
nel caso multiperiodico piut-
tosto delicata. Una dimostrazione parziale, sulla linea di quella delineata per sistemi perio-
dici nel paragrafo 1.E.1, pu essere trovata nel libro di Born[Born25], o nel testo[FaMa],
dove vengono fornite referenze per una dimostrazione completa. Qui vogliamo solo sotto-
lineare alcuni aspetti sici della questione.
Per avere invarianza adiabatica il sistema deve seguire la variazione dei parametri
esterni, nel senso che istante per istante le variabili J
i
devono essere quelle di equilibrio,
cio per parametri esterni ssi, a meno di correzioni trascurabili. Per usare una immagini-
ca rappresentazione di Bohr, i parametri esterni devono variare lentamente in modo da dare
al sistema il tempo di visitare tutti i punti dellorbita rilevanti per il calcolo degli integrali
di azione come quelli nelle equazioni (1.231),(1.232). Un modo alternativo di dire la stessa
cosa affermare che i modi del sistema devono essere veloci rispetto a quelli lenti della
variazione dei parametri. Nel caso unidimensionale questo signicava che la frequenza di
oscillazione doveva essere non nulla, in modo da rendere il periodo del moto piccolo ri-
spetto al tempo caratteristico di variazione dei parametri. Questo, a maggior ragione, deve
valere nei moti a pi gradi di libert, con la complicazione che ci sono molti modi per pro-
durre moti lenti. In particolare quando si in condizioni di degenerazione (k, ) = 0,
sicuramente esiste un modo a frequenza nulla, quello appunto corrispondente alla combina-
zione degenere delle frequenze. Questo signica che nella variazione dei parametri esterni
non bisogna passare attraverso regioni di degenerazione, altrimenti di sicuro il principio
adiabatico di Ehrenfest viene a cadere.
Questo fatto nel caso multiperiodico ha importanti conseguenze siche. Consideriamo
un sistema, ad esempio un atomo di idrogeno, immerso in un campo magnetico diretto
lungo lasse z. Come vedremo in assenza di campo magnetico il sistema degenere, la
degenerazione viene rimossa dal campo magnetico e questo porta alla quantizzazione, con
certe variabili azione angolo etc. Questa procedura implica una separazione di variabili
connessa allasse z, la direzione del campo. Per una direzione diversa le variabili sareb-
bero diverse e corrispondentemente gli stati, cio le orbite classiche selezionate quanti-
sticamente, sarebbero diversi. Possiamo ora immaginare di diminuire il campo magnetico
no a renderlo nullo e quindi farlo crescere nuovamente ma in una direzione n

diversa da
quella precedente. Per quanto detto gli stati quantistici del sistema sono cambiati, e questo
senza far intervenire processi di emissione o assorbimento di radiazione. Il motivo per cui
72 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
questa transizione fra stati pu avvenire il fatto che allannullarsi del campo il sistema
diventa degenere, quindi la variazione del campo non pu pi considerarsi una variazione
adiabatica.
Al solito il meccanismo di cambiamento dello stato non descritto dalla dinamica che
stiamo formulando, ma, a differenza delle transizioni di tipo elettromagnetico, qui non si
pu attribuire lincompletezza della descrizione allignoranza del meccanismo di interazio-
ne materia-radiazione: il processo puramente meccanico, nonostante ci la transizione di
stato non spiegata.
Vedremo in seguito che meccanismi analoghi provocheranno vere e proprie inconsi-
stenze nella teoria.
1.15 Sistemi integrabili: oscillatore.
In questo paragrafo daremo un paio di esempi espliciti di sistemi integrabili su cui appli-
care le tecniche viste nel paragrafo 1.14. Indicheremo quando possibile le conclusioni che
possono essere estese a tutti i sistemi dello stesso tipo.
Cominciamo da un esempio molto semplice che dovrebbe chiarire la relazione fra dege-
nerazione, numero delle condizioni di quantizzazione etc.: un oscillatore bidimensionale,
cio con due gradi di libert, = 2. In coordinate cartesiane lHamiltoniana ha la forma
H =
1
2m
p
2
x
+
1
2
m
2
1
x
2
+
1
2m
p
2
y
+
1
2
m
2
2
y
2
(1.233)
Questo sistema ha due costanti del moto ovvie:
H
x
=
1
2m
p
2
x
+
1
2
m
2
1
x
2
H
y
=
1
2m
p
2
y
+
1
2
m
2
2
y
2
(1.234)
e si dimostra subito che sono in involuzione, cio H
x
, H
y
= 0. Questa una propriet
valida per qualunque sistema con Hamiltoniana separabile:
H =

i=1
H
i
(p
i
, q
i
) H
i
costanti del moto
Le equazioni H
x
, H
y
= cost. descrivono delle ellissi, quindi sono superci compatte e
senza bordo. Il sistema (1.233) quindi integrabile. La soluzione naturalmente quella gi
vista per il singolo oscillatore, v. paragrafo 1.13.1, che riportiamo qui per comodit:
H
x
=
x
J
x
x =

J
x
m
x
cos(2w
x
) w
x
=
x
t +
x
(1.235a)
H
y
=
y
J
y
y =

J
y
m
y
cos(2w
y
) w
y
=
y
t +
y
(1.235b)
E = H
x
+H
y
quantizzazione : J
x
= hn
x
J
y
= hn
y
(1.235c)
Le variabili angolari w
x
, w
y
descrivono il toro T
2
di cui si parla nel teorema di Liouville-
Arnold.
Se
x
,
y
non sono relativamente razionali questo sistema non ha altre costanti del
moto continue, a parte le funzioni f(J
x
, J
y
). Infatti una qualunque variabile dinamica
del tipo f(J, w). Una costante del moto, per denizione, costante sulle orbite. Siccome le
variabili di azione J sono costanti del moto possiamo considerarle costanti come argomenti
di f. Allora lintegrale del moto f deve essere una funzione delle variabili angolari w.
Ma lorbita del sistema, come abbiamo gi visto, densa sul toro, quindi se la funzione
continua f costante sullorbita deve essere costante su tutto lo spazio, il che signica che
dipende solo da J.
1.15. SISTEMI INTEGRABILI: OSCILLATORE. 73
Le equazioni del moto del sistema sono quattro equazioni differenziali del primo ordine, quindi per
ogni traiettoria esistono di sicuro 4 costanti del moto, corrispondenti ai valori iniziali delle variabili
q, p. Una delle costanti pu essere riassorbita nella scelta dellorigine dei tempi, ne restano 3. Qual
la terza costante nel nostro caso? Il ragionamneto appena fatto dimostra che questa costante non
un integrale primo continuo e denito sul toro T
2
. Il lettore pu provare a scrivere questa costante.
Il discorso vale in generale: in un sistema meccanico esistono 2 1 costanti del moto, nei sistemi
integrabili si hanno integrali primi, in situazione generica, in assenza cio di risonanze, le altre
costanti del moto non sono integrali primi (continui), o meglio uniformi (cio a un sol valore) sul
toro.
Caso degenere. Supponiamo che le due frequenze
x
,
y
siano uguali, e indichiamo il
loro valore comune con . In questo caso ovviamente si ha una dipendenza razionale fra le
frequenze

y
= 0 (1.236)
e quindi si ha una degenerazione. Questo si manifesta in diversi modi, normalmente:
a) Una degenerazione intrinseca, indipendente dal valore delle azioni (come in questo
caso) indice della presenza di una simmetria e di altre costanti del moto associate a
questa simmetria.
b) Esitono diversi sistemi di coordinate in cui lequazione di Hamilton-Jacobi separa-
bile.
c) Le variabili di azione compaiono nellHamiltoniana in una combinazione razionale.
Partiamo dallultimo punto. Dalla (1.235c) si ha, in questo caso:
H = (J
x
+J
y
) w
x
= w
y
= (1.237)
Quindi anche se non lo avessimo saputo, dalle equazioni del moto discente direttamente
per le frequenze (che qui coincidono proprio con le frequenze proprie degli oscilatori):

y
w
x
w
y
= 0
cio una relazione razionale. Vediamo che effettivamente possiamo eliminare una delle
varabili. Se effettuiamo la trasformazione canonica, che, cio, lascia invariante le parentesi
di Poisson,

J
1
= J
1
+J
2
;

J
2
= J
2
; w
1
= w
x
; w
2
= w
x
+w
y
(1.238)
lHamitoniana e le equazioni di evoluzione diventano rispettivamente
H =

J
1
d w
1
dt
=
d w
2
dt
= 0 (1.239)
Vediamo quindi che il toro T
2
si ridotto ad un cerchio, quello descritto dalla variabile w
1
,
laltra variabile ssa. Linvariante rimasto,

J
1
proprio

J
1
= J
1
+J
2
=

(p
x
dx +p
y
dy) =

1
0
d w
1

p
x
dx
d w
1
+p
y
dy
d w
1

(1.240)
cio proprio lintegrale della forma di Poincar-Cartan sullunico ciclo invariante rimasto,
cio lintegrale su w
1
.
74 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Il lettore pu constatare che le trasformazioni che permettono di eliminare le variabili ridondanti
possono essere cercate come trasformazioni canoniche generate da una funzione di trasformazione
F = A

w

J

, con le conseguenti leggi di trasformazione


Ji =
F
wi
wi =
F


Ji
Gi il fatto che con una trasformazione canonica si sia eliminata una delle due variabi-
li di azione dovrebbe essere un motivo sufciente per capire che lorbita quantistica va
selezionata con linvariante

J
1
, mentre le singole azioni J
x
, J
y
non hanno alcun signi-
cato intrinseco. Se non bastasse possiamo sfruttare il punto b) nellelenco precedente.
LHamiltoniana e lequazione di Habilton-Jacobi hanno la forma
H =
1
2m
(p
2
x
+p
2
y
) +
1
2
m
2
(x
2
+y
2
)
E =
1
2m

S
x

2
+

S
y

+
1
2
m
2
(x
2
+y
2
)
In entrambe le forme ovvio che si ha invarianza sotto rotazioni e quindi si ha ancora un
sistema separabile dopo aver fatto la rotazione (che una trasformazione canonica)

= xcos +y sin
y

= xsin +y cos

x
= p
x
cos +p
y
sin
p

y
= p
x
sin +p
y
cos
(1.241)
Il lettore pu facilemente vericare che con questa trasformazione
J

x
= cos
2
J
x
+ sin
2
J
y
J

y
= cos
2
J
y
+ sin
2
J
x
quindi non ha alcun senso attribuire dei valori interi alle variabili J
x
, J
y
separatamente.
J
x
+J
y
, invece, resta invariante per rotazioni. Notiamo comunque che se si ha un sistema
per rompere la degenerazione con un campo esterno, che quindi obbligatoriamente non
invariante per rotazioni, ha senso scegliere delle direzioni x, y in funzione dellorientazio-
ne delle rottura della simmetria, in modo da avere dei buoni numeri quantici da usare
nel caso non degenere. Possiamo ad esempio immaginare un campo lungo lasse x che
cambi la frequenza
x
. Qui siamo proprio nella situazione adombrata nel paragrafo 1.14.1:
se cambiamo la direzione del campo esterno facendolo passare per lo zero abbiamo una
transizione non elettromagnetica fra stati quantistici. C per un punto importante da
sottolineare: se rompiamo completamente la degenerazione ogni livello dar origine ad un
insieme di sottolivelli, questo numero non deve dipendere dalle coordinate che abbiamo
usato per descrivere la situazione degenere, in altre parole la degenerazione del livello ha
un signicato sico, indipendente dalle coordinate usate. Nel nostro caso la quantizzazio-
ne di

J
1
d luogo a dei livelli energetici della forma E
n
= hn. Se usiamo le coordinate
cartesiane x, y si ha n = n
x
+ n
y
. la degenerazione allora data dal numero di modi in
cui un numero intero positivo o nullo pu essere scritto come somma di due numeri dello
stesso tipo. n
x
pu assumere i valori n k con k = 0 . . . n, in corrispondenza il valore di
n
y
ssato: n
y
= k, quindi la degenerazione
g
(2)
n
=
n

k=0
1 = n + 1 (1.242)
In modo analogo il lettore pu vericare che nel caso tridimensionale
g
(3)
n
=
n

k=0
g
(2)
k
=
(n + 1)(n + 2)
2
(1.243)
1.15. SISTEMI INTEGRABILI: OSCILLATORE. 75
Consideriamo ora il sistema degenere da un altro punto di vista, che metter meglio
in luce le simmetrie del problema. Usiamo coordinate polari r, . Dallespressione di
distanza innitesima ds
2
= dr
2
+r
2
d
2
segue che la lagrangiana del sistema si scrive
L =
1
2
m( r
2
+r
2

2
) U p
r
=
L
r
= m r p

=
L

= mr
2

da cui discende lHamiltoniana
25
:
H =
1
2m
p
2
r
+
1
2mr
2
p
2

+
1
2
k
2
r
2
(1.244)
LHamiltoniana (1.244) non separata, cio somma di Hamiltoniane indipendenti, ma
lequazione di Hamilton-Jacobi
E =
1
2m

S
r

2
+
1
r
2

+
1
2
m
2
r
2
(1.245)
separabile. Cerchiamo infatti una soluzione nella forma
S = S
r
(r) +S

() E =
1
2m

S
r
r

2
+
1
r
2

+
1
2
m
2
r
2
(1.246)
La variabile ciclica, quindi tutta la dipendenza da nella (1.246) contenuta nella
derivata di S

, che quindi deve essere costante. Daltronde


S

= p

(1.247)
che in effetti costante per le equazioni del moto. In generale se una variabile ciclica,
lazione dipende da nella forma p

. La variabile di azione associata quindi


J

dp

= 2p

(1.248)
come nel caso del rotatore che abbiamo gi incontrato nel paragrafo 1.13.1. Con la soluzio-
ne (1.247) lequazione di Hamilton-Jacobi si riconduce ad unequazione unidimensionale
per la variabile r:
S
r
= p
r
=

2mE
p
2

r
2
m
2

2
r
2
(1.249)
Si pu calcolare allora J
r
J
r
=

p
r
dr =
E

[p

[ =
E
2

[J

[
2
E = (2J
r
+[J

[) (1.250)
Il calcolo dellintegrale (1.250) indicato nel paragrafo 1.F.
Il momento coniugato a , p

, non altro che la componente z del momento angolare,


cio
p

= xp
y
yp
x
(1.251)
Usando le (1.235) si pu calcolare J

in termini di J
x
, J
y
:
J

=
2

J
x
J
y
sin(w
x
w
y
)
25
Lo stesso risultato, come il lettore pu vericare si pu anche ottenere con una trasformazione canonica di
coordinate direttamente dalla Hamiltoniana scritta in coordinate cartesiane.
76 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
il che conferma ancora una volta che assegnare un signicato particolare ai singoli J nel
caso degenere non ha senso, se J
x
, J
y
sono interi, non lo J

.
interessante comunque controllare la degenerazione dello stato, che come abbiamo
detto non deve dipendere dalle coordinate scelte. un angolo, quindi J

pu assumere
valori sia positivi che negativi. Invece J
r
0. Consideriamo ora
E
n
= nh = h(2n
r
+n

)
si hanno due casi
a) n pari, n = 2k, allora n

deve essere pari. n


r
pu assumere tutti i valori 0, 1, . . . k,
corrispondentemente si hanno i valori di n

, tutti con molteplicit 2 ( compare [n

[),
eccetto n

= 0, quindi la molteplicit
2 (# n
r
= 0) + 1 = 2k + 1 = n + 1
b) n dispari, n = 2k+1, corrispondentemente n

deve essere dispari. n

pu assumere
i valori 1, 3, . . . , 2k + 1, cio (k + 1) valori ognuno con molteplicit 2. n
r
ssato
di conseguenza. La molteplicit dunque
2(k + 1) = (2k + 1) + 1 = n + 1
Il conteggio quindi consistente con quanto ottento usando le coordinate cartesiane. Il
punto interessante che per gli stati pari si hanno solo n

pari, per quelli dispari solo n

dispari. Come vedremo studiando le rappresentazioni del gruppo delle rotazioni, questo
dovuto alla invarianza del sistema sotto inversione spaziale.
Notiamo inne che, come ben noto dalla meccanica analitica, p

un generatore di
simmetria, il generatore delle rotazioni attorno allasse z. facile vericare, usando ad
esempio le espressioni esplicite di H
x
, H
y
, p

in coordinate cartesiane, che


p

, H
x
= 0 p

, H
y
= 0 (1.252)
cio la costante del moto J

non in involuzione con le costanti J


x
, J
y
. Questo proprio
il motivo per cui lorbita non riempie in modo denso il toro T
2
: il moto si deve svolgere
sulla supecie p

= cost., che una supercie regolare, questa supercie, interseca le altre


due superci J
x
= cost. e J
y
= cost., lintersezione di tre (iper)superci nello spazio delle
fasi a 4 dimensioni avviene su una curva regolare. Il fatto di non essere in involuzione con
le altre costanti del moto signica geometricamente che la supercie p

= cost. taglia
tasversalmente le altre due.
1.16 Sistemi integrabili: atomo di idrogeno.
In questo paragrafo studieremo la quantizzazione di un sistema composto da un elettrone
che si muove in un campo centrale di forze, in particolare un campo di forze coulombiano.
Per avere un modello sico concreto possiamo pensare ad un nucleo di massa innita,
eventualmente circondato da un nuvola di elettroni che creano uno schermo a simmetria
sferica alla carica: lelettrone che stiamo considerando si muove in questo campo di forze.
Discuteremo pi avanti le approssimazioni siche del modello.
LHamiltoniana si scrive:
H =
1
2
p
2
+U(r) (1.253)
Abbiamo indicato la massa con , in un sistema a due corpi rappresenter la massa ridotta
del sistema, in ogni caso usiamo questa notazione perch riserveremo la lettera m per
indicare un particolare numero quantico relativo al momento angolare.
1.16. SISTEMI INTEGRABILI: ATOMO DI IDROGENO. 77
Questo sistema invariante per rotazioni, la forza centrale e, come sicuramente noto
al lettore, il momento angolare rispetto al centro di forza conservato:
dL
dt
= r F = 0 L = r p = cost. (1.254)
Quindi lorbita si svolge su un piano, quello perpendicolare al vettore L, che una costante
del moto. Possiamo scegliere un sistema di riferimento in modo che lorbita giaccia su un
piano coordinato, ad esempio il piano x, y. Questo ci basta per ricavare lenergia del siste-
ma ed i livelli energetici, ma in questo modo perdiamo linformazione sulla direzione del
vettore L nello spazio. Come abbiamo visto negli esempi precedenti una simmetria nor-
malmente legata ad una degenerazione dei livelli, e questa viene rimossa dallintroduzione
di campi esterni. Se, ad esempio, introduciamo un campo elettrico lungo lasse z, per de-
scrivere il sistema dobbiamo avere uninformazione sullinclinazione del piano dellorbita
rispetto a questo asse, se usiamo delle coordinate adattate allorbita questa informazione
viene persa. Logicamente si avrebbe lo stesso tipo di situazione se si trattasse il moto di
pi di un elettrone: non detto che le orbite delle due particelle siano coplanari. Per questo
motivo scegliamo un sistema di riferimento arbitrario, in modo da lasciare linclinazione
dellorbita come un parametro libero. Lorigine del sistema di riferimento comunque scel-
ta coincidere con il nucleo. Scegliamo coordinate polari, perch come vedremo in queste
coordinate possibile la separazione delle variabili.
Scrivendo lo spostamento innitesimo in coordinate polari:
ds
2
= dr
2
+r
2
d
2
+r
2
sin
2
d
2
si deduce che la lagrangiana scrivibile come
L =
1
2

r
2
+r
2

2
+r
2
sin
2

2

U(r)

p
r
=
L
r
= r
p

=
L

= r
2

=
L

= r
2
sin
2

e quindi lHamiltoniana in coordinate polari
H =
1
2

p
2
r
+
1
r
2
p
2

+
1
r
2
sin
2

p
2

+U(r) (1.255)
Dalla (1.255) si ha che la coordinata ciclica, quindi p

una costante del moto.


Lequazione di Hamilton-Jacobi relativa alla Hamiltoniana (1.255) :

S
r

2
+
1
r
2

2
+
1
r
2
sin
2

2
+ 2(U(r) E) = 0 (1.256)
Proviamo a vedere se lequazione separabile scrivendo:
S = S
r
(r) +S

() +S

() (1.257)
La variabile compare solo in S

/, quindi questo termine deve essere costante, chia-


miamo A

la costante, che coincide con p

naturalmente. Dopodich la dipendenza da


solo nel termine

dS

2
+
A
2

sin
2

78 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.


che quindi devessere anchesso costante, diciamo A
2

. La parte restante dipende solo da r


e d luogo ad una equazione ordinaria. Riassumendo:
dS

d
= A

(1.258a)

dS

2
+
A
2

sin
2

= A
2

(1.258b)

dS
r
dr

2
+
A
2

r
2
+ 2(U(r) E) = 0 (1.258c)
Quindi lequazione separabile. Si hanno tre costanti del moto, A

, A

, E, quindi il pro-
blema integrabile nel senso canonico ed la soluzione delle equazioni (1.258) fornisce
appunto lintegrazione.
Il signicato delle costanti del moto trasparente se si scrivono esplicitamente:
A

= p

= r
2
sin
2
= L
z
(1.259a)
A

p
2

+
p
2

sin
2

= r

(r

)
2
+ (r sin )
2
= [r v[ = L (1.259b)
Quindi A

= p

la proiezione del momento angolare lungo lasse z, mentre L il modulo


del momento angolare.
Con la procedura ormai nota possiamo scrivere le variabili dazione:
J

d =

dS

d
d = 2A

= 2L
z
(1.260a)
J

d =

dS

d
d =


L
2

L
2
z
sin
2

= 2(L [L
z
[) (1.260b)
J
r
=

p
r
dr =

dS
r
dr
dr =

dr

2(E U)
L
2
r
2
=
=

dr

2(E U)
(J

+[J

[)
2
4
2
r
2
(1.260c)
Limiti sul momento angolare e quantizzazione.
La variabile una variabile angolare, quindi L
z
pu essere sia positivo che negativo. La
variabile una variabile di librazione, come si vede nella (1.260b) si ha un minimo ed un
massimo valore possibile per . Il radicando della (1.260b) deve essere positivo, i limiti di
integrazione si ottengono da
L
2
sin
2
= L
2
z
[L
z
[ L (1.261)
Il limite (1.261) ovviamente consistente col fatto che il modulo della proiezione di un
vettore su un asse deve essere minore del modulo del vettore.
La procedura di quantizzazione consiste nel porre
J

= mh m = 0, 1, 2 . . . L
z
= m
h
2
(1.262a)
J

= k

h k

= 0, 1, 2 . . . L = k

h
2
+[L
z
[ = (k

+[m[)
h
2
k
h
2
(1.262b)
visto il signicato sico conviene porre lattenzione su k = k

+ [m[. Il vincolo (1.261)


impone
[m[ k k m +k (1.263)
1.16. SISTEMI INTEGRABILI: ATOMO DI IDROGENO. 79
Osservazioni.
1) Il modulo del momento angolare, L, quantizzato in unit di h/2, come nei casi
gi visti.
2) Fissato il momento angolare, cio k, la proiezione L
z
del momento angolare quan-
tizzata. Ora L
z
/L legato allangolo di inclinazione, , dellorbita rispetto al piano
xy, o se vogliamo di L, perpendicolare allorbita, rispetto allasse z
cos =
L
z
L
=
m
k
(1.264)
Questo signica che solo alcune inclinazioni sono permesse. Notiamo che la dire-
zione dellasse z stata scelta arbitrariamente. possiamo pensare di averlo scelto in
modo da indicare, se presente, un campo magnetico, e in tal caso si avrebbe che so-
lo alcune inclinazioni del momento magnetico, proporzionale a L, sono ammissibili
quantisticamente. naturale che difcile credere ad affermazioni cos contrarie
al senso comune, ed in effetti nei primi anni della formulazione della vecchia teoria
dei quanti, si pensava a questo risultato pi che altro come ad un articio matemati-
co. Ci non toglie che furono fatti esperimenti per vericare in modo diretto questa
quantizzazione delle direzioni: lesperimento di Stern e Gerlach, di cui parleremo
in seguito, conferm che in effetti questa quantizzazione era reale.
3) Per ogni valore di k, il numero quantico m, detto numero quantico azimutale, pu
assumere 2k + 1 valori. Come si vede dalla (1.260c), qualunque sia il potenziale
centrale U, lenergia dipende solo dalla combinazione J

+ [J

[, cio proprio da
L ( cio da k), quindi in un potenziale centrale ogni livello almeno 2k + 1 volte
degenere. Questa una conseguenza dellinvarianza sotto rotazioni, che ha permesso
la separazione di variabili nella forma della (1.260).
4) Il numero quantico k a priori potrebbe assumere tutti i valori positivi o nulli. Spe-
rimentalmente, analizzando le linee spettrali, si vede che il valore k = 0 non esiste.
Questo facilmente comprensibile: classicamente corrisponderebbe ad avere orbi-
te passanti per il centro, dette orbite pendolari, queste orbite sono escluse su base
sica:
k 1 (1.265)
Questa conclusione vale per potenziali come quello atomico, in cui si suppone che
a piccole distanze dal nucleo U Ze
2
/r, quindi r = 0 una singolarit del
potenziale e lazione S
r
avrebbe una singolarit se r = 0 fosse incluso, anche come
punto limite, nello spazio delle congurazioni. Per loscillatore armonico, in cui il
potenziale regolare nellorigine, non si hanno queste limitazioni.
NOTA. Il lettore consideri con molta precauzione lassegnazione dei numeri quantici fatta in questo
paragrafo. In particolare lidenticazione di k con il momento angolare vale solo per grandi numeri
quantici. Gli stati quantistici con L = 0 sono permessi ed il concetto di orbita pendolare, pura-
mente classico, non ha molto senso. vero, comunque, che si ha una degenerazione 2L+1 per ogni
livello con momento angolare L.
Livelli energetici.
Il calcolo di J
r
dipende dal tipo di potenziale. Per un potenziale coulombiano:
U(r) =
Ze
2
r
(1.266)
80 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
lintegrale si svolge analiticamente, vedi eq.(1.458), fornendo
J
r
= 2

Ze
2

2E
J

(1.267)
Lenergia del sistema si scrive perci
E =
2
2
e
4
Z
2
(J
r
+J

+J

)
2

2
2
e
4
Z
2
J
2
1
(1.268)
La quantizzazione discretizza i valori di J
r
:
J
r
= n
r
h n
r
= 0, 1 . . . J
1
= (n
r
+k)h nh n = 1, 2, . . . (1.269)
n prende il nome di numero quantico principale. I livelli energetici sono:
E
n
=
2
2
e
4
Z
2
h
2
1
n
2
=
1
2
Z
2
e
2
a
B
a
B
=

2
e
2
=
h
2
4
2
e
2
(1.270)
che coincide con la formula di Bohr (1.128). Analizziamo pi in dettaglio questo risulta-
to. Innanzitutto il vincolo k 1, impone n 1, quindi lo stato fondamentale limitato
inferiormente. In secondo luogo vediamo che la degenerazione nel caso coulombiano
maggiore di quella presente in un generico potenziale centrale: compare solo la combi-
nazione J
1
= J
r
+ J

+ J

. Operando come nelloscillatore armonico possiamo fare il


cambiamento di variabili:
w
1
= w
r
J
1
= J
r
+J

+J

w
2
= w

w
r
J
2
= J

+J

w
3
= w

J
3
= J

(1.271)
In generale lenergia una funzione di due variabili dazione, E(J
1
, J
2
), nel caso partico-
lare del campo coulombiano funzione solo di J
1
, E = E(J
1
).
NOTA. Ripetiamo ancora una volta che lassegnazione dei numeri quantici corretta solo nel limite
semiclassico, cio per grandi numeri quantici. In particolare la degenerazione dei livelli per latomo
di idrogeno non quella corretta. Per confrontare le degenerazione teorica con ci che si osserva
bisogna spiegare la struttura ne dei livelli e leffetto Zeeman, che serve a rimuovere la degenerazione
sulle orientazioni dellorbita: la teoria sostanzialemente fallisce in questo tentativo, anche per la non
considerazione dello spin elettronico (il momento angolare intrinseco dellelettrone) quindi non ci
soffermiamo su questa questione.
Per completezza diamo senza dimostrazione linterpretazione degli angoli w
1
, w
2
, w
3
:
1) 2w
1
, a parte una costante additiva, ci che in astronomia si chiama anomalia
media: la distanza angolare, sullorbita, dal perielio per un punto immaginario che
ha la stessa velocit del punto materiale nel passaggio al perielio, in pratica, per
unorbita kepleriana, 2w
1
= t/T. La denizione pi sosticata dovuta al fatto
che nel caso generico lorbita non periodica, T il periodo che avrebbe il corpo
se percorresse unellissi kepleriana con perielio e velocit identiche a quelle vere nel
perielio.
2) 2w
2
, a parte una costante additiva, la distanza angolare del perielio dalla linea dei
nodi, cio dallintersezione dellorbita col piano xy, nel caso planetario il piano xy
il piano delleclittica. 2
2
= 2 w
2
quindi la velocit di precessione del perielio.
3) 2w
3
, a parte una costante additiva, la coordinata azimutale della linea dei nodi.
Quindi 2
3
= 2 w
3
la velocit di precessione della linea dei nodi.
Nel caso generale di un moto in campo centrale vediamo che w
3
= 0, cio non si ha
precessione dei nodi, mentre nel caso particolare del campo coulombiano si ha anche w
2
=
0, cio non si ha precessione del perielio e lorbita risulta chiusa.
Il lettore che voglia approfondire la trattazione semiclassica dei sistemi atomici e del-
la loro perturbazione con campi elettrici e magnetici pu utilmente consultare il libro[Born25].
1.17. ESPERIMENTO DI STERN E GERLACH. 81
1.17 Esperimento di Stern e Gerlach.
Come abbiamo visto una delle previsioni pi strane della quantizzazione alla Bohr -
Sommerfeld la quantizzazione delle direzioni, eq.(1.264):
cos =
L
z
L
=
m
k
[m[ k (1.272)
O. Stern e W. Gerlach hanno condotto una serie di esperimenti con lintento di vericare o
meno questa quantizzazione, e, nel 1921, hanno ottenuto una spettacolare conferma della
teoria quantistica, e nello stesso tempo hanno realizzato la prima esperienza meccanica
che era assolutamente incomprensibile sia dalla teoria classica sia, malgrado il risultato,
dalla teoria di Bohr-Sommerfeld.
Lidea (relativamente) semplice: il momento angolare atomico dovuto al moto de-
gli elettroni, le orbite elettroniche sono la realizzazione microscopica delle correnti Am-
priane, e devono dar luogo ad un momento magnetico. In effetti classicamente vi la
relazione
= g
e
2mc
L (1.273)
g un fattore numerico, chiamato fattore giromagnetico, che classicamente 1. Se L
quantizzato in unit di h/2, lo anche il momento magnetico, e il magnetone elementa-
re

B
=
e
2mc
h
2

e
2mc
(1.274)
detto magnetone di Bohr. Se le direzioni di Lsono quantizzate allora lo sono anche quelle
di e queste possono essere messe in evidenza accoppiando con un campo magnetico.
Lidea quella di inviare un fascio atomico in una zona con un campo magnetico
fortemente disomogeneo, come schematicamente illustrato in gura 1.9.
0
S
Ag
source
Figure 7
dots at the other end. This experiment, besides proving that the silver atom carry magnetic
moment with two possible orientations, is also absolutely fundamental because it leads to a
complete revision of our ideas on what things are observables and how they can be observed. I
shall come back on this later.
3 Spin after the birth of modern quantum mechanics
When new quantum theory was born? In 1925 with Heisenbergs matrix mechanics or in fact
before, with the famous equation of Louis de Broglie (1924) giving the wave length associated
to a particle:
=
h
p
=
h
mv
(in the non relativistic case) . (13)
Anyway, shortly after the work of Heisenberg, Pauli at the end of 1925, succeeded in getting
the energy levels of Hydrogen, by purely algebraic methods, using matrix mechanics.
However, the news of De Broglies relation (which Langevin had agreed to present at the
French Academy of Sciences after consulting Einstein) was carried to Z urich by a chemist named
Victor Henry (information from David Speiser, son in law of Hermann Weyl). Debye then told
Schrodinger: you should nd an equation for these waves. He did, in 1926! Schrodinger
and others proved the equivalence of the Schrodinger approach and of Heisenbergs approach.
Schrodinger too found the energy levels of hydrogen using properties of special functions.
The Schrodinger equation (with units such that h/=1) looks like:

1
2m
+ (V E) = 0 ,
which, for a central potential in polar co-ordinates gives

1
2m
1
r
2
d
dr
r
2
d
dr

8
Figura 1.9: Schema dellesperimeno di Stern e Gerlach. O un forno, sorgente del fascio
atomico. S lo schermo.
Linterazione del dipolo col campo B U = B, quindi la forza a cui un atomo
sottoposto in questo campo F = U = (B). Sia ora x lasse del fascio, z la
82 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
direzione che va da un polo allaltro del magnete e y la direzione orizzontale in gura 1.9.
Un atomo che attraversa il dispositivo risente di una forza verticale, lungo lasse z:
F
z
=

z
(
x
B
x
+
y
B
y
+
z
B
z
)
Il dispositivo omogeneo lungo lasse x, quindi il sistema praticamente bidimensionale
e B
x
0. Inoltre nel vuoto fra i due poli magnetici:

z
B
y
=

y
B
z
La disomogeneit di B
z
lungo lasse z molto maggiore di quella nella direzione trasversa,
vista la geometria dellapparato, quindi
F
z

z

z
B
z
=
B
z
z
cos (1.275)
dove langolo fra e B. Quindi ogni atomo sottoposto ad una forza, praticamente
costante, nellattraversare lapparato e riceve un impulso verso lalto o verso il basso a
seconda a seconda che il suo momento magnetico sia parallelo o antiparallelo al campo. Se
v la velocit del fascio e L la lunghezza del dispositivo:
p
z
= F
z
t = F
z
L
v
=
B
z
z
L
v
cos (1.276)
Una volta uscito dallapparato latomo prosegue la sua corsa e colpisce lo schermo S, in
punti diversi a seconda dellangolo .
Le previsioni del risultato in meccanica classica e quantistica sono diametralmente
opposte:
a) In meccanica classica il momento magnetico ha unorientazione casuale, quindi la
densit di probabilit che abbia un angolo con il campo , vista la simmetria attorno
a z:
dP =
1
4
d =
1
2
sin d (1.277)
Questa distribuzione massima per = /2, cio per ortogonale al campo, e
descresce allontanandosi da questo valore, quindi si deve osservare sullo schermo
una immagine del fascio leggermente allargata, in virt della deviazione (1.276), ma
concentrata nel centro.
b) In meccanica quantistica ci sono 2s + 1 valori possibili discreti per L
z
, dove s
denito da L = s h/2, quindi 2s +1 deviazioni possibili; si devono vedere 2s +1
macchie simmetriche sullo schermo.
Lesperimento, effettuato su un fascio di atomi di argento, mostr 2 macchie simmetriche,
e niente in mezzo: una clamorosa evidenza della discretizzazione delle direzioni. In pi,
dalla misura del gradiente di B e dalla separazione delle macchie possibile dedurre il
valore di , il valore trovato fu
B
, cio un magnetone di Bohr.
Come si vedr nello studio della meccanica quantistica largento ha un momento ango-
lare 1/2 dovuto allelettrone pi esterno e, quantisticamente, il fattore giromagnetico
g che compare nella eq.(1.273) vale 2, quindi in questo esperimento viene misurata la
quantizzazione del momento angolare intrinseco dellelettrone, lo spin appunto.
A parte limportantissima conferma della quantizzazione delle direzioni, linterpreta-
zione del risultato non era molto chiara. Innanzitutto notiamo che nella teoria canonica
alla Bohr il momento angolare dovrebbe essere un multiplo intero di , quindi 2s + 1
dovrebbe essere un numero dispari, si dovrebbero vedere cio 3 macchie sullo schermo,
corrispondenti ad un momento magnetico = 1
B
. Quindi sarebbe naturale, oggi,
pensare che da questo esperimento si fosse dedotto il fatto che lo spin elettronico 1/2,
ma non fu cos. Vi erano allepoca due scuole di pensiero:
1.17. ESPERIMENTO DI STERN E GERLACH. 83
a) Alcuni, come Sommerfeld, Land ed Heisenberg, per spiegare leffetto Zeeman e la
struttura ne delle righe spettrali, avevano introdotto il concetto di numero quantico
semintero, attribuendolo per agli elettroni del core atomico. In questa interpreta-
zione era il core a contribuire al momento magnetico. Le regole elaborate, che non
il caso di presentare, prevedevano che per una struttura ne costituita da un doppietto
si dovesse avere s = 1/2, siccome largento ha un doppietto di struttura ne, questo
spiegava il fatto che 2s +1 = 2. Il fattore giromagnetico naturalmente doveva essere
2.
b) Altri, sostanzialmente Bohr, i suoi collaboratori a Copenaghen e, almeno inizialmen-
te, Pauli
26
sostenevano la necessit di avere numeri quantici interi, ma nei modelli
atomici elaborati da questa scuola per leffetto Zeeman alcune delle orbite erano
vietate, per ragioni di stabilit, in particolare erano vietate quelle in cui il campo
magnetico giaceva sullorbita, quindi il momento angolare dellorbita era perpendi-
colare al campo, il caso L
z
= 0. Quindi anche per questa interpretazione dei tre
valori possibili di L
z
solo 2 erano permessi, e si dovevano osservare due macchie. Il
fattore giromagnetico in questo caso era quello classico, cio 1.
Losservazione pi importante comunque fu quella avanzata da Einstein ed Ehrenfest
nel lavoro[Ehr21]: come f il momento magnetico ad allinearsi col campo?
Ricordiamo che nella teoria di Bohr-Sommerfeld assunta la validit della meccanica
classica per la determinazione degli stati, mentre le transizioni, quantistiche, sono dovute
allinterazione con la radiazione elettromagnetica.
Il fascio atomico usato da Stern e Gerlach era composto da atomi dargento prodotti
da una fornace a 1000
o
C, con una velocit media dellordine di 5 10
4
cm/sec. Lapparato
era lungo circa 3cm ed il gradiente di campo di 10
4
gauss/cm. Il tempo di attraversamento
dellapparato era quindi dellordine di 10
4
sec. Alluscita dal forno sicuramente la dire-
zione del momeno magnetico atomico casuale, come fa ad allinearsi? Classicamente un
momento magnetico in campo esterno precede attorno al campo, con una frequenza che,
quantisticamente,
=

B
B
h
(1.278)
corrispondente alla quantizzazione di L
z
. La precessione classica non sufciente: per
avere due macchie distinte il dipolo magnetico si deve proprio allineare, cio essere in
uno stato quantico ben denito, o con proiezione 1 o con prioezione 1 rispetto allasse
z. Secondo la versione pre-meccanica quantistica la transizione fra uno stato allineato
in una direzione qualunque ed uno stato allineato lungo z pu avvenire solo per effetto
radiativo. Per un dipolo magnetico semplice calcolare un tempo caratteristico per questo
rilassamento verso lasse z. La potenza emessa da un dipolo magnetico oscillante, uguale
ad un magnetone di Bohr,
I =
2
3c
3

2
=
2
3c
3

4
[[ =
B
; = 2 =

B
B

Lenergia in gioco
B
B quindi il tempo caratteristico, per un campo tipico di 10
4
gauss
=

B
B
I
10
11
sec
molto pi grande del tempo di passaggio, dellordine di 10
4
sec. Il possibile effetto della
radiazione termica ambiente non modica di molto la stima: il problema che lemissione
26
La posizione di Pauli molto particolare: inizialmente era contrario allintroduzione di numeri seminteri per
la buona ragione che. una volta accettata la frazione 1/2, niente a priori ostava il comparire di frazioni diverse che
avrebbero tolto qualunque signicato al concetto di quantizzazione. Una volta accettato il fatto che effettivamente
occorreva usare numeri seminteri per la descrizione delleffetto Zeeman, dimostr comunque la non validit del
modello a core degli atomi ed elabor, inventando il principio di esclusione, la prima assegnazione corretta dei
numeri quantici, e quindi il primo modello atomico realistico.
84 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
di dipolo magnetico ha un tempo caratteristico estremamente lungo per frequenze di tran-
sizione come quelle in gioco. quindi escluso che la transizione possa avvenire per via
radiativa. Quindi come possibile descrivere lallineamento? La risposta, come si vedr
studiando il formalismo della meccanica quantistica, che non possibile descrivere in
termini classici questo effetto, il prototipo di una misura quantistica. Lapparato di Stern
e Gerlach funge da apparato classico: la selezione delle orbite misura in effetti lo spin e
provoca un collasso della funzione donda in un autostato di s
z
, la componente dello spin
lungo lasse z. Questa terminologia diverr pi chiara in seguito, per ora ci basta osserva-
re che, come osservato nel lavoro [Ehr21] lesperimento di Stern e Gerlach richiede una
qualche modica fondamentale alla teoria di Bohr Sommerfeld.
1.18 Conferme e smentite del modello.
Il modello di Bohr e le regole di quantizzazione di Bohr Sommerfeld hanno avuto sicu-
ramente il grande merito di offrire il primo schema interpretativo dei fenomeni atomici,
ma era ben chiaro, ed esplicitamente dichiarato nei lavori dellepoca, che questo schema
doveva essere solo un primo passo verso lelaborazione di una nuova meccanica. quindi
utile avere almeno unidea sommaria delle questioni lasciate irrisolte da questa teoria.
Lenorme passo in avanti del modello quello di avere introdotto il concetto di stati
stazionari, e collegato la frequenza delle righe spettrali alla differenza di energia fra gli
stati, separando cos la frequenza della luce dal periodo classico di oscillazione, o rotazione,
del sistema: il lettore deve avere ben chiaro che questo un completo allontanamento
dalla teoria classica dellirraggiamento, in cui la frequenza della luce emessa direttamente
connessa alla frequenza meccanica. Lintroduzione di stati stazionari chiaramente anche
una rinuncia alle leggi della meccanica e dellelettromagnetismo classico. Il sottile lo di
collegamento che permette, a questo stadio, di fare della sica microscopica il postulato
di quantizzazione ed il principio di corrispondenza. Il primo ci d un criterio per stabilire
quali sono gli stati stazionari di un sistema, il secondo ci permette di esprimere le grandezze
osservate in termini quasi classici e, in alcuni casi, di fare delle previsioni. Forse laspetto
pi appariscente dellultima affermazione si ha proprio in relazione alle righe spettrali.
Dallanalisi degli spettri discende che non tutte le transizioni fra due livelli energetici sono
visibili. Ad esempio per spettri attribuibili a transizioni di un solo elettrone, come nei
metalli alcalini, solo le transizioni corrispondenti a cambiamenti k = 1 sono permesse,
k il numero quantico legato al momento angolare introdotto nel paragrafo 1.16: questo
discende dallo studio semiclassico dellampiezza di transizione, unoscillazione dipolare,
fra gli stati in questione. Non ci addentriamo in questa analisi perch lassegnazione dei
numeri quantici nella vecchia teoria dei quanti e nella meccanica quantistica leggermente
diversa, non vorremmo quindi suggerire idee sbagliate sulle regole di selezione, argomento
che verr trattato nel seguito del libro.
Questi principi base, cio stati stazionari e principio di corrispondenza, vengono uti-
lizzati tramite il principio adiabatico di Ehrenfest per lindagine sistematica dei sistemi
microscopici: se un sistema ottenibile da un altro con una trasformazione adiabatica pos-
siamo avere unidea di come quantizzare il nuovo sistema a partire dal vecchio. In questo
modo, ad esempio, Bohr propone i primi modelli atomici, in cui ogni elettrone aggiunto
ad un sistema di tipo idrogenoide. da sottolineare che in questo modo si incominciano
ad associare le propriet chimiche degli elementi al numero di elettroni periferici del siste-
ma, iniziando a spiegare la tavola periodica di Mendeleev. Il problema principale di questi
modelli era spiegare come mai non tutti gli elettroni occupavano lorbita di minore energia
del sistema. La soluzione dovuta a Pauli[Pau25, Pau45] che enuncia il principio di esclu-
sione, questo sostanzialmente afferma che due elettroni non possono possedere gli stessi
numeri quantici. Ai numeri quantici conosciuti, ricavati ad esempio dallesame dellatomo
di idrogeno, Pauli aggiunge un nuovo numero quantico che pu avere due soli valori, la cui
origine, si scoprir in seguito, legata allo spin dellelettrone.
1.18. CONFERME E SMENTITE DEL MODELLO. 85
Per quanto riguarda la descrizione degli spettri atomici, cio almeno la corretta identi-
cazione dei numeri quantici dei livelli energetici, la situazione si fa estremamente comples-
sa. La ragione ben descritta da Pauli nella lezione tenuta in occasione del conferimento del
premio Nobel: da un lato non era chiaro come applicare la teoria a sistemi complessi come
quelli atomici, per ragioni che esamineremo fra breve, dallaltro lo stesso modello mec-
canico usato, cariche in interazione elettrostatica, era insufciente: mancava un elemento
essenziale, lo spin dellelettrone ed il connesso momento magnetico. I problemi principali
erano due, collegati fra loro: leffetto Zeeman e la struttura ne delle righe spettrali. In pre-
senza di campo magnetico esterno si ha, come gi visto in alcuni esempi elementari, una
rimozione della degenerazione dei livelli atomici e, sperimentalmente, una divisione delle
righe spettrali in componenti diverse. Questo un effetto spiegato gi da Lorentz per un
oscillatore classico ed il lettore trover una discussione del fenomeno, classico e quantisti-
co, nel capitolo dedicato alla teoria perturbativa. Il punto che qui interessa mettere in luce
che classicamente ogni riga spettrale dovrebbe dividersi in un tripletto e a questa stessa con-
clusione si arriva nella teoria di Bohr Sommerfeld canonica, cio come labbiamo vista
nora. Sperimentalmente invece si trova una variet di casi, la suddivisione in multipletti
diversi da tre molto comune e prende il nome di effetto Zeeman anomalo. Per spiegare
questo tipo di suddivisione si costretti a introdurre numeri quantici seminteri, estranei alla
teoria di Bohr Sommerfeld: solo con la scoperta dello spin elettronico si potuta capire lo-
rigine di tali numeri quantici. Una situazione per certi versi analoga si presenta per le righe
spettrali in assenza di campo esterno. Si subito osservato che in realt le righe spettrali
hanno una struttura ne, con una separazione in frequenza dellordine di / 10
5
.
In effetti uno dei maggiori successi del modello di Bohr Sommerfeld era stata proprio la
spiegazione della struttura ne delle righe dellidrogeno, ottenuta da Sommerfeld calcolan-
do la correzione relativistica alla quantizzazione vista nel paragrafo 1.16
27
. Questo tipo di
spiegazione per non funziona per gli altri atomi: anche in questo caso, come nelleffetto
Zeeman, le righe si presentano in diversi tipi di multipletti, la cui molteplicit legata in
modo complicato al numero di sottolivelli Zeeman generati da un campo magnetico. In
analogia al caso magnetico questi multipletti vengono imputati ad un momento magnetico
degli elettroni pi interni allatomo, core elettronico, che provoca una sorta di effetto
Zeeman interno sullelettrone ottico. Anche in questo caso si costretti a introdurre dei
numeri quantici seminteri.
Anche da questo breve e sommario elenco dovrebbe essere chiaro che levoluzione
della comprensione dello spettro atomico piuttosto complicata e per darne conto occor-
rerebbe un intero capitolo, il lettore interessato alla nascita e allo sviluppo delle idee e dei
modelli nati in questo periodo pu trovare molto materiale interessante nelle opere[Mehra,
Jammer].
Le difcolt elencate nora sono in massima parte dovute alla non conoscenza dello
spin elettronico, ci sono per altre difcolt pi intimamente connesse alla formulazione
stessa del modello di Bohr. Latomo di elio latomo pi semplice dopo quello di idrogeno.
Dal punto di vista meccanico si tratta di un problema a tre corpi che ha tutti i problemi del-
lanalogo problema a tre corpi gravitazionale. Un noto teorema di Burns e Poincar, vedi
es.[Whitt] afferma la non esistenza di altri integrali primi, oltre allenergia ed al momento
angolare, quindi il sistema sicuramente non integrabile in senso canonico. Per ssare le
condizioni di quantizzazione si ricorre allora alla teoria perturbativa, mutuata dalla teoria
delle perturbazioni secolari in meccanica celeste. Sulla teoria perturbativa per incombe
ancora un macigno: sempre Poincar ha mostrato che la serie perturbativa sicuramente
divergente, quindi abbastanza problematico fondare la teoria su queste basi. Sottolineia-
mo che il tipo di difcolt di cui stiamo parlando qualitativamente diverso dallanaloga
difcolt in meccanica celeste
1) In meccanica celeste la serie perturbativa non convergente, ma, come giustamente
27
In seguito si capir che laccordo con i dati della teoria di Bohr Sommerfeld abbastanza fortuito, mancando
appunto il contributo dello spin elettronico.
86 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
sottolineato da Poincar stesso, questo non signica sia inutile, come del resto di-
mostrano le eccellenti previsioni fatte usando questa tecnica: la serie, in pratica,
una serie asintotica, che bench non convergente d una buona approssimazione del-
la soluzione
28
. Il problema teorico in meccanica classica sorge quando si vogliono
fare delle previsioni di tipo asintotico, ad esempio sulla stabilit a grandi tempi di un
sistema, ad esempio il sistema solare.
2) Nella teoria di Bohr la questione pi delicata. Innanzitutto, prendendo ad esempio
lelio, linterazione elettrone-elettrone non affatto piccola in confronto allintera-
zione elettrone nucleo. In secondo luogo i periodi tipici di rivoluzione sono dellor-
dine di 10
13
10
15
sec., quindi se si vuole parlare di livelli atomici stabili su
tempi macroscopici si automaticamente in un regime asintotico. Inne non affatto
ovvio che i moti multiperiodici necessari per poter denire la stessa quantizzazione
esistano; il teorema di Poincar afferma appunto che non c nessun dominio (aperto
nello spazio delle fasi) in cui le orbite siano del tipo voluto. notevole che questa
problematica abbia avuto uno sviluppo moderno molto importante, almeno sul ver-
sante della dinamica classica: il teorema KAM (Kolmogorov, Arnold, Moser) dice
che per piccole perturbazioni esistono ancora dei tori invarianti (che sono le strutture
necessarie per scrivere le condizioni di quantizzazione), attorno ad un sistema inte-
grabile, mentre per grandi perturbazioni, normalmente, si entra in un regime caotico,
in cui ovviamente qualunque tentativo di scrivere una condizione di quantizzazione
non ha molto senso. Quantisticamente il problema rilevante perch la sua com-
prensione alla base del delicato passaggio da regime quantistico a regime classico,
che a tuttoggi non affatto chiaro.
Sottolineiamo quindi che il problema non tanto quello di usare una serie asintotica
per approssimare un risultato, quanto il fatto che non si sa se il risultato possa o no
esistere.
In mancanza di alternative, ovviamente, la cosa migliore da fare comunque usare la teo-
ria perturbativa per studiare latomo (di elio) e confrontare i risultati con lesperimento.
Questo atomo presenta sperimentalmente due serie di spettri, tanto che allnizio si pensava
ci fossero due diversi tipi di elio, il paraelio e lortoelio, che hanno, fra laltro, strutture
ni e livelli Zeeman diversi. Malgrado tutti gli sforzi fatti questo tipo di struttura restava
sostanzialmente inspiegata nella vecchia teoria dei quanti, anche se si intuiva che dovesse
corrispondere a due tipi diversi di orbite
29
. Vari lavori di Kramers a Copenhagen e degli
allievi di Sommerfeld a Monaco, fra cui citiamo Pauli e Heisenberg, etc. non avevano
prodotto risultati ragionevoli. Il risultato nale che in qualche modo segna la ne della
vecchia teoria dei quanti un lavoro di Born e Heisenberg i quali non calcolano solamente,
tramite la tecnica perturbativa, gli stati di bassa energia dellatomo, calcolano invece anche
le energie corrispondenti ad un elettrone vicino al nucleo ed un elettrone in unorbita molto
periferica, cio stati molto eccitati del sistema: in questa zona, di grandi numeri quantici
la teoria deve funzionare. Invece non funziona, i risultati sono in completo disaccordo con
i dati sperimentali. Per rendere lidea dello stato delle cose riportiamo la traduzione della
conclusione del libro di Born[Born25], che praticamente la summa delle conoscenze in
materia attorno al 1924-1925:
Possiamo quindi concludere che lapplicazione sistematica dei principi della
teoria dei quanti stabiliti nel Cap.2, cio il calcolo del moto secondo le leggi
della meccanica classica e la scelta degli stati stazionari a partire dai moti clas-
sici attraverso la determinazione delle variabili dazione come multipli interi
della costante di Planck conduce allaccordo con lesperienza solo nei casi in
28
Il lettore interessato a questa questione trover una discussione del problema nel capitolo dedicato alla serie
perturbativa in meccanica quantistica.
29
Il paraelio corrisponde a due elettroni con spin totale nullo, lortoeleio invece ha spin totale uno: questo in
meccanica quantistica inuenza la simmetria del sistema.
1.19. INTERAZIONE LUCE MATERIA. 87
cui si tratta del moto di un singolo elettrone; essa fallisce subito appena si passi
alla considerazione del moto di ambedue gli elettroni nellatomo di elio.
Questo non deve sorprendere perch i principi usati non sono in realt con-
sistenti; da una parte le equazioni differenziali classiche per la descrizione
dellinterazione di un atomo con la radiazione sono rimpiazzate da differenze
nite, nella forma della condizione di Bohr sulle frequenze, dallaltra relazioi-
ni di tipo differenziale continuano ad essere usate nella trattazione dellinte-
razione di molti elettroni. Una completa e sistematica trasformazione della
meccanica classica in una meccanica discontinua dellatomo lo scopo verso
cui deve tendere una teoria quantistica.
Alle difcolt dellatomo di elio occorrerebbe aggiungere quelle con la molecola di
idrogeno ionizzato, con la molecola di idrogeno, quelle relative alleffetto di un campo
magnetico e di un campo elettrico simultanei sullatomo di idrogeno etc. Crediamo co-
munque di aver dato unidea, almeno vaga, delle problematiche. Per motivi di spazio e di
opportunit didattica non ci soffermeremo ulteriormente sulla questione, ma, nel prossimo
paragrafo, analizzeremo lultimo e decisivo passo verso la meccanica quantistica: la teoria
della dispersione della luce.
1.19 Interazione luce materia.
Nei paragra precedenti abbiamo sommariamente discusso come le regole di quantizzazio-
ne di Bohr-Sommerfeld ed il principio di corrispondenza costituiscano uno schema inter-
pretativo che, bench incompleto, lascia comunque intravedere alcune delle caratteristiche
che deve necessaiamente possedere una dinamica microscopica consistente. Il passo de-
cisivo per la costruzione della nuova meccanica, ed al tempo stesso il canto del cigno
della vecchia teoria dei quanti, si ha nello studio del problema che aveva dato origine alle
considerazioni di Planck e di Einstein: linterazione luce-materia.
La limitazione pi evidente della teoria, dal punto di vista sperimentale, lincapacit
di predire in modo consistente e completo gli spettri atomici e la polarizzazione della radia-
zione nei salti quantici. Le uniche affermazioni certe al riguardo sono le considerazioni
di Einstein sui processi di emissione e assorbimento, ed in particolare lintroduzione dei
coefcienti / e B che abbiamo visto
30
nel paragrafo 1.5. In particolare il coefciente di
emissione spontanea /
ud
descrive la probabilit di decadimento al secondo per il decadi-
mento u d in un sistema atomico. Da questo coefciente possono essere dedotti i coef-
cienti B che descrivono lemissione indotta e lassorbimento, vedi paragrafo 1.5. Occorre
quindi capire come questi coefcienti siano legati alla dinamica ed alla quantizzazione.
Lanalogo classico dellemissione spontanea fornito dalla trattazione classica dellir-
raggiamento di un oscillatore. Sappiamo che la potenza media irragiata, in approssimazio-
ne di dipolo, da una carica accelerata
I =
2e
2
3c
3
a
2
(1.279)
dove a indica laccelerazione. La (1.279) importante anche perch fa capire come la
spiegazione quantistica dellintensit I implica una comprensione dellaccelerazione a, e
quindi della dinamica del sistema.
Consideriamo un oscillatore armonico unidimensionale, con frequenza propria
0
ed
ampiezza di oscillazione [C[. In questo caso si ha
x = [C[ cos(2
0
t +) = Re

Ce
i20t

= arg(C) (1.280)
a = (2
0
)
2
[C[ cos(2
0
t +)
30
Usiamo qui la notazione A, B perch useremo la lettera A per indicare unaltra quantit.
88 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
e quindi, usando per la media su un periodo il risultato cos
2
(x) = 1/2:
I =
e
2
3c
3
(2
0
)
4
[C[
2
(1.281)
In generale un sistema periodico, con frequenza
0
, ha un moto non armonico
x =

[C

[ cos(2
0
t +

) = Re

e
20t

= 1, 2, . . . (1.282)
e loscillazione descritta dalla (1.282) d luogo a radiazione emessa con frequenze date
dalle armoniche del moto, =
0
:
I

=
e
2
3c
3
(2)
4
[C

[
2
=
e
2
3c
3
(2
0
)
4
[C

[
2
(1.283)
Quantisticamente lintensit della luce emessa in una transizione n

data dai
coefcienti di Einstein
I
n

n
= energia del fotone prob. di emissione = h
n

n
/
n

n
(1.284)
dove
h
n

n
= E
n
E
n
(1.285)
la frequenza associata alla transizione. Naturalmente si tratta ora di calcolare i coefcienti
/
n

n
.
Descriviamo le transizioni quantistiche in modo analogo a quelle classiche, usando
delle ampiezze A
n

n
per caratterizzare la transizione tra uno stato n

ed uno stato n

.
Possiamo immaginare di associare un oscillatore virtuale ad ogni transizione, e questa
la motivazione originaria dellintroduzione di queste grandezze, ma pi ragionevole
considerare queste ampiezze semplicemente come un modo per descrivere la transizione e
scrivere
I
n

n
=
e
2
3c
3
(2
n

n
)
4
[A
n

n
[
2
(1.286)
La (1.286) non dice molto per il momento, ma permette di capire a cosa bisogna applicare
il principio di corrispondenza per stimare le intensit di radiazione. Il principio di corri-
spondenza afferma che per transizioni fra due stati n

, n

con n

, n

1 e n

=
si deve riottenere la descrizione classica della transizione, corrispondente allemissione
dellarmonica . Per le frequenze si ha allora

n

0
(1.287)
quindi dobbiamo aspettarci
A
n

n
C

C
n

n
(1.288)
La (1.288) in linea di principio ci permette di stimare le ampiezze dalla conoscenza del
moto classico del sistema, dalla (1.282). Questo tipo di informazione stata essenziale n
dalle prime applicazioni della vecchia teoria dei quanti, in effetti dei vincoli sulle compo-
nenti classiche del moto, C

, possono venire tradotte, almeno ipoteticamente, ad analoghi


vincoli sulle ampiezze quantistiche. Lesempio pi semplice proprio loscillatore armoni-
co. In un moto armonico presente solo unarmonica, quella con = 1, quindi la (1.288),
estesa come vincolo a tutte le transizioni, afferma che sono possibili solo le transizioni in
cui il numero quantico n cambia di uno. Questo tipo di regole di selezione, nel caso di pi
gradi di libert, d luogo, ad esempio, alla regola k = 1 di cui si parlato al paragrafo
precedente. Ci sono due problemi da affrontare:
1.19. INTERAZIONE LUCE MATERIA. 89
a) Capire se la identicazione delle ampiezze A
n

n
come variabili signicativa o
solo una parametrizzazione dellintensit di emissione. Il limite semiclassico (1.288)
sembra indicare che le A
n

n
abbiano un signicato, essendo legate alle coordinate del
sistema via la relazione (1.280).
b) Supponendo che le A
n

n
abbiano un signicato, come possibile calcolarle al di l
del limite semiclassico (1.288)? chiaro che la soluzione di questo problema signi-
cher calcolare le coordinate del sistema in modo quantistico e quindi formulare
una nuova meccanica.
1.19.1 Diffusione della luce e legge di dispersione.
Per illustrare il punto a) del paragrafo precedente studiamo pi in dettaglio linterazione
luce-materia.
In approssimazione di dipolo, sufciente per i nostri scopi, linterazione luce-materia
ha luogo perch il campo elettrico della radiazione induce unoscilazione sulle cariche ele-
mentari, gli elettroni. Questa oscillazione, a sua volta, produce unonda elettromagnetica.
La radiazione viene assorbita da questi oscillatori elementari e viene riemessa dando
luogo ad una diffusione della luce incidente. Le propriet di diffusione di una data sostan-
za cambiano al variare della lunghezza donda della luce incidente: il fenomeno noto
come dispersione. Consideriamo per ssare le idee un gas. Il campo elettrico dellonda
elettromagnetica induce una polarizzazione macroscopica P(t) che, in un gas, data da:
P = Nd = NE (1.289)
Dove N il numero di atomi per cm
3
, la polarizzabilit atomica, cio d = E il dipolo
indotto dal campo esterno E. Tutta linformazione sullinterazione luce-atomo contenuta
in , in particolare la struttura delle righe spettrali.
Sperimentalmente noto che una buona descrizione della variazione di con la fre-
quenza data da
=
e
2
4
2
m

i
f
i

2
i

2
(1.290)

i
sono le frequenze di risonanza del sistema, cio le frequenze dello spettro. La relazione
(1.290) vericata nelle regioni non coincidenti con le frequenze di risonanza. La spiega-
zione classica della (1.290), allinterno della teoria degli elettroni di Lorentz, abbastanza
naturale. Consideriamo per semplicit il caso unidimensionale, sia x lo spostamento del-
lelettrone, E il campo elettrico incidente, diretto anchesso lungo lasse x. Consideriamo
la componente del campo a frequenza
E = E
0
cos(2t) Re e
it
= 2 (1.291)
Per piccole oscillazioni
x + x +
2
0
x =
e
m
E =
e
m
E
0
Ree
it

0
= 2
0
(1.292)

0
indica la frequenza propria delloscillatore, una delle frequenze
i
nella (1.290). il
coefciente di smorzamento delloscillazione: supponiamo per semplicit che sia dovuto
solo alla reazione di frenamento per emissione di radiazione, vedi eq.(1.279). In questo
caso noto che
=
2
3
e
2

2
0
c
3
(1.293)
La relazione (1.293) gi stata sfruttata nellanalisi dellassorbimento di un oscillatore
nella teoria del corpo nero, per una dimostrazione si veda il paragrafo 1.C, eq.(1.406). La
90 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
soluzione a regime della (1.291) immediata
31
x =
e
m
E
0
Re

1
(
2
0

2
) i
e
it

(1.294)
Il dipolo del sistema ex. Lontano dalle risonanze il termine in trascurabile e si ha
d = ex = E =
e
2
m
1

2
0

2
=
e
2
4
2
m
1

2
0

2
(1.295)
Quindi la (1.290) interpretata dicendo che ci sono f
i
elettroni effettivi per grado di
oscillazione, modernamente i fattori f
i
prendono il nome di forza di oscillatore.
i coefcienti f
i
sono direttamente collegati allintensit delle linee spettrali. Conside-
riamo infatti lenergia assorbita al secondo da un oscillatore, uguale al lavoro effettuato
sulloscillatore dal campo esterno. Dalla (1.294):
v = x =
e
m
E
0
1
(
2
0

2
)
2
+
2

(
2
0

2
) sin(t) +
2
cos(t)

quindi, usando cos


2
(x) =
1
2
, cos(x) sin(x) = 0:
L
(1)

= eEv =
e
2
2m
E
2
0

(
2
0

2
)
2
+
2

2
(1.296)
Londa elettromagnetica non in generale perfettamente monocromatica ma una somma
di campi a diverse frequenze
E =

d
2
E

e
it
il campo E
0
che compare nelle dormule precedenti la componente a frequenza . As-
sumendo che la radiazione abbia una distribuzione spettrale larga rispetto alla larghezza
di riga , lassorbimento dato dallintegrale della (1.296) in cui E
0
si pu supporre co-
stante. Lintegrale dominato dalla zona in cui
0
, quindi, scrivendo (
2
0

2
)
(
0
)2
0
:
L
(1)

= eEv =
e
2
2m
E
2
0

2
0

4
2
0

d
2
1
(
0
)
2
+

2
4
=
1
8
e
2
m
E
2
0
(1.297)
Per una radiazione isotropa, come supporremo,
I =
1
4
E
2
=
3
4
E
x
2
=
3
4
E
0
2
cos
2
(t) =
3
8
E
2
0
(1.298)
Quindi, per la componente a frequenza e per f
i
oscillatori effettivi:
L
(1)

=

3
e
2
m
I

=

3
e
2
m
f
i
I

(1.299)
La grandezza L

lenergia assorbita al secondo dal sistema atomico, quindi direttamente


misurabile.
Il punto da chiarire come la teoria dei quanti descrive il fenomeno della dispersione.
Consideriamo un atomo in un dato stato.
Per sistemi quantistici lenergia assorbita al secondo dalla radiazione in un processo
n

descritta dal coefciente di Einstein B


n

n
. Supponendo per semplicit che
tutti i pesi statistici in gioco siano 1:
L

= prob. di assorbimento energia di un fotone = (B


n

n
I

) (h
n

n
)
31
A regime signica dopo che passato un transiente in cui la soluzione dellequazione omogenea
proporzionale a e
t/2
diventa trascurabile.
1.19. INTERAZIONE LUCE MATERIA. 91
e utilizzando le relazioni di Einstein:
L

= (h
n

n
)B
n

n
I

=
c
3
8h(
n

n
)
3
/
n

n
(h
n

n
) =
c
3
8(
n

n
)
2
/
n

n
(1.300)
La cosa pi semplice identicare la formula di assorbimento classica con lenergia as-
sorbita quantisticamente nelle transizioni indotte da fotoni[Ladenburg]. Se identichiamo
lespressione classica (1.299) con quella quantistica (1.300) abbiamo
/
n

n
=
8
2
3
e
2
mc
3
(
n

n
)
2
f
i
(1.301)
Notiamo che la combinazione che moltiplica f
i
nella (1.301) esattamente lanalogo della
larghezza introdotta classicamente. Ora noi sappiamo esprimere i coefcienti di Ein-
stein tramite le ampiezze A
n

n
e quindi possiamo colegare queste ultime direttamente alla
formula di dispersione e quindi ai dati sperimentali. Dalla (1.284) e dalla (1.286) segue
/
n

n
=
16
4
3
e
2
hc
3
(
n

n
)
3

A
n

2
e quindi
f
i
=
2m
2
h

n

A
n

2
(1.302)
e per la relazione di dispersione, relativa alla costanti di polarizzazione nello stato n

n
=
e
2
2h

A
n

(
n

n
)
2

2
(1.303)
Il punto interessante che la (1.303) non pu essere vera. Il motivo che non soddisfa
al principio di corrispondenza, infatti se n

, n

1 e h 0 la (1.303) non pu avere


un limite classico, perch A
n

n
dovrebbe tendere ad unampiezza classica ed il fattore 1/h
rende divergente lespressione. C anche un altro motivo, che d la chiave per la modica
della (1.303) in unespressione corretta. Le quantit A
n

n
, bench ancora non sappiamo
come calcolarle, descrivono unampiezza di oscillazione per un oscillatore in assenza di
campo, infatti calcolata allordine pi basso in E
0
, ma classicamente il dipolo indotto
non dipende dallampiezza di oscillazione imperturbata, come si vede molto chiaramente
dalla (1.294).
La soluzione del paradosso si trova nella formulazione di Kramers della relazione di
dispersione e si basa sul fatto che quantisticamente in presenza della radiazione incidente
esistono due tipi di processi che possono dar luogo alla polarizzazione
a) Latomo assorbe un fotone a passa dallo stato n

allo stato n

, con E
n
> E
n
quindi
riemette un fotone passando dallo stato n

allo stato n

.
b) Latomo emette un fotone per emissione indotta passando ad uno stato n

con E
n
<
E
n
, dopodich assorbe un fotone e ritorna allo stato di partenza.
Il processo di emissione indotta, come abbiamo gi fatto notare nella discussione sui coef-
cienti di Einstein proprio la cosa che caratterizza linterazione quantistica con la radia-
zione dallinterazione classica.
Notiamo che sia nel processo a) che in quello b) non detto che latomo nello stato nale si trovi di
nuovo nello stato di partenza, potrebbe risultare in un altro stato, questo signica, per la conservazione
dellenergia, che il fotone diffuso ha energia, cio frequenza, diversa da quella iniziale; il fenomeno
della diffusione Raman, scoperto proprio proprio nello stesso periodo. Nella formula classica (1.290)
non c traccia di questo effetto, mentre quantisticamente un effetto previsto. nel seguito comunque,
per semplicit, ci limiteremo al caso in cui non si abbia cambiamento di frequenza.
92 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Il processo di emissione indotta molto peculiare: latomo emettendo un fotone aumenta
lenergia della radiazione, mentre il processo di assorbimento la fa diminuire: solo que-
stultimo quello previsto classicamente. Si ha allora una sorta di assorbimento negativo
e la proposta di Kramers appunto quella di modicare la (1.303) nella forma

n
=
e
2
2h

,E
n
>E
n

A
n

(
n

n
)
2

,E
n
<E
n

A
n

(
n

n
)
2

(1.304)
In termini di coefcienti f
i
:
=
e
2
4
2
m

i,ass.
f
i

2
i

2

i,em.
f
i

2
i

2

(1.305)
Le abbreviazioni ass., em. stanno per assorbimento ed emissione.
1.19.2 Relazione di Thomas e Kuhn.
I coefcienti f
i
soddisfano unimportante regola di somma, stabilita da Kuhn e Thomas[Thomas,
Kuhn]. Consideriamo unonda elettromagnetica a frequenza molto pi grande di tutte le
frequenze proprie del sistema. In questo regime gli elettroni possono essere considerati
come elettroni liberi. Per un elettrone libero lenergia irraggiata, e quindi persa dalla radia-
zione incidente, si scrive facilmente. Lequazione del moto ma = eE quindi, usando la
(1.279):
I =
2e
2
3c
3
a
2
=
2e
4
3m
2
c
3
E
2
=
e
4
3m
2
c
3
E
2
0
(1.306)
Al solito il campo elettrico stato scritto nella forma E = E
0
cos(2t).
Daltronde sempre la (1.279) si pu riscrivere nella forma
I =
2
3c
3

d
2
(1.307)
dove d il dipolo elettrico del sistema. Per
i
si ha, dalla

e
2
4
2
m
1

i,ass.
f
i

i,em.
f
i


e
2
4
2
m
1

i
f
i
quindi
d = E = E
0
cos(2t)

d =
e
2
m

i
f
i

E
e per la perdita di energia
I =
2
3c
3
e
4
m
2

i
f
i

2
E
2
0
2
=
1
3c
3
e
4
m
2

i
f
i

2
E
2
0
Supponendo per semplicit che ci sia un solo elettrone irraggiante per atomo dal confronto
con la (1.306) si deve allora avere la relazione:

i,ass.
f
i

i,em.
f
i

= 1 (1.308)
1.19. INTERAZIONE LUCE MATERIA. 93
ovvero, in termini delle ampiezze A
n

n
:
2m
2
h

,E
n
>E
n

A
n

,E
n
<E
n

A
n

= 1 (1.309)
1.19.3 Principio di corrispondenza.
Per completare lanalisi dellinterazione luce-materia nellambito della vecchia teoria dei
quanti possiamo fare vedere esplicitamente che la formula di dispersione di Kramers e la
relazione di somma di Thomas e Kuhn si possono inferire dal principio di corrispondenza,
in una versione pi sosticata, formulata essenzialmente da Born[Born24].
Il principio di corrispondenza asserisce che la frequenza relativa ad una transizione che
avviene fra stati con grandi numeri quantici deve essere approssimata da unarmonica della
frequenza classica del moto. Consideriamo per ssare le idee un moto periodico in cui si
operata la quantizzazione con la regola J = nh. Lenergia in generale una funzione di J
ed il principio di Bohr per le frequenze di transizione si scrive

n,n
=
E(nh) E((n )h)
h

dE(n)
dn
=
1
h

dE
cl
(J)
dJ
(1.310)
Ricordiamo che
dE
cl
(J)
dJ
proprio la frequenza classica del moto riferita ad una variabile di
azione J, quindi la (1.310) esprime correttamente il principio di corrispondenza.
Lipotesi di Born quella di estendere il tipo di relazione (1.310) a qualunque quantit
che si riferisca ad uno stato stazionario, e quindi dipendente solo da n:

d(n)
dn
(n) (n ) ovvero
1
h
((n) (n ))
d(J)
dJ
(1.311)
Si tratta cio di discretizzare le derivate.
Una immediata generalizzazione, che ci servir in seguito, la quantizzazione di
quantit che si riferiscono in modo pi complicato allo stato. Consideriamo la frequenza di
transizione classica corrispondente alla armonica -esima

cl
(n, ) =
dE
cl
(J)
dJ
si ha, sempre sfruttando la (1.310):


cl
(n, )
dn
=
d
dn

1
h

dE
dn

cio la derivata seconda della grandezza E, vale a dire, sempre per discretizzazione

d
cl
(n, )
dn

1
h
[(E(n +) E(n)) (E(n) E(n ))] =
n+,n

n,n
che generalizzeremo nella forma

d
cl
(n, )
dn
= (n +, n) (n, n ) (1.312)
Consideriamo ora un sistema atomico, che schematizziamo come un sistema sempli-
cemente periodico, interagente con unonda elettromagnetica esterna. LHamiltoniana del
sistema scrivibile, in approssimazione di dipolo, nella forma
H = H
0
d E E = E
0
cos(2t) (1.313)
94 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
In assenza di interazione si hanno coordinate canoniche w
0
, J
0
ed il dipolo, genericamente,
ha unespressione del tipo
d
0
= e
1
2

e
i2w
0

d reale C

= C

(1.314)
La normalizzazione usata per scrivere la (1.314) la stessa usata classicamente nelle equa-
zioni (1.280) e (1.282). Tenendo conto della perturbazione dovuta al campo esterno il
dipolo subisce un cambiamento, scrivibile, al primo ordine perturbativo in E
0
nella forma
d = d
0
+d
1
d
1
E
0
d
1
il dipolo indotto nel sistema pu essere facilmente calcolato per mezzo della teoria
perturbativa classica:
d
1
() =
e
2
E
0
2
cos(2t)

>0


J
[C

[
2

0
(
0
)
2

2
(1.315)
il lettore pu trovare una dimostrazione del risultato (1.315) nellappendice 1.G. La (1.315)
dice che la polarizzazione classica
=
e
2
2

>0


J
[C

[
2

0
(
0
)
2

2
(1.316)
Largomento della derivata nellespressione (1.316) si riferisce ad una transizione n
n + e
0
larmonica -esima della frequenza fondamentale, quindi quantisticamente
va interpretato come
[C

[
2

0
(
0
)
2

2

[A(n +, n)[
2

n+,n

2
n+,n

2
(1.317)
Dove A il corrispettivo quantistico dellampiezza classica C. Applicando ora la regola di
corrispondenza (1.311) si ottiene
=
e
2
2h

>0

[A(n +, n)[
2

n+,n

2
n+,n

2

[A(n, n )[
2

n,n

2
n,n

2

(1.318)
che coincide, a parte le notazioni leggermente diverse, con la relazione di Kramers (1.304).
1.20 La transizione alla meccanica quantistica.
Dai paragra precedenti dovrebbe ormai risultare chiaro che il problema centrale il cal-
colo delle ampiezze di transizione A(n + , n) analoghe alle ampiezze classiche C

.
questo il problema affrontato e risolto da Heisenberg nel fondamentale lavoro[Heis25].
Consideriamo per semplicit un sistema periodico, unidimensionale, ad esempio un
oscillatore anarmonico. Classicamente le grandezze C

sono denite dalla soluzione delle


equazioni del moto:
x = f(x) (1.319)
dove f(x) , ad esempio, un polinomio in x. La soluzione classica ha la forma
x =
1
2

e
i2t
(1.320)
La notazione identica a quella usata nella (1.314), ora indichiamo con le frequenze
esatte del sistema. Usiamo , . . . come interi al posto di per evitare confusioni tipo-
grache con il tempo t. Classicamente la fequenza che corrisponde al salto quantico
1.20. LA TRANSIZIONE ALLA MECCANICA QUANTISTICA. 95
n n + , qundi scriviamola
cl
(n, ). A questa frequenza corrisponde una frequen-
za quantistica, tramite la regola di Bohr, (n, ). Lidea usata nei paragra precedenti
di fare corrispondere a C

una ampiezza quantistica A(n, n ) e quindi scrivere,


quantisticamente
q(t) =
1
2

A(n, n )e
i2(n,n)t

q(n, n )e
i2(n,n)t
(1.321)
Questo molto ragionevole dal punto di vista sico: le quantit osservate, via ad esempio
la relazione di dispersione, sono le quantit A(n, n ) ed quindi giusto concentrare la
nostra attenzione su queste quantit. Un sistema come loscillatore anarmonico perio-
dico, quindi nel linguaggio classico integrabile ed ha solo stati stazionari. Limitiamoci
a questo tipo di sistemi per semplicit. In questo caso qualunque dipendenza temporale,
per qualunque osservabile deve corrispondere a transizioni fra stati stazionari, cio la pi
generale dipendenza temporale proprio della forma (1.321):
Q(t) =

B(n, n )e
i2(n,n)t
(1.322)
possiamo quindi dire che qualunque osservabile deve essere rappresentabile da coefcienti
del tipo B(n, n ).
Torniamo ora al problema di determinare i coefcienti A(n, n ) per la variabile q.
In linea di principio basta sostituire lespressione (1.321) nella (1.319), riscritta per q, ed
avere delle equazioni per A. Ma c un grosso problema. Se, ad esempio, f(x) = x
2
cosa
si sostituisce al posto di q
2
? Qual cio la regola per costruire i coefcienti B per q
2
se
si conoscono quelli, A, per q? Consideriamo proprio il caso f(x) = x
2
. Si avr
q
2
=
1
4

B(n, n )e
i2(n,n)t

[q
2
](n, n )e
i2(n,n)t
(1.323)
NOTA: attenzione a non confondere [q
2
](n, n ) che indica il rappresentante della quantit q
2
con lespressione (q(n, n ))
2
che il quadrato del numero q(n, n ).
Qui si coglie un primo punto importante: se si deve soddisfare unequazione come la
(1.319) si avranno relazioni del tipo
A(n, n ) B(n, n )
il che signica che non solo il modulo, ma anche la fase dei coefcienti A(n, n )
importante, perch naturalmente si deve avere uguaglianza anche in fase. Questo ci aiuta
a capire la situazione. La fase dei coefcienti si comporta come la dipendenza temporale.
Ora per le frequenze classiche si ha

cl
(n, ) +
cl
(n, ) =
cl
(n, +) (1.324)
trattandosi di armoniche. Quantisticamente invece la legge di Bohr sulle frequenze, o se
vogliamo il principio di combinazione di Ritz, ci dice che deve valere
(n, n ) = (n, n ) +(n , n ) (1.325)
Classicamente chiaro come costruire x
2
, basta fare il prodotto di due serie di Fourier, che
sono serie di potenze,
x
2
=
1
4

e
i2t
=
1
4

e
i2
cl
(n,n)t
96 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Cio classicamente la -sima componente di Fourier
(x
2
)

=
1
4

e
i2
cl
(n,n)t
(1.326)
che ovviamente compatibile con la legge di composizione (1.324) per le frequenze:
e
i2t
cl
(n,)
e
i2t
cl
(n,)
= e
i2t(
cl
(n,)+
cl
(n,))
= e
i2t
cl
(n,)
La legge di composizione quantistica (1.325) invece, scritta per le fasi, diventa
e
i2(n,n)t
= e
i2t((n,n)+(n,n))
= e
i2t(n,n)
e
i2t(n,n)
(1.327)
Visto che le fasi dei coefcienti A(n, n ) devono combinarsi come le fasi temporali
esplicite deve allora valere, quantisticamente
[q
2
](n, n ) =

q(n, n )q(n , n ) (1.328)


Ponendo n = i, n = k, n = j il lettore riconoscer nella (1.328) la legge di
moltiplicazione di due matrici:
(q
2
)
ij
=

k
q
ik
q
kj
(1.329)
Notiamo anche che la relazione di Bohr fra frequenze di transizione e livelli atomici d:
(n, n ) = (n , n), quindi per le fasi si ha
e
i2(n,n)t
= e
i2(n,n)t
=

e
i2(n,n)t

Imponendo di nuovo che le quantit A(n, n ) si trasformino come le fasi temporali


A(n, n ) = [A(n , n)]

(1.330)
che sostituisce la relazione classica C

= C

.
chiaro che rappresentare una coordinata classica con un oggetto che non soddisfa ad
unalgebra commutativa, una matrice, una cosa piuttosto lontana dalla intuizione classica
ma questo punto verr discusso pi ampiamente nel resto del libro. Diamo ora per buo-
na la prescrizione (1.329) e la sua ovvia generalizzazione a potenze superiori, in linea di
principio possiamo ora sostituire nella (1.319) e ottenere unequazione per le grandezze
q(n, n ). Ma resta un problema: nella vecchia teoria fra le innite soluzioni classiche
dellequazione differenziale (1.319) ne venivano selezionate alcune tramite la scelta delle
costanti del moto, o meglio degli invarianti adiabatici J. Cosa prende il posto di questa
procedura?
Nel caso in esame la condizione di Bohr-Sommerfeld si pu riscrivere nella forma
J = nh =

pdq =

1/
0
dtm x
2
(1.331)
Dalla (1.320) si ha
x = i

()C

e
i2
e quindi, effettuando lintegrale che compare nella (1.331)
nh = m
2

()
2
C

= m
2

()[C

[
2
= 2m
2

>0
()[C

[
2
(1.332)
1.20. LA TRANSIZIONE ALLA MECCANICA QUANTISTICA. 97
Per tradurre questa relazione in unaffermazione quantistica, usiamo la procedura di Born
vista nel paragrafo precedente, operando una derivata rispetto ad n:
h = 2m
2

>0

d
dn

[C

[
2
()

(1.333)
Questa espressione ha esattamente la forma che abbiamo gi visto nellanalisi della formula
di Kramers, quindi possiamo scrivere immediatamente la trascrizione tramite la procedura
di Born:
h = 2m
2

>0

[A(n +, n)[
2
(n +, n) [A(n , n)[
2
(n, n )

(1.334)
ma questa esattamente la relazione di Thomas e Kuhn (1.309), che deve essere soddisfatta
come regola di somma. Quindi da un lato abbiamo vericato che la (1.309) discende di-
rettamente dal principio di corrispondenza esteso nella maniera di Born, dallaltra abbiamo
trovato un vincolo che sostituisce la relazione semiclassica (1.331). Notiamo che, usando
la relazione (n, n ) = (n , n), la (1.334) pu essere scritta pi semplicemente
nella forma di una serie non vincolata:
h = 2m
2

[A(n +, n)[
2
(n +, n) (1.335)
Aquesto punto il problema ben denito. Nel lavoro[Heis25] Heisenberg sfrutta questa
relazione e le equazioni del moto per risolvere il problema delloscillatore armonico
32
e d
una trattazione perturbativa di quello anarmonico. In breve tempo Born e Jordan[BoJo25]
riconoscono nel formalismo di Heisenberg la struttura di algebra delle matrici e fanno
vedere che la relazione (1.334) corrisponde alla regola di commutazione
[q, p] = i
h
2
(1.336)
Dalla relazione (1.321) segue
p = m q = i

A(n, n )(n, n )e
i2(n,n)t

[p](n, n )e
i2(n,n)t
(1.337)
La regola di moltiplicazione (1.328) impone
qp(n, n ) =

q(n, n )p(n , n ) =
im
2

A(n, n )A(n , n )(n , n )


pq(n, n ) =

p(n, n )q(n , n ) =
im
2

A(n, n )(n, n )A(n , n )


Il termine diagonale, = 0, delle relazioni precedenti d:
qp pq (n, n) =
im
2

[A(n, n )[
2
(n , n) [A(n , n)[
2
(n, n )

= im

[A(n +, n)[
2
(n +, n) (1.338)
Nellultimo passaggio abbiamo cambiato lindice di somma . Usando la (1.335) si ha
qp pq (n, n) = im
h
2m
2
= i
h
2
(1.339)
32
Il lettore invitato a leggere almeno per sommi capi il lavoro in questione. Alcune parti, quell relative allo
sviluppo perturbativo, saranno riviste nel capitolo sulla teoria perturbativa.
98 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
che esattamente il termine diagonale della (1.336). Nellarticolo[BoJo25] si fa vedere che i termini
non diagonali sono nulli.
Subito dopo in un famoso articolo Born, Heisenberg e Jordan[BoHeJo25] forniscono diver-
se applicazioni del formalismo e sviluppano la teoria perturbativa. A brevissima distanza
compare una formulazione completamente diversa della teoria, quella di Schrdinger, che
verr trattata pi diffusamente nel testo principale del libro. In pochi mesi, fra il 1925 e il
1926, si ha la transizione dalla vecchia alla nuova meccanica.
Breve nota bibliograca.
Alla ne del capitolo si trova un breve elenco delle opere e degli articoli citati nel testo e
nelle appendici. Abbiamo cercato, quando possibile, di fornire lindicazione di versioni in
lingua italiana o inglese degli articoli originali.
Fra i testi citati vogliamo qui segnalare i libri di M. Born[Born32] e quello di S.
Tomonaga[Tomonaga], dove il lettore pu trovare unesposizione molto chiara, tra le altre
cose, degli argomenti trattati in questo capitolo.
Per il lettore che voglia approfondire la parte storica consigliamo i testi di J. Mehra e
H. Rechenberg[Mehra], di M. Jammer[Jammer] e di A. Pais[Pais1, Pais2]. In questi testi,
fra laltro, il lettore pu trovare unampia bibliograa.
Gli articoli di Einstein citati nel testo si possono reperire tradotti in inglese nei Col-
lected Papers[Einstein]. Alcuni articoli tradotti in italiano si possono trovare, ad esempio,
in[Einstein2].
Appendici e Complementi
1.A Termodinamica del corpo nero.
Consideriamo alcuni semplici aspetti termodinamici della radiazione di corpo nero. Il
lettore che voglia approfondire largomento pu consultare il testo di Planck[Pla-H.R.].
Consideriamo un corpo a temperatura T in equilibrio termico con la radiazione. Una
situazione di questo tipo pu essere idealizzata come una cavit con pareti riettenti
33
.
Dallelettromagnetismo sappiamo che possiamo denire una densit di energia, u, ed
una densit di impulso, g = u/c. In termini del vettore di Poynting S, si ha g = S/c
2
.
allora immediato calcolare la quantit di
energia che arriva al secondo su una super-
cie dS, da un angolo solido d in direzione
, in un tempo dt (vedi gura), e la quantit
di impulso, sempre nella direzione :
E = u
d
4
[cdtdS cos ] (1.340a)
P =
u
c
d
4
[cdtdS cos ] (1.340b)
d

dS
Nella cavit la radiazione isotropa, cio u non dipende da . Dalla (1.340b) si pu cal-
colare la pressione di radiazione: in una riessione su una parete limpulso trasferito in
direzione ortogonale alla parete 2P cos quindi per la pressione si ha:
p =

2P cos
dtdS
=

2u
d
4
cos
2
=
u
3
(1.341)
lintegrale stato fatto sullangolo azimutale, 0 2, e sulla parte interna alla cavit,
0 /2. Dora in poi indicheremo questo tipo di integrale con la notazione

<
d

2
0
d

/2
0
sin d
Teorema di Kirkhhoff. La densit di energia u dipende dalla temperatura. La sua com-
posizione spettrale denita come lenergia per unit di volume con frequenza compresa
nellintervallo , +, e indicata con u

(, T). In ternmini della funzione u

(, T) si
ha:
u(T) =


0
u

(, T) d


0
u

d (1.342)
33
Per pareti perfettamente riettenti la radiazione riessa ha la stessa frequenza della radiazione incidente e
quindi non si potrebbe raggiungere lequilibrio termodinamico a partire da una situazione generica. Possiamo
pensare di aggiungere un granello di polvere che assorbendo e riemmettendo radiazione catalizzi il processo di
equilibrio: lo stesso procedimento che si utilizza quando si tratta un gas perfetto in una scatola con pareti liscie.
Il granello di polvere chiaramente non ha inuenza sulle funzioni termodinamiche.
99
100 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Il primo risultato importante, dovuto a Kirkhhoff, che la funzione u

(, T) non dipende
dal tipo di cavit. Supponiamo infatti di avere due cavit, A, B se la funzione non uguale,
allora una delle due, ad esempio A, ha, in un certo intervallo di frequenza, una densit di
energia maggiore: u
A
(, T) > u
B
(, T). Consideriamo ora una bra ottica di sezione S
che lasci passare solo lintervallo di frequenza in questione e connetta le due cavit. I ussi
di energia da A verso B e viceversa, in un tempo dt, sono, dalla (1.340a):

AB
=

<
u
A
(, T)
d
4
[cdtS cos ]
BA
=

<
u
B
(, T)
d
4
[cdtS cos ]
Nelle ipotesi fatte
AB
>
BA
.
Si ha quindi un usso di energia da A a B: la seconda cavit allora aumenta la sua
temperatura in modo da equilibrare il usso. La differenza di temperatura ottenuta si pu
utilizzare in una macchina termica funzionante no a portare B alla temperatura originaria.
In questo modo si sarebbe ottenuto lavoro a partire da una sola sorgente, A, senza altri cam-
biamenti, e ci contraddice il secondo principio della termodinamica, quindi deve essere
u
A
(, T) = u
B
(, T).
Denizione di corpo nero. Consideriamo ora un qualunque corpo a temperatura T, e
supponiamo che emetta radiazione in modo dipendente soltanto dalla temperatura
34
. Chia-
miamo J(, ) lenergia emessa al secondo per intervallo di frequenza e di supercie
nellangolo solido d:
W
em
dd
= J(, )dS (1.343)
Il coefciente J si chiama coefciente di emissione
35
. Questo stesso corpo, sottoposto a
irragiamento, pu assorbire una certa percentuale della radiazione incidente. Se I

()
la densit spettrale della radiazione incidente per unit di angolo solido, ragionando come
nella (1.340a) si ha che lenergia al secondo incidente dallangolo solido d sullunit di
supercie
W
inc
ddS
= cI

cos
d
4
(1.344)
di questa una frazione A(, ) sar assorbita. Il coefciente A si chiama coefciente di
assorbimento.
I coefcienti J, A dipendono dal corpo chiaramente. Supponiamo per semplicit che
il corpo non sia uorescente, e che tutta la radiazione incidente venga assorbita o ries-
sa. In questa situazione allequilibrio termico per ogni angolo solido e per ogni interval-
lo di frequenza si deve avere un bilanciamento fra energia assorbita e energia riemessa.
Allequilibrio termico la radiazione ambiente u

, isotropa, quindi si deve avere


J(, ) = A(, )
c
4
u

cos
J(, )
A(, )
=
c
4
u

cos (1.345)
cio il rapporto fra il coefciente di emissione e quello di assorbimento universale, non
dipende dal corpo ma solo dalla densit spettrale della radiazione allequilibrio termico,
u

(T). Questo il contenuto di un secondo teorema di Kirchhoff (1859). Si denisce corpo


nero un corpo che assorbe tutte le frequenze, in cui cio A = 1. u

quindi direttamente
connessa al coefciente di emissione di un corpo nero.
34
Il caso pi semplice quello in cui il corpo non cambia durante lemissione, ma possono anche avvenire
reazioni chimiche, purch la temperatura sia lunico parametro di regolazione.
35
Spesso si usa la notazione J = K cos .
1.A. TERMODINAMICA DEL CORPO NERO. 101
istruttivo presentare una deduzione elementare
della (1.345), che ` sostanzialmente la prima dimo-
strazione di Kirchhoff. Consideriamo una situa-
zione come quella illustrata in gura. S1, S2 sono
due specchi perfettamente riettenti. K1, K2 sono
due corpi trasparenti a tutte le frequenze eccetto
quelle comprese nellintervallo (, + d). Pos-
sono emettere o assorbire luce in questo intervallo
di frequenza attraverso le superci tratteggiate in
gura.
S
1
S
2
K
1
K
2
A B C
I poteri emissivi ed assorbenti sono (e, a) e (E, A) rispettivamente. Siano I
(A)
L
, I
(A)
R
le intensit
luminose, nellintervallo considerato in frequenza, che si propagano verso sinistra e verso destra nella
regione A. Grandezze analoghe siano denite nelle regioni B, C.
Allequilibrio deve essere I
(A)
L
= I
(A)
R
e lintensit verso sinistra in A quella non assorbita
proveniente dalla regione B, cio I
(A)
L
= I
(B)
L
(1 a). Lo stesso ragionamento vale nella ragione C,
si hanno dunque le relazioni

I
(A)
L
= I
(A)
R
I
(A)
L
= I
(B)
L
(1 a)

I
(C)
L
= I
(C)
R
I
(C)
R
= I
(B)
R
(1 A)
Nella zona B il corpo K1 emette radiazione verso destra e quello K2 verso sinistra, inoltre presente
la radiazione proveniente dalle zone A, C:

I
(B)
R
= e +I
(A)
R
= e +I
(B)
L
(1 a)
I
(B)
R
= E +I
(C)
L
= E +I
(B)
R
(1 A)
Allequilibrio i corpi devono emettere la stessa quantit di energia che assorbono, quindi
e = aI
(B)
L
E = AI
(B)
R
Sostituendo nelle relazioni precedenti si ottiene
e
a
=
E
A
che esprime appunto luniversalit del rapporto e/a.
Lenergia totale emessa dallunit di supercie di un corpo nero al secondo,
W =


0
d

<
dJ(, ) =

<
d
c
4
ucos =
c
4
u (1.346)
Sperimentalemente Stefan, nel 1879, ha trovato che (legge di Stefan)
W = T
4
(1.347)
Il valore attuale di
= 5.670400(40) 10
5
erg
sec cm
2
K
4
= 5.670400(40) 10
8
W
m
2
K
4
Questa legge stata dedotta teoricamente da Boltzmann (1884) ed quindi nota come
legge di Stefan-Boltzmann, la costante si chiama costante di Stefan-Boltzmann, e, come
vedremo, deducibile da altre costanti fondamentali.
Il secondo principio della termodinamica, cio lesistenza dellentropia, applicato alla
radiazione, si scrive
TdS = dU +pdV
U = uV lenergia interna. Utilizzando lequazione di stato (1.341) e ricordando che u
una funzione solo di T:
dS =
1
T
(V du +udV ) +
1
T
u
3
dV =
V
T
du +
4
3
u
T
dV =
V
T
u

(T)dT +
4
3
udV
102 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Imponendo che dS sia un differenziale esatto:

V
T
u

=
4
3

u
T


1
3
u

T

4
3
u
T
2
= 0
da cui, imponendo u(0) = 0:
u = aT
4
(1.348)
Dalla (1.346) segue
=
c
4
a a =
4
c
(1.349)
Sostituendo nella denizione di S:
dS =
4
3
aT
3
+ 4aT
2
V dT S =
4
3
aT
3
V (1.350)
La (1.350) esprime il fatto, probabilmente noto al lettore, che in unespansione adiabatica la
temperatura decresce come V
1/3
, cio con le dimensioni lineari del sistema, fatto questo,
ad esempio, allorigine del raffreddamento della radiazione fossile delluniverso.
Il secondo principio della termodinamica implica anche un importante risultato sulla
distribuzione spettrale u

(, T), la legge di Wien (1893).


1.A.1 Legge di Wien.
Legge di Wien: La forma generale della funzione u

(, T) data da
u

(, T) =
3
f

(1.351)
In questo capitolo daremo tre diverse dimostrazioni di questa legge, ognuna metter in
luce aspetti diversi del problema. La prima dimostrazione quella classica di Wien, vedi
ref.[Pla-H.R.].
Consideriamo una cavit a temperatura T, con pareti perfettamente riettenti, e suppo-
niamo di comprimere lentamente, con velocit V
P
una delle pareti, di area A. Per velocit
V
P
innitesime questa compressione adiabatica, perch non c scambio di calore, e
reversibile
36
.
Consideriamo un singolo raggio di luce che incide sulla parete mobile con un angolo
. Nel processo di riessione avvengono due fenomeni: la frequenza della luce cambia per
effetto Doppler e lenergia del raggio cambia. Possiamo pensare alla luce riessa come
proveniente da una sorgente virtuale posta al di l della parete, se la sorgente reale a
distanza x dalla parete la distanza fra la sorgente virtuale e quella reale 2x, quindi al
muoversi della parete la velocit 2 dx/dt = 2V
P
e leffetto Doppler al primo ordine
fornisce per la frequenza della luce riessa

1 + 2
V
P
c
cos

(1.352)
Una dimostrazione alternativa si pu ottenere passando al sistema di riferimento solidale
alla parete. In questo sistema la luce riessa e quella incidente hanno la stessa frequenza.
Effettuando la trasformazione di coordinate dal laboratorio al sistema mobile e viceversa,
prima e dopo la riessione si riottiene il risultato (1.352).
36
Non tutte le trasformazioni lente sono necessariamente reversibili, in questo caso abbastanza ovvio che la
trasformazione pu essere pensata avvenire attraverso stati di equilibrio, la forza esterna che spinge la parete in
equilibrio con la pressione di radiazione allinterno della cavit. Una dimostrazione formale di questo fatto si pu
trovare nel testo di Planck, noi vericheremo la cosa a posteriori.
1.A. TERMODINAMICA DEL CORPO NERO. 103
Consideriamo ora lenergia di un singolo raggio. La quantit di energia che incide da
un angolo con frequenza sullarea A in un tempo dt
I(, )ddt = u

d
4
[Acdt cos ]d (1.353)
Quindi Id lenergia al secondo che incide sulla parete e corrispondentemente Id/c
limpulso. Per la conservazione dellenergia, lenergia riessa sar data da quella incidente
pi il lavoro della forza esterna. La forza corrispondente ad una trasformazione quasi-
statica la stessa della forza di equilibrio (si pensi ad una compressione lenta di un gas,
la forza pA dove p la pressione di equilibrio). Come abbiamo visto nel calcolo della
pressione di radiazione limpulso incidente Id/c, in condizioni di equilibrio, d luogo ad
una variazione di impulso al secondo, cio ad una forza
F = 2
Id
c
cos
ed un corrispondente lavoro L = FV
P
dt. Quindi lenergia riessa in un tempo dt in
seguito allincidenza del raggio (1.353)
I(, )ddt + 2
Id
c
cos V
P
dt = I(, )d

1 + 2
V
P
c
cos

dt (1.354)
In una trasformazione adiabatica si ha perci un travaso di energia fra le diverse compo-
nenti spettrali della radiazione. Quello che vogliamo scrivere appunto il bilancio energe-
tico del processo, calcolare cio il cambiamento dellenergia della componente spettrale ,
(u

V )d.
Tutta lenergia che incide sulla parete viene rimossa, a causa delleffetto Doppler, dalla
componente in esame, si ha cio una perdita:

<
I(, )dt (1.355)
dove al solito lintegrale fatto per raggi incidenti, quindi /2.
Si ha poi un guadagno dovuto al travaso da modi di energia diversa, sempre per effet-
to Doppler. Consideriamo una incidenza ad angolo (che non ha niente a che fare con
langolo di incidenza considerato prima, qui un angolo generico su cui integreremo).
Le frequenze che dopo riessione diventano sono date, al primo ordine in V
P
/c dalla
relazione inversa alla (1.352)

1
=

1 2
V
P
c
cos

(1.356)
Il guadagno in energia in questo processo si legge direttamente dalla (1.354)

+
=

<
I(
1
, )d
1

1 + 2
V
P
c
cos

dt

<
I(
1
, )ddt (1.357)
Abbiamo sfruttato il fatto che al primo ordine in V
p
d
1

1 + 2
V
P
c
cos

= d

1 2
V
P
c
cos

1 + 2
V
P
c
cos

d
Sviluppando in serie di Taylor
I(
1
, ) I(, ) +
u

2
V
P
c
cos

d
4
[Acdt cos ]
104 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Usando

<
d
4
cos
2
=
1
6
si ha allora

+
=

1
3
[AV
P
dt]d =

+
u


1
3
dV d (1.358)
dV = [AV
P
dt] la variazione di volume, il segno meno dovuto al fatto che stiamo
considerando una compressione.
Quindi la variazione di densit spettrale di energia
(u

V ) =
1
3
u

V
u

V
V
=
1
3
u

V
u

V
=

3
u

u (1.359)
La (1.359) lineare in V , quindi in t, cio cambiando il segno del tempo leffetto cam-
bia segno, si ha quindi in effetti un processo reversibile. La (1.359) una equazione
differenziale per u intesa come funzione di e V . immediato vericare che la posizione
u

(, V ) =
3
f
1
(
3
V )
fornisce la soluzione. In una trasformazione adiabatica reversibile, vedi (1.350), V T
3
=
cost., quindi al posto di V possiamo sostituire T
3
ed ottenere inne
u

(, T) =
3
f(/T) (1.360)
cio la legge di Wien (1.351).
Particelle a massa nulla. Come probabilmente il lettore gi s, uno dei principali risultati
che otterremo nello studio della meccanica quantistica la descrizione della radiazione
elettromagnetica attraverso particelle a massa nulla, i fotoni, con energia data da E = h
ed impulso p = E/c = h/c. In vista di questo risultato facciamo vedere come la legge
di Wien si possa ottenere in modo elementare con un procedimento noto dallo studio delle
trasformazioni adiabatiche di un gas perfetto.
NOTA. Il lettore intenda la trattazione seguente come una trattazione puramente euristica dellar-
gomento. I fotoni non sono trattabili come particelle statisticamente indipendenti nel senso della
statistica di Boltzman. Il motivo per cui i risultati seguenti danno il risultato corretto che in realt
tutte le relazioni sono basate sulle propriet della densit di energia, il numero di fotoni una quantit
puramente ausiliaria denita fra qualche riga.
Consideriamo un gas di particelle a massa nulla. Sia n(E)dE il numero di particelle
per unit di volume con energia compresa fra E e E + dE. Supponiamo la distribuzione
isotropa, come ovvio. In questo linguaggio la densit di energia e la densit spettrale sono
date da
u =

dEn(E)E =

dEu(E) u(E) = En(E) (1.361)


Il lettore esperto avr notato che assumere lesistenza di una funzione n(E)dE per il nu-
mero di particelle unipotesi piuttosto azzardata, nel senso che in generale il numero di
particelle per unit di volume dipende anche dal numero totale di particelle, ad esempio.
Nei calcoli seguenti lunica grandezza che entrer in gioco u(E), la densit di energia,
quindi si pu considerare n(E) come una variabile ausiliaria, in effetti n(E) = U(E)/E
per denizione. Commenteremo in seguito cosa succede per un gas composto da particelle
diverse dai fotoni.
Con un procedimento ben noto dallo studio di un gas perfetto, il numero di urti di
particelle provenienti da un angolo su unarea dA
^(E, )dEdt = n(E)dE
d
4
[dAcdt cos ]
1.A. TERMODINAMICA DEL CORPO NERO. 105
Per urto elastico contro una parete si ha un trasferimento di impulso 2
E
c
cos e quindi si
ha una pressione
p =

dE

<
n(E)dE
d
4
c cos 2
E
c
cos =
u
3
(1.362)
Quindi questo gas soddisfa alla stessa equazione di stato della radiazione.
Passiamo ora alla legge di Wien. Lurto elastico contro una parete riettente mobile
porta ad un cambiamento di energia
E

= E

1 +
2V
P
c
cos

(1.363)
Basta ragionare come per la radiazione: nel sistema di quiete della parete lenergia nellurto
resta invariata, effettuando la trasformazione di Lorentz segue la (1.363).
Lenergia dei fotoni persi , come nel calcolo precedente:

<
^(E, )dtdE E (1.364)
I fotoni che, dopo riessione, hanno energia E provengono da energie:
E
1
= E

1
2V
P
c
cos

Quindi il guadagno di energia , usando la (1.364):

+
=

<
^(E
1
, )dtdE
1
E
1

1 +
2V
P
c
cos

(1.365)
Di nuovo dE
1
(1 +
2V
P
c
cos ) = dE e quindi

+
=

<
^(E
1
, )dtdE E
1
(1.366)
Usando ora la denizione u(E) = n(E)E si ricava di nuovo la (1.359):
(uV ) =
1
3
E
u
E
EV u(E, T) = E
3
f(E/T) (1.367)
Quindi la legge di Wien consistente con un gas di particelle a massa nulla di energia
proporzionale alla frequenza.
Torniamo ora al punto segnalato allinizio del paragrafo. Per particelle materiali la densit spettrale
dipende anche dalla densit di materia, in generale, quindi conclusioni analoghe alla (1.367) non
sono ottenibili. Un caso in cui ci si pu fare quando il numero di particelle semplicemente un
fattore moltiplicativo per tutte le quantit, in altre parole come ragionare con una sola particella
moltiplicando alla ne per N, numero di particelle, i risultati per quantit estensive. Questo vero
nellipotesi di indipendenza statistica, cio nel caso della statistica di Maxwell-Boltzmann. Come il
lettore sapr per gas quantistici degeneri di Bose o Fermi non valgono relazioni del tipo U(N, T) =
NU(1, T) per lenergia, si hanno quindi delle correlazioni fra le varie particelle. Questo discorso
apparir pi chiaro quando si studier la meccanica quantistica di particelle identiche.
Consideriamo comunque per esercizio il caso di particelle con massa, non relativistiche per
semplicit. Il numero di urti , in ogni caso
A(E, )dEdt = n(E)dE
d
4
[dAvdt cos ] E =
mv
2
2
(1.368)
Il trasferimento di impulso in un urto 2mv cos e si ricava facilmente per la pressione
p =

ndE
d
4
2mv
2
cos
2
=
2
3
u =
2
3
U
V
(1.369)
106 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
che lusuale relazione fra energia e pressione per un gas perfetto. Nel caso di Boltzmann si pu
andare un p oltre. Sappiamo che la distribuzione deve risultare:
d
3
ve
E/kT
E
1/2
dEe
E/kT
u(E)dE E
3/2
e
E/kT
dE
Consideriamo di nuovo una compressione adiabatica reversibile. In un urto elastico contro la parete
mobile si ha una variazione di energia
E

= E + 2mvVP cos (1.370)


e questo meccanismo fornisce il meccanismo di bilanciamento fra le varie componenti spettrali u(E),
come nel caso radiativo. La perdita di energia negli urti , usando la (1.368)
=

<
E n(E)dE
d
4
[dAvdt cos ] (1.371)
Per il calcolo del guadagno notiamo che dalla (1.370) segue che le particelle che dopo lurto hanno
energia E devono avere, prima dellurto, una energia
E1 = E 2mvVP cos = E

1
2mv
E
VP cos

(1.372)
Segue
v1 =

2E1
m
v

1
mv
E
VP cos

(1.373a)
dE1 = dE

(1
mv
E
VP cos

(1.373b)
E

1
= E E1

1 +
2mv
E
VP cos

(1.373c)
Il guadagno di energia
+ =

<
E

1
n(E1)dE1
d
4
[dAv1dt cos ] (1.374)
ed usando le (1.373)
+ =

<
(E1 n(E1))dE
d
4
[dAvdt cos ] (1.375)
Lo sviluppo di Taylor di u(E) in questo caso d
u(E1) = E1 n(E1) u(E) +
u
E
(2mvVP cos )
e quindi per il bilancio energetico si ha
(uV ) =
1
3
mv
2
u
E
dV =
2
3
E
u
E
dV
e lequazione differenziale
V
u
V
=
2
3
E
u
E
u (1.376)
Supponendo che u dipenda solo da E, V la soluzione della (1.376)
u(E) = E
3/2
f1(V E
3/2
)
In una trasformazione adiabatica TV
2/3
= cost., come il lettore ricorder dalla teoria elementare
dei gas perfetti, quindi al posto di V si pu sostituire T
3/2
ed ottenere
u(E) = E
3/2
f(E/T) (1.377)
che il risultato aspettato.
1.A. TERMODINAMICA DEL CORPO NERO. 107
1.A.2 Entropia e spettro.
Consideriamo una cavit riettente ideale. Per riessione la luce non cambia frequenza,
quindi, in assenza del granello di polvere introdotto allinizio del capitolo, non si hanno
processi di termalizzazione. Continuiamo a supporre una radiazione omogenea ed iso-
tropa, in modo che lunico parametro macroscopico che descrive il sistema la densit
spettrale ~u

. Dalla meccanica statistica sappiamo che in ogni caso possibile denire una
entropia, anche per stati di non equilibrio, tramite la formula di Boltzmann, S = k log W,
dove ora W rappresenta il numero di microstati corrispondenti alla realizzazione dello stato
macroscopico, non di equilibrio. Per ogni intervallo di frequenza avremo allora una cor-
rispondente entropia. Lomogeneit del sistema implica sempre che questa entropia una
quantit estensiva, quindi in termini della variabile intensiva ~u

si potr scrivere:
S = V


0
s

(~u

, ) d (1.378)
La distribuzione di equilibrio termico, per questo sistema, quindi con data energia totale U,
corrisponder alla situazione di massima entropia:
massimo(S) U sso
Il punto di massimo deve essere perci invariante rispetto a cambiamenti di ~u, a ssa energia
totale. Introducendo il vincolo con un moltiplicatore di Lagrange:

~u

d = 0 (1.379)
La distribuzione di equilibrio, ~u

= u

deve soddisfare la (1.379) per ogni valore di u

,
deve quindi essere
s

= (1.380)
cio allequilibrio la derivata della densit di entropia rispetto alla densit di energia deve
essere indipendente dalla frequenza. Per determinare questa costante, consideriamo una
piccola variazione di temperatura, reversibile, del sistema. In questo processo la distribu-
zione di equilibrio subir una variazione, u

. La corrispondente variazione di entropia

S = V


0
[s

(u

+ u

, ) s

(u

, )] d V


0
s

d
Usando il fatto che la derivata costante nella frequenza
S = V
s


0
u

d =
s

U (1.381)
Per questa trasformazione isocora il secondo principio della termodinamica si scrive TdS =
dU, quindi la (1.380) implica
s

=
1
T
(1.382)
Notiamo che possibile formalmente denire una temperatura per qualunque distribu-
zione spettrale, questa dipender in generale dalla frequenza:
s

=
1
T

Si ha equilibrio termico, cio una radiazione di corpo nero, quando tutte le temperature
T

sono uguali. lanalogo del fatto che sistemi diversi, qui le varie bande in frequenza,
allequilibrio termico hanno la stessa temperatura.
108 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
1.B Fluttuazioni classiche del campo di radiazione.
La uttuazione dellenergia in un intervallo di frequenza data dalla equazione (1.69a):
'E
2
` =
'E`
2
vZ()
+h'E`

hu

+
c
3
8
2
u
2

v (1.383)
Nel paragrafo 1.6 abbiamo dato una motivazione intuitiva del primo termine ed abbiamo
accennato al fatto che potrebbe essere ottenuto calcolando la uttuazione nellambito della
teoria classica del campo elettromagnetico. Vogliamo qui delineare brevemente una pro-
va di questa affermazione. La prima dimostrazione completa dovuta a Lorentz[Lor16].
La prima trattazione quantistica di un modello semplicato (unidimensionale) del proble-
ma dal punto di vista ondulatorio contenuta in[BoHeJo25] e nel libro[Heis], la versione
classica corrispondente si trova, ad esempio, nel testo [Tomonaga].
La densit di energia elettromagnetica si scrive
1
8
(E
2
+B
2
) per la radiazione:
1
4
E
2
Consideriamo una cavit riempita di radiazione termica a temperatura T. Il calcolo che
faremo si riferisce ad un piccolo volume contenuto nella cavit, abbastanza grande per par-
lare di energia macroscopica ma lontano dal bordo. La termodinamica e le uttuazioni di
questo volume non dipendono dalle condizioni al bordo della cavit, quindi per semplict
assumiamo condizioni al contorno periodiche per il campo elettromagnetico
37
. Conside-
riamo per comodit una cavit di forma cubica, con lato L. Il campo elettrico allora
scrivibile in serie di armoniche nella forma
E =

k
C
k
e
ikx
dove
k =
2
L
(n
x
, n
y
, n
z
) n
x
, n
y
, n
z
: interi positivi e negativi (1.384)
Poich E soddisfa lequazione delle onde, i vettori C
k
devono soddisfare a

C
k
+
2
k
C
k
= 0
k
= c[k[
sono cio funzioni armoniche. Si pu allora considerare lo sviluppo in termini di onde
progressive
E =

a
k
e
ikx
+a

k
e
ikx

(1.385)
Il fattore

4 introdotto per comodit. I fattori a
k
dipendono dal tempo con e
i
k
t
.
Chiaramente C
k
a
k
+a

k
.
I vettori k sono i numeri donda, pi volte usati nel testo. La somma intesa sui modi
n
x
, n
y
, n
z
. Per una cavit grande si pu sostituire la somma con un integrale e usare
n
x
n
y
n
z
= L
3
d
3
k
(2)
3
= L
3
d

2
c
3
d = c[k[ = 2 (1.386)
Noi vogliamo scrivere la densit di energia spettrale, attorno ad una frequenza , del-
lenergia contenuta in un piccolo volume v: dobbiamo cio considerare un elemento in-
nitesimo dello spazio dei vettori donda, e integrare sullangolo solido. In pratica stiamo
considerando una sottile corona sferica di raggio [k[. Dora in poi le somme sui vettori
37
Il lettore pu provare facilmete che usando le pi consuete condizioni di annullamento al bordo del campo
non cambiano i risultati.
1.B. FLUTTUAZIONI CLASSICHE DEL CAMPO DI RADIAZIONE. 109
donda saranno estese solo a questo dominio. Useremo la stessa notazione per lintegrale
nel piccolo volume v. La quantit che ci interessa allora
c =
1
4

x
E
2
=

k,q

a
k
e
ikx
+a

k
e
ikx

a
q
e
iqx
+a

q
e
iqx

(1.387)
La radiazione ha due polarizzazioni, che possiamo considerare statisticamente indipenden-
ti. Quindi per semplicit nel seguito considereremo una sola polarizzazione, alla ne del
calcolo sar evidente come inserire laltra polarizzazione. Avendo un solo grado di libert
considereremo tutte le quantit come se fossero scalari. Indicheremo alla ne una traccia
che il lettore pu seguire per fare il calcolo direttamente in forma vettoriale e tenendo conto
nei passaggi intermedi della polarizzazione.
Notiamo un punto essenziale per il seguito. Nella (1.387) tutte le frequenze sono vici-
ne, visto lintervallo di integrazione. Nei prodotti ci sono dei termini rapidamente variabili,
a a, a

, e dei termini variabili lentamente, a a

. Per parlare di una quantit termodi-


namica dobbiamo fare la media sui termini variabili rapidamente, altrimenti non possiamo
in nessun senso considerare una quantit di equilibrio o di quasi equilibrio macroscopica.
I termini rapidamente oscillanti hanno media nulla, quindi la quantit macroscopica di cui
considereremo le uttuazioni si riscrive, usando la simmetria in k, q:
c =

k,q
2a
k
a

q
e
i(kq)x
(1.388)
Ora si pu procedere in due modi:
Si fa la media sui tempi lunghi, quindi la media temporale dellespressione (1.388).
A noi interessa la media statistica, cos facendo assumiamo che la media temporale
e quella statistica coincidano.
Si assume che le fasi dei numeri a
k
siano casuali. Questo una forma molto sem-
plicata del criterio di Boltzmann di equiprobabilit dei microstati. unassunzione
naturale visto che abbiamo di principio integrato sui tempi veloci, ed inne senza
questa ipotesi sarebbe difcile comprendere la equivalenza fra media statistica e me-
dia temporale. Questa ipotesi, in concreto, ci che si intende classicamente per
radiazione casuale, e la radiazione termica casuale.
Noi adotteremo il secondo criterio, la media statistica quindi consister in una media sulle
fasi, cio in un integrale della fase fra 0, 2.
Per una qualunque fase
1
2

2
0
e
i
d = 0
quindi k = q la media del prodotto a
k
a

q
nulla, mentre se k = q le due fasi si cancellano,
si ha perci:
a
k
a

q
= [a
k
[
2

k,q
(1.389)
In questo modo nella somma (1.388) sopravvivono solo i termini con k = q e si ha
'c` =

k
2[a
k
[
2
(1.390)
Lisotropia della radiazione implica che [a
k
[ dipende solo dal modulo di k, cio dalla
frequenza. Essendo lintervallo di integrazione a frequenza ssata, entro , possiamo
considerare questo fattore costante e portarlo fuori dalla somma, ottenendo:
'c` = 2[a

[
2

k
1 = 2[a

[
2
vL
3
4

2
c
3
(1.391)
110 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
La quantit
F
, denita da:

F
= v4

2
c
3

k
1 = L
3

F
(1.392)
in pratica la fetta di spazio delle fasi che stiamo considerando (ricordiamo che stiamo
considerando una sola polarizzazione).
Passiamo ora al calcolo della uttuazione 'c
2
` 'c`
2
.
Abbiamo, dalla (1.388):
c
2
= 4

x,y

k,q

,q

a
k
a

q
e
i(kq)x
a
k
a

q
e
i(k

)y
(1.393)
Nella media sulle fasi ci sono solo due casi in cui il risultato non nullo:
(k = q, k

= q

) oppure (k = q

, k

= q)
Due delle quattro somme sui modi in questo modo si eliminano e si ha:
'c
2
` = 4

x,y

k,q
[a
k
[
2
[a
q
[
2

1 +e
i(kq)(xy)

(1.394)
Il primo termine proprio 'c`
2
. Al solito possiamo portare fuori dalla somma i moduli
delle ampiezze e scrivere
'c
2
` = 'c`
2
+ 4[a

[
4

x,y

k,q
e
i(kq)(xy)
(1.395)
il vettore k q , genericamente, grande, nel senso che i vettori possono stare in qua-
lunque posizione relativa sulla sfera [k[ = 2/c nello spazio dei modi. Lesponenziale
quindi rapidamente oscillante. Se il volumetto v macroscopico rispetto alle lunghezze
donda, cosa che supporremo
38
, lintegrale in y, ad esempio, si valuta facilmente. Passando
dalle somme agli integrali
I =

x,y

k,q
e
i(kq)(xy)
L
6

d
3
k
(2)
3
d
3
q
(2)
3

dx

dye
i(kq)(xy)
Nellultimo integrale possiamo estendere il dominio di integrazione a tutto il volume e
usare la rappresentazione della distribuzione :

dye
i(kq)(xy)
= (2)
3
(k q)
Si ha allora
I = L
6

d
3
k
(2)
3

dx = L
3

x
= L
6

F
Quindi, sostituendo nella (1.395)
'c
2
` 'c`
2
= 4[a

[
4
L
6

F
=
'c`
2

F
(1.396)
Per due polarizzazioni lunica cosa che cambia lo spazio delle fasi a disposizione, cio i
gradi di libert, che diventano il doppio,
F
2
F
, ma
2
F
= 2 v4

2
c
3
d = vZ

d
38
In caso contrario si avrebbero logicamente degli effetti diffrattivi e non avrebbe alcun senso parlare della
densit di radiazione nel volume.
1.C. ASSORBIMENTO DI UN OSCILLATORE. 111
e si ottiene il primo termine della (1.383).
Concludiamo largomento con una nota: se non avessimo distinto i modi veloci da
quelli lenti, se cio non fossimo passati dalla (1.387) alla (1.388) si sarebbe ottenuto un
risultato sbagliato per un fattore 2.
Se si vuole tenere in conto esplicitamente delle polarizzazioni, la decomposizione di Fourier del
campo elettrico (1.385) si scrive:
E =

k,

a(k, )

e
ikx
+a

(k, )

e
ikx

(1.397)
Lindice = 1, 2 indica le due polarizzazioni indipendenti.

i versori di polarizzazione, che


possono per semplicit essere considerati reali e ortogonali fra loro, 1 2 = 0. I vettori sono
ortogonali alla direzione di propagazione, k = 0, quindi costituiscono una base ortogonale nel
piano ortogonale al vettore k. Da questo segue lutile relazione di completezza:

ij
kikj
[k[
2

= Proiettore k (1.398)
Le fasi delle ampiezze a(k, ) sono indipendenti per ogni polarizzazione, di modo che la (1.389) va
sostituita da
a(k, 1)a

(q, 2) = [a(k, )[
2

k,q

1
,
2
(1.399)
Il resto del calcolo procede nello stesso modo.
1.C Assorbimento di un oscillatore.
Il campo elettromagnetico allinterno di una cavit in equilibrio termico soddisfa le equa-
zioni di Maxwell nel vuoto. Quindi in un dato punto, diciamo x = 0, ogni componente del
campo elettrico, ad esempio la componente x, scrivibile nella forma
E
x
= Re

i
f
i
e
iit

Re

i
[f
i
[e
iit+ii

i
[f
i
[ cos(
i
t +
i
) (1.400)
la somma effettuata sulle frequenze compatibili con le condizioni al bordo. La (1.400)
non ha molto contenuto, perch qualunque soluzione delle equazioni di Maxwell ha questa
forma, la forma concreta della soluzione dipende dalle ampezze [f
i
[ e dalle fasi
i
, che
sono determinate dalle condizioni iniziali e dallinterazione con le pareti. Per una radia-
zione termica le fasi
i
vanno intese come variabili casuali e in ogni osservazione occorre
effettuare una media su queste fasi. Se immaginiamo, ad esempio, che il processo di intera-
zione avvenga tramite un accoppiamento di dipolo elettrico la fase
i
dipende dalla fase di
oscillazione del dipolo, che appunto casuale allequilibrio termico. nel processo di media
statistica sulle fasi, tutti i termini di interferenza che possono avere origine dalla (1.400) si
mediano a zero:

i
[f
i
[ cos(
i
t +
i
)

2
=
1
2

i
[f
i
[
2
(1.401)
dove abbiamo sfruttato cos
2
(x) = 1/2. Ad esempio per la densit di energia, sfruttando
lisotropia della radiazione:
u =
1
8
E
2
+H
2
=
1
4
E
2
=
3
4
E
2
x
=
3
4

i
1
2
[f
i
[
2
(1.402)
La densit di energia sulla singola frequenza allora
u

=
3
8
[f

[
2
(1.403)
112 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Consideriamo ora un oscillatore armonico di frequenza
0
, che oscilla lungo lasse x per
ssare le idee. Questo sottoposto al campo di radiazione (1.400), esegue quindi uno-
scillazione forzata ed emette radiazione. noto dallelettromagnetismo che una carica
accelerata emette unenergia al secondo pari a

dE
dt
= I =
2
3
e
2
c
3
a
2
(1.404)
dove a = x = accelerazione e E lenergia delloscillatore. Per un oscillatore, sup-
ponendo piccola la perdita di energia per oscillazione, leffetto (1.404) pu essere incluso
nellequazione del moto tramite una forza di attrito effettiva, la forza di frenamento di
Lorentz:
f =
2
3
e
2
c
3
...
x
2
3
e
2

2
0
c
3
x (1.405)
Infatti mediando su un periodo di oscillazione la potenza dissipata per irragiamento:
dE
dt
=
1
T

T
0
2
3
e
2
c
3
...
x vdt =
1
T

T
0
2
3
e
2
c
3
x
dv
dt
=
1
T

T
0
2
3
e
2
c
3
a
2
dt = I
Lequazione del moto per un oscillatore di frequenza
0
si scrive allora
x +
2
0
x + x =
e
m
E
0
= 2
0
=
2
3
e
2

2
0
mc
3
(1.406)
La soluzione omogenea della (1.406) decade esponenzialmente nel tempo, quindi dopo un
transiente possiamo assumere come soluzione quella a regime, proporzionale al campo
esterno. Scrivendo la soluzione in termini di esponenziali complessi:
x =
e
m
Re

i
f
i
(
2
i

2
0
) i
e
iit
(1.407)
Sfruttando la relazione (1.401)
x
2
=
e
2
m
2
1
2

i
[f
i
[
2
(
2
0

2
i
)
2
+
2

2
Per 0 le uniche frequenze rilevanti sono
0
quindi fra tutte le componen-
ti f
i
viene selezionata quella a frequenza
0
che pu essere fattorizzata. Effettuando le
approssimazioni
(
2
0

2
)
2
4
2
0
(
0
)
2

0
si ottiene
x
2
=
e
2
8
2
0
m
2
[f
0
[
2

i
1
(
0

i
)
2
+

2
4
=
=
e
2
8
2
0
m
2
[f
0
[
2

d
2
1
(
0
)
2
+

2
4
=
e
2
8
2
0
m
2
[f
0
[
2
1

Per lenergia media delloscillatore di frequenza


0
, che il doppio dellenergia potenziale
media, si ha perci
E
0
= 2
1
2
m
2
0
x
2
=
e
2
8m
[f
0
[
2
=
3c
3
2 (2
0
)
2
1
8
[f
0
[
2
=
c
3
8
2
0
u
0
(1.408)
Quindi per una frequenza qualsiasi la relazione fra la componente della densit di energia
della radiazione di corpo nero e lenergia di un oscillatore
u

(, T) =
8
2
c
3
E

(1.409)
1.D. ENTROPIA DI SACKUR-TETRODE. 113
1.D Entropia di Sackur-Tetrode.
Lanalisi della distribuzione microcanonica per loscillatore armonico, par.1.4.1, ha una
interessante interpretazione geometrica. Consideriamo lellisse
p
2
2m
+
1
2
kq
2
= E (1.410)
Larea di unellisse di semiassi a, b A = ab, quindi larea delimitata dalla curva (1.410)

A =

2mE

2E
k
= 2E

m
k
=
2E
2
=
E

(1.411)
Il fatto che lenergia sia quantizzata, E = nh, pu essere interpretato dicendo che lo
spazio delle fasi accessibile alloscilatore composto da mattoncini di grandezza h, cio
pq = h 2 (1.412)
A livello statistico sembrerebbe quindi che la novit fondamentale introdotta sia quella di
dare una dimensione minima alle celle dello spazio delle fasi. Nel mettere in relazione gli
ensembles statistici con il conteggio degli stati alla Boltzmann spesso si fa uso di una di-
mensione elementare delle celle nello spazio delle fasi, sembrerebbe che questa granularit
abbia un signicato sico e non si possa mandare a zero la grandezza di queste cellette.
In seguito vedremo come questa granularit dello spazio delle fasi trovi applicazione in
molte situazioni siche, qui vogliamo ancora insistere su un aspetto statistico. Nella di-
stribuzione microcanonica la denizione completa di entropia per un gas perfetto, v. eq.
(1.45), tenendo conto della granularit
S = k log(W) W =
1
N!

H=E
N

1
(
d
3
pd
3
x

3
) (1.413)
larea della celletta elementare nello spazio delle fasi, che dora in poi porremo uguale
ad h. Il fattore 1/N! una costante per lentropia, ma essenziale per evitare il noto pa-
radosso di Gibbs: se si uniscono 2 gas uguali lentropia del sistema non deve cambiare, se
non ci fosse questo prefattore camberebbe. In meccanica classica non c una vera giusti-
cazione per questo fattore: intuitivamente dovuto al fatto che permutando le particelle
nelle celle dello spazio delle fasi lo stato macroscopico non cambia, ma classicamente le
particelle sono distinguibili luna dallaltra, quindi formalmente una loro permutazione do-
vrebbe corrispondere ad un diverso stato microscopico. Per ora teniamoci il fattore 1/N!
senza approfondirne lorigine. Il fattore
3N
= h
3N
presente nella (1.413) cambia
anchesso la costante dellentropia. Questo fattore costante, come noto, entra nelle equa-
zioni di bilancio delle reazioni chimiche, o in generale nelle reazioni in cui il numero di
particelle cambia. Consideriamo allora un gas monoatomico. Nella (1.413) la supercie ad
energia costante
N

1
p
2
2m
= U
cio una sfera di raggio r =

2mU in uno spazio a 3N dimensioni. In generale il volume


di una sfera in R
n

S
n
=

n/2
(
1
2
n + 1)
r
n
(x) = (x 1)!
Si ha allora, indicando con V il volume del gas di elettroni,
W =
1
N!
V
N
h
3N
(22mU)
3N/2
(
3
2
N + 1)
114 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Applicando la formula di Stirling si ha la formula di Sakur-Tetrode[Sack13] per lentropia
di un gas monoatomico:
S = kN

log
V
N
+
3
2
log
2U
3N
+ log
(2m)
3
/2e
5/2
h
3

(1.414)
Questa espressione in accordo con lesperienza. Notiamo che V/N e U/N sono quantit
intensive, ed in particolare possono essere espresse tramite p, T usando le equazioni
U = NE = N
3
2
kT pV = NkT
quindi lentropia (1.414) additiva:
S(N
1
, p, T) +S(N
2
, p, T) = S(N
1
+N
2
, p.T)
e questo dovuto alla presenza in W del fattore 1/N!, come accennato in precedenza.
Un caso particolare di gas monoatomico un gas di elettroni (trascuriamo linterazione
elettrostatica). noto che una schematizzazione con un gas perfetto d conto qualitati-
vamente delle propriet di conduzione in un metallo, ma c un problema: come si pu
ricavare dalla solita equazione dS/dU = 1/T a V costante, la (1.414) implica la nota for-
mula E = U/N =
3
2
kT, cio lequipartizione dellenergia, e questo a sua volta implica
un contributo al calore specico C
V
= 3/2Nk, in realt non si osserva un calore specico
costante a basse temperature, ma un calore specico che va a zero per T 0. Daltronde
ad alta temperatura la (1.414) corretta, e, nel caso degli elettroni, descrive bene lentro-
pia nelle reazioni di eqilibrio di ionizzazione, in cui si ha un equilibrio fra ioni e gas di
elettroni, come in una reazione chimica.
1.E Regole di quantizzazione.
Richiamiamo brevemente alcune nozioni di meccanica analitica. Le equazioni di Hamilton
p
i
=
H
q
i
q
i
=
H
p
i
(1.415)
possono essere ricavate da un principio variazionale

dt (p
i
q
i
H(q, p, t)) = 0 (1.416)
Nella (1.416) e nelle prossime formule gli indici ripetuti si intendono sommati. Quindi tutte
le trasformazioni di variabili (q, p) (Q.P) per cui lintegrando cambia per una derivata
totale lasciano la sica invariata, sono le trasformazioni canoniche. Le trasformazioni
canoniche possono essere espresse tramite funzioni generatrici, il tipo pi comodo per i
nostri scopi dato da
p
i
q
i
H(q, p, t) = P
i

Q
i
H

(Q, P.t) +
d
dt
F(q, P, t) Q
i

P
i
H

+
d
dt
(F +Q
i
P
i
)
Nellultimo termine possiamo pensare Qriespresso in termini di q e P e porre S(q, P, t) =
F(q, P, t) Q
i
P
i
, quindi
p
i
q
i
H(q, p, t) = Q
i

P
i
H

(Q, P.t)+
dS
dt
= Q
i

P
i
H

(Q, P.t)+
S
q
i
q
i
+
S
P
i

P
i
+
S
t
confrontando i differenziali delle due espressioni si ricavano le leggi di trasformazione:
p
i
=
S
q
i
Q
i
=
S
P
i
(1.417a)
H(q, p, t) = H

(Q, P, t)
S
t
(1.417b)
1.E. REGOLE DI QUANTIZZAZIONE. 115
Nella (1.417a), una volta conosciuta S, possiamo invertire la seconda equazione e scrivere
P in termini di Q e q, in questo modo aggiungendo e sottraendo la derivata totale di PQ:
p
i
q
i
H = P
i

Q
i
+
d
dt
(S QP)
posto S

= S QP ed uguagliando di nuovo i differenziali si ricava


p
i
=
S

q
i
P
i
=
S

Q
i
H = H

t
(1.418)
S

funzione di q e Q: S

= S

(q, Q). Il lettore probabilmente ha riconosciuto nellultima


trasformazione di variabili una trasformata di Legendre.
NOTA Le equazioni (1.417b) e (1.418) per lHamiltoniana signicano: esprimiamo p, q
in funzione di P, Q, in questo modo otteniamo una nuova funzione H(q(Q, P), p(Q, P)) =
f(Q, P). Se la trasformazione indipendente dal tempo lHamiltoniana nel nuovo sistema
di coordinate proprio questa, altrimenti data, a seconda del tipo di trasformazione usata,
da:
H

(Q, P) = H(q(Q, P), p(Q, P)) +


S
t
H

(Q, P) = H +
S

t
(1.419)
1.E.1 Sistemi periodici unidimensionali.
Come spiegato nel paragrafo 1.13 nei sistemi periodici unidimensionali la variabile q o un
angolo, nel qual caso le variabili dinamiche devono essere periodiche di periodo 2 oppure
descrive unoscillazione fra un valore minimo ed uno massimo, q
1
, q
2
. In entrambi i casi la
topologia in gioco quelli di un cerchio, o toro unidimensionale.
La motivazione sica per studiare questi sistemi duplice:
1) Si immagina che il sistema classico corrispondente a un sistema quantistico con ener-
gia ssata abbia una frequenza di oscillazione ssata, in modo che si possa parlare di
una frequenza caratteristica del sistema ed eventualemente connetterla alle frequenze
di transizione quantistiche. Questa connessione obbligata nel caso di alti numeri
quantici se si assume il principio di corrispondenza: in questo caso la frequenza di
transizione deve coincidere con la frequenza classica del sistema Deve quindi esistere
una frequenza di oscillazione classica, cio il moto deve essere periodico.
2) Se si assume il principio delle adiabatiche di Ehrenfest il sistema quantistico deve
essere colegato tramite una trasformazione adiabatica ad un oscillatore armonico,
che naturalmente periodico.
Questi sistemi possono essere studiati adattando una tecnica generale per la soluzione
delle equazioni di Hamilton. Se si trova una trasformazione canonica in modo tale che
la nuova Hamiltoniana dipenda solo dagli impulsi, le nuove coordinate sono cicliche e
le equazioni del moto si risolvono banalmente. Chiamiamo w, J le nuove coordinate ed
i nuovi impulsi, che prendono in questo caso il nome di variabili azione-angolo. Dalla
(1.417) abbiamo che la funzione cercata, S(q, J), per Hamiltoniane non dipendenti dal
tempo, deve operare la trasformazione
p =
S
q
w =
S
J
H

(J) = H(p, q) (1.420)


Le equazioni del moto sono banali per le nuove variabili

J =
H

w
= 0 w =
H

J
(J) (1.421)
116 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
La prima equazione dice che J costante, quindi la seconda impone che w sia una funzione
lineare del tempo, in pratica un angolo. Possiamo ancora sfruttare delle trasformazioni
canoniche che lascino invariata la struttura trovata per scegliere la normalizzazione delle
variabili w, scegliamo le variabili in modo tale che lincremento dopo un periodo
39
valga
1. Se T il periodo del moto:
w(t +T) w(t) = w
2
w
1
w = 1 (1.422)
Alle variabili cos selezionate si d il nome di variabili azione (J) - angolo (w) .
La normalizzazione (1.422) permette di esprimere la variabile J in termini delle varia-
bili q, p. Scriviamo la variazione di w in un periodo, T:
w =

t1+T
t1
dt w =

t1+T
t1
dt
d
dt
S
J
Poich J una costante del moto, lunica dipendenza da t in S attraverso q, quindi
1 = w =

J

t1+T
t1
S
q
qdt =

J

t1+T
t1
p qdt =

J

pdq (1.423)
Quindi, riassorbendo una eventuale costante additiva con una trasformazione canonica,
possiamo scrivere
J =

pdq (1.424)
Nella (1.424) p una funzione di q. Nel caso unidimensionale possiamo determinare p
dalla relazione
p
2
2m
+U(q) = E (1.425)
In questo modo la (1.424) fornisce J in funzione di E, invertendo la relazione si ha E in
funzione di J, il che coincide con lHamiltoniana H

(J). Un altro modo per ottenere la


stessa cosa notare che lultima equazione delle (1.420) unequazione differenziale per
S
H(q,
S
q
) = H

(J) (1.426)
Per denizione H

(J) costante, e possiamo chiamarla E:


1
2m

S
q

2
+U(q) = E (1.427)
Questa equazione prende il nome di equazione di Hamilton Jacobi. La (1.426) ha una
soluzione f(q, E):
f(q, E) =

q
q0
dq

2m(E U(q))
(1.428)
La scelta di q
0
determina solo una costante additiva che non gioca alcun ruolo. La derivata
rispetto a q della soluzione precedente ovviamente una radice dellequazione algebrica
(1.425). Nel seguito non useremo mai la forma esplicita di S, quello che interessa che
la soluzione dellequazione di Hamilton Jacobi, (1.427) dipende da una costante, in questo
caso lenergia.
Ci interessano invece alcune propriet generali di S, qualunque sia la sua forma. Rifa-
cendo lo stesso ragionamento fatto per il calcolo di w, abbiamo, per la variazione su un
periodo di S
S =

t1+T
t1
dS
dt
dt =

t1+T
t1
S
q
qdt =

pdq = J (1.429)
39
Si sarebbe potuto scegliere 2 come incremento, la scelta di w = 1 puramente convenzionale ed dovuta
a motivi storici.
1.E. REGOLE DI QUANTIZZAZIONE. 117
S una funzione di q e q periodica, quindi al variare di q, S si comporta come un angolo,
cio come w. Ricordando che lo spazio delle congurazioni pu essere assimilato ad un
cerchio, S una funzione non monodroma su questo cerchio, incrementa di J ad ogni
giro.
Invece la funzione
S

= S wJ (1.430)
cio la sua trasformata di Legendre periodica, perch w aumenta di 1 in un periodo e
quindi S

= S J = 0.
Dimostriamo ora che la variabile di azione J un invariante adiabatico. Supponiamo
di avere un sistema con un parametro variabile, (t). Scriviamo la soluzione del siste-
ma dinamico usando le stesse variabili usate nel caso di costante. Questa procedura
semplicemente la generalizzazione del noto metodo di variazione delle costanti usato nella
risoluzione delle equazioni differenziali. Effettuiamo quindi la stessa trasformazione di va-
riabili, con la stessa funzione S. Per convenienza usiamo qui la variante S

, denita dalla
(1.430). Questa trasformazione denita in modo tale che sostituendo le funzioni q, p, in
termini di J, w la funzione hamiltoniana H(q, p) funzione solo di J. Nel caso in esame,
per, la funzione di trasformazione dipende esplicitamente dal tempo, tramite il parametro
, quindi lHamiltoniana per le variabili trasformate quella denita nella (1.419):
H

= H +
S

t
; H = H(J) (1.431)
Le leggi di trasformazione e le equazioni del moto sono
p =
S

q
J =
S

w
(1.432a)

J =
H

w
=
H
w


t
S

w
=

t
S

w
(1.432b)
La (1.432b) naturalmente segue direttamente dalla denizione di J, stata scritta per
mostrare la consistenza e chiarire che tutta la variazione di J proviene dal parametro .
Quindi per la variazione di J su un intervallo t
1
, t
2
si ha:
J
2
J
1
=

t2
t1


dt (1.433)
Noi siamo interessati al limite

0,

(t
2
t
1
) nito. La funzione lentamente
variabile, possiamo a tutti gli effetti considerare una espansione di Taylor del tipo
(t) = +t

+. . . (1.434)
Alla ne del calcolo sar semplice vericare che gli ordini superiori in t non modicano le
conclusioni, se

continua e limitata. Possiamo allora scrivere
J
2
J
1

t2
t1

dt (1.435)
ci che dobbiamo dimostrare che nel limite considerato il secondo membro della (1.435)
resta nito, malgrado lintervallo temporale diverga.
Se il moto periodico in w, a sso , ogni quantit periodica ha unespansione in serie
di Fourier della forma
f =

n
A
n
()e
i2nw
(1.436)
Notiamo che in generale nella (1.436) compare un termine costante, corrispondente a n =
0. Abbiamo gi dimostrato che S

periodica, quindi anche la sua derivata rispetto a lo .


Il punto importante che nella (1.435) compare la derivata rispetto a w, quindi leventuale
118 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
termine costante nello sviluppo di Fourier non contribuisce, in altre parole lo sviluppo di
Fourier per lintegrando della (1.435) si scrive nella forma generica:

n
A
n
()e
i2nw
(1.437)
lapice sta ad indicare che non c il termine n = 0 nella somma. Questo importante
perch signica che tutti i termini sono rapidamente oscillanti, come nellesempio dello-
scillatore armonico nel paragrafo 1.13. A questo punto, sviluppando in serie di Taylor si
pu scrivere:
J
2
J
1

t2
t1
A
n
(0)e
i2nw
dt +

t2
t1

tA

n
(0)e
i2nw
dt (1.438)
Ora si pu suddividere lintervallo t
2
t
1
in N multipli del periodo T pi un resto T,
minore di T. Il contributo sul resto ovviamente nito. Sugli intervalli di periodo T, il
primo integrale nella (1.438) si annulla perch
w = t +
t
T
+
e lintegrale di una funzione trigonometrica su un periodo nullo. Su ogni singolo periodo
il secondo integrale d al massimo un contributo dellordine aT o aT
2
. Essendoci N
periodi
J
2
J
1

= O(N aT) = O( a(t


2
t
1
)) costante
che proprio quanto volevamo dimostrare. Notiamo che si il sistema ha una frequenza
propria nulla, 0, T e la dimostrazione cessa di valere.
Questa dimostrazione di invarianza adiabatica quella classica, vedi es. [Born25]. Una di-
mostrazione molto dettagliata ed istruttiva si trova nel libro di Tomonaga[Tomonaga]. Il lettore avr
notato che lessenza della dimostrazione passare da un integrale temporale ad ua media sulle fasi
w, questo quello che si ottiene integrando sui singoli periodi. Questo tipo di procedimento, molto
comune ed implicitamente alla base del ragionamento fatto nel paragrafo 1.13, formalizzato, ad
esempio, nel testo di Arnold[Arnold].
La procedura di quantizzazione consiste ora nellassegnare valori interi alle variabili di
azione, J = nh. In questo modo, dalla relazione E = E(J), si ricava una quantizzazione
dellenergia.
1.E.2 Esempi espliciti.
Trattiamo esplicitamente ancora una volta loscillatore armonico per evidenziare i vari
punti del procedimento. Scriviamo lHamiltoniana nella forma
H(q, p) =
p
2
2m
+
1
2
m
2
q
2
(1.439)
Fissato, arbitrariamente, il valore dellenergia, E, possiamo scrivere
p =

2mE m
2

2
q
2
(1.440)
il radicando ha due radici, che delimitano la zona del moto:
q
1
=

2E
m
2
q
2
=

2E
m
2
[q
1
[ = [q
2
[ = q
L
(1.441)
1.F. CALCOLO DI ALCUNI INTEGRALI. 119
Come vediamo la funzione p(q) non una funzione univoca sul segmento [q
1
, q
2
], la si pu
rendere univoca sullo spazio delle congurazioni duplicato [q
1
, q
2
] [q
2
, q
1
], che ha la
topologia di un toro. Per la variabile J si ha
J = 2

q2
q1

2mE m
2

2
q
2
dq = 4
E

+1
1

1 x
2
dx =
2E

0
(1.442)

0
= /2 ci che si chiama frequenza delloscillatore. La nuova Hamiltoniana
H

(J) =
0
J, quindi
w =
0
cio
0
proprio la frequenza della variabile angolo w. La (1.442) basta per effettuare
la quantizzazione del sistema, se vogliamo andare oltre possiamo calcolare S. La soluzione
(1.428) dellequazione di Hamilton Jacobi si scrive, ponendo arbitrariamente a 0 il limite
inferiore dellintegrale per ssare la costante additiva arbitraria:
S =

q
0

2mE m
2

2
q
2
dq =
2E

m/2E
0

1 x
2
dx
=
2E

q/q
L
0

1 x
2
dx =
E

q
q
L

1
q
2
q
2
L
+ arcsin

q
q
L

(1.443)
Come si vede la funzione S non monodroma. Un periodo corrisponde alla variazione
0 q
L
0 q L 0, in questo percorso la funzione arcsin varia di 4 /2 = 2,
e quindi S = 2E/ = J, come aspettato. Una volta scritto E = J possiamo
effettuare la derivata rispetto a J per ricavare w:
w =
S
J
=
arcsin(q/q
L
)
2
q = q
L
cos(2w) (1.444)
ed effettivamente, su un periodo, w = 1. Inne
S

= SwJ =
J
2

q
q
L

1
q
2
q
2
L
+ arcsin

q
q
L

J
2
arcsin

q
q
L

=
J
4
sin(4w)
ed si ha una funzione periodica in w, come aspettato. Per referenza scriviamo anche
lespressione di p: dalla qrefgreg24 si ha, scegliendo le due detreminazioni della radice,
p =

2mE

1
q
2
q
2
L
= mq
L
sin(2w) (1.445)
Il lettore pu provare come esercizio a studiare la quantizzazione dei modelli U = gx
4
,
oppure loscillatore anarmonico U =
1
2
m
2
x
2
+gx
4
, nel limite di piccola anarmonicit.
1.F Calcolo di alcuni integrali.
Nel paragrafo 1.15 abbiamo incontrato lintegrale
J
r
= 2

rmax
rmin

2mE
p
2

r
2
m
2

2
r
2
dr (1.446)
Per p

= 0 si ha lo stesso integrale di un oscillatore unidimensionale, con r


min
= 0 e
r
max
= (2E/m
2
)
1/2
. La variazione da 0 a r
max
lanalogo di 1/4 di oscillazione quindi,
tenendo conto del fattore 2 nella (1.446), J
r
la met dellinvariante per loscillatore:
J
r
=
1
2
E

=
E

= 0 (1.447)
120 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Per p

= 0 il radicando si annulla per


r
2
=
2mE

(2mE)
2
4p
2

m
2

2
2m
2

2
=
E
m
2

1
p
2

2
E
2

e quindi sono determinati r


min
= R
1
, r
max
= R
2
.
Si ha allora, fattorizzando il polinomio
J
r
= 2m

R2
R1
dr
1
r

(r
2
R
2
1
)(R
2
2
r
2
) = m

R
2
2
R
2
1
dx
x

(x R
2
1
)(R
2
2
x) =
= mR
2
1

(R2/R1)
2
1
dz
z

(z 1)(

R
2
R
1

2
z)
Si ha
I
a
=

a
1
dx
x

(x 1)(a x) =

2

a 1

2
(1.448)
Lintegrale pu essere fatto usando le sostituzioni:
x =
a + 1
2
+
a 1
2
sin

2


2
e dopo: u = tan

2
Dalla (1.448) risulta quindi:
J
r
=

2
mR
2
1

R
2
R
1
1

2
=

2
m =
E

1
[p

[
E

=
E

[p

[ (1.449)
Nel limite p

0 ri riottiene il risultato (1.447).


Lintegrale (1.447) e tutti gli altri che si trovano nel testo, possono essere effettuati in
modo molto istruttivo utilizzando lintegrazione nel piano complesso. Tutti gli integrali
considerati possono essere ridotti ad una forma del tipo:
I =

R(z)

(z e
1
)(e
2
z)dz

R(z)

Q(z) e
1
< e
2
R razionale
(1.450)
La radice reale nellintervallo [e
1
, e
2
] e qui ha due determinazioni, in pratica lintegrando
una funzione denita su una supercie di Rieman a due fogli, ed ha singolarit nei punti
singolari di R, e allinnito. Per R z > e
2
il radicando negativo e la fase di z e
2
:

Q =

[Q[e
i
= i

[Q[
Passando allintervallo [e
1
, e
2
] attraverso il semipiano complesso superiore, il fattore ze
2
acquista una fase e
i
, quindi Q [Q[e
2i
e

[Q[
Viceversa nel semipiano inferiore si ha, acquistando Q una fase e
i
,

Q +

[Q[
Inne sullasse reale, per z < e
1
il fattore Q acquista una fase di e
i2
, in quanto cambia di
segno anche il termine z e
1
e quindi

Q i

[Q[
Le varie situazioni sono illustrate in gura 1.10. Lintegrale (1.450) equivale dunque
allintegrale sul contorno del taglio indicato in gura.
1.F. CALCOLO DI ALCUNI INTEGRALI. 121
+ + + + + +
- - - - - -
e e
1 2
+ i - i
0
Figura 1.10: Determinazioni della radice (1.450) nel piano complesso.
Il teorema di Cauchy impone:
I + 2i

a
Res
a
(R

Q) + 2iRes

(R

Q) = 0 (1.451)
da cui si deduce il valore di I. per calcolare il residuo allbasta effettuare la sostituzione
di variabili z 1/z.
Come esempio consideriamo lintegrale della forma (1.448):
I =

dz
z

(z 1)(a z) = 2I
a
a > 1 (1.452)
In questo caso e
1
= 1, e
2
= a. La funzione ha, al nito, un polo in z = 0. Il residuo al
polo semplicemente il coefciente del termine 1/z nello sviluppo di Laurent, quindi
Res
0
= i

[a[ (1.453)
Il fattore i quello determinato nella discussione precedente. Per il residuo allinnito
poniamo z = 1/x, dz = 1/x
2
dx e scriviamo lintegrando nella forma

dx
x

(
1
x
1)(a
1
x
) =

dx
x
2

(1 x)(1 +ax)
Per x 0

1
x
2

(1 x)(1 +ax)
i
x
2
(1
a + 1
2
x +. . .)
Il segno della radice, +i, stato preso in accordo con quanto mostrato in gura 1.10. Il
residuo a z , cio a x = 0 allora:
Res

= i
a + 1
2
(1.454)
Sommando i residui e usando la (1.451):
I = 2i(i

[a[ +i
a + 1
2
) = (a + 1 2

a) = (

a 1)
2
2I
a
(1.455)
Come secondo esempio consideriamo lintegrale (1.260c) per latomo di idrogeno:
J
r
=

dr

E +
Ze
2
r

L
2
r
2
=

dr
r

2[E[r
2
+ 2Ze
2
r L
2
(1.456)
I due punti diinversione sono reali per E = [E[ < 0. Le singolarit sono in r = 0 e
r = . Dalla (1.451)
J
r
= 2i (Res
0
+ Res

) (1.457)
Per r 0, con la prescrizione delle fasi vista precedentemente:
1
r

2[E[r
2
+ 2Ze
2
r L
2

i
r
[L[ Res
0
= i[L[
122 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.
Per r , posto r = 1/y, dr/r = dy/y:

dy
y

2[E[
y
2
+
2Ze
2
y
L
2
=
dy
y
2

2[E[ + 2Ze
2
y L
2
y
2
=
= i
dy
y
2

2[E[
1
2
2Ze
2

2[E[
y +. . .

Res

= i

Ze
2

2[E[
Quindi
J
r
= 2[L[ +

2Ze
2

[E[
= [J

+J

[ +

2Ze
2

[E[
(1.458)
che coincide con il risultato (1.267). Lo stesso procedimento pu essere usato per gli altri
integrali presenti nel testo.
1.G Calcolo perturbativo del dipolo elettrico.
In questo paragrafo tratteremo in modo molto succinto una elementare tecnica perurbativa
che ci permetter di ricavare lespressione per il dipolo elettrico indotto in un sistema clas-
sico. Per semplicit di notazione tratteremo un sistema periodico, i calcoli per un sistema
multiperiodico sono praticamente identici.
Supponiamo di avere trovato le variabili azione angolo per il sistema isolato, w
0
, J
0
.
H
0
(J
0
) la corrispondente Hamiltoniana. Il sistema ora sottoposto ad una perturbazione,
che scriviamo H
1
(w
0
, J
0
, t):
H = H
0
(J
0
) +H
1
(w
0
, J
0
, t) (1.459)
un parametro di sviluppo che porremo uguale ad 1 alla ne dei calcoli, solo un modo
per descrivere il fatto che H
1
trattata come una piccola perturbazione.
Per risolvere il sistema (1.459) possiamo cercare una trasformazione canonica (w
0
, J
0
)
(w, J) in modo tale che nelle nuove variabili lHamiltoniana dipenda solo da J. Sia
S(w
0
, J, t) la funzione di trasformazione:
w =
S
J
J
0
=
S
w
0
H +
S
t
= W(J) (1.460)
Le (1.460) sono identiche alle (1.417). W(J) indica la nuova Hamiltoniana. Cerchiamo la
soluzione in forma di serie in
S = w
0
J +S
1
+. . . W = W
0
+W
1
+. . . (1.461)
La trasformazione S
0
= w
0
J corrisponde alla trasformazione identica, come si verica
immediatamente dalle (1.460). Allordine 0 in si ha dunque W
0
= H
0
. Al primo ordine
J
0
= J +
S
1
w
; w = w
0
+
S
1
J
w
0
w
S
1
J
(1.462)
Quindi, ricordando che H
0
dipende solo da J
0
:
H
0
(J +
S
1
w
) +H
1
(w, J) +
S
1
t
= W
0
+W
1
ed al primo ordine in
S
1
w
H
0
J
+
S
1
t
+H
1
(w, J) = W
1
(J)
1.G. CALCOLO PERTURBATIVO DEL DIPOLO ELETTRICO. 123
Per le equazioni di Hamilton
1
= w =
H
0
J
la frequenza del sistema, quindi

1
S
1
w
+
S
1
t
+H
1
(w, J) = W
1
(J) (1.463)
In generale le derivate di S
1
sono funzioni periodiche, mentre W
1
una costante, quindi,
prendendo la media della (1.463) sulle fasi e sul tempo:
W
1
(J) = H
1
Nel caso che ci interessa si avr H
1
= 0, comunque in ogni caso si ha lequazione

1
S
1
w
+
S
1
t
= (H
1
H
1
) (1.464)
che pu essere risolta ricavando perci S
1
. Ci limiteremo al primo ordine perturbativo,
quindi la (1.464) sufciente per i nostri scopi.
Per il calcolo del dipolo indotto in presenza di una radiazione elettromagnetica, li-
mitandoci come al solito alcaso unidimensionale, possiamo scrivere linterazione nella
forma
H
1
= dE E = E
0
cos(2t) (1.465)
d il dipolo elettrico del sistema, cio, in pratica, ex nel caso unidimensionale. Usando la
stessa notazione del paragrafo 1.19 possiamo scrivere
d = e
1
2

e
i2w
0

(1.466)
La somma estesa a tutte le armoniche, posiive e negative. poich d reale si ha
C

= C

(1.467)
Per un oscillatore armonico, in cui compare solo la prima armonica,
d = e[C[ cos(2
1
t + arg(C))
Evidentemente se operiamo la media sulle fasi e sulla dipendenza esplicita dal tempo (che
compare nel campo esterno)
dE = 0
Al primo ordine perturbativo possiamo sostituire w
0
, J
0
con w, J nellespressione di d,
lequazione per S
1
allora:

1
S
1
w
+
S
1
t
=
eE
0
4

e
i2(w+t)
+e
i2(wt)

che ha come soluzione


S
1
=
1
2i
eE
0
4

e
i2(w+t)

1
+
+
e
i2(wt)

(1.468)
Per calcolare il dipolo elettrico dobbiamo ora esprimere w
0
, J
0
in termini di w, J e sosti-
tuire nella espressione (1.466) di d, otterremo
d = d
0
+d
1
+. . .
d
1
, proporzionale al campo elettrico esterno, il dipolo indotto. Usando le relazioni (1.462)
si ha
d(w
0
, J
0
) d(w, J) +

d
J
S
1
w

d
w
S
1
J

124 CAPITOLO 1. LA NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA.


quindi
d
1
=

d
J
S
1
w

d
w
S
1
J

(1.469)
Scriviamo per chiarezza le varie derivate:
d
J
=
e
2

J
e
i2w
d
w
=
e
2
2i

e
i2w
S
1
w
=
eE
0
4

e
i2(w+t)

1
+
+
e
i2(wt)

S
1
J
=
1
2i
eE
0
4

e
i2(w+t)

J
C

1
+
+e
i2(wt)

J
C

Nello scrivere le derivate abbiamo tenuto in conto del fatto che in generale
1
una fun-
zione di J, mentre w, J sono considerate variabili indipendenti. Nellespressione (1.469)
compaiono diverse dipendenze temporali, che corrispondono ad oscillazioni con diverse
frequenze e, cassicamente, danno luogo a diffusione della luce con cambiamento di fre-
qeunza (effetto Raman). A noi comunque interessa in particolare il termine corrispondente
ad una oscillazione con la stessa frequenza del campo incidente, quindi nei prodotti che
compaiono nella (1.469) dobbiamo solo tener conto dei termini in cui la dipendenza da w
si cancella (ricordiamo che w =
1
t). In questo modo nei prodotti solo i termini con
opposti contribuiscono e si ha:
d
J
S
1
w

e
2
E
0
8

J
C

e
i2t

1
+
+
e
i2t

d
w
S
1
J

e
2
E
0
8

()C

e
i2t

J
C

1
+
+e
i2t

J
C

Per la parte a frequenza del dipolo segue, ricordando che C

= C

:
d
1
() =
e
2
E
0
8

e
i2t

J
[C

[
2

1
+
+e
i2t

J
[C

[
2

cambiando indice nella seconda somma: :


d
1
() =
e
2
E
0
4
cos(2t)

J
[C

[
2

1
+
ed inne, sommando esplicitamente i termini con di segno opposto:
d
1
() =
e
2
E
0
2
cos(2t)

>0


J
[C

[
2

1
(
1
)
2

2
(1.470)
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