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In collaborazione con: Megachip
IN QUESTO NUMERO
1 Resoconto sullassemblea di Chianciano Di: Stefano DAndrea [ pag. 1/2 ] 2 Val Susa. Messaggio allItalia: no al debito, tagliamo la Tav Di: Libreidee [ pag. 2/3 ] 3 Giamahiria Di: Fabio Falchi [ pag. 3 ] 4 Salavare le banche europeeper salvare Wall Street Di: Debora Billi [ pag. 3/4 ] 5 Lavoro, miseria e morte Di: Tonino DOrazio [ pag. 4/5 ] 6 Il sorrisetto Di: Beppe Grillo [ pag. 5 ] 7 Guerre. E adessoil resto dellAfrica Di: Debora Billi [ pag. 5 ] 8 LIran tra complotti e cospirazioni Di: Simone Santini [ pag. 6/7/8] 9 Prevenzione dimenticata Di: Mario Tozzi [ pag. 8 ] 10 Vogliono i soldi. I tuoi. Di: Debora Billi [ pag. 8 ]
Intanto, hanno partecipato circa 150 persone. Un numero non irrilevante, se consideriamo che l'Assemblea era stata copromossa da Rivoluzione Democratica, per mezzo del sito Sollevazione, nonch dal nostro sito. E' stato un tentativo di "uscire dal web" che ha avuto senza dubbio successo. In secondo luogo, le relazioni sono state di alto livello, chiare e interessanti. I presenti, venuti da molte citt d'Italia tra gli altri, ho conosciuto persone provenienti da Milano, Roma, Torino, Modena, Piacenza, Tarquinia, Frosinone, Foligno, Perugia, da diverse cittadine della Toscana, dal Salento, da Napoli, da Palermo - erano tutti entusiasti delle relazioni e persuasi di aver imparato qualche cosa. Insomma l'Assemblea stata un'assemblea-convegno e come convegno pienamente riuscita. Ma l'assemblea riuscita soprattutto come assemblea in senso stretto. Gli interventi dei presenti sono stati molto spesso acuti e di rilievo. Nessuno degli intervenuti ha accolto i tradizionali punti di vista globalisti che hanno ucciso la sinistra negli ultimi venti anni ("un altro mondo possibile"; "per un'altra europa"; urge l'unit delle moltitudini perch esse si sollevino contro l'impero; e altre idiozie prive di significato). In particolare sabato sera dopo cena abbiamo discusso a lungo e siamo giunti ad approvare per acclamazione un Ordine del giorno che soddisfa pienamente le mie aspettative. Io avevo a cuore soprattutto una presa di posizione netta a favore dell'uscita dalla Ue. Sia nella mia relazione sia in altri interventi ho cercato di argomentare, non soltanto che non si pu uscire unilateralmente dall'euro (si tratta di una modifica dei Trattati europei che richiede il consenso degli altri stati), mentre si pu uscire dalla UE; bens anche che la sovranit monetaria, soltanto un aspetto della sovranit politica tout court. Pur recuperando la moneta sovrana noi non avremmo la possibilit di invertire la rotta e ricominciare ad attuare il programma economico sancito nella nostra Costituzione. La struttura liberista, mercatista e monetarista della UE lo impedirebbe. Dunque fuori dal debito ma anche fuori dalla UE per recuperare la sovranit nazionale in materia economica. Che significa pi precisamente, recupero della sovranit nazionale? Significa che il popolo italiano riconquista la possibilit di disciplinare la materia economica; una possibilit che oggi non ha perch la sovranit in materia economica stata ceduta alla UE, con i risultati catastrofici che sono dinanzi agli occhi di tutti. In particolare sovranit nazionale significa: possibilit di limitare la libera circolazione del capitale; possibilit di introdurre una tassazione delle rendite superiore alla tassazione del lavoro; possibilit di reintrodurre la stabilit del rapporto di lavoro; possibilit di reintrodurre monopoli pubblici; competizione tra imprese e non necessariamente la malefica concorrenza; possibilit di aiuti di stato a settori produttivi reputati vitali o importanti; possibilit di misure protezionistiche per l'importazione e l'esportazione; possibilit di protezione per il piccolo commercio e per le professioni; tassi di interesse interni per politiche di aumento dell'occupazione; possibilit di svalutare la moneta (con tutti i benefici che ne possono di volta in volta derivare); possibilit di reintrodurre la scala mobile e l'equo canone. L'Unione europea, sotto la finzione di libert individuali, che in realt sono libert delle
imprese (libera circolazione dei capitali, dei servizi e delle merci) e prese per i fondelli per i lavoratori (libert di circolazione del lavoro significa che se perdi il lavoro in Puglia non devi rompere le scatole se in Olanda si liberato un posto di lavoro pronto per te), ha privato i popoli della libert di disciplinare la materia economica e quindi di edificare a proprio piacimento - riuscendo o fallendo - una o altra civilt. Il popolo italiano deve riprendersi quella possibilit, che la libert per eccellenza di un popolo. Se non lo far, non soltanto rester schiavo; ma ben presto non esister come popolo, perch l'Italia si divider. Queste idee, che ho difeso con insistenza, persino simpaticamente (spero e credo) eccessiva, hanno trovato seguito e sono state accolte con convinzione; anche da chi, magari, non aveva compreso fino in fondo il carattere esclusivamente mercatista, liberista, monetarista, nichilista, satanico e antipopolare della UE. Ci significa che le nostre idee hanno un futuro. Bisogna soltanto enunciarle chiaramente e diffonderle. A questo compito ora cominceremo a dedicarci, organizzando assemblee cittadine.
gi allo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena, conquistata dalla polizia il 27 giugno a colpi di lacrimogeni: Sono grato alla valle di Susa perch ci far risparmiare almeno 20 miliardi di euro, dice Chiesa. E evidente che i soldi per la Torino-Lione non esistono e che quella linea ferroviaria non si far mai, cos come chiaro il valore della resistenza popolare della valle di Susa: una avanguardia civile italiana ed europea, che con la sua lotta nonviolenta dimostra limportanza decisiva di un impegno cruciale, data la posta in gioco: il futuro di tutti noi e dei nostri figli, di fronte a una oligarchia finanziaria che sta cancellando la democrazia e vorrebbe imporci la stessa cura inflitta alla Grecia, con i beni pubblici privatizzati, grazie allalibi di un debito largamente incoraggiato e creato dagli stessi organismi che ora pretendono sacrifici inaccettabili e, al tempo stesso, insistono con lo spreco scandaloso di grandi opere che sanno perfettamente inutili come la Torino-Lione. Questo il punto: la valle di Susa parla a nome dellItalia dei referendum, quella che scesa in campo a giugno contro la casta, e che ora la Bce e lUnione Europea vorrebbero semplicemente cancellare. Rispetto alla minaccia epocale che incombe sul proprio futuro, lItalia appare indifesa: il governo Berlusconi balbetta, ridicolizzato da Francia e Germania, mentre lopposizione invoca un esecutivo serio, cio spietato e pi pronto a eseguire le direttive impartire da Van Rompuy, oscuro politico belga che il gruppo Bilderberg lite della finanza mondiale, responsabile dello sfacelo ha messo a capo dellUnione Europea con un mandato chiaro: spremere cittadini e lavoratori, tagliare istruzione e pensioni, demolire lo Stato sociale su cui si basata la cittadinanza europea per mezzo secolo e depredare i servizi pubblici, che Bruxelles raccomanda di liberalizzare, ovvero svendere ai grandi gruppi industriali e finanziari, gli stessi che predicano ripresa e crescita, anche ora che i popoli sono chiamati a pagare per il frutto avvelenato della speculazione bancaria e della crescita drogata dei consumi superflui: il debito. Il default degli Stati fa il paio con laltro default, quello della Terra, ripete Cremaschi: Non possiamo pi accettare un modello di sviluppo che devasta le risorse del pianeta. Ecco perch anche in questo la battaglia popolare della valle di Susa si rivela profetica: se il potere politico, industriale e finanziario ripropone lo stesso sviluppo-truffa capace solo di produrre maxi-profitti per pochi e debito per tutti a scapito dei territori, doveroso dire no. Alberto Perino, portavoce del popolo No-Tav, felice dellesito della mobilitazione del 23 ottobre: Abbiamo simbolicamente tagliato le reti e dimostrato che la nostra una lotta nonviolenta. Sollievo anche da parte della polizia, che alla vigilia ha creato un efficace filtro per escludere il rischio di infiltrazioni violente, ma poi di fronte al corteo pacifico di migliaia di montanari ha evitato qualsiasi prova di forza, limitandosi a controllare da vicino il libero afflusso di manifestanti nella zona rossa, rispettando la loro libert di manifestare. Sottratta la valle di Susa al tetro folklore della guerriglia, il 23 ottobre 2011 resta una pietra miliare data la sovraesposizione mediatica dopo i disordini di Roma ma anche un bivio cruciale: i politici che fino alla vigilia gufavano temendo il peggio e invitando i cittadini a restare a casa, di fronte al bilancio positivo
della giornata sul piano dellordine pubblico fingono che il problema sia risolto, dando per scontato che la Torino-Lione si far, perch si deve fare. Sbagliato: la valle di Susa, come lItalia dei referendum, ribadisce che di scontato non c pi niente, nellItalia del 2011: Fra sei mesi ipotizza Giulietto Chiesa la situazione finanziaria generale sar cos drammatica che nessuno si potr pi permettere di ripetere allegramente che in valle di Susa si dovranno sprecare miliardi per unopera inutile. Si profila una grande partita politica: A pensarla cos siamo milioni, solo che non siamo ancora rappresentati, dice ancora Giulietto Chiesa, convinto che la valle di Susa sia un modello perfetto, da esportare: se ci fossero dieci, venti, cento valli di Susa, oggi lItalia sarebbe un paese migliore, con pi dignit e pi speranza davanti a s.
Giamahiria
di Fabio Falchi una analisi storica e politica della Giamahiria vi sar tempo. Quel che certo che nulla di simile ci si deve aspettare dalla stampa italiana: nessun tentativo di capire per quale motivo le forze occidentali abbiano aggredito uno Stato sovrano o perch gran parte del popolo libico non abbia appoggiato i cosiddetti ribelli. Attenti ai particolari personali e pronti a diffondere qualsiasi bufala pur di fare notizia, ma senza disturbare il manovratore, per i gazzettieri non c colore che non sia una sfumatara di grigio : Gheddafi come Saddam o addirittura come Mussolini. La retorica della libert, si sa, una macchina semplificatrice, bench potente. Daltronde, quel che conta che la libert e la democrazia made in Hollywood facciano un buon incasso. Insomma, che la fiction sia produttiva. E che i semplici ci credano. Nondimeno, lecito e perfino necessario fare una sia pur brevissima considerazione sulla fine della Repubblica delle masse (che non necessiamente significa la fine della resistenza del popolo libico contro i collaborazionisti di Bengasi). Indipendentemente dal fatto che la Libia uno Stato tribale, che presenta caratteristiche che lo distinguono nettamente da qualsiasi Paese europeo, evidente che per giudicare la Giamahiria si deve tener conto che Gheddafi, allorch prese il potere nel lontano settembre 1969, si trov di fronte al calssico problema di chi, per difendere i diritti del proprio popolo, deve combattere sia contro nemici interni, sia contro nemici esterni. Ovvero contro gli agenti del grande capitale e della potenza capitalistica predominante. Ed ben difficile che si possano mutare i rapporti di potere esistenti con il mercato democratico. La stessa socialdemocrazia scandinava, che pure pareva poggiare su basi storiche e culturali solidissime, appena cambiato il vento della storia stata spazzata via come un castello di carte. Quindi, anche Gheddafi , a cui ovviamente si possono muovere non poche critiche, logico che si sia dovuto confrontare con tale questione ed abbia cercato di risoverla secondo la tradizione culturale del suo popolo; ma comunque indubbio che
Per
progressi sociali ed economici ci siano stati. Quanto alla accusa di aver finanziato il terrorismo internazionale , molto dipende da che cosa si intende per terrorismo, dato che gli angloamericani e gli israeliani, che pure praticano il terrorismo su scala globale, sembrano considerare terroristi tutti coloro che contrastano la loro politica di potenza. Paradossalmente, ma un paradosso solo in apparenza, lerrore pi grave di Gheddafi, come stato osservato, stato di aprire, in questi ultimi anni, il Paese allOccidente, senza avere la capacit politica e militare per difendersi da un attacco degli occidentali, tanto pi previdibile, considerando anche il forte impegno della Libia in Africa, proprio quando il continente africano, anche a causa della presenza cinese, ha acquisito un ruolo geostrategico del tutto nuovo e di estrema inportanza, e quando il Leviatano, proprio perch ferito, pi che mai pericoloso e sembra puntare tutto sulla geopolitica caos. Al riguardo, Giuseppe Germinaro, collaboratore del blog Conflitti e strategie ha scritto: Resta una grande amarezza, ma la quasi certezza che lattuale strategia americana sia molto rischiosa; troppi fronti aperti. Dovessero crearsi due/tre intoppi il castello vacillerebbe pericolosamente. Stiamo attenti allItalia. E un giudizio che non si pu non condividere . E il riferimento al nostro Paese non affatto retorico o esagerato. Vero che, se il lupo perde il pelo ma non il vizio, allora non pu destare meraviglia che i nostri governanti, pur di salvare s stessi, non abbiano esitato a stracciare il Trattato di Bengasi e a mordere la mano che avevano addirittura baciato. Ma a pagarne le conseguenze sar il popolo italiano. Anzi, le sta gi pagando. E si solo allinizio. In ogni caso, non possibile non provare nausea per gli articoli di coloro che ficcano le dita nel corpo insanguinato di Gheddafi e nei corpi della centinaia di migliaia di civili massacrati dagli americani e dai loro sicari in questi ultimi 20 anni. Ma sono proprio loro, i gazzettieri occidentali, a essere in una buca. E gli occhi dei bambini iracheni, dei bambini afghani, dei bambini palestinesi , dei bambini libici e di tutte le altre vittime del terrorismo occidentale, di cui sono complici, li guardano e continueranno a guardarli. Questa la
loro condanna. Non quella di Gheddafi, che nel momento pi drammatico della storia del suo Paese era tornato ad essere il giovane ufficiale nasseriano che aveva messo fine alla monarchia di re Idris, ovvero ad un protettorato angloamericano, e che aveva saputo dar vita alla Giamahiria. Oggi invece la canaglia al servizio della North Atlantic Terrorist Organization festeggia. Tuttavia, il seme, se cade in terra buona, porta frutto e nulla perduto, finch non tutto perduto.
preoccupanti. Wall Street anche coinvolta in ogni sorta di derivati emessi dall'Europa - sull'energia, la moneta, i tassi di interesse e di cambio. Se una banca tedesca o francese fallisce, l'effetto domino incalcolabile. Capito? Seguite i soldi: se la Grecia crolla, gli investitori cominceranno a fuggire da Irlanda, Spagna, Italia e Portogallo. Tutto ci far annaspare le banche tedesche e francesi. Se una di queste banche collassa, o mostra gravi segni di stress, Wall Street in guai seri. Persino in guai pi seri che dopo la Lehman Brothers. Ecco perch le azioni delle principali banche USA sono scese nel mese scorso. Morgan Stanley ha chiuso luned al punto pi basso da Dicembre 2008. Reich sostiene che se le banche europee falliscono, la Morgan pu perdere 30 miliardi di dollari, 2 miliardi in pi del totale dei suoi assets, pur sostenendo di non avere alcuna esposizione verso le banche francesi: in realt, l'esposizione deriva da assicurazioni, derivati e swaps. Ecco perch a Washington sono terrorizzati - e perch il Segretario al Tesoro Tim Geithner continua a supplicare gli europei di salvare la Grecia e le altre nazioni indebitate. Non vi confondete: gli USA vogliono che l'Europa salvi le nazioni indebitate cos che esse possano ripagare le banche europee. Altrimenti, le banche potrebbero implodere - portando Wall Street con loro. E una delle tante ironie che alcune delle nazioni indebitate (l'Irlanda l'esempio migliore), si trovano in tale situazione proprio perch hanno fatto un bailout alle loro banche nella crisi che cominciata a Wall Street. Chiuso il cerchio. In altre parole, non la Grecia il problema. N l'Italia, il Portogallo, o la Spagna. Il vero problema il sistema finanziario - centrato a Wall Street. E noi non l'abbiamo ancora risolto.
un tasso di disoccupazione mondiale del 6,1 per cento, pari a 203,3 milioni di disoccupati. Il rapporto mostra che il 55 per cento dellaumento della disoccupazione mondiale verificatosi fra il 2007 e il 2010, dovuto alle economie sviluppate e allUnione Europea (UE), sebbene questa regione rappresenti soltanto il 15 per cento della forza lavoro mondiale. In Nord Africa, nel 2010 un allarmante 23,6 per cento di giovani economicamente attivi era disoccupato. A livello mondiale, nel 2010 erano disoccupati 78 milioni di giovani, dato superiore rispetto ai 73,5 milioni del 2007, ma al di sotto degli 80 milioni raggiunti nel 2009. Nel 2010 il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) si attestato al 12,6 per cento, 2,6 volte maggiore rispetto al tasso di disoccupazione degli adulti. Inoltre, lOIL avverte che, in base alle tendenze precedenti alla crisi, in 56 paesi per cui sono disponibili i dati vi sono sul mercato del lavoro 1,7 milioni di giovani in meno di quelli previsti. Dopo la crisi, solo per lItalia si parla di 1,5 milioni. Questi lavoratori scoraggiati non sono calcolati come disoccupati in quanto non sono attivamente alla ricerca di un lavoro. Ci mina la famiglia, la coesione sociale, la credibilit delle politiche realizzate, il loro futuro e quello del paese. Nelle economie sviluppate e nellUnione Europea, loccupazione industriale precipitata con la perdita di 9,5 milioni di lavoratori fra il 2007 e il 2009. Qualit della vita, ovvero eufemismo. Oltre 1 miliardo di persone non ha casa e vive negli Slums, baracche di lamiera o cartone, nelle periferie, magari vicino alle discariche o in degradati e spesso abbandonati edifici dei centri storici dei paesi pi civili. Erano quasi il 2% della popolazione di ogni stato nel 1970, oggi sono il 20%. Ovviamente niente servizi
primordiali, acqua, fogne, elettricit. Se il parametro abitativo fosse quello occidentale allora sarebbero pi di 4 miliardi di persone in questa situazione. Il drenaggio dalle campagne verso le grandi metropoli, creandovi enormi problemi anche in occidente, ha spopolato larea agricoltura. Si stimava, prima dellultima crisi finanziaria e speculativa, a 1 miliardo le persone che soffrivano la fame, e il loro numero aumentato di 100 milioni tra il 2007 e il 2008 e altri 100 milioni tra il 2008 e il 2010. Dopo aver tralasciato la bolla e il disastro dei subprimes immobiliari, la speculazione mondiale, sostenuta da programmi coercitivi del Fondo Monetario Internazionale, si riportata sugli alimenti e sullacqua, elementi vitali sotto scacco, non solo per i lavoratori. A causa della speculazione gli alimenti di base, tra il 2007 e il 2008, sono aumentati vertiginosamente: il mais (+72%), il grano (+68%), la soia (+80%) e il riso (+80%), riportando quelli che vivono con meno di 1 euro al giorno da 1 miliardo di persone a 1,4 miliardi, e a 1.6 miliardi nel 2010. Aumenta dunque il numero complessivi degli affamati e 25.000 bambini muoiono ogni giorno per fame o malattie (spesso per noi banali). Dei 3 miliardi che lavorano, 1,3 miliardi non riesce a guadagnare 1,5 dollari al giorno per poter rimanere, con la famiglia, sulla linea, dichiarata standard , della povert. Ovviamente la misura riferita al potere dacquisto di varie zone povere del mondo. Comprese le aree occidentali dove, in scala, si guadagna meno di 20 euro al giorno, equivalente a estrema povert poich al disotto delle linee di povert dichiarate dai vari Istituti di Statistica nazionali. Milioni di pensionati, disoccupati, precari, ricercatori Il rapporto del 2011 aggiunge
che nel 2009 circa 630 milioni di lavoratori (il 20,7 per cento della manodopera mondiale) vivevano insieme alle loro famiglie al di sotto della soglia di povert estrema di 1,25 dollari al giorno. Cifra che corrisponde a 40 milioni di lavoratori poveri in pi, pari a 1,6 punti percentuali in pi rispetto a quanto previsto dalle tendenze osservate prima della crisi. E un grave errore nelle economie sviluppate concentrarsi esclusivamente sulla riduzione dei deficit pubblici senza affrontare la questione della creazione di posti di lavoro perch indebolir ulteriormente la possibilit di trovare unoccupazione nel 2011 per i disoccupati, per gli scoraggiati, i giovani e per coloro che entrano per la prima volta nel mercato del lavoro. Le pensioni, in Europa, ma in modo particolare in Italia sono da fame. Sono state sganciate dallaumento reale del costo della vita e dagli aumenti che i loro colleghi attivi continuano a percepire, aumentando, di anno in anno, il divario tra chi lavora e chi ha lavorato. Esse sono tra laltro erose dal costo della vita, anche perch gli aumenti in base allinflazione programmata sono un furto reale. Anche il non lavoro porta con s miseria. Crescere al Sud, in Italia, pu essere una corsa a ostacoli che inizia prestissimo. Sono 410 mila i bambini del nostro Mezzogiorno che vivono in condizioni di povert assoluta. Piccoli cui manca tutto, persino la possibilit di lavarsi ogni giorno o di possedere un giocattolo. Il numero aumenta se si considerano i minori in stato di povert relativa: 1,88 milioni in totale, di cui ben 354 mila concentrati in Campania. La morte. LOIL calcola che ogni anno muoiono, per cause correlate al lavoro, circa 2,2 milioni di persone. Di queste, oltre 350.000 muoiono ogni anno per incidenti sul lavoro. Gli incidenti invalidanti ammontano a 270 milioni di persone allanno. 160 milioni di persone si ammalano ogni anno per malattie professionali o per esposizione a sostanze nocive di vario tipo. Si stima che per esempio, in Europa, nei prossimi 20 anni, i decessi provocati dallamianto (vietato ufficialmente solo nel 1998) raggiungeranno la cifra di circa 500.000 persone, se non di pi. Non passata inosservata la relazione annuale dellINAIL per il 2010, quasi trionfale, sulla diminuzione delle morti sul lavoro in Italia. Solo tre al giorno e 80 morti di meno che nel 2009. Hanno dimenticato di dire che, nel 2010, i lavoratori si sono assentati dal posto di lavoro per pi di 1 miliardo di ore di cassa integrazione, e che quelli pi colpiti sono i giovani e i fruitori di contratti precari. Ogni anno bisogna contare circa 4.000 invalidi, di quelli ormai inabili. Molti lavoratori che escono al mattino non sanno se ritorneranno a casa. Nel mondo intero.
IL SORRISETTO
di Beppe Grillo
Arbabsiar confessa dopo dodici giorni di ininterrotti interrogatori e svela l'intera macchinazione. Un complotto fantasioso quanto una trama hollywoodiana" dir lo stesso capo dell'FBI Robert Mueller (La Stampa, 12 ottobre 2011). E in effetti sono in molti a dubitare della ricostruzione fornita dalle autorit americane. Sulla semplice base dei dati, una marea di domande o banali considerazioni si affastellano fino a porre in serio dubbio tutta quanta la cospirazione, fino a far dire all'ambasciatore russo all'Onu, Vitaly Churkin: Non sono un esperto, ma sembra una storia piuttosto bizzarra (Corriere della Sera, 13 ottobre 2011). Cosa non torna? Innanzitutto il profilo di Mansur Arbabsiar non pare quello di un agente cui affidare la pi grande operazione di intelligence iraniana all'estero da molti anni a questa parte: troppo pasticcione, improvvisato, inaffidabile. Gli errori commessi paiono infatti degni di dilettanti allo sbaraglio, piuttosto che di un reparto, il battaglione Quds dei Pasdaran, noto per la sua efficienza e dedizione. Appare poco credibile che per portare a termine una operazione del genere gli iraniani si siano rivolti ad una entit terza, i narcotrafficanti messicani, con cui non hanno alcuna affinit operativa e ideologica. E, a quanto pare, anche una scarsissima conoscenza, visto che sono immediatamente incappati in un agente infiltrato. Sfortuna o madornale sventatezza? Oltre Arbabsiar anche l'agente di collegamento con l'Iran, Shakuri, avrebbe compiuto un imperdonabile errore quando ha dato corso al pagamento degli acconti lasciando tracce che hanno fatto risalire a Teheran. Non si dimentichi che il paese persiano sotto sanzioni e le attivit finanziarie da e per il paese sono scrupolosamente monitorate quando non sono del tutto impedite. Su piano strategico ci si domanda quale vantaggio avrebbero avuto gli iraniani dall'uccidere l'ambasciatore saudita negli Usa. Anche ammesso che il piano fosse riuscito, quale risultato pratico ne sarebbe scaturito? Di converso la possibilit di essere scoperti come mandanti avrebbe aperto con ogni probabilit la porta ad una guerra. Nel momento in cui ampie forze negli Stati Uniti, e soprattutto in Israele ma anche presso gli stessi sauditi, attendono solo un pretesto per attaccare l'Iran, ecco che quel pretesto sarebbe stato fornito su un piatto d'argento. Se, dunque, la ricostruzione ufficiale lascia aperti pi interrogativi che risposte, lecito allargare il campo ad altre ipotesi. La pi immediata che il complotto rientri piuttosto nel novero delle teorie della cospirazione. L'operazione potrebbe essere stata concepita negli stessi Stati Uniti con la manipolazione di uno sprovveduto attore, Mansur Arbabsiar, da parte di agenti provocatori al fine di fare ricadere la colpa sulle autorit iraniane e sfruttare il caso a fini politici e propagandistici, cos come sostenuto da tutti i vertici della Repubblica islamica nelle loro dichiarazioni ufficiali. Oppure, ed ipotesi molto pi suggestiva, che la macchinazione sia effettivamente partita da fazioni di potere interne all'Iran, ma con scopi ben diversi da quelli apparenti, e che abbia trovato una sponda negli apparati di sicurezza statunitensi. Non pochi analisti hanno interpretato la conduzione di una operazione cos raffazzonata come figlia dello scontro di potere ai vertici dell'Iran e per l'uso strumentale della stessa a fini politici interni. Insomma, un complotto congegnato per essere scoperto. ad esempio questa la tesi di Edward Luttwak, analista americano molto conosciuto anche in Italia: Ormai c' quasi una guerra civile in corso tra Ahmadinejad, che nonostante il modo in cui si presenta all'Occidente sta diventando pi dialogante, e la guida spirituale Khamenei, a cui fa capo Quds, che come il braccio operativo della Cia. Ogni volta che in Iran qualcuno ha immaginato il dialogo con gli Stati Uniti, qualche altro sempre intervenuto per boicottarlo. Lo scopo di questo complotto era proprio creare lincidente
capace di bloccare qualsiasi intesa (La Stampa, 14 ottobre 2011). Sulla stessa linea, anche se da una prospettiva diversa, il politologo italiano Vittorio Emanuele Parsi: Eliminare l'ambasciatore saudita a Washington senza essere presi con le mani nel sacco era un'ipotesi talmente irrealistica che nessuno a Teheran pu averla presa seriamente in considerazione. Egualmente impossibile era ritenere che i mandanti non sarebbero stati identificati. [...] Allora per quale motivo Teheran avrebbe scelto una simile strategia apparentemente "suicida"? Credo che la risposta vada proprio cercata a partire da quest'ultimo aggettivo: suicida, perch solo facendo ricorso alla razionalit che guida gli attentatori suicidi possibile comprendere la logica tutt'altro che irrazionale che ha guidato le mosse di Teheran. L'obiettivo non era quello di colpire senza essere scoperti o identificati; l'obiettivo era quello di riconquistare il centro della scena mediorientale, stanare le eventuali contraddizioni degli Stati Uniti, mutare un quadro strategico che da oltre un anno sostanzialmente sfavorevole agli interessi iraniani. [...] E che cosa meglio di un complotto volto a uccidere l'ambasciatore saudita a Washington potrebbe rappresentare la "provocazione perfetta"? Se gli Usa dovessero reagire in una maniera giudicata troppo timida, attesterebbero ulteriormente la loro perdita di prestigio nella regione, compromettendo la stessa investitura dell'Arabia Saudita come nuovo leader del Levante e del Golfo. Se dovessero scegliere l'opzione militare dell'attacco selettivo (non esclusa dal presidente) Obama fornirebbe spazio alle accuse iraniane di agire alla stessa maniera del suo predecessore: in maniera muscolare, imperiale, "occidentale" [...] alimentando cos la polemica anti-imperialista e antisionista degli ayatollah, a cui le folle arabe continuano a restare sensibili (La Stampa, 14 ottobre 2011). In entrambi i casi prospettati, simili scenari implicano un gioco di sponda tra gli oltranzisti iraniani e quelli americani, una perversa comunione di intenti. Di certo se una qualche fazione iraniana puntava alla recrudescenza dei rapporti tra i due paesi, il gioco perfettamente riuscito. Anzi, la risposta diplomatica statunitense stata tale da far sembrare che in alcune stanze del potere a stelle e strisce non si aspettasse altro. Cos, ad esempio, Barack Obama ha dichiarato durante una conferenza stampa: L'individuo di origine iraniana-americana implicato nel complotto aveva rapporti diretti, era pagato ed era diretto da individui del governo iraniano, tutte le accuse formulate si basano su prove che stiamo condividendo con gli alleati e la comunit internazionale. Il ruolo dell'Iran in questo complotto non in dubbio, un comportamento pericoloso e spericolato. Anche se ai livelli pi alti non c'era una conoscenza dettagliata del complotto, l'Iran ha una storia di gravi violazioni delle norme internazionali. L'Iran dovr rispondere di questo ulteriore atto diretto non solo contro gli Stati Uniti ma contro la vita dell'ambasciatore dell'Arabia Saudita (La Stampa, 14 ottobre 2011). All'indomani dello scoppio del caso, il vicepresidente Joe Biden aveva invaso tutti i talk-show del mattino dei maggiori network per lanciare anatemi contro Teheran. Da Good Morning America sulla ABC, a The early show sulla CBS, fino a Today della NBC, il messaggio era duro, chiaro e martellante: Potremmo andare anche oltre le sanzioni diplomatiche, anche se non siamo per ora a questo punto. Nessuna opzione stata tolta dal tavolo. Il Segretario di Stato Hillary Clinton, intervenuta a una conferenza del Center for American Progress, dichiarava: Questo complotto, per fortuna sventato dall'eccellente lavoro dei nostri poliziotti e dei professionisti dell'intelligence, era una violazione flagrante del diritto internazionale e di quello degli Stati Uniti, un'escalation pericolosa dell'utilizzo periodico da parte del governo iraniano della violenza politica e del patrocinio del terrorismo. Per Carl Levin, senatore democratico e presidente della commissione Forze armate del Senato americano il complotto iraniano un atto di guerra contro gli Stati Uniti.
d'America (Associated Press, 12 ottobre 2011). Se la cospirazione era davvero diretta ad affossare tentativi di dialogo tra alcuni settori americani ed iraniani, non appare un caso che le reazioni pi dialoganti siano venute proprio dal presidente Ahmadinejad che ad alcuni giorni di distanza dal caso, con una intervista ad Al Jazeera del 18 ottobre, ha lanciato dei chiari messaggi ad alcuni settori del potere americano: Stati Uniti e Iran non sono in rotta di collisione verso un inevitabile conflitto. Penso che ci sono persone nell'amministrazione Usa che vorrebbero che ci accadesse, ma penso che ci sono persone sagge nella stessa amministrazione che sanno che non dovrebbero fare una cosa del genere. Ahmadinejad si trova stretto in una morsa micidiale, sta conducendo sul filo del rasoio una serrata e incertissima battaglia sul fronte interno per la laicizzazione della Repubblica islamica e tentando al contempo di non cedere alcuno spazio di indipendenza del paese nei confronti delle potenze internazionali. Se davvero qualche nemico interno ha inteso colpire gli spazi di manovra del presidente, essi stanno scherzando col fuoco. La reazione statunitense ha avuto tutta l'aria di una azione di guerra psicologica tesa a creare un clima di allarme verso la propria opinione pubblica in preparazione di eventi prossimi che potrebbero segnare uno spartiacque decisivo verso uno scenario bellico. In tal senso vanno interpretate le indiscrezioni lanciate dal quotidiano francese Le Figaro ad appena tre giorni dallo scoppio del caso iraniano, in cui si annunciava che a breve sarebbe stato divulgato il rapporto pi duro e pi completo mai scritto dall'Agenzia internazionale dell'Energia Atomica sullo stato di avanzamento del programma nucleare iraniano. Rimasta per anni ambigua, poi prudente, l'AIEA, in occasione del suo prossimo consiglio dei governatori, il 17 novembre a Vienna, si appresta, secondo informazioni ottenute da Le Figaro, a denunciare, prove alla mano, il carattere militare di questo programma che punta a dotare l'Iran della bomba. Il nuovo rapporto conterrebbe una chiara critica nei confronti dell'ex direttore dell'Agenzia, Mohammed El Baradei, accusato di aver sottostimato alcune prove a carico di Teheran al fine di continuare trattative poi rivelatesi infruttuose; punterebbe il dito sulla accelerazione del programma di arricchimento dell'uranio, considerando anomala la quantit di combustibile su cui i tecnici stanno lavorando; lancerebbe l'allarme sulle nuove tecnologie missilistiche iraniane che potrebbero avere come finalit l'implementazione di ordigni nucleari (La Stampa, 15 ottobre). In realt questi capi d'imputazione non appaiono per nulla risolutivi. L'accusa a El Baradei di una sua conduzione politica dell'Agenzia pro-iraniana, o quanto meno maggiormente favorevole al dialogo, potrebbe benissimo essere ribaltata sull'attuale direttore Yukiya Amano indicato fin dalla sua nomina come maggiormente disponibile ad assecondare le manovre delle potenze occidentali; secondariamente gli ispettori dell'agenzia hanno la facolt e il dovere di monitorare la qualit dell'arricchimento dell'uranio da parte iraniana, non la quantit di combustibile prodotto: finch il livello di arricchimento rimane al di sotto del 20%, utile a fini civili, l'Iran rimane nel suo pieno diritto, quale sottoscrittore del Trattato di non proliferazione, di produrre tutto il combustibile che vuole; infine non certo l'Aiea ad avere capacit di giudizio e indagine sul sistema missilistico iraniano: tali informazioni deriverebbero senza dubbio da altre agenzie di intelligence, la cui attendibilit sarebbe tutta da dimostrare. Tuttavia, se la diffusione di tale rapporto dovesse essere confermata, ci significherebbe un mutamento di scenario radicale. Finora, infatti, in Occidente, bench a livello mediatico e diplomatico la volont dell'Iran di accedere al nucleare militare venga data costantemente per accertata, mai una certificazione
in tal senso era giunta dall'unico organo a ci preposto: l'Agenzia internazionale per l'energia atomica. facile intuire quali sarebbero le successive mosse. Le potenze occidentali, Stati Uniti in testa, presenterebbero all'Onu una risoluzione di condanna e, visto il gi elevatissimo regime di sanzioni verso l'Iran, c' da aspettarsi che tale risoluzione chieder qualunque mezzo disponibile pur di costringere Teheran a interrompere il suo programma atomico. Che tale risoluzione fosse approvata, o che su di essa venisse posto un veto (ad esempio da Russia e Cina), ci equivarrebbe comunque ad una rottura della diga: Stati Uniti e Israele si sentirebbero in ogni caso legittimati a condurre azioni militari preventive contro l'Iran.
Prevenzione dimenticata
di Mario Tozzi ultimi in Europa, gli italiani sembrano scoprire, nellautunno 2011, che il regime delle piogge cambiato. Non ci sono pi le pioggerelline invernali, n le rugiade primaverili. No, qui deflagrano vere e proprie bombe dacqua. Bombe dacqua che scaricano in poche ore la stessa quantit di pioggia che un tempo cadeva in qualche mese. Quasi 130 mm di pioggia a Roma (con due vittime) in un paio dore, una vittima nel Salernitano, 140 mm in una sola ora alle Cinque Terre e ancora dispersi. Peccato che le alluvioni istantanee (flashflood) siano ormai da tempo diventate la regola nel nostro Paese e investano anche bacini fluviali minori. Questo non pi il tempo delle grandi piene del Polesine o dellArno: nellItalia del terzo millennio tocca e toccher sempre pi allOfanto, piuttosto che al Brachiglione. Le bombe dacqua sono figlie del clima che si surriscalda e si estremizza: pi energia termica a disposizione dei sistemi atmosferici significa maggiore possibilit di eventi fuori scala rispetto al passato. Ma tutto peggiora quando, anzich guardare in terra, si continua a osservare il cielo nella speranza che il fato non sia avverso. Lesempio della Liguria eclatante: le alluvioni in quella sottile striscia di terra sono e saranno la regola a ogni pioggia un po pi grave del solito. Per forza: quando si costruisce fino dentro gli impluvi fluviali, il terreno viene reso impermeabile e non assorbe pi la pioggia
Buoni
che, invece, si precipita nei corsi dacqua, ormai non pi commisurati a quelle precipitazioni. Cos arrivano le alluvioni, dovute alla nostra scarsa conoscenza della dinamica naturale e al mancato rispetto delle regole: se si leva spazio al fiume, il fiume prima o poi se lo riprende. E hai voglia a sturare i tombini a Roma o a decretare lo stato di calamit (che non andrebbe assolutamente favorito, perch si deve operare in prevenzione, non in emergenza) a La Spezia: sono solo palliativi che rimandano alla prossima occasione. Se non si liberano i fiumi dellaggressione cementizia, se non si rispettano le regole di un territorio cos fragile e giovane come quello italiano e se, peggio, si favorisce labusivismo anche attraverso sciagurati piani casa e ancor pi sciagurati condoni, il problema non si risolver mai. Ma proprio questo il punto: nessun decisore politico si impegna nella manutenzione del territorio attraverso piccole opere diffuse. Tutti sperano di lucrare consenso con lennesimo ponte inutile o lennesimo raddoppio di strada. Cos non si opera nellinteresse della popolazione e si degrada il territorio al rango dei Paesi del Terzo mondo, mentre si hanno ambizioni da sesta potenza industriale del pianeta. Le perturbazioni investiranno le solite zone ad alto rischio: lAlto Lazio, la Campania, la Calabria e Messina. E ascolteremo le solite litanie e giustificazioni, magari appellandosi alleccezionalit dellevento che, per, non ormai pi tale. Non si pu vivere a rischio zero, vero, ma, non avendo fatto nulla non ci si dovrebbe nemmeno lamentare.
Da un po' ci pensavo, ma mi
accusavo da sola di complottismo esagerato. Ora leggo l'intervista a Ennio Doris su Il Tempo (orore, lo so) e devo ricredermi. Non sottovalutate le parole di uno come Doris. Spesso, e l'ho verificato svariate volte, quelli considerati pi "fessi" sono poi coloro che spiattellano ingenuamente le pi scottanti verit. E Doris sta dicendo in sintesi che s, lo Stato italiano ha un debito stellare, i rating crollano, l'economia boccheggia ma ragazzi, voialtri avete un sacco di quattrini in tasca. E la finanza internazionale lo sa. Lo sa e li vuole. Ciascuno di noi ha qualcosa: che sia una casa, o dei risparmi in banca, o un po' di BOT, o i versamenti per la pensione integrativa, un gruzzoletto di un'assicurazione, un quinto del terreno di nonna al paese. E se non l'abbiamo noi, ce l'ha pap, o mamm, o la famiglia. Sono davvero pochissimi gli italiani nullatenenti per tre generazioni. La ricchezza insomma diffusa. In questo siamo secondi solo all'Australia nel mondo ricorda Doris. Tale ghiotto bottino non potr in alcun modo rimanere nelle nostre tasche: dovremo cacciare il grano, volenti o nolenti. Si far con nuove tasse, con nuovi balzelli, ma si user anche lo strumento principe: Equitalia. Non crediate di essere immuni perch siete oh tanto ligi e solerti e pagate le multe. Salter fuori qualche multa gi pagata che torner rinnovata e decuplicata, salter fuori un errorino di
3 euro sulla dichiarazione dei redditi del 1938, salter fuori una mora per la tassa sulla monnezza pagata con tre minuti di ritardo vent'anni fa. Centinaia e centinaia di euro, migliaia persino se le cose si incastrano nel modo giusto. Case e automobili pignorate, conti correnti bloccati, pagheremo caro e pagheremo tutto, pagheremo il pizzo per salvare le case. L'Italia sar spogliata, e pi che altro saranno spogliati gli itaiani. Quando questa faccenda finir, ci avranno tolto tutto o quasi. Viene quasi la voglia di vendersi casa e sputtanarsi tutto al centro commerciale, altro che vita frugale, risparmiosa e sostenibile. Almeno ce li saremo goduti noi.