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L'ATOMO

e le sue particelle
(e forse qualche stringa)

Benché l'ipotesi sull'esistenza di un'unità minima della materia


risalga alla filosofia greca (tipo Democrito), la conoscenza della
reale struttura dell'atomo è una conquista relativimente recente (e
così si scoprirà che l'unità minima della materia non è così minima
quanto si possa pensare).

Ciò che oggi chiamiamo atomo (àtomoi=senza divisione), lungi


dall'essere l'indivisibile di cui teorizzava Democrito, è un sistema
complesso di particelle subatomiche e forze controbilancianti.

La struttura atomica. L'atomo è composto da un nucleo a carica


elettrica positiva e da uno o più elettroni a carica elettrica negativa
che orbitano attorno ad esso (in realtà gli elettroni, seguendo le
leggi della meccanica quantistica, non seguono un'orbita ellittica e
regolare come i pianeti, ma formano un caotico e irregolare
intreccio di scie ad altassima velocità che avvolgono il nucleo
atomico in una sorta di nube).

Il nucleo atomico, a sua volta, è composto da due tipi di particelle: i


protoni e i neutroni. I protoni hanno carica elettrica positiva e i
neutroni carica elettrica nulla.

Visto e considerato che l'atomo ha complessivamente una carica


elettrica nulla, i protoni sono sempre accompagnati da un uguale
numero di elettroni in modo da annullare a vicenda le rispettive
cariche.

E interessante sapere come le dimensioni del nucleo siano


estremamente minime rispetto al limite delle orbite tracciate dagli
elettroni: se paragoniamo le dimensioni di un atomo alle dimensioni
di una stanza, il nucleo sarà grande più o meno come una briciola
di pane e gli elettroni compiranno le loro orbite rasentando i muri.
L'elettricità e le quattro forze. Da quando l'esperimento determina
la validità delle leggi della fisica, sappiamo che cariche elettriche
uguali si respingono e cariche elettriche diverse si attraggono.
Con buona pace di Hume e del suo scetticismo, i fisici hanno
dedotto tale legge dalla ripetuta abitudine della materia a reiterare
in modo costante i suoi comportamenti.

Si era constatato che, strofinando l'ambra con un panno, il panno


stesso veniva attratto dalla materia strofinata: ciò era possibile
perché gli atomi superficiali dell'ambra perdevano elettroni (più
leggeri dei protoni). L'ambra risultava così a prevalenza di cariche
positive (i protoni erano la maggioranza), mentre il panno, carico
degli elettroni sottratti, risultava a prevalenza di cariche negative.

La legge dell'attrazione elettrica (da electrum=ambra) poneva e


pone tutt'ora un quesito fondamentale: come possono i protoni, che
hanno carica elettrica uguale, rimanere uniti tra loro così
saldamente?

I fisici hanno dedotto dallo stato della materia l'esistenza di quattro


forze determinanti:

1. La prima forza è la forza nucleare forte (che fantasia!), è la


forza che permette ai protoni di rimanere uniti tra loro, la sua azione
incollante è la più forte delle quattro, in quanto riesce a tenere uniti
l'uno contro l'altro protoni con la stessa carica;

2. La seconda forza è la forza nucleare debole (idem), è


responsabile del decadimento di alcune particelle nucleari (non tutti
gli atomi sono stabili al loro interno, capita, per alcuni di essi, che
perdano per strada qualche particella e che sprigionino così
dell'energia, oltre a dare origine a nuove particelle), il decadimento
di un atomo è detto radioattività;

3. La terza forza è la forza elettromagnetica, tiene uniti gli elettroni


al nucleo ed è più debole della prima forza;

4. La quarta forza è la forza di gravità, è la più debole di tutte, in


quanto per essere determinante necessita della presenza di grandi
masse di materia (tipo Newton).
I Quark. Non tutte le particelle che compongono l'atomo sono
particelle elementari, ciò vuol dire che alcune particelle sono a loro
volta composte da altre particelle più piccole. In particolare il
protone e il neutrone sono composti da tre particelle dette quark.

Potrebbe essere interessante sapere che il nome di tali particelle è


preso da un passo del Finnegans Wake di James Joyce, e sarebbe
la contrazione di question mark, ovvero punto interrogativo.

I quark sono in tutto sei, essi si distinguono per massa e carica


elettrica.

1. Quark Up (quark su), detto anche quark-u. Ha massa di 9 per 10


alla meno 30, ovvero 9 preceduto da 30 zeri, carica elettrica pari a
due terzi di quella del protone.

2. Quark Down (quark giù), detto anche quark-d. Ha massa di 1.8


per 10 alla meno 29, carica elettrica pari a meno un terzo di quella
del protone.

3. Quark Strange (quark strano!), detto anche quark-s. Ha massa


di 3.5 per 10 alla meno 28, carica elettrica pari a meno un terzo di
quella del protone.

4. Quark Charm (quark incanto!?), detto ache quark-c. Ha massa


di 2.3 per 10 alla meno 27, carica elettrica pari a due terzi di quella
del protone.

5. Quark Bottom (quark sotto), detto anche quark-b. Ha massa di


7.7 per 10 alla meno 27, carica elettrica pari a meno un terzo di
quella del protone.

6. Quark Top (quark sopra), detto anche quark-t. Ha massa di 3.1


per 10 alla meno 25, carica elettrica pari a due terzi di quella del
protone.

Il protone è costituito da 3 quark, 2 di tipo up e 1 di tipo down, il


neutrone da 1 di tipo up e 2 di tipo down.
Se qualcuno vorrà prendersi la briga di calcolare la somma delle
rispettive cariche dei quark, si accorgerà che nel caso del protone
la carica risultante equivale al valore intero della carica protonica,
mentre per il neutrone, la somma delle tre cariche darà come
rislutato zero, ovvero l'annullamento della carica.

I quark vengono tenuti insieme tra loro dalla forza forte, la stessa
che lega tra loro protoni e neutroni. I quark inoltre decadono, a
causa della forza debole. Essi a volte si traformano da up a down e
viceversa, cambiando in questo modo anche i protoni, i quali
diventano neutroni e viceversa. Il loro decadimento produce altre
particelle, tra le quali i bosoni e gli antineutrini (ciò è definito
decadimento beta, comportamento radioattività scoperto da Fermi
nel 1933).

L'esistenza dei quark che non appartengono alla famiglia primaria


degli up e dei down è stata dedotta da altri processi di
decadimento, i quark sembra si possano osservare sempre
accoppiati, ecco perché ad un quark up corrisponde sempre un
quark down, ad un strange un charm, e ad un bottom un top.

La speranza di venirne a capo, ovvero le stringhe. Cos'è la


teoria delle stringhe se non un tentivo di venire a capo all'infinita
suddivisione della materia in particelle?

Questa teoria ancora in corso di sviluppo (per alcuni la vera


rivoluzione scientifica del terzo millennio casualmente iniziata nel
secondo), cerca di considerare le particelle da un nuovo punto di
vista: per la teoria delle stringhe, le particelle non sarebbero oggetti
puntiformi ma dei lacci, delle cordicelle vibranti.

Quest'ipotesi nasce dall'esigenza di trovare una teoria elegante,


ovvero una teoria che possa mettere un po' d'ordine nell'infinita
parata di particelle e iterazioni che si sono trovate davanti i fisici nel
corso del '900 e che spieghi ogni fenomeno fisico partendo da
alcuni semplici assunti.

Alcuni ipotizzano che le stringhe non siano nemmeno corde, ma


tubicini, cavi al loro interno, attorno ai quali si trovino arrotolate su
se stesse dimensioni spazio-temporali ignote e inaccessibili e che
le stringhe possano essere sia di tipo aperto che chiuso (ad anello).

In ogni caso, dimostrare la loro esistenza e le loro proprietà di base


significherebbe semplificare di molto (almeno al livello teorico) la
complessità dei modelli atomici e subatomici contemporanei,
certamente una sfida affascinante.

Albert EINSTEIN:
Relatività ristretta e generale

Maxwell teorizza le onde elettromagnetiche

Nel 1864 lo scienziato inglese James Clerk Maxwell


scopre che le leggi che governano l'elettricità e il
magnetismo sono così connesse tra loro da implicare
l'esistenza di onde elettromagnetiche: una carica
elettrica (ad esempio un elettrone) che oscilla nello
spazio genera un campo elettromagnetico che si
propaga sottoforma di onda.

Le onde elettromagnetiche hanno una velocità pari a quella della


luce, la luce stessa è un'onda elettromagnetica (le onde di
ampiezza superiore a un mentro sono onde radio, quelle nell'ordine
di qualche centimetro sono microonde, attorno al decimillesimo di
millimetro sono infrarossi. La luce ha una frequenza tra 40 e 80
milionesimi di millimetro, a frequenze inferiori ultravioletto, raggi
X e raggi gamma).

Il problema dell'etere

A questo punto la fisica dell'epoca imponeva di trovare un elemento


attraverso il quale le onde elettromagnetiche potessero propagarsi.
Tutti i movimenti ondulatori dovevano propagarsi in qualche
elemento: le onde del mare si propagavano attraverso l'acqua, le
onde sonore attraverso l'aria. Visto che le onde elettromagnetiche
non potevano propagarsi nel vuoto si inventò un elemento per
l'occasione, l'etere, prendendo il nome in prestito da Aristotele. In
questo modo le onde avrebbero avuto una velocità assoluta in
relazione all'etere ma relativa in rapporto agli osservatori. Gli
scienziati si misero da subito alla ricerca dell'elemento, l'etere
doveva avere caratteristiche particolari: doveva essere allo stesso
tempo abbastanza denso da permettere il passaggio delle onde e
talmente rarefatto da non rallentare la corsa della Terra con il suo
attrito.

L'esperimento di Michelson e Morley

Nel 1887 Albert Michelson ed Edward Morley


si proposero di verificare l'esistenza dell'etere
misurando le diverse velocità di due raggi di
luce provenienti da fonti diverse. Secondo la
teoria, la luce avrebbe avuto una velocità
relativa nelle diverse direzioni di
propagazione.

In particolare la velocità di un raggio di luce che fosse partito dal


sole in direzione perpendicolare all'osservatore e quella di un raggio
obliquo rispetto alla sua posizione non sarebbero coincise. Il primo
raggio avrebbe avuto una velocità più elevata. L'esperimento
dimostrò l'opposto: i raggi di luce, qualsiasi direzione di
propagazione avessero, avevano tutti la stessa velocità.

Relatività speciale

Nel 1905, Albert Einstein, allora impiegato all'Ufficio


Brevetti svizzero, propose l'idea di abbandonare l'idea
dell'etere e quella di un tempo assoluto.
Nella relatività speciale (o ristretta) solo la velocità
della luce ha un valore assoluto, al contrario del
tempo, che diventa relativo. In particolare la luce, nel
vuoto, viaggia sempre a velocità costante (circa 300.000 km al
secondo), qualsiasi sia la posizione di uno o più osservatori in
relazione ad essa.

Conseguenze:

1. Il tempo diventa relativo: per oggetti in moto il tempo risulta


rallentarsi.

2. Contrazione delle lunghezze: gli oggetti, misurati quando


sono in movimento, risultano contrarsi.

3. Velocità limite: qualsiasi oggetto dotato di massa non può


eguagliare la velocità della luce, tantomeno oltrepassarla.

Tempo relativo

Il concetto di tempo relativo è il primo che si scontra con la normale


esperienza quotidiana, in cui il tempo sembrerebbe assoluto e le
velocità indubbiamente relativa. In realtà gli effetti del rallentamento
del tempo per i corpi in movimento valgono comunque anche a
velocità più basse, solamente che gli effetti, seppur misurati e
dimostrati, sono molto meno evidenti rispetto agli effetti misurabili
su corpi viaggianti a velocità relativistiche.

Un esempio: poniamo il fatto che un uomo in bicicletta (10 km/ora)


e un altro che guidi una macchina (100 km/ora) vedano passare un
treno che viaggi a 200 km/ora. All'uomo in bicicletta sembrerà che il
treno vada più veloce rispetto a lui di quanto non lo sia per l'uomo in
macchina. Questi vedrà il treno andare più lento di quanto non
l'abbia visto il ciclista. Tutto questo perché il treno non ha una
velocità assoluta.

Ma cosa succede quando la sua velocità diventa assoluta


anche rispetto al moto del ciclista e dell'autista? Essi vedono il
treno muoversi alla stessa velocità, ne consegue che l'autista
dovrà rallentare il suo tempo per "sincronizzarsi" col ciclista e
concordare con lui sulla velocità dei vagoni.
A sua volta il ciclista rallenta il suo tempo per "sicronizzarsi" con
una persona ferma, ipoteticamente seduta ai lati della strada.

Altro esempio: se nell'esperienza normale la velocità è data dal


rapporto tra distanza percorsa e tempo di percorrimento (ad es. 20
km orari), se diventa assoluta la velocità dovrà per forza di cose
diventare relativo uno dei due fattori rimanenti: nella fattispecie, il
tempo.

Contrazione della lunghezza

Gli oggetti in movimento si accorciano nella direzione del


moto.
Questo effetto, previsto dai calcoli teorici, è difficilmente verificabile.
In pratica, un corpo che viaggi a velocità prossime a quella della
luce tenderebbe a contrarsi fino a scomparire.

Velocità limite: E=mc²

Un oggetto provvisto di massa non può superare o eguagliare


la velocità della luce, questo per il risultato dell'equazione E=mc²
(E=Energia, m=massa, c=costante, o velocità della luce), che
definisce l'uguaglianza tra massa ed energia. All'aumentare della
velocità aumenta la massa dei corpi, all'approssimarsi della velocità
della luce la massa di un corpo tende all'infinito, quindi, per
spostarsi, avrebbe bisogno di una quantità infinita di energia, il che
sarebbe impossibile.

Relatività generale

La relatività aveva risolto parecchi problemi, fra i quali la mancata


rilevazione dell'etere. Ora mancava una teoria che potesse mettere
d'accordo relatività e gravità newtoniana.

La teoria di Newton spiegava che tutti i corpi esercitano una certa


attrazione in ragione della loro massa, più grande è la massa, più
grande è l'attrazione. L'attrazione gravitazionale sarà tanto minore
quanto i corpi saranno lontani tra loro. In particolare l'attrazione
gravitazionale tra due corpi diminuisce in ragione del quadrato della
loro distanza. Gli effetti gravitazionali dovevano per forza essere
istantanei e questo contraddiceva la relatività, in cui niente può
superare la velocità della luce.

Dopo vari tentativi di far concordare le due teorie, Einstein propose


nel 1915 una nuova teoria, conosciuta come relatività generale.
Dopo il tempo venne ridefinito anche lo spazio. Einstein suggerì
che lo spazio non fosse lineare, bensì curvo, incurvato dalla
gravità prodotta dalle masse dei corpi celesti.

Conseguenze della relatività generale

1. Nello spazio tridimensionale le orbite dei corpi ci appaiono curve


perché incurvate dalla massa dei corpi dominanti, nello spazio
quadridimensionale le orbite mantengono una traiettoria retta. Le
orbite ellittiche sono quindi soltanto la proiezione
tridimensionale di orbite rettilinee quadridimensionali.

2. Anche i raggi di luce si incurvano assieme allo spazio, in


prossimità di una massa la luce viene deviata dalla gravità (effetto
che è la base della teoria dei buchi neri).

3. In prossimità di una massa anche il tempo subisce una


distorsione e rallenta.

Grazie alla relatività generale si è potuto correggere la durata della


rivoluzione di Mercurio, la massa del sole rallenta, seppur di poco, il
tempo di rivoluzione previsto dai calcoli di Newton.
MECCANICA QUANTISTICA

La comprensione della meccanica quantistica sembra, a prima


vista, una questione parecchio complicata. Anche ad un secondo
sguardo, tuttavia, le cose non sembrano cambiare di molto.

Di certo si può dire che la meccanica quantistica riguarda il


comportamento della materia a livello atomico e subatomico.
Possiamo dire, in via preliminare, che con essa l'atomo perde molto
della sua certezza matematica a favore di una maggiore incertezza
statistica.

Plank e la sua costante. Pare che tutto sia cominciato con


la scoperta di uno studente di fisica di nome Max Plank, il
quale scoprì nel 1900 che le radiazioni emesse da un
corpo caldo non sono emesse in modo continuo ma in
pacchetti, ovvero in quanti ( è bene sapere che scaldare
la materia equivale ad agitarne gli atomi e provocare il desiderio di
fuggire in alcune particelle).

Questa scoperta aprì un mondo del tutto nuovo, almeno nell'ambito


della fisica. Fino a Plank si credeva che le radiazioni fossero un
fenomeno costante e frazionabile a piacere, come una normale
grandezza numerica, dopo Plank si dovette tener conto che
l'energia (la radiazione) non viene emessa costantemente ma
quantizzata in pacchetti.

In sostanza l'energia non è solamente un onda che si propaga in


modo continuo e in tutte le direzioni, l'energia viene emanata a
proiettili, ovvero in quanti predefiniti dello stesso valore. Per usare
un altro esempio, il quanto assomiglia molto al vagone di un treno,
dove il treno rappresenta la quantità di energia complessiva e
ciascun vagone il quanto costante in cui è suddivisa.

La costante di Plank esprime il valore fisso e non frazionabile in cui


l'energia di una radiazione è divisa. L'onda della radiazione si
esprime in frequenza, maggiore è la frequenza (più corta è la
lunghezza dell'onda) maggiore è l'energia racchiusa in un quanto.
L'energia cambia in quantità, ma per essere emessa viene
racchiusa sempre nel medesimo quanto, della stessa dimensione
(non importa quante persone vi siano in un vagone, il vagone
resterà sempre della stessa lunghezza).

Molti furono gli ostacoli ad una effettiva comprensione della


scoperta di Plank (ed Einstein dette una mano a Plank nel chiarirne
le conseguenze), la teoria si impose molto lentamente nell'ambito
scientifico e molto lentamente diede i suoi primi frutti nelle
applicazioni successive.

Il dualismo onda-particella. Una prima conseguenza derivante


dalla formulazione del quanto fu la scoperta che la luce, oltre a
comportarsi come onda, e quindi essere soggetta a fenomeni di
rifrazione (le onde di luce si intrecciano e si sovrappongono come
onde nel mare), si comporta anche come particella (la particella di
luce viene chiamata fotone).

Questa scoperta non mancò di suscitare perplessità e resistenze.


Malgrado la sua evidenza, provata da innumerevoli esperimenti, vi
sono ancora oggi fisici che non si sentono troppo sicuri di ciò.

Il punto sta nel fatto che onde e particelle, nella visione comune,
sembrerebbero due entità contrapposte: le prime si irradiano a
piacere e non sembrano avere problemi di frazionabilità, in quanto
fenomeno costante e uniforme; le seconde sono per eccelenza
entità quantizzate, nel senso che l'energia è costretta solamente in
certi intervalli (non è possibile dividere un elettrone in due, l'energia
emessa in modo particellare ha come valore minimo sempre e
comunque quella di una particella).

Il problema del dualismo sembra in realtà non sussitere, il dualismo


apparente è un problema di interpretazione: la luce, in sostanza, a
seconda del tipo di esperimento, soddisfa sia la dimostrazione
ondulatoria (dell'onda) sia quella particellare (della particella):
quando i fisici domandano alla luce se essa sia un'onda, la luce
risponde di si, quando le chiedono se essa sia una particella, anche
questa volta la luce risponde di si.
Una soluzione definitiva la fornirebbe un esperimento che interroghi
la luce su untrambe le questioni contemporaneamente, il problema
è che a tutt'oggi sembrano sussitere limiti fisici ineludibili
all'esecuzione di tale esperimento.

Heisenberg e il principio di indeterminazione. Un'altra


bella spallata alle certezze di una fisica deterministica
(ovvero sicura di poter predire sempre, a partire da stati
presenti certi, qualsiasi stato futuro) la diede nel 1926 il fisico
tedesco Werner Heisenberg.

Egli introdusse in fisica l'indeterminazione delle grandezze. Il suo


principio di indeterminazione, infatti, sosteneva che non è
possibile sapere contemporaneamente e con certezza la
posizione e la velocità di una particella.

In sostanza, più sapremo con precisione la posizione di una


particella, meno sapremo della sua velocità, e viceversa.

Questo apparente paradosso, in realtà niente di meno che una


certezza, è la conseguenza di comportamenti naturali ineliminabili.
Per provare la posizione o la velocità di una particella, infatti,
occorre spararle contro un fascio di luce. Ma la luce, come abbiamo
visto, non è neutra, bensì è composta da fotoni, ciascuno con una
carica di energia tanto più alta quanto è più alta la frequenza
dell'onda di luce.

A questo punto, il fotone che colpirà la particella non potrà che


perturbare la traiettoria e lo stato della particella colpita: l'energia
del fotone interferirà con lo stato della particella e la cambierà nella
traiettoria e nella velocità.

Ecco perché, indipendentemente dal procedimento usato per


l'esperimento, i limiti naturali propri delle onde luminose, non
permetteranno mai di spiegare a fondo il reale stato della materia.

Conseguentemente a ciò, la meccanica quantistica non potrà più


avvalersi delle leggi della fisica classica: Heisenberg, Schrodinger e
Dirac fonderanno quindi la nuova fisica, non più fondata su certezze
matematiche determinate, ma su nuove equazioni quantistiche, in
cui lo stato della materia, lungi dal rappresentare una certezza, non
può che essere un'ipotesi.

Ogni particella, in meccanica quantistica, non ha posizione e


velocità determinate ma vive uno stato quantico, ciò è come dire
che ogni qualvolta si troveranno di fronte una particella, i fisici
dovranno trascinare nei calcoli ogni possibile traiettoria della
particella, e in questo, la particella verrà a trovarsi spesso nella
posizione di vera e propria onda.

Bisogna infatti aggiungere che è possibile limitare lo stato quantico


entro degli intervalli, primo fra i quali è il prodotto dell'incertezza
della posizione della particella per quello dell'incertezza della sua
velocità, il quale non potrà mai essere inferiore alla constate di
Plank.

COME FUNZIONA LA
SPETTROSCOPIA
(ovvero la luce della materia)
Che cos'è lo spettro
(non è un fantasma...)

Come già accennato, fu Newton il primo scienziato moderno ad


approfondire gli studi sulla luce. Newton scoprì che la luce bianca
che proviene dal Sole, se passata attraverso un prisma, viene
scomposta a ventaglio e se ne possono distinguere tutti i colori che
la compongono. Che la luce venga rifratta è evidente nel classico
esempio della matita immersa in un contenitore pieno d'acqua: la
sua forma si spezza, proprio perché l'acqua agisce da prisma e
rifrange l'immagine.

Come mai succede questo? Newton volle dimostrare come i colori


dello spettro non siano creati dal prisma stesso (come
sosteneva Cartesio), ma che la luce che colpiva il prisma avesse
già in sé tutti i colori che ne scaturivano. Legò assieme due fili di
diverso colore, uno rosso e uno blu, e notò come i due fili osservati
attraverso il prisma non fossero più continui tra loro, ma l'immagine
di uno era più bassa rispetto a quella dell'altra. I due fili, visti
attraverso il prisma, non erano più sulla stessa retta perché il
prisma spostava (rifrangeva) l'immagine di un colore più di quello
dell'altro.

La comparsa delle righe nere

Nel 1802, W. H. Wollastron, inglese, grazie ad una più precisa


osservazione dello spettro solare, notò che al suo interno
comparivano delle righe verticali nere. Tuttavia non ebbe la
costanza di approfondire l'argomento.

Nel 1914 fu un giovane ottico


tedesco, J. Von Fraunhofer, a capire
che le righe nere avevano una loro
regolarità, e che in ogni porzione di colore proveniente dalla luce
del sole erano presenti sempre ben determinate righe scure, delle
medesima grandezza e nella medesima posizione.

Fu invece Gustav Kirchhoff, tedesco di Heidelberg, a dare una


spiegazione alla natura delle righe nere. Kirchhoff scoprì che i gas
incandescenti ad alta pressione che compongono il sole emettono
uno spettro di luce continua (ovvero diffusa), mentre i gas
incandescenti a bassa pressione, che si trovano sulla sua
superficie, emettono uno spettro discontinuo.
Esempio di spettro continuo.
L'originale luce bianca solare è
scomposta uniformemente in tutti i
colori. I gas ad alta pressione emettono
radiazioni diffuse.
Esempio di spettro non continuo

I gas incadescenti a più bassa


pressione emettono radiazioni che si
concentrano molto vicine tra loro. Ad esempio, il sodio è
caratterizzato da due linee vicine nella banda del giallo. Queste due
linee sono "l'impronta digitale" del sodio.

La lunghezza d'onda degli elementi a bassa pressione (immagine


B) entra in interferenza con quella degli elementi ad alta pressione
(immagine A), e, sovrapponendosi e annulandosi a vicenda,
creano l'effetto visivo delle righe nere.

Le applicazioni pratiche

Visto che ogni elemento emette onde di luce che formano una
caratteristica e personale righatura, gli scienziato usano la
spettroscopia per identificare gli elementi che compongono le stelle,
le galassie, i pianeti, e in generale ogni corpo celeste che emetta
luce e quindi radiazioni (la luce è una radiazione elettro-magnetica,
ricordate?).

Ecco svelato il mistero di come facciano i nostri amabili scienziati a


sapere così tante cose dell'universo senza averle ma toccate con
mano! Potenza della luce...

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